Sirene: il cammino iniziatico ancestrale – Costanza Bondi
Donato Loscalzo, nell’introduzione al mio Svastica, simbolo sacro universale, scrisse: I simboli parlano comunque, ovunque, quantunque. Riuscire a scoprirne la loro storia e la loro essenza costituisce un viaggio nell’umanità e nel suo muoversi parallelamente tra una realtà visibile e quantificabile e una realtà altra, che invece è sottesa, è immaginata e, appunto per questo, è ancor più universale(1). Facciamo un esempio. Il famoso acrostico dell’Iczùs accosta a Gesù Cristo il pesce, che è un animale che vive sott’acqua senza annegare, simboleggiando così che egli può entrare nella morte restando in vita. Tanto che in alcune figurazioni del banchetto dell’Ultima Cena il pesce viene sostituito al pane, proprio per ricordare che il pane eucaristico è Gesù stesso. Quindi, pesce come archetipo della verità che è profonda, intrappolata e nascosta sotto l’acqua, ma nonostante questo riesce a giungere alla luce. A livello esoterico, si tratta quindi di una verità che il pescatore deve ottenere per sfamare se stesso. Ricordiamo anche gli apostoli nella loro facoltà di pescatori di anime.
(Facciata della chiesa di San Michele Arcangelo, Bojano, Molise)
Ma la costruzione grafica di tale immagine rimanda al Legame tra Dio e l’uomo (i 2 cerchi dallo stesso raggio) che passa attraverso l’intermediazione del Cristo-Iczùs. Che è poi il nucleo unitario preesistente alla separazione degli opposti. Questi opposti trovano la propria riunificazione nel concetto-immagine della mandorla mistica. Cioè l’Iczùs in verticale, che è qui simbolo di fertilità e immortalità. Quindi è simbolo della Via, della Verità e della Vita che nella sua duplice natura (divina e umana) riunita rappresenta il superamento di ogni dualismo. Cristianesimo a parte, resta il fatto che il pesce significa da sempre “conoscenza”, in quanto è l’antonomasia simbolica della saggezza, in grado di dominare le correnti emotive, così che tutti i portatori di conoscenza, o presunti tali, di tutto il globo e di tutte le epoche sono stati rappresentati, in qualche modo, dal pesce.
Pesce, etimolgia dal piscis latino che condivide col greco PHISIS = la realtà prima, il fondamento di causa e principio di tutte le cose. Da cui SOPHIA come sapienza in aggancio al Divino femminino delle acque superiori. Ma gli uomini pesce, non dimentichiamo, donarono civilizzazione e conoscenza in quasi tutte le civiltà antidiluviane: Oannes in Babilonia, Dogon nel Mali e Dagon per Fenici, siriani, amorrei e aramei – dalla radice ebraica DAG = pesce – Fu Hsi in Cina che, si narra, fosse il primo compilatore de “I Ching” o “Libro dei Mutamenti”, Uaana dei Maya, i Kappas mongoli, Ta.aora dell’Oceania, la Orejona boliviana, Vishnu che appare in forma ittica a Satyavrata nel precedente Manvantara… Insomma, il culto del dio anfibio dell’acqua = fonte di vitache racconta un’antica e medesima realtà e cioè quell’unicum culturale e religioso per cui sapienza, parola, scrittura e conoscenze astronomiche furono portate agli uomini da divinità anfibie. Culto che arriva fino alle sirene che col proprio canto ammaliavano chi le avesse udite.
