Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Týr, l’ordine e la guerra – Carlo Giuliano Manfredi
Nel pantheon della mitologia germanica merita particolare attenzione ed approfondimento, nonostante la sua figura sia subordinata, ed in parte offuscata, dalle ben più celebrate e rinomate divinità di riferimento della sua stessa Stirpe di appartenenza, cioè quella degli Asi, il padre degli dèi Odino (Wōdanaz) ed il forte dio protettore Thor (Þórr), la forza divina che poi risulterà essere probabilmente la più antica tra loro in quanto già presente nel più antico retaggio di matrice indoeuropea. Il dio TYR (teiwaz/tiwaz), infatti, è divinità suprema il cui nome comune significa “dio” (indoeuropeo DEIWOS), il quale trova corrispondenza onomastica con il dio vedico del cielo, Dyaus, lo Zeus greco, il latino Jupiter (da diespiter) e nella cui radice etimologica espressa da DEI- è presente l’idea di “risplendere”. Successivamente, nell’interpretazione romana dello storico latino Tacito, viene inteso come Mars, lo stesso inoltre ci da un’importante indicazione sul periodo in cui è iniziata la sua ipotizzabile regressione del rango occupato tra gli altri dèi, collocandolo ancora in un onorevole secondo livello, alla stessa stregua dell’Ercole/Thor, nel periodo della Gallia romana (Germania cap. IX).
L’epigrafia e la toponomastica attestano un legame importante tra “Mars” – Tyr e il thing, cioè l’assemblea del popolo, dove si dibattono e si regolano i processi e tutte le difficoltà giuridiche; “Mars” è difatti qualificato Thingsus in una iscrizione redatta all’inizio del III secolo in Gran Bretagna da un contingente di Frisoni e, in Danimarca, in Seeland, Tislund era sicuramente un luogo di assemblea; d’altra parte la traduzione di “Martis dies, martedì”, che è, per esempio, in antico scandinavo tysdagr (l’inglese Tuesday) “giorno di Tyr”, è in medio-basso-tedesco dingesdach, “giorno di Ding”. Questi fatti hanno ispirato a J. de Vries delle eccellenti riflessioni:
“In generale, si è dato troppo rilievo al suo carattere di dio della guerra e insufficientemente riconosciuto il suo significato per il diritto germanico. Bisogna tenere conto del fatto che non vi è contraddizione tra il concetto di dio delle battaglie e quello di dio del diritto. La guerra, infatti, non è soltanto la mischia sanguinosa del combattimento, ma una decisione ottenuta tra le due parti combattenti e garantita da precise regole di diritto. Per questo, frequentemente, il giorno e il campo di battaglia sono fissati in anticipo…Così si spiega come il combattimento tra due eserciti possa essere sostituito da un duello giudiziale, nel quale gli dei indicano la parte cui riconoscono il diritto. Parole come Schwertding (il thing delle spade, perifrasi per battaglia) oppure vapndomr (giudizio delle armi) non sono figure poetiche, ma corrispondono esattamente alla pratica antica”.
A queste si aggiungono ragioni opposte, che diminuiscono ulteriormente la disuguaglianza. Se la guerra è un thing sanguinoso, il thing del tempo di pace a sua volta evoca la guerra; il popolo deliberante ha le apparenze e i costumi dell’esercito combattente. Circa il thing Tacito tramanda:
“Se non accade qualche fatto imprevisto e repentino, si riuniscono a luna nuova o alla luna piena, in giorni stabiliti, perché credono sia questo il momento più propizio per intraprendere azioni. Non computano, come noi, il numero dei giorni, ma quello delle notti; così stabiliscono e così si accordano. Sembra loro che la notte conduca il giorno. Questo errore proviene dalla libertà, poiché non si riuniscono insieme contemporaneamente per obbedire ad un comando, ma consumano due o tre giorni in esitazioni prima di raccogliersi. Quando la folla appare sufficiente, , si siedono armati. Il silenzio è imposto dai sacerdoti che hanno anche il diritto di raffrenare l’assemblea. Dopo sono ascoltati il re o il principe e gli altri in ordine di età, nobiltà, gloria guerriera o abilità nell’esporre. L’autorità che persuade prevale sul potere di comando. Se la sentenza dispiace manifestano il loro disprezzo mormorando. Se piace scuotono le framee (lance). Tra tutti i modi di approvare il più onorevole è quello di lodare con le armi”.
