Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Teurgia e magia nel mondo antico: un saggio di Chiara Toniolo – Giovanni Sessa
J. Bachofen, eminente antichista e giurista di Basilea, prossimo per idealità al Romanticismo di Heidelberg, fu tra i primi a mettere in discussione il metodo accumulativo, storico-critico moderno, ritenendolo incapace di cogliere l’effettivo ubi consistam del mondo antico. Tale metodo, esclusivamente basato sulla raccolta di fonti attendibili e del loro vaglio, non consente l’accesso alla spiritualità dei nostri antenati. Al contrario, come il pensatore svizzero mostrò nel Matriarcato e in altre opere, il ricercatore dovrebbe dismettere l’abito scettico della modernità, ed avvalersi di un rapporto empatico con quella civiltà e quegli uomini. Allo scopo, sarebbe risultato indispensabile liberarsi del pregiudizio «scientifico». Più recentemente, sullo stesso tema si è intrattenuto nella ricerca ed esegesi della Sapienza greca, Giorgio Colli. E’ da poco nelle librerie un’opera che sembra aver fatto tesoro delle indicazioni dei due pensatori ricordati. Ci riferiamo al volume di Chiara Toniolo, Opus Numinum. La Teurgia e la Magia nel mondo antico edito da progetto Ouroboros (pp. 171, euro 15,00), arricchito da un saggio introduttivo di Luca Valentini e dalla prefazione di Angelo Tonelli, allievo di Colli. Fin dall’incipit del testo, l’autrice esplicita le ragioni che l’hanno condotta a tale ricerca. Si tratta di un sentimento che, ad un dato momento della vita, dopo essersi sedimentato nell’animo fin dalle letture dell’infanzia, induce: «tutti gli uomini a sentire un filo, un legame quasi doloroso con qualcosa che un tempo si è conosciuto e a cui si anela a tornare: Nostalgia» (p. 21).
Nostalgia per un mondo solo apparentemente perduto, ma che continua a vivere in noi esercitando un potente richiamo sullo spirito. Tale sentimento fu centrale nella civiltà ellenistica, la cui cultura, e non solo filosofica, anelava al ritorno epistrofico all’origine. Le prime traduzioni latine dell’Odissea furono realizzate in quel frangente storico e la storia narrata in quei versi fondativi, racconta di un periglioso ritorno alla Patria momentaneamente perduta, del ritorno all’Uno.
Come esplicitamente riconosce Tonelli, con questo saggio Toniolo colma un vuoto negli studi inerenti gli Oracoli Caldaici, in quanto: «si tratta del primo studio di ampio respiro su questi testi folgoranti, iniziatici e sapienziali» che: «sa cogliere, conservare e comunicare […] l’aura visionaria, sapienziale e misteriosofica di questi condensati poetici» (p. 5). E’, pertanto, il rapporto empatico, intrattenuto dall’autrice con le idealità del mondo che indaga a concederle l’apertura di accessi interpretativi negati ad altri. Ciò non implica che il volume non sia rigoroso, fondato su una bibliografia importante. Al contrario, anche il lettore meno accorto può cogliere quanto peso abbia nella trattazione, la formazione filologica dell’autrice. Gli Oracoli Caldaici rasentano, certamente, nelle loro prospettive, le suggestioni proprie al pensiero neoplatonico, ma non coincidono di fatto con l’aspetto eminentemente teoretico presente in tale corrente di pensiero. Per questo, l’autrice concentra la propria attenzione: «sulle effettive pratiche e sulla disciplina operativa della teurgia, perché ha ben chiaro che in esse consiste il cuore, e la radice, dei Khaldaiká lóghia» (p. 5).
E’ stato il pregiudizio religioso indotto dal monoteismo ad impedire: «per anni che il tema teurgico, salvo rari casi, venisse affrontato con spirito critico e con un attento esame delle fonti» (p. 22). Per teurgia deve intendersi una forma di magia: «all’interno della quale l’operatore, seguendo una gerarchia di potenze che dal mondo umano passa per quello demoniaco, raggiunge una comunicazione con le potenze divine tale da concedergli un potere straordinario» (p. 23). Ecco, allora, le analisi dell’autrice soffermarsi sulle forme di divinazione teurgica centrate sul fuoco e sulle apparizioni a quest’ultimo connesse, ma nel medesimo tempo, non trascurare l’utilizzo di nomi, «contenitori umani»: «formule di chiamata e formule di scioglimento dell’entità» (p. 6). Il processo integrativo è, sostiene Toniolo, interpretato in modalità differente dai pensatori neoplatonici. Con Plotino, ed in parte, con Proclo vengono a prevalere l’aspetto contemplativo-intellettuale e la pratica ascetica delle virtù, con Giamblico, al contrario, torna a palesarsi un: «ritorno alle origini egizie dell’Arte Trasmutatoria, tramite la pratica teurgica» (p.10), precisa Valentini nel suo scritto introduttivo. Nonostante tale schema interpretativo prevalente, l’autrice non esclude, alla luce di documenti, che lo stesso Plotino abbia agito in termini teurgici, in una prassi operativa specifica.
Ciò che emerge con evidenza nel testo è che, nella teurgia quale «Opera Divina», si realizza una perfetta identità tra l’operatore e la divinità. Si tratta di una conoscenza divina che pone trasmutazione e identificazione in uno: «una pratica rituale che è preghiera autentica, se con tale terminologia si intende azione magica che opera e riconquista uno stato superiore dell’Essere» (p. 11). Gli dei, le potenze numinose, in tale pratica non potevano essere comprese per dualismo, nella loro presunta alterità rispetto all’uomo.
Il processo teurgico realizzava una rinascita, il passaggio dal condizionamento della molteplicità sensoriale dell’uomo volgare, all’unità verticale, il passaggio indicato nel mito dall’ascesa di Eracle-Ercole verso la Luce, verso Apollo. Lo studio di Toniolo mette, tra l’altro, in chiaro che, se negli Oracoli Caldaici e in Porfirio non vi era differenza tra la possibilità di coercizione teurgica sugli dei o sui demoni, con Giamblico e Proclo: «la realtà del mondo superiore ci è apparsa suddivisa in maniera differente» (p. 161), in quanto i due filosofi ritenevano che l’azione teurgica potesse compiutamente compiersi solo nei confronti di esseri di grado inferiore e non nei confronti degli dei. Il libro che abbiamo presentato spinge dunque le proprie analisi fino alla Scuola di Atene, rilevando come l’efficacia della pratica della teurgia: «in tutta la storia del tardo platonismo, non fu mai messa in dubbio» (p. 162). Un volume che apre porte importanti su un mondo misconosciuto.
Giovanni Sessa