Simbologie e significati alchimici nel Monstrorum Historia di Ulisse Aldovrandi
Simbologie e significati alchimici nel Monstrorum Historia di Ulisse Aldovrandi – Edoardo Serini
Introduzione
In questo elaborato, vengono analizzate alcune simbologie alchimiche presenti nelle illustrazioni dell’opera Monstrorum Historia di Ulisse Aldrovandi. L’attenzione si concentrerà principalmente sulle figure dell’androgino e del grifone, dopo aver delineato il significato dell’alchimia e il suo ruolo nel periodo rinascimentale.
1. L’alchimia e l’universo simbolico delle sue immagini
In Occidente è presente una disciplina esoterica che ha accompagnato il cammino dell’uomo, dall’antichità fino al mondo contemporaneo: l’alchimia. Ritenuta da molti solo il precursore della moderna chimica che prese spazio con la nascita del metodo scientifico, l’alchimia è un insieme di conoscenze segrete in svariati campi (chimica, fisica, astrologia, metallurgia e medicina) nata con lo scopo di raggiungere diversi fini.
L’alchimia occidentale nacque in Egitto, secondo la leggenda, dalla figura del dio egiziano Thot, chiamato anche Ermes-Thot o Ermete Trismegisto dai Greci (il tre volte grande). Il “tre” in Egitto stava ad indicare la pluralità, la completezza, l’unità finale. Ad Ermete Trismegisto venne attribuito il testo sapienziale La Tavola Smeraldina inciso su una lastra di smeraldo. Questo è il documento più celebre tra gli scritti ermetici e costituisce la base per la conoscenza dell’alchimia occidentale. L’obiettivo principale dell’alchimia era la produzione dell’oro, attraverso la trasmutazione, partendo da un metallo vile. Un altro fine era quello di produrre la pietra filosofale o elixir, una sostanza capace di perfezionare qualsiasi altro corpo materiale rendendolo immortale.1 In realtà, a seguito di svariate interpretazioni, questi due obiettivi finirono per coincidere, essendo due facce della stessa medaglia. In alchimia, ancora oggi, questi processi di trasmutazione avvengono attraverso sette procedimenti divisi in quattro operazioni (putrefactio, calcinatio, distillatio e sublimatio) e tre fasi (solutio, coagulatio e tinctus)2. Durante queste operazioni, la “materia prima” (il materiale di partenza per il lavoro alchemico) viene mescolata con lo zolfo e il mercurio3 (i due principi alchemici: il primo maschile e l’altro femminile, usati nel processo trasmutativo) e successivamente scaldata con il fuoco, subendo varie colorazioni riassumibili in quattro processi:
- Nigredo: si ha l’annerimento della materia, la morte del composto (Fase del Nero).
- Albedo: si ha lo sbiancamento della materia e coincide con la sua purificazione (Fase del Bianco).
- Citrinitas: qui la materia viene “illuminata”, si avvicina al colore dell’ultimo processo (Fase del Giallo).
- Rubedo: la materia giunge alla fine delle sue trasmutazioni chimiche, culminando con la produzione dell’oro o della pietra filosofale (Fase del Rosso).
Questi processi vanno a costituire quello che in alchimia prende il nome di Grande Opera, Magnum Opus, ovvero l’itinerario completo delle trasformazioni alchemiche. Il procedimento descritto sopra è quello più comune, e consiste nel ricorso