Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Un confusionario chiamato Schurè – Umberto Bianchi
Mi sono recentemente fatto arrivare “I grandi iniziati”, i due tomi che di Eduard Schurè, (1841-1929) rappresentano un po’ l’”opera magna”, il puro distillato ideologico e che avevano in me esercitato una certa curiosità visto che, in uno dei suoi innumerevoli testi, Rudolph Steiner ne parla con sincera ammirazione (condivisa, tra l’altro, anche dalla teosofa Annie Besant…). Un libro scritto alla fine del 19° secolo, in un’epoca cruciale nella quale, quindi, le conoscenze di tipo storico, archeologico, filologico ed anche filosofico muovevano dei decisi passi in avanti, accompagnandosi al progresso scientifico ed economico che stava portando il mondo occidentale in una fase di impetuoso produttivismo. Il testo di Schurè sembra, almeno inizialmente, un po’ voler ripercorrere le linee di pensiero a suo tempo tracciate da Arthur De Gobineau nel suo “Saggio sulla diseguaglianza delle razze”.
In primis, lo Schurè ci dà una specie di spennellata panoramica sulle origini della umana specie, datando la sua comparsa a cinquantamila anni fa…Poi parte in quarta parlando di una razza “rossa”, i cui ultimi epigoni sono gli Indiani d’America e le popolazioni amerinde in genere, assieme ai Polinesiani, che avrebbe dominato l’orbe terracqueo, avendo come epicentro il mitico continente di Atlantide. In seguito alla catastrofe che avrebbe fatto inabissare il continente atlantideo, a prender posto dei “rossi”, sarebbero stati nientepopodimeno che i “negri”, che a suo dire, avrebbero dato luogo ad una ottusa civiltà teocratica, priva di quella inventiva creatività che, invece, avrebbe caratterizzato la sorgente razza bianca che, ben presto avrebbe spiazzato le popolazioni nere, dando luogo a due principali espressioni di civiltà: quella ariana e quella semita.
Dopo averci offerto questa panoramica un tantino azzardata e fantasiosa, il nostro parte in quarta, iniziando a descrivere il modo in cui, a suo dire, la Tradizione Primordiale, ovverosia quell’insieme di saperi occulti che fanno da sfondo a qualsiasi grande narrazione religiosa, si sarebbe disvelata nel corso dei secoli, per bocca di vari “profeti”, tra i quali, Schurè annovera l’eroe hindu Rama, il dio Krishna, Ermete , Mosè, Orfeo, Pitagora, Platone ed alfine, Gesù. Senza far tante storie, il nostro conferisce una patente di storicità a personaggi spesso frutto di narrazione mitica, come Rama, Krishna, Ermete, Orfeo, affiancandoli ad altri che, invece, possiedono quel minimo di storicità, nel nome di una narrazione mitopoietica che ci ricorda, molto da vicino le modalità di quella “prisca religio”, di ficiniana memoria. Con una sola radicale differenza: che tra le due narrazioni vi è un salto di ben cinque secoli, durante i quali le conoscenze in ambito storico, e filologico si erano parecchio sviluppate, non lasciando, pertanto, alcuna scusante per certe sparate che, specialmente in ambiti come quello costituito dalle forme di pensiero filosofico ed esoterico, sono solo servite ad ingenerare confusioni e fraintendimenti di tutti i tipi.
Nel suo sproloquio narrativo, lo Schurè si sofferma, inizialmente, su due figure: quella di Pitagora e quella di Mosè, disvelando una linea di pensiero ben precisa: tutte le figure profetiche precedentemente annoverate, altro non costituiscono che la premessa della vera rivelazione, in questo contesto rappresentata dalla legge mosaica e dall’unico Dio. Anzi, con granitica certezza, il nostro ci viene ad esaltare il ruolo del cosiddetto “popolo eletto” , quale apportatore di quell’unica verità, da impartirsi all’umanità intera, costituita dalla parola e dalle leggi del Dio unico. La stessa figura di Cristo, qui è veduta in questo ruolo di portatore di quella stessa missione mosaica, nel suo ruolo di iniziato esseno. Ricordiamo, tra l’altro, che quella del Cristo quale iniziato alla setta ebraica degli Esseni, è una congettura di vecchia data, che lo Schurè altro non fa, che riproporre nella sua narrazione. Una narrazione che, come abbiamo già detto, ad un certo punto, prende una vera e propria “impennata” cristologica ed a conclusione dell’intero suo testo, finisce con il rappresentare il compimento ed il completamento in senso sia esoterico che “essoterico” delle precedenti tradizioni, indù, elleniche, buddhiste e quant’altro.
