Tradizione e Scienza dell’Io – Daniele Laganà
“Chi abbia diretto spesso la sua attenzione sul processo del divenire, dello svilupparsi, del fiorire, sentirà qualcosa di lontanamente somigliante all’impressione che desta lo spuntare del Sole” (1).
Per comprendere che cosa sia la Tradizione, il suo significato profondo, dobbiamo imparare, come ci suggerisce la Tavola di Smeraldo a separare il sottile dallo spesso e cioè l’essenza, ciò che è eterno, dalla forma attraverso cui questa si manifesta in un determinato tempo e in un determinato luogo. Quando si parla di Tradizione occorre distinguere tra ciò che viene trasmesso, il contenuto della trasmissione, e l’atto stesso del trasmettere e cioè la scintilla rivelatrice dello Spirito. La trasmissione tradizionale non riguarda tanto un piano orizzontale, nel tempo, ma piuttosto un piano verticale che si sviluppa attraverso i diversi stati dell’Essere. Questo livello più profondo che mette in collegamento l’immanente con il trascendente, l’umano con il divino, corrisponde a un particolare stato di coscienza per mezzo del quale la mente umana si apre all’intuizione, cioè alla esperienza diretta, dello Spirito.
La Tradizione, dunque, è un “luogo interiore” e, in quanto tale, può sempre, in ogni tempo, essere raggiunto e sperimentato. Esso non può essere perduto (ciò significherebbe la perdita di ogni aspirazione al Sacro), ma piuttosto si occulta, cioè muta la via attraverso cui l’uomo può raggiungerlo. Come ci suggerisce il simbolismo delle stagioni, la ruota dell’anno, nell’oscura e fredda notte invernale il Sole non splende più all’esterno, ma nella profondità della terra dove, come calore, prepara la vita che sboccerà in primavera.
Se un tempo il contatto con la dimensione spirituale poteva essere stabilito mediante la contemplazione interiore delle forze vive della natura (l’anima era come uno specchio in cui si rifletteva la perfezione macrocosmica), oggi, nel tempo in cui ci troviamo a vivere, bisogna elaborare dentro di sé le forze mediante le quali restaurare la percezione vivente della natura e penetrare nella vastità degli spazi cosmici. L’uomo non è sempre lo stesso, la sua costituzione interiore muta con il mutare del tempo. Certi canali percettivi si chiudono, mentre si sviluppa la consapevolezza come individuo. Si pone, allora, il problema di rintracciare la chiave di un altro tipo di conoscenza (2).
La differente condizione interiore tra l’uomo antico e quello contemporaneo è posta in evidenza anche nelle pagine del fascicolo riservato “La via romana agli dèi”, con particolare riferimento alla “rarefazione” della facoltà immaginativa. Nel tempo in cui ci troviamo a vivere, nel nostro tempo, si tratta proprio di padroneggiare e sviluppare quella coscienza individuale che, lasciata a sé stessa, degenera nell’individualismo.
Riconoscere e separare nella fredda logica matematica quella impersonalità olimpica che un tempo fu la forza di Roma, così come nella scienza quello spirito di concreta praticità che, liberata dalla palude del materialismo, può divenire il filo d’Arianna di una nuova e più profonda conoscenza metafisica. Questo vuol dire “cavalcare la tigre” e trasmutare il veleno in farmaco come insegnano gli alchimisti. Ogni tempo ha la sua via che noi dobbiamo saper riconoscere; altrimenti si corre il rischio, per restare all’esempio delle stagioni, di uscire con le maniche corte in pieno inverno e il risultato non può che essere un bel raffreddore. L’antichissimo simbolo della spirale ci ricorda che vita e morte, luce e oscurità sono le due fasi necessarie di un movimento unico per mezzo del quale bisogna tornare indietro, all’origine, solo per salire più in alto, per acquisire un livello di consapevolezza più alto.
