Una russa a Montparnasse: biografia intellettuale di Maria De Naglowska – 5^ parte – Francesco Innella
Maria De Naglowska e Il culto gnostico della Madre Divina
Il culto della Grande Madre risale al Neolitico e forse addirittura al Paleolitico se si leggono in questo senso le numerose figure femminili steatopigie (cosiddette “Veneri”) ritrovate in tutta Europa, di cui naturalmente non conosciamo il nome. Lungo le generazioni, con gli spostamenti di popoli e la crescita di complessità delle culture, le “competenze” della Grande Madre si moltiplicarono in diverse divinità femminili. Per cui la Grande Dea, pur continuando ad esistere e ad avere culti propri, assumerà personificazioni distinte, per esempio, per sovrintendere all’amore sensuale (Ishtar-Astarte-Afrodite pandemia-Venere), alla fertilità delle donne (Ecate triforme, come 3 sono le fasi della vita), alla fertilità dei campi (Demetra / Cerere e Persefone / Proserpina, alla caccia (Kubaba, Cibele, quindi Artemide-Diana). Inoltre, siccome il ciclo naturale delle messi implica la morte del seme, perché esso possa risorgere nella nuova stagione, la grande dea è connessa anche a culti legati al ciclo morte-rinascita e alla Luna, che da sempre lo rappresenta (i più arcaici di questi riti sono riservati alle donne, come quello di Mater Matuta o della Bona Dea). Ad esempio, nelle feste e nei misteri in onore del gruppo Demetra / Cerere Persefone / Proserpina, il suo culto segna il volgere delle stagioni, ma anche la domanda dell’uomo di rinascere come il seme rinasce dalla terra. L’evoluzione teologica della figura della Grande Madre (giacché nulla va perduto, nel labirinto della mitologia) venne costantemente rappresentata da segnali di connessione tra le nuove divinità e quella arcaica. Finché le religioni dominanti ebbero carattere politeistico, un segno certo di connessione consisteva nella parentela mitologica attestata da mitografi e poeti antichi (ad esempio, Ecate è figlia di Gea; Demetra è figlia di Rea). Altro carattere che permette di riconoscere le tracce della Grande Dea nelle sue più tarde eredi, è poi la ripetizione di specifici attributi iconologici e simbolici che ne richiamano l’orizzonte originario. Ad esempio: il dominio sugli animali, che accomuna i leoni alati che accompagnano Ishtar, la cerva di Diana e il serpente ctonio della dea cretese; l’ambientazione tra rupi (o in caverne, a ricordare il carattere ctonio della divinità originale) e boschi, o presso acque; il carattere e i culti notturni.
Anche nel mutare delle religioni, la memoria della divinità arcaica, “signora” di luoghi o semplicemente di bisogni umani primari, si mantenne e si trasmise lungo le generazioni, dando luogo a culti forse inconsapevolmente sincretistici (le cui ultime propaggini possono essere considerate, ad esempio, le molte Madonne Nere venerate in Europa). Nell’area mediterranea ne conosciamo i nomi e le storie, nelle diverse civilizzazioni in cui si impose, dall’epoca protostorica:
in area mesopotamica (V millennio a.C.): Ninhursag
in area anatolica (II millennio a.C.): Cibele
in area greca: Gea
in area etrusca: Mater Matuta
in area romana: Bona Dea o Magna.
La variante nordica della Grande Madre, portata fino alle Isole britanniche da migrazioni di popoli pre-achei verso nord ovest, è secondo Robert Graves la Dea Bianca della mitologia celtica (colei che a Samotracia si chiamava Leucotea e proteggeva i marinai nei naufragi).L’universo cultuale della Grande Madre prevedeva anche, benché non sempre, figure maschili, inizialmente descritte come figure plurime o collettive (come i Dattili di Samotracia).
