Vorrei un quadro per sognare: il mistero dell’Isola dei Morti di Arnold Böcklin – Dalmazio Frau
È uno dei dipinti più famosi ed enigmatici al mondo, entrato da tempo nell’immaginario collettivo, tanto che chiunque lo ha visto almeno una volta nella propria vita in una sua riproduzione fotografica e del quale esistono innumerevoli variazioni eseguite da grandi artisti contemporanei come Giorgio De Chirico e Salvador Dalì, che riproposero il dipinto alla loro maniera sino a Hans Rue di Gigeril quale ne ha dato una sua peculiare interpretazione dove il suo mondo biomeccanico e alieno riporta le atmosfere oniriche dell’originale nell’incubo postmoderno. Il quadro è noto a chiunque con il titolo Die Toteninsel, ovvero L’isola dei morti, datogli dal mercante d’arte Fritz Gurlitt nel 1883, ma in origine esso è Die Gräberinsel, L’isola dei sepolcri, sebbene nasca come “un quadro per sognare”, voluto e dunque commissionato da una nobildonna tedesca, Marie Berna, contessa di Oriola, con il fine di commemorare lo scomparso suo coniuge, Georg von Berna.
L’opera è un olio su tela oggi custodita al Museo d’Arte di Basilea, mentre le altre versioni sono a Berlino, a New York e a Lipsia. Il dipinto è al Metropolitan Museum of Art di New York ed è un olio su tavola così come quello al Museum der bildenden Künste di Lipsia, mentre quello andato perduto era su rame. La ricca vedova Von Berna venne dunque folgorata dalla visione della prima versione di questo dipinto, esposta nello studio del pittore Arnold Böcklin, a Firenze, allora commissionatogli da Alexander Günther, un ricco e misterioso appassionato d’arte, recante il titolo Un luogo tranquillo. Marie dunque chiese a Böcklin un “quadro per sognare”, che fosse esattamente come quello dipinto per Günter, ma chiese di aggiungervi una barca funebre che trasportasse un feretro verso quell’isola silente, in modo tale che la donna, guardandolo, potesse trovare una sorta di pace e forse di rassegnazione alla morte del marito, sapendo così dell’esistenza di un Aldilà, di un mondo dove – come dicono gli antichi bretoni – “non soffre più né male, né desiderio”. In quell’isolotto di aspre rocce che emergono da acque immote, forse di un lago, anche se sappiamo dalle stesse parole dell’artista che egli pensi ad un mare, una piccola, fragile imbarcazione è condotta da un sinistro nocchiero avvolto in un manto biancastro, quasi un sudario, mentre vi trasporta una bara. Questa aggiunta, il pittore, la farà anche sul primo dipinto che tenne poi per sé.
Il mondo raffigurato nel quadro, è dunque quello plumbeo, dal cielo oscuro e dalle ombre lunghe e grevi, silenzioso e immoto, di una sorta di Ade o di Campi Elisi d’impronta pagana ma che evoca toni medievali e dunque cristiani, e seppur nulla manifesti in esso alcun legame religioso, vi è presente un’intensa e arcaica sacralità. Nessuno parla in quel mondo, ogni cosa è avvolta nel silenzio ed il rimando quindi all’antica tradizione greco-latina, si fonde e si confonde con le dottrine esoteriche di Emmanuel Swedenborg. Opera iconica del simbolismo, in essa tuttavia esiste qualcosa che spinge inesorabilmente colui che la guarda, che la osserva, ad andarle incontro, quasi fosse un portale, una soglia che conduce chi sta da questa parte del quadro a andare oltre la tela dipinta e a trasferirsi per incantamento in quel mondo di sogno, dove soltanto artisti e maghi possono andare.