Non esiste una modernità contrapposta alla tradizione: tutto è tradizione, anche la modernità. Come Saturno rappresenta l’occultamento del sole, così la modernità è l’occultamento della tradizione, dello Spirito: a noi spetta il compito di “liberare” l’essenza spirituale celata nelle forme della nostra civiltà. Questo è il compito, eroico, che ci attende. C’è una immagine che mi ha sempre colpito molto e con la quale voglio concludere queste brevi note. Ci fermiamo a osservare i rami di un albero mossi dal vento, siamo rapiti dal loro movimento e dalle immagini che essi disegnano. Riconosciamo la profonda saggezza celata in quei movimenti, apparentemente casuali. Lo spettacolo ci cattura, ma mentre osserviamo non ci rendiamo conto che il vento che li muoveva è già passato oltre, ora muove altri rami altri alberi e poi altri ancora. Ecco, lo Spirito, la Tradizione, è come quel vento che sempre ci sfugge tutte le volte in cui ci perdiamo, restando ancorati, nella contemplazione della forma che ha animato in un particolare momento del suo viaggio infinito. Non è la forma che conta, ma la Forza che le dà vita ciò che conta e che noi dobbiamo, ciascuno a suo grado, afferrare.
Ogni tempo ha la sua forma che, per il cercatore, deve essere solo il pretesto per elevarsi alla Forza che si cela dietro di essa. Innamorarsi della bellezza delle forme è il grande inganno che occorre superare. E come si può divenire in grado di ciò? Non certo volgendosi al passato, ma trasmutando noi stessi, propiziando lo sviluppo della facoltà dimenticate della nostra coscienza. Ciascuno, ripeto, secondo il suo grado di consapevolezza. Il contatto restaurato con la Tradizione, con la “presenza” spirituale, può portare Luce nella vita di ogni uomo oppure può, in chi ne riconosce l’esigenza interiore, propiziare l’accesso alla vera Iniziazione quale trascendimento della condizione umana.
Oggi, nel tempo in cui la spiritualità è finita a buon mercato negli scaffali dei supermercati, l’unica regolare trasmissione iniziatica è quella che ciascuno deve conquistarsi realizzando, mediante ascesi interiore, quello stato di coscienza di cui scrivevo sopra e che un certo linguaggio mistico ha indicato nella traslazione del senso di sé dal centro della testa nella rossa caverna del cuore. Qui è possibile, di là da formali cerimonie esteriori e fuorvianti imposizioni magistrali, l’incontro con la vivente presenza dello Spirito che consacra. Il compito che il nostro tempo ci chiede di realizzare, infatti, è ritrovare autonomamente il contatto con il trascendente. È necessario che il sole tramonti affinché le stelle possano apparire nel cielo; è necessaria, cioè, l’eclissi del sacro affinché l’uomo possa divenire cosciente della propria luce spirituale. Fuor dalle sdolcinatezze new age, concludo queste brevi riflessioni citando l’insegnamento di Giordano Bruno che nelle sue opere ammoniva l’uomo a prendere coscienza della sua reale natura. Benedetto l’uomo che giungerà a sollevare il velo che gli nasconde il mistero di sé stesso, dell’origine della sua Anima che è la chiave di infiniti mondi. L’Uomo, nella sua essenza, è un pellegrino in cammino da sempre, dall’Infinito verso l’Infinito. L’esperienza terrestre è una tappa, fondamentale, dell’eterno viaggio cosmico che conduce al superamento della dualità tra Io e Universo
“Sappi che ogni squilibrio o emozione improvvisa sopravveniente quando la coscienza è in rapporto con esso può produrre danni, anche gravi, nel fisico e nello psichico. Sappi infine che le sue virtù vanno affinate mediante una speciale disciplina” (3).
Note:
1 – Rudolf Steiner, L’Iniziazione, Editrice Antroposofica, Milano 1988, p. 38
2 – Questo è ciò che ci suggeriscono molti cercatori dello spirito contemporanei tra i quali Rudolf Steiner, ma anche Julius Evola come ho cercato di mettere in evidenza nelle mie conferenze, citando vari passi delle sue opere, tra cui l’appendice ai Saggi sull’idealismo magico dedicata all’arte modernissima.
3 – Abraxa, Il Caduceo Ermetico e lo Specchio, in Introduzione alla Magia (a cura del Gruppo di Ur), vol. I, Edizioni Mediterranee, Roma 1987, p. 87.
Daniele Laganà