L’evoluzione di tali figure e la loro progressiva personificazione individuale sembrano confermare per sottrazione l’idea di un’origine matriarcale della civilizzazione, sia per la forte accentuazione di “figlio della dea” – e la dea rimanda alla Grande Madre, anche se ha un altro nome – che viene attribuita a talune divinità maschili particolarmente legate alla terra (Dioniso, per tutte); sia perché la modifica e l’individuazione in senso patriarcale del pantheon sono attestate in epoca relativamente tarda, quando gli uomini avevano preso coscienza della propria potestà generatrice; sia, infine, per il rapporto misterioso che corre tra la Grande Dea e il suo compagno, caratterizzato dall’essere minore di lei, per età e per poteri, e che spesso si presenta, almeno inizialmente, come una figura di giovane amante, assai simile ad un figlio (si veda in proposito la coppia Cibele-Attis).Lugansk, Ucraina (datazione ignota) Nella psicologia di Jung la Grande Madre è una delle potenze luminose dell’inconscio, un archetipo di grande ed ambivalente potenza, distruttrice e salvatrice, nutrice e divoratrice. In Erich Neumann, che più di tutti gli allievi di Jung dedicò i propri studi ai vari aspetti del femminile, l’archetipo della Grande Madre (tendenzialmente conservativo e nemico della differenziazione) è il principale ostacolo allo sviluppo del Sé individuale, che per conquistare la propria parte femminile deve sviluppare le proprie capacità di separazione ed autoaffermazione. Per gli gnostici cristiani, Sophia è un elemento centrale per la comprensione cosmologica dell’Universo. Sophia è la componente femminile di Dio, e coincide con lo Spirito Santo della Trinità. Ella è, pertanto, al tempo stesso Sorella e Sposa di Cristo poiché, così come Cristo, Ella viene da Dio [Dio inteso dunque come Padre e come Madre al tempo stesso, poiché Origine e Generatore dei due principi, maschile (Cristo) e femminile (Sophia)]. Sophia risiede in tutti noi sotto forma di Scintilla Divina e Cristo fu inviato sulla terra per accendere la scintilla divina (pneuma o gnosi) che è nell’uomo, risvegliandolo dagli inganni del mondo e del Demiurgo. Nella tradizione gnostica, il nome Sophia è, assieme a quello di Cristo, attribuito all’ultima emanazione di Dio. Nella maggior parte, se non in tutte le versioni della religione gnostica, Sophia provoca un’instabilità nel Pleroma, contribuendo alla creazione della materia. Il dramma della redenzione di Sophia attraverso Cristo o il Logos è il dramma centrale dell’universo.
Pressoché tutti i sistemi gnostici del tipo siriano o egiziano insegnavano che l’universo ebbe inizio da un Dio originario, inconoscibile, definito come Padre o Bythos o Monade. Esso può essere associato anche al concetto di Logos dello stoicismo, o dell’esoterismo, o a termini teosofici come Ain Sof nella Qabbalah o Brahma nell’Induismo. Nello gnosticismo cristiano era noto come il Primo Eone. Da questo inizio unitario, l’Uno emanò spontaneamente altri Eoni, entità accoppiate, in una sequenza di potenza sempre inferiore. L’ultima di queste coppie fu quella formata da Sophia e Cristo. Gli Eoni, tutti insieme, costituivano il Pleroma o la pienezza, di Dio, e così non dovrebbero essere visti come entità diverse da Lui, ma come astrazioni simboliche della natura divina. Ora nel testo di Maria De Naglowska, c’è questa affiliazione gnostica della madre Divina ed è” la Dottrina del Terzo Termine della Trinità “
“La Divinità e triplice: Il Padre, Il Figlio e la Madre………….
Il Figlio si separa dal Padre e si divide in due. Egli è duplice. La Madre procede dal Padre e dal Figlio e li contiene entrambi: essa è triplice solo il ,Padre è omogeneo……….