Controversa l’etimologia. Radice indoeuropea SWAR = splendere, poi SVAR, SAR, SER darà in greco SEIREN = sorgere, da cui anche SIRIO. Stessa radice che, secondo altre fonti, nel significato di SWAR = suonare porta al greco SYRO = attraggo, da cui SEIRAO = incateno. Resta il fatto che, nell’unione dei significati, la sirena rimane comunque quell’essere della mitologia con busto femminile e terminazione a coda di pesce che riluceva sorgendo dalle acque dei mari per poi attrarre i naviganti. In quanto ibrido è collegata al concetto di doppio, perciò spesso raffigurata come bicaudata: manifestazione intesa appunto come incrocio = l’equilibrio dinamico è provvisorio. Il 2 che si ottiene nella possibilità dell’addizione di unità ad unità, cosa che contraddistingue tale numero da tutti gli altri numeri interi, che possono invece essere considerati come somma di altri numeri. 2 unità, quindi, che nell’insieme possono rappresentare la dualità, sia in contrapposizione sia in complementarietà. “Come ogni archetipo, la diade è una polarità: congiunge due opposti (come ogni linea unisce due punti estremi), ma è anche rottura e disgiunzione (perché ogni linea divide i suoi due punti estremi l’uno dall’altro).Così nella diade di notte è dì: è tenebrosa la notte, ma accende il discorso degli astri che il giorno scancella”(2).
Collegata alla morte in quanto passaggio, sempre in bilico tra sessualità-materialità e spiritualità-conoscenza, la sirena risulta dunque la personificazione mitologica del soprannaturale da poter comprendere, riuscendovi però solo se si è in grado di tenere l’equilibrio. In ciò, la sua iconografia riporta direttamente all’ancora. L’uomo ha natura divina-spirituale ma rimane ancorato alla propria inscindibile controparte terrena-materiale che, quando predomina, lo conduce alla morte nella distruzione di se stesso.
(Capitello interno chiesa di San Pietro al Conero, Sirolo, Marche)
“Secondo il pensiero cristiano, le sirene stanno a simboleggiare un ammonimento ai peccati della carne; invece, secondo altri studi, sembra trattarsi di una delle testimonianze del passaggio dal paganesimo al cristianesimo, in particolare del culto della fertilità dionisiaca – sopravvissuto nelle zone contadine – per cui la sirena rappresenterebbe la Dea Madre protettrice del creato, divenendo quindi un simbolo di fertilità”(3). Comunque, una fertilità iniziatica. Simbolo delle lusinghe mondane e delle voluttà del piano inferiore, se si cede e ci si concede alla sirena non si raggiunge la pienezza di conoscenza, poiché non preparati, né può completarsi l’iniziazione.
Per la Spagyria di Paracelso, l’essere umano è in primo luogo un essere microcosmico, in rapporto col macrocosmo. Perciò, noi siamo animati da un principio di vita naturale unito alla terra, dunque al cosmo, ma in noi vi è anche un archetipo divino, un principio di vita originale, vero fondamento del seme costitutivo, dal quale l’essere si è potuto sviluppare e che, se conosciuto, ci porterebbe a scoprire in modo diretto la vita in un senso veramente olistico. Un principio della consapevolezza che deve avvenire dentro l’uomo ai confini della propria anima praticando, per quanto più ci è possibile, il distacco dal mondo materiale.
Anche Omero, nel dialogo tra Circe e Ulisse, fa dire che “Così hanno decretato gli dèi, che nel perdersi ciascuno possa ritrovare se stesso”. Emblematico – e coincidente col più antico monito di Delfi – è allora il passo dal vangelo di Tomaso, nel suo indicarci che “Il Regno (dei Cieli) è dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete sarete riconosciuti, e comprenderete di essere figli del Padre vivente”. È inoltre il Dharma buddista, nel suo significare la legge, la via, il modo giusto in cui le cose tutte scorrono, e che in seguito abbiamo anche con Gesù e con il “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Monito che al di là della lettura letterale, significa di dover concedere la forma esteriore a chi comanda chiedendo tributi, ma allo stesso tempo di elargire e donare l’interiore (il Regno) a chi guarda a ognuno di noi, nessuno escluso, come individuo singolo e comunque amato, così da poter godere del Regno dei Cieli che, come scriverà molto dopo Nietzsche, è una condizione del cuore, non qualcosa che giunge oltre la terra o dopo la morte.