Tale ipotesi, affatto azzardata, viene suffragata dalle parole stesse dell’artista che dicono essere il dipinto: «un’immagine onirica: essa deve produrre un tale silenzio che il bussare alla porta dovrebbe fare paura». Nelle alte pareti di roccia megalitica, mani ignote hanno scolpito e scavato nei secoli o forse nei millenni, sepolcri e tombe senza nome, circondati anche da templi e sculture raffiguranti leoni, dedicati a divinità altrettanto sconosciute. Su tutto svetta dominando, un gruppo di cipressi, alberi da sempre legati al culto dei morti, simbolo eterno di lutto e di vita nell’Aldilà. La figura che richiama Caronte o una divinità egizia che conduce l’imbarcazione funeraria dove sta il morto, chiuso in una bara bianca ornata di ghirlande purpuree, attraverso il suo ultimo viaggio, indossa vesti funerarie che nel loro nitore contrastano con tutto il resto che la circonda, reso magistralmente in toni d’ombra e d’oscurità.
L’impatto sul pubblico e sulla critica d’arte del tempo, di questo dipinto, fu tale che a Böcklin vennero commissionate altre, ulteriori, versioni dello stesso, in numero sino ad oggi di cinque, sia da privati e da mercanti d’arte, sia da musei, tutti affascinati dal potere evocativo e mistagogico dell’opera che si situa a cavallo tra ancora forti influenze romantiche e già quelle decisamente più accentuate del nascente movimento simbolista. Così tra i suoi appassionati estimatori tanto da volerne appunto una riproduzione, vi furono Sigmund Freud e Gabriele D’Annunzio e August Strindberg, infine – come è noto – esso divenne il dipinto più amato da Adolf Hitler che acquistò uno dei cinque inquietanti originali, dipinti tra il 1880 ed il 1886, nel 1936 per porla nella Cancelleria del Reich. La quarta versione dell’opera, dipinta per il barone Heinrich Thyssen-Bornemisza, andrà perduta invece sotto le bombe dell’ultima guerra, a Rotterdam. Insospettabile suo ammiratore fu Lenin mentre il compositore Sergej Rachmaninov, nel 1909, creò l’opera sinfonica L’isola dei morti ispirandosi proprio al quadro del pittore svizzero che egli aveva potuto ammirare in una riproduzione a Parigi, due anni prima. Tutte e cinque le versioni sono sempre comunque un unicum ed originali, in quanto differenti l’una dall’altra anche per i dettagli dipinti. Potremmo quasi dire che esistano in una sorta di “multiverso”, ben cinque Isole dei Morti, ciascuna delle quali è manifestazione e proiezione di un’unica isola esistente altrove. In un “Altro Mondo” forse a fianco del nostro, separato da una sottile tela, da una tavola o da un foglio di rame.
Osservando la struttura geometrica sottesa al dipinto si può notare come tutto, in esso, sia imperniato su due linee. Una orizzontale, data dal mare e dalle nubi del cielo, e una verticale, costituita dalla barca, dal nocchiero e dagli svettanti alberi di cipresso, che s’incontrano in un centro prospettico e metafisico, segnato proprio dalle strutture ciclopiche dell’isola. Isola che si apre verso l’osservatore come ad accoglierlo in un amorevole abbraccio. La soluzione artistica è dunque rispettosa della dottrina ermetica che vuole ciò che è in alto sia come ciò che è in basso, individuando un punto dove gli assi cosmici, quello celeste e quello terrestre, s’incontrano e ponendolo così fuori dal nostro tempo e dal nostro spazio. L’Isola sognata da Böcklin diviene un “non luogo” metafisico al quale si può accedere soltanto con la morte, o quella fisica o soprattutto, quella della credenza materialista e volgare dell’uomo contemporaneo.
Questa ipotesi può essere confutata tenendo presente che dopo il quinto esemplare ed originale di quest’opera, l’artista creerà il suo contraltare, Die Lebensinselovvero L’Isola dei Viventi, dipinto nel 1888, nel quale ogni particolare manifesta la gioia della vita: se nei dipinti de L’Isola dei morti è ovunque crepuscolo o tenebra incombente, in questo c’è la luce solare a illuminare ogni cosa, i colori invece di essere plumbei sono brillanti e corruschi e l’isola, prima dominata da cipressi, ora è un luogo dove crescono palme tropicali ed è abitata da molti animali, tra i quali i cigni, simboli solari e del mondo sovrannaturale e da creature marine. Sia L’isola dei Morti che il suo doppio speculare, quella dei Viventi, sono godibili oggi al Kunstmuseum di Basilea in un dialogo metafisico che gli osservatori più attenti sapranno certo apprezzare e comprendere.