I tre aspetti della Trinità – il Padre, il Figlio e la Madre – sono successivi nel tempo ma simultanei nella loro Eterna Presenza nelle regioni non connesse al piano della divisione e della molteplicità…………
La successione – Padre, Figlio, Madre – si giustifica così.
Il Padre è il Principio Maschio, che compie l’atto della negazione dello Spirito Unico: è l’amore orientato verso la carne. Il Figlio è il principio della seconda negazione, quella che nella carne respinge la carne; è l’amore orientato verso l’irreale, l’amore del cuore infecondo. Il Figlio non è né Maschio né Femmina: Egli è al di qua dei due sessi divini. A causa di ciò Egli è al di là degli esseri sessuati. La Madre è il ristabilimento del principio Maschio nel senso inverso. Essa afferma lo Sprito Unico, e il suo amore, che parte dalla carne, si orienta verso la realizzazione spirituale. Essa consola e glorifica il Figlio, perché concretizza nella vita semplice il suo sogno di sublime purezza. Ma sicuramente in questa concezione gnostica l’esoterista russa fu sicuramente influenzata da un circolo occulto già presente a Parigi dal 1920, il Circolo di Astarte, che si proponevano di ripristinare il culto del Dio Madre e di annunciare il Paracleto che si sarebbe rivelato come Sophia Nostra Signora lo Spirito Santo, Colei – che –Deve – Venire.
Il femminismo magico
L’esoterismo della Naglowska che ebbe uno sviluppo autonomo e che fu appreso in maniera del tutto casuale nella sua vita difficile, esula dai campi della tradizione ed entra in quello della massima trasgressione, da qui fu poi creata l’accusa di satanismo la stessa accusa che fu rivolta anche a Crowley. Ma la donna non era una adoratrice del diavolo, secondo quella che è una visione cattolica, ma una adepta di un femminismo magico – sessuale sfrenato di un audacia senza freni, che attaccava il moralismo della mentalità del tempo. Secondo Alexsandrian l’idea direttrice era la polarizzazione inversa dei sessi. Il cervello dell’uomo aveva la caratteristica, di emettere un elettricità negativa, mentre quella della donna positiva E in base a questa concezione, l’uomo e la donna potevano aumentare la carica del loro desiderio sessuale, che andava cavalcato come se fosse un cavallo focoso. L’uomo, poi doveva rimanere secco e non emettere il seme. E quest’atto sessuale era indicato con la metafora del “divorzio “. Adrien Peladan, affermava, successivamente a Pascal Randolph “ che la donna era destinata alla fecondazione uterina e non alla creazione cerebrale, ma era dotata di un cervello maschile che fecondava quello dell’uomo per effetto della proiezione del pensiero della donna……” Si tratta di tematiche che avevano lo scopo di rendere autonomo il ruolo della donna. Ma per gli scopi della magia sessuale , la Naglowska scrisse un testo importante, in cui tutta la tematica da me evidenziata nel capitolo prendono corpo. I “ Le sacerdotesse dell’amore”:
“Un testo sacro, la cui origine si perde nella notte dei tempi, rivela quando segue…….Le sacerdotesse dell’amore saranno vergini: esse non conosceranno il frutto proibito. Le si accoglierà tra le giovinette che il sole non ha corrotto, tra le donne i cui sogni sono di una purezza lunare ed esse stesse simili ad arpe, di cui vibrano e suonano tutte le corde, mentre le dita abili dell’arpista le sollecitano una per una, per farne sprigionare la melodia. Le si bagnerà con piante preziose, in acqua dolce e profumata e si avrà cura della loro pelle per mezzo di essenze aromatiche, sapientemente preparate secondo le formule sperimentate dai maghi.