Infine, nel constatare che ad oggi il Cristianesimo si sia realizzato universalmente, tra tutti gli uomini e tutte le culture quanto meno a livello morale, il nostro auspica il completamento e l’inveramento di tale processo sul piano socio politico, in preda ad una sorta di impeto messianico che, a suo dire, dovrebbe in primis toccare l’Occidente e l’Europa, allora come oggi, sconvolti da inutili e controproducenti rivalità. In conclusione, il concetto di Tradizione Primordiale, a detta del nostro, altri non sarebbe che il disvelamento nei secoli, di quell’unica verità rappresentata dal monoteismo sia vetero che neo testamentario. A parte le fantasiose e ripetute distorsioni ed invenzioni che, come abbiamo appena visto, il nostro sparge a piene mani sull’intera sua narrazione e sui personaggi via via esaminati, quello che in questo contesto dovrebbe lasciar perplessi, è proprio quel filo conduttore che abbiamo poc’anzi tratteggiato e che anima l’intera narrazione del testo dello Schurè. Quello che il nostro, sembra proprio non intendere, è la radicale differenza a livello di impostazione di pensiero e pertanto di visione del mondo, che intercorre tra i monoteismi di derivazione abramitica e le varie forme di politeismo, con le varie espressioni di pensiero annesse, sia prettamente filosofiche, come nel caso della Grecia di Pitagora e Platone, che più propriamente “teosofiche”, come nel caso della cultura vedica dell’India.
Schurè sembra non intendere che, al di là di quello che può essere l’afflato individuale, il comune sentimento religioso verso una determinata fede, che qui nessuno vuol mettere in discussione, a livello di struttura di pensiero, va da sé che le narrazioni monoteiste tendano giuocoforza ad omologare e conformare l’intera realtà ad un motivo unico, sia a livello teologico, sul piano della realtà principiale, che, sul mero piano della realtà socio politica, (come accaduto in Occidente con il Protestantesimo, fattosi veicolo e viatico del Mercantilismo, prima e del capitalismo successivamente, sic!). I Monoteismi, (ebraico e cristiano, principalmente…) finiscono pertanto con l’assurgere a ruolo di veri e propri battistrada del Globalismo, con tutte le sue più deteriori ricadute. Schurè ci sottolinea, come lo stesso Cristo, nel suo apparire ai propri discepoli, dopo la morte per crocifissione, inviti questi ultimi ad andare per il mondo, a diffondere la predicazione evangelica, all’umanità intera, a livello globale, quindi.
Radicalmente differente è, invece, l’impostazione delle varie espressioni di pensiero, legate alle narrazioni politeiste. Qui, la descrizione di un principio unico di natura superiore, che sovrintende all’intero Kosmos, fa il paio con l’immagine di una realtà aperta alla propria molteplicizzazione su mille piani ed in mille espressioni. L’idea di un principio Assoluto Neutro ed indefinibile, che a tutto sovrintende (Brahman)nella cultura Hindu, fa il paio con l’immagine della Molteplicizzazione della sostanza unica in un’infinità di espressioni, tutte egualmente animate da precise carature identitarie, ma egualmente intercambiabili. Per quanto riguarda il pensiero prettamente filosofico della Grecia, di un Pitagora o di un Platone, il fatto di ricondurre ad un unico principio animatore l’intera realtà, non toglie che l’idea di molteplicizzazione non sia presente e consustanziale a tutte queste narrazioni. Lo stesso Pitagora rivolge la sua attenzione ad una realtà animata da un’infinità di aspetti misteriosi e leggi che costituiscono l’anima e l’essenza di quella Scienza Sacra, di cui egli si fa interprete e cantore. In Platone stesso, la dimensione iperurania, sede del Mondo delle Idee, fa il paio, con l’idea di un Demiurgo Creatore, che ci porta anche qui al principio di una realtà costituita da una infinita molteplicità di differenti aspetti tra loro interrelati. E questa idea, starà poi alla base delle successive narrazioni sia neoplatoniche che gnostiche e del conseguente “enoteismo”, caratteristico della tarda religiosità imperiale romana.
Ed in tutto questo, non possiamo non sottolineare il micidiale errore di impostazione che, ad oggi, continua ad imperversare nelle varie narrazioni filosofiche, a carattere iniziatico o meno, per cui, in nome di una sorta di malinteso senso di colpa, quasi nel timore di incorrere in ingiustificate accuse di discriminazione, si tende a mettere sullo stesso piano tutte le varie narrazioni teologiche (e filosofiche…), determinando delle quanto mai esiziali confusioni e fraintendimenti, le cui ricadute si riversano necessariamente principalmente sul piano della realtà concreta. E ritornando a stretto giro allo Schurè: che la sua fosse sicuramente una narrazione ancora influenzata da plurisecolari suggestioni, allora come oggi, ben difficili da dipanarsi, la cosa non toglie che quello suo, sia stato un contributo che, in un qualche modo, ha contribuito ad ingenerare tutte quelle confusioni e malintesi a cui abbiamo, poc’anzi, accennato. Il fatto stesso che, questo autore venga entusiasticamente citato e portato dallo Steiner assieme alla Annie Besant, quale autore da cui trarre una qualche ispirazione, ce la dice lunga su quanto ancora vi sia da fare al fine di dipanare tutte quelle confusioni e malintesi, a cui abbiamo gà accennato. Il tutto, senza voler affatto sminuire, sia gli spunti di interesse che possono fuoruscire da questo testo, che l’avvincente e quasi poetico stile di narrazione, che ne caratterizza lo svolgimento.
BIBLIOGRAFIA:
– E. SCHURE’ “I GRANDI INIZIATI”-ECONOMICA LATERZA;
– R. STEINER “INIZIAZIONE E MISTERI”- EDIZIONI ARTEMIS-
UMBERTO BIANCHI