Una russa a Montparnasse: biografia intellettuale di Maria De Naglowska – 2^ parte – Francesco Innella
Capitolo II
Maria De Naglowska adepta della setta dei Khilysti?
Controversa è l’ipotesi se Maria De Naglowska abbia potuto conoscere Rasputin ed essere entrata nella setta dei Khlysty. Prove evidenti di questo contatto non sono emerse nelle sue diverse biografie. Allo stesso modo, l’esoterista avrebbe potuto incontrare, un altro personaggio che si aggirava in Russia, prima della rivoluzione d’Ottobre: Gurdjieff,. Una cosa è certa che quando la Nostra era una giovane aristocratica, legata agli ambienti più libertari della sua città, contemporaneamente, il “ monaco pazzo”frequentava, dal 1905, i salotti bene di Pietroburgo e forse allora che ci fu la loro conoscenza? Nel libro di Robert K. Massie dal titolo:” Nicola ed Alessandro”, c’è una accurata descrizione dell’ingresso di Rasputin nei salotti pietroburghesi.“Gregorio Rasputin aveva poco più di trent’anni quando nel 1905, comparve per la prima volta nei salotti eleganti di Pietroburgo. Muscoloso e largo di spalle, portava camiciotti da contadino ed ampi calzoni infilati in grossi stivali. Aveva le mani sporche, la barba arruffata. I lunghi capelli unti gli pendevano sulle spalle, in ciocche sottili. Emanava un odore forte ed acre. Ma per i suoi fedeli, nulla di tutto questo aveva importanza. Le donne che lo trovavano disgustoso scoprirono poi che il rozzo e puzzolente contadino costituiva un affascinante diversivo, rispetto ai nobili ed agli ufficiali impomatati.
Altri sostenevano che il suo aspetto rude era un segno di spiritualità: egli era un uomo di Dio. Gli occhi erano la caratteristica più straordinaria di Rasputin: di un pallido grigio azzurro, avevano una straordinaria lucentezza,erano penetranti e carezzevoli insieme, remoti ed ardenti. Il principe Felice Jusopov, che più tardi avrebbe assassinato Rasputin, era andato da lui, dichiarando con disinvoltura di essere ammalato per conoscere meglio i suoi metodi di guaritore.”“ Lo starec ( uomo di Dio ) mi fece coricare su un divano, fissandomi con intensità, mi fece scorrere con delicatezza una mano sul petto, sul collo e sulla testa; dopo si mise in ginocchio, e mi posò le mani sulla fronte, mormorando una preghiera. Il suo viso era così vicino al mio, che riuscivo a vederne soltanto gli occhi. Aveva uno straordinario potere ipnotico. Ebbi la sensazione di una specie di forza attiva, che emanasse calore, come una corrente calda in tutto il mio essere. Il mio corpo divenne insensibile; non potevo più parlare. Vedevo soltanto gli occhi scintillanti di Rasputin: due raggi di luce fosforescente, fusi in un gran cerchio luminoso. Capii che stavo cadendo in balia di quel l’uomo malvagio; e sentii agitarsi in me la volontà di resistere alla sua forza ipnotica. Ma non riuscii a muovermi finché egli non mi ordinò di alzarmi.” E sempre nel 1905 ci fu l’ingresso di Rasputni alla corte dello Zar, che avvenne per mezzo della granduchessa Milita. E da allora in poi ciò che avvenne è ormai noto ai lettori e alle gentili lettrici, da non dover essere ripetuto in questo saggio.
Rasputin arrivato alla maggiore età, intraprese l’attività del padre ed all’età di 33 anni, incontrò un seminarista del monastero di Verkhorture che lo introdusse alla setta dei Khlysty. Egli ne rimase stregato, fu attratto dalla combinazione tra misticismo e sessualità e propagandò la dottrina della setta a Pietroburgo , nel 1905. Certamente la Naglowska avrebbe potuto essere in contatto con la setta, forse ha potuto assistere ai suoi riti, ma nessun riferimento è riportato nei suoi scritti , ne tanto meno nei fantasiosi rituali che lei elaborò nella Parigi degli anni 30. Per cui l’ipotesi di coinvolgimento con la setta gnostica è del tutto arbitraria. Il settarismo in Russia si sviluppò insieme al persistente paganesimo che aveva radici molto antiche e radicate. La scrittrice Edvige Toepliz Mrozowska (1), lo descrisse nel suo testo: ”Sine Ira- Nel paese dell’ URSS così descrive il fenomeno: “Si deve tuttavia aggiungere che il fenomeno del settarismo si ricollega a quello del persistente paganesimo russo. Infatti pochissime sette russe sono ispirate da principi religiosi o filosofici o morali elevati. I settari nella maggior parte dei casi, si staccano dalla ortodossia per pratiche superstiziose e spesso mostruose. Alle sette russe non hanno aderito mai uomini di classi colte, se si eccettuano i visionari e i degenerati. La setta toltstoiana era la sola che, illuminata da una grande luce e da aspirazioni morali, fosse rimasta immune da brutture rituali, attirando nella sua orbita elementi intellettuali.