Sin dall’immediato successo dell’opera, molti critici e semplici amatori, si sono domandati se il luogo ritratto idealmente da Böcklin esista davvero oppure se sia, com’è più probabile, in maniera leonardesca, frutto di una fusione tra vari luoghi tra loro differenti e al tempo stesso simili, sparsi nell’Europa e dunque visitabili dall’artista. Il primo, il più vicino allo studio del pittore, è il Cimitero degli Inglesi, a Firenze. Ad esso seguono altri inducenti a pensare che la forma insolita dell’isola tragga ispirazione da quella simile di Pontikonissi, vicino a Corfù, che offre al visitatore la visione d’una una cappella posta al centro d’un gruppo di cipressi; meno probabile possa essere Capri con i faraglioni o Ischia con il suo castello, o persino l’sola di Ponza. Più recenti studi, stando al critico d’arte Hans Holenweg, avrebbero individuato nell’Isola di San Giorgio, sita in vicinanza delle Bocche di Cattaro, nel Montenegro, il riferimento più preciso della pittura di Böcklin. Curiosamente quest’isola è chiamata dagli abitanti del luogo proprio “isola dei morti”, con il suo cimitero di origini veneziane e un’abbazia circondati dagli immancabili cipressi.
Pittore simbolista, nato in Svizzera come il suo predecessore romantico, il zurighese Johann Heinrich Füssli (1741-1825), ma poi naturalizzato tedesco, Arnold Böcklin (1827-1901) è già al tempo del primo di questi dipinti un pittore noto e apprezzato per le tematiche insolite, inquietanti e misteriose dei suoi quadri, nei quali spesso arte, amore e la morte stessa sono magicamente presenti.
Erede artistico del grande romantico tedesco, Caspar David Friedrich (1774-1840), il suo stile elitario è colmo di riferimenti occulti ed onirici, dovuti oltre che alla propria natura e alla personale inclinazione artistica, certamente anche a studi effettuati e conoscenze ricevute nei luoghi ove egli ha maggiormente operato, ovvero in Germania ed in Italia. Un altro grande e celebre classico della sua produzione è proprio il suo Autoritratto con la Morte che suona il violino, dipinto nel 1872, dove l’artista rievoca una classica icona medievale dalle Danze Macabre che è la Morte musicista, in questo caso dedita allo strumento infero per eccellenza, in passato raffigurato da due tibie umane usate in sua vece.
Böcklin ritiene che il fine superiore e ultimo dell’arte pittorica debba essere la rivelazione attraverso i simboli, con un linguaggio anagogico, la realtà che sta oltre il nostro mondo materiale. Una realtà che trascende i sensi e il puro raziocinio, mostrando la vera essenza magica di altri mondi e creature. Paesaggi, figure mitologiche, luoghi alieni sono dunque per l’artista, esistenti realmente su un differente piano da quello che è il mondo a tutti noto, non frutto di fantasia ma raggiungibile mediante l’uso dell’arte e dei simboli, quasi in una sorta di operazione magica che riecheggia alcuni dipinti di Sandro Botticelli e di Giorgione, sempre e comunque secondo una propria stravaganza artistica. Così divinità silvestri come Fauni, Satiri e Ninfe e Driadi, Centauri e Sileni sono da Böcklin raffigurati in atmosfere oniriche e surreali, in una natura dionisiaca che unifica le influenze nordiche con quelle mediterranee. Così come quasi alchemico fu il suo rapporto con i colori, che come per i Preraffaelliti, produceva nel proprio studio alla maniera degli antichi maestri, con una tavolozza dai toni accesi e violenti, profondi ed evocatori di meraviglie terribili sia su tele, su tavola e sui più variati supporti. Inoltre, appassionato di musica e musicista raffinato, in una sorta di sinestesia, Böcklin sa che tra suono e immagine, tra suono e colore, esiste una stretta correlazione d’ordine superiore, come già Pitagora e Marsilio Ficino insegnavano e Leonardo da Vinci mise in pratica.