Si farà attenzione con scrupolo che nessun maleficio venga gettato sulle sacerdotesse in formazione per mezzo di incontri profani, affinché la loro crescita non venga deviato e il loro sviluppo sia preservato da qualsivoglia turbamento morboso. Non le si imporrà nessun lavoro che potrebbe nuocere all’armonico sviluppo dei loro corpi, e le si proibirà severamente ogni posa o atteggiamento antiestetico. Le sacerdotesse dell’amore verranno esposte regolarmente all’azione benefica dei raggi lunari, nelle notti della prima quindicina di ogni lunazione. Le giovani sacerdotesse formeranno allora delle processioni e dei girotondi notturni, cantando dei ritornelli che commuovono l’anima. Le più esperte si dedicheranno a danze più complesse, al ritmo di musiche composte dai Maghi. Nelle ore calde del mezzogiorno, quando l’azione del sole è particolarmente forte, le sacerdotesse in formazione si riposeranno nella loro sala comune, e tutte le tendine saranno abbassate. I Maghi preposti alla loro educazione, seduti al centro della sala, manterranno l’ordine e la disciplina necessari per la salvaguardia del principio femminile; quando le donne saranno cadute in sonno profondo, causato dalla sua influenza, il Mago orienterà i sogni della sacerdotessa verso lo scopo che riterrà opportuno. Ogni ora segnata sul quadrante dell’orologio universale ha il suo scopo e il suo significato. I Maghi lo sanno e si conformano. Al tramonto il mago sveglierà le donne e le interrogherà sul contenuto dei sogni. Fornirà loro le necessarie spiegazioni e si intratterrà con esse su argomenti suscettibili di svegliare in ciascuna il desiderio di involarsi altrove, in regioni migliori. Ciò perché la sacerdotesse dell’amore sono destinate a preparare l’avvenire dell’Umanità. Il loro compito non è quello di occuparsi delle vicende della società profana, che subisce quel destino che ha determinato il loro stesso passato, ma di coltivare la Conoscenza interiore e di custodire la sacra Fiamma che illumina i nuovi sentieri”.
La Naglowska si era ispirata alle prostitute sacre. La prostituzione sacra era una pratica in voga nelle civiltà antiche, soprattutto orientali e medio-orientali (babilonesi, fenici e assiri), ma non mancano attestazioni in Grecia (a Corinto: cfr. Strabone, Geografia, VIII, 378) e altrove (a Erice cfr. Cicerone, In Caecilium oratio, 55): del resto, il verbo greco-antico κορινθιάζομαι [pr. korinthiàzomai] significava “frequentare prostitute”.
La motivazione principale che diede origine e impulso alla pratica della prostituzione sacra era il tentativo di immagazzinare l’energia vitale: nel tempio, il sacerdote (a volte il fedele stesso) si univa carnalmente alla sacerdotessa, celebrando con la loro unione un rito inneggiante alla dea dell’amore (Ishtar, Afrodite e altre ancora) in modo tale da propiziare la fertilità delle donne della comunità e, indirettamente insieme a essa, la prosperità economica della comunità stessa. I riti di accoppiamento sacro venivano celebrati di solito dietro versamento di un obolo (ecco perché si parla di prostituzione): le prostitute sacre, dette ierodule, però non si arricchivano poiché tutto quanto veniva offerto era accumulato con il tesoro del tempio. La prostituzione sacra è menzionata anche nella Bibbia (Deuteronomio 23, 18-19), dove viene stabilito il divieto per gli uomini e le donne di Israele di prendere parte a tale pratica. Rievocazione simbolica di una ierogamia (matrimonio sacro) e dell’unione dell’umanità con la divinità, era un rito di fertilità che si praticava in connessione con un tempio. Ne erano spesso protagoniste fanciulle vergini di buona famiglia, oppure anche schiave, o sacerdotesse del tempio, che nella maggior parte dei casi si univano a stranieri. Sulle origini dell’usanza e sulle caratteristiche che assumeva nelle diverse località in cui veniva praticata sussistono molti punti oscuri. Alcune località erano la Fenicia, Corinto, Erice (in Sicilia) e Locri. Una descrizione dettagliata delle modalità della prostituzione sacra è riferita da Erodono.
Francesco Innella