“Di grandissima importanza e interesse è quanto si può e si deve ricavare dal pannello musivo scoperto nel 2012, risalente al V sec. e facente parte delle decorazioni di una evidentemente importante Sinagoga ad Huqoq, un villaggio vicino a Cafarnao in Galilea. (…) L’uomo-umanità Giona muore perché ascolta impreparato quelle sirene che figurano il pericolo che si corre a causa della parte femminea, sensoriale-materiale, dell’animo umano. La lettura pienamente filosofica del testo di Giona che qui si evince grazie alle sirene, porta a dire che tale esegesi vedesse anche e comprendesse l’insegnamento e visione, qui visto, sulla reincarnazione”(4).
Nell’essere umano, ciò che è interiore è messo in comunicazione con ciò che è esteriore tramite le vibrazioni, che di volta in volta hanno modo di manifestarsi sotto forma di verbo/suono/voce/musica. Attraverso la voce, l’uomo infatti si esprime e rende manifesto il mondo in cui si ritrova ad agire. Lo stesso vale per il suono, da intendersi anche come voce del creato, naturale o riprodotto in musica che sia. Dalla stessa vibrazione possono scaturire, appunto, voce e suono, poiché individuano entrambi l’essenza dell’esistente nel momento in cui lo esprimono – infatti il contenuto è preesistente e ha solo bisogno di essere disvelato.“Krishna è Dio, la Persona Suprema, e il canto del Suo santo nome supera ogni altra pratica religiosa”(5). Suono quindi come strumento di conoscenza. Ma anche suono delle sirene che, attraverso il canto, ammaliano con approccio sessuale, determinando l’immaginazione come pre-iniziazione al fine di rettificare quella che Scaligero definisce periferia sovrasensibile del corpo, cioè la corrente dell’Io che va oltre l’illusoria immagine psichica della corporeità.
Ecco il canto a cui non cedere, in quanto assopimento spirituale. Ecco che muore il corpo di chi non è grado di ascoltarlo e sorpassarlo, questo canto, di chi manca della consapevolezza sapienziale e che cede alle lusinghe delle pure voluttà, ingigantendo l’ego per rendere onore alla materia. Un suono che inganna, ma al contempo una voce che si può imparare ad ascoltare per scavalcare l’illusione dell’Io. Un canto mortale, la cui vibrazione risulta nociva solo per chi non è ancora pronto a poterlo ascoltare. Ma che, per chi riesce a comprendere, conduce invece al superamento dell’inganno, sì da discernere il menzognero dal veritiero. Nell’auspicio che col canto si disveli l’incanto!
Nota di Redazione – Tra il ‘700 ed l’800 nell’ambito della corrente carsica dell’ermetismo italico – partenopeo, un grecista di spessore come Onofrio Gargiulli – probabilmente l’iniziatore alla dottrina ammonia di Domenico Bocchini – dedicò un poemetto alle Sirene ed in particolare a Partenope, di cui le Argonautiche orfiche narrano le sorti inerenti ad Orfeo ed Ulisse, la quale avrebbe fondato Neapolis, sbarcando sulla costiera sorrentina dinanzi ad un tempio dedicato ad Atena. Virgilio declama Partenope come dea protettrice della città, miticamente morta ove oggi sorge Castel dell’Ovo ed a cui era dedicata una corsa con le fiaccole – Lampadedromie – che ogni anno si compiva in suo onore. La Sirena che iconograficamente si ritrova in molte costruzioni dell’area campana era, è la testimonianza della sopravvivenza dell’antica sapienza alessandrina.
(Crediti fotograficiesploratoredigitale.com)
Note:
1 – Bondi Costanza e Morucci Marco, Svastica, simbolo sacro universale, X-Publishing, 2018, pag 13;
2 – Zolla Elémire, Gli archetipi, Marsilio editori, 1988, pag 49;
3 – parcodellavaldorcia.com, La simbologia della sirena bicaudata;
4 – Adam Ben, Il Gesù diverso, PDF da Academia.edu, https://www.academia.edu/12352562/IL_GESÙ_DIVERSO pag 394-395;
5 – Bhaktivedanta Swami, Un santo cammina fra noi (Brahupada), The Bhaktivedanta Book Trust, 2020.
Costanza Bondi