Gli aderenti detti “Tolstojovcy” osservavano scrupolosamente il primo comandamento imposto dal “ Vecchio” della pianura sarmata: la castità obbligatoria fino al momento del matrimonio. Nell’epoca rivoluzionaria un certo Schmidt tentò di creare una nuova setta, la setta dei “ Flagellatori” che si reclutavano prevalentemente fra artisti e studenti, bramosi più di sensazioni perverse ( lo Schmidt si fingeva donna e si travestiva con abiti femminili ) che nono di conforto religioso. Un breve processo intentato contro i membri di questa setta finì con la donna dello Schmidt alla fucilazione e dei suoi complici a ventenni di reclusione” Khlysty era una setta gnostica, fondata nel XVII secolo da un contadino di Kastroma. Loro ritenevano che il peccato era l’unica via per la salvezza: solo dopo il peccato ed accettandone passivamente i desideri, l’uomo poteva essere sinceramente pentito e poteva ambire di risalire il cielo .Inoltre il sesso doveva essere praticato fuori dal matrimonio – un vincolo considerato un’offesa allo Spirito Santo – e senza generare figli ( c’erano cerimonie per abortire all’occorrenza ). Gli adepti della setta erano all’interno di quella che era la credenza gnostica dualista, che aveva lo scopo di liberare l’uomo dai vincoli della materia, ritenuta una prigione dell’anima che anelava a risalire a Dio.
Lo scrittore Ossendowsky riportò una descrizione del rito di Khlysti (2):
“Una volta cacciando nel governatorato di Novgrod, nelle foreste presso la stazione di Lubar, abitavo nel piccolo villaggio di Marjino. Non lontano da questo c’era il possedimento dei principi Golitzir i più grandi aristocratici della Russia, discendenti dei Rurik. Una sera il padrone della capanna da me abitata, un certo Basilio Antonin, mi sussurrò misteriosamente all’orecchio: – Non vorrebbe assistere al radienje funzione divina dei Khlyst ? – Sapevo che i Khlyst erano dei settari e che i loro radienje, o misteri religiosi, si distinguevano per una barba ria straordinaria. Mosso dalla curiosità accettai dunque senz’altro. Erano già le nove di sera e cadeva una scura notte autunnale. Usciti di casa, ci siamo diretti verso il possedimento principesco. Il mio padrone mi introdusse in un dei grandi fabbricati che circondavano il cortile. In un grande salone, illuminato soltanto da sette grosse candele di cera accesi nei diversi suoi angoli, regnava la penombra. Faceva caldo e si soffocava, perché vi si accalcavano non meno di ottanta persone, uomini e donne, maturi o ancora completamente giovani. In fondo al salone c’era una tavola, coperta da una tovaglia bianca. Ho osservato un’immagine santa completamente annerita dal tempo, una grande pila d’acqua santa ed un grosso librone rilegato in legno. Sulla tavola non era accesa che una sola candela. Presso la tavola, che fungeva evidentemente da altare, stava un forte contadino dai lunghi capelli neri, cinti sulla fronte da una stretta cinghia e dalla barba curata diligentemente. Quando la folla si mise in ordine e tacquero gli echi dei passi e dei sussurri, il forte contadino, dopo aver letto nel grosso libro qualche testo in slavo antico, cominciò a fare sulla fronte e sul petto i segni della croce, inginocchiandosi e inchinandosi ogni volta fino a terra. Osservavo che i suoi movimenti diventavano sempre più impetuosi e rapidi, e che gli occhi dei presenti si fissavano con tensione, come ossessi su questo “ sacerdote”: Finalmente questi, messosi dritto in piedi e gridando “Pregate e fate delle offerte “ Afferrò da un mucchio di bastoni trovatisi nell’angolo della sala, una lunga verga – in russo kylyst e da qui il nome della setta e cominciò a flagellarsi il dorso e la testa. Quando la verga tagliò, fischiando, alcune volte l’aria, mi ricordai i misteri sanguinosi dei dervisci che avevo visto in Turchia e in Crimea. Il sacerdote getto in tanto via il camiciotto e la camicia , denudandosi fino alla cintola. La flagellazione colla verga si intensificò, diventando sempre più rapida e forte. Tutto il suo dorso era incrociato da righe rosse,quando, quando ne sprizzò fuori il sangue, colando giù in un tenuissimo rigagnolo. Ed allora tutta la folla, il mio padrone compreso, si gettarono sulle verghe .Si fecero sentire i fischi dei forti ed elastici bastoni, il pesante respiro dei convenuti, i gemiti. I presenti cominciarono a gettare via da sé i vestiti per portare la loro mortificazione all’apice. Il sacerdote invece,battendosi sempre colla verga, cominciò a girare attorno a sé sopra un piede ed a saltare. Alcuni dei presenti si misero ad imitarlo,qualche minuto più tardi tutta la folla si trovò in un movimento pazzesco, battendosi a vicenda con dei bastoni, balbettando e gridando qualche cosa con dei gemiti angosciosi. Alcuni caddero presto, cadde anche il sacerdote, altri invece saltavano ancora calpestando con i loro piedi i giacenti. L’aria era satura del vapore delle esalazioni dei corpi stanchi e sudati, dell’odore di scarpe e biancheria sporca. Qualcuno cominciò a spegnere i lumi, e quando non restò che quello sopra l’altare non riuscivo a scorgere che un mucchio di corpi umani,maschi e femmine uno sopra l’altro, spossati, sanguinanti, mezzi morti.”
Note:
1 – Edvige Toeplitz Morowska. Sine Ira. Mondatori, Milano, pag 59-61;
2 – Ossendowski ‹ossendòfsk’i›, Ferdynand Antoni. – Scrittore polacco (Witebsk1878 – Żółwin 1945). Dalle sue esperienze di viaggio in Siberia e nell’Estremo Oriente trasse argomento per numerose opere didattico-narrative (Przez kraj ludzi zwierząt i bogów “Attraverso il paese degli uomini, delle bestie e degli dei”, 1923;Od szczytu do otchłani “Dalla vetta all’abisso”, 1925; Pod smaganiem Samumu”Sotto le sferzate del Samum”, 1926; ecc.), che gli procurarono grande successo di pubblico. Anche il libro Lenin (1930) fu tradotto in molte lingue.
Francesco Innella