Virgilio Rospigliosi e l’arte dell’avanguardia pitagorica – Luca Valentini
Approcciarsi ad un’opera d’arte, in piena modernità e società dei consumi, è procedimento al quanto complicato, sia per la percezione distorta che l’astante ha ormai del concetto del Bello – ormai decaduta è l’idea di forma interna e spirituale dei Greci e di un Fidia – sia perché spesso l’artista concepisce non più la propria espressività in relazione ad un’ideale cosmico-spirituale di riferimento, ma quale esplicitazione del proprio inconscio, spesso caratterizzata da non poco peregrinazioni istintuali ed induzioni dell’ambiente condizionante.
Tale essendo la premessa, è possibile accostarsi alle creazioni di Virgilio Rospigliosi in maniera assolutamente innovativa e profondamente originale. Non si presenta un arcaico paradigma platonico da riconoscere né un animo inquieto, quello dell’artista, da riconoscere, da interpretare, con cui psicanaliticamente interagire: il centro non è designato né l’opera né nell’artista. L’Omphalos, sorprendentemente, diviene l’astante, colui che osserva e che dovrebbe essere, normalmente, il recettore passivo della rappresentazione. In tal contesto, invece, l’astante diviene attore, il recettore diviene protagonista principale, l’opera e l’artista da componenti di primo rilievo divengono veri e propri strumenti pitagorici di autocoscienza di chi la singola opera ammira. L’irregolarità voluta di certe figure, il voluto controsenso o il voluto non senso di un simbolo, anche spesso nel suo richiamo tipicamente arcaico, assumono una funzione di pitagorica catarsi per l’astante, che deve mobilitare la presenza a se stesso, per non ricevere un dato messaggio, per comprendere quanto l’opera d’arte assuma un salto della coscienza propria, un mezzo che possa servire a destrutturarla ed a ridestarla.
Tale tecnica, secondo il nostro punto di vista, rappresenta un nuovo livello d’avanguardia artistica, in cui i ruoli sono appunto invertiti, come è invertito è il senso dei codici numerici inseriti nelle sim–card che il Rospigliosi inserisce nei suoi lavori: non espressioni algebriche poste per richiamare una data idea, ma poste in una data localizzazione dell’opera, affinchè la coscienza di chi osserva abbia un sussulto e si possa interrogare. Ed non conta neanche tanto il tema dell’interrogazione verso se stessi, quanto, primariamente il movimento dell’anima, che abbandona la staticità psicologica recettiva, lunare e passiva, per ridivenire produttrice di un’istanza sottile propria, indipendente ed volitivamente attiva. Similmente alle celebri “imagines agentes”, che è possibile ritrovare nell’Ars Reminiscendi del mago rinascimentale Giambattista Della Porta, ogni simbolo arcaico, ogni riferimento numerico, ogni capovolgimento cercato della razionalità artistica, rappresenta un’induzione strumentale all’ interrogazione interiore.
La partecipazione, pertanto, alle mostre di Virgilio Rospigliosi può caratterizzarsi per un’innovativa visuale che ivi si acquisisce, per una rinnovata centralità dell’osservatore sull’opera d’arte ed il suo Artifex e quindi più che realizzarsi un procedimento di visione esterno e centrifuga, si concretizza una dinamica centripeta di ascolto della propria anima cosciente, che tramite sussulti simultanei e ripetuti, cioè opera dopo opera, si interroga.
Come con la Natura naturante ed con le dinamiche magiche del pensiero, l’agente di permanenza e trasformazione, cioè il quid d’essenzialità riesce ad interpretarlo il movimento stesso e non il fine fittizio che assume, che necessariamente muta, dall’artista all’astante, da astante ad astante, la differenziazione del demone personale che si palesa, che nel movimento e nel pensiero che si interroga, ritrova pitagoricamente l’unità cosmica della rappresentazione. L’incontro con l’arte di Virgilio Rospigliosi è, in sintesi, un tentativo di approcciarsi a se stessi e di scardinare le certezze del fenomenico per sondare l’invisibile del noumenico kantiano.
Luca Valentini
(www.virgiliorospigliosi.com)