La profonda amicizia con Jacob Burckhardt, il grande storico del Rinascimento, lo spinse ad andare a vivere in Italia per potersi immergere nell’ancora vivente eredità pittorica di quel tempo passato.
Così sarà a Roma che Böcklin conoscerà miti e leggende arcaiche e medievali facendo suo lo straordinario lascito artistico della Rinascenza anche dal punto di vista letterario e dottrinale. A Roma inoltre prenderà moglie, una giovane ragazza di umili origini che sempre gli fu vicino sempre, con il proprio amore e con la propria bellezza. Dopo aver fatto rientro in patria per insegnare all’Accademia di belle arti di Weimar, insofferente all’ambiente, decise di tornare nuovamente a vivere nel Paese che tanto amava, l’Italia. Nascono allora tutti quei dipinti a carattere mitologico che caratterizzeranno a lungo, la sua produzione artistica: Lotta di centauri, Euterpe con una cerva, la Musa di Anacreonte, Tritone e Nereide, Il gioco delle naiadi, giungendo infine all’Isola dei morti ed il suo studio fiorentino divenne meta di artisti ed estimatori da ogni parte d’Europa, sino alla propria morte avvenuta a Fiesole, nella sua villa di San Domenico.
FONTI BIBLIOGRAFICHE:
– Paolo Conti, «L’isola dei morti» è il castello di Ischia, Corriere del Mezzogiorno, 14 aprile 2011.
– Bernardo Falconi – Otto Vermehren, l’isola dei morti, d’après Arnold Böcklin, Scripta, 2017.
– Dalmazio Frau, L’Arte Ermetica, Bosch, Brueghel, Dürer, Van Eyck, Arkeios, Roma, 2014.
– Barbara Giannini, “L’isola dei morti” di Böcklin: l’enigmatico quadro che stregò Adolf Hitler, https://www.vanillamagazine.it/l-isola-dei-morti-di-bocklin-l-enigmatico-quadro-che-strego-adolf-hitler-a/.
– Christoph Heilmann, Gianna Piantoni, Catalogo, in I “Deutsch-Römer”: il mito dell’Italia negli artisti tedeschi, 1850-1900, Roma, Mondadori, Galleria Nazionale d’Arte Contemporanea, 1988.
– Hans Holenweg, Die Toteninsel. Arnold Böcklinspopuläres Landschaftsbild und seine Ausstrahlung bis in die heutige Zeit, in Das Münster. Zeitschriftfürchristliche Kunst und Kunstwissenschaft, 2001.
– Arianna Mascetti, Suggestioni sopra il Castello di Barbablù: l’Isola dei morti di Böcklin, leboisdesarts.altervista.org, 27 dicembre 2013.
– Lucia Mattera, L’isola dei morti, lucianogiustini.org, 21 febbraio 2008.
– Alejandra Schettino, Lezioni d’Arte – L’isola dei morti, il dipinto preferito di Hitler, artspecialday.com, Art Special Day, 4 febbraio 2017.
– Francesca Sirianni, Ars gratia artis, arteperartestessa.blogspot.it, 15 agosto 2013.
– Giovanna Pimpinella, Il silenzio dell’Isola dei morti di Arnold Böcklin, piantatastorta.altervista.org, 5 febbraio 2012.
– Pierluigi Tombetti, L’isola dei morti e la percezione assoluta, docplayer.it.
– Vilma Torselli, Arnold Böcklin, “L’isola dei morti”, su artonweb.it, 3 maggio 2007.
– Roberta Vanali, L’ isola dei morti di Böcklin. Artisti a confronto, Logus, Mondi Interattivi, 2013
Dalmazio Frau