Tyr appare protagonista in prima persona nell’incatenamento, tramite la speciale corda infrangibile chiamata “Gleipnir” (che azzanna), del lupo Fenrir, quando questo gli mozzò la mano destra, che il dio stesso aveva posto volontariamente nelle sue fauci, nel momento in cui provò a strappare la corda e non vi riuscì. Nell’Edda di Snorri si legge:
“C’è un dio che si chiama Tyr, è il più coraggioso e il più ardito e decide la vittoria in molte battaglie. E’ bene che lo invochino gli uomini di coraggio.
Si dice valoroso come Tyr chi sopravanza gli altri uomini e non vacilla. Egli era così saggio che si chiama savio come Tyr il sapiente. Prova il suo coraggio il fatto che quando gli dei lusingarono il lupo Fenrir per legarlo con la catena Gleipnir, gli posero in bocca la mano di Tyr come pegno, non fidandosi l’animale che lo avrebbero liberato. E quando gli dei non vollero scioglierlo, egli morse la mano nel punto che è detto giuntura del lupo; perciò Tyr è monco e non è considerato propizio alla riconciliazione tra gli uomini”.
Tale sacrificio in garanzia di una promessa, consente all’universo di vivere fino all’ultimo giorno del ciclo, quando il lupo si libererà:
“Latra forte Garmr,
davanti hai cancelli di Hel,
i lacci si spezzeranno
e libero correrà il lupo”.
(Vǫluspá)
In tal senso, quale dio della guerra e del diritto, rappresenta l’ordine solare che prevale sulle forze del caos; la potenza ordinatrice che regola la manifestazione universale come Norma sovrana e, nella società degli uomini, permette lo svolgimento di ogni attività in armonia con l’Ordine cosmico. La mutilazione di Tyr, che Dumezil pone a confronto con quella del romano Muzio Scevola, ricorda da vicino quella di Odino: là è un occhio ad essere sacrificato, qui è la mano come pegno ma entrambi gli dei ottengono in cambio la sapienza ed il potere di prevalere sull’avversario. Odino mediante la magia e Tyr mediante il diritto.
In un verso del Sigrdrífomál (Discorso di Sigrdrífa), la valkyria precisa che se i guerrieri vogliono ottenere il trionfo devono invocare due volte il dio Tyr e incidere le rune della vittoria sulla spada. L’allusione è verosimilmente alla runa TEIWAZ che ha lo stesso nome del dio e raffigura una lancia, la quale, oltre dunque ad essere la sua arma, lo rappresenta nell’assemblea germanica degli uomini liberi, essa ricorda che il diritto umano discende dal diritto divino. Lancia che punta al cielo, che centra l’obiettivo. Il doppio potere che scende dall’alto. Il colpo secco. Lancia quindi come ipostasi del dio ben raffigurata dalla runa di riferimento, interpretata come segno della forza trascendente che, nell’uomo, ordina le correnti incomposte della natura terrena.
Ma tale ordinamento risulterà comunque temporaneo – ciò sta ad indicare il mito – il patto di cui Tyr è garante, dura quanto dura il ciclo universale. Alla fine le potenze del caos si liberano e vincono. La stessa Norma sembra essere sopraffatta: Tyr viene divorato dal cane infernale Garmr, ma in realtà anche questa vittoria non è definitiva in quanto prelude ad un nuovo ciclo: “Baldr ritornerà”.
Bibliografia di riferimento:
- Chiesa Isnardi, I miti nordici, Longanesi 2008;
- Dumézil, Gli dèi dei Germani, Adelphi 1974;
- Polia, Le Rune e gli Dei del Nord, Il Cerchio, 2005;
- Polia, Voluspà – i detti di colei che vede, Il Cerchio – Il Corallo, 1983;
- Snorri Sturluson, Edda in prosa, Adelphi 1975;
- Associazione Culturale Irminsul, Rune, 2007.
Carlo Giuliano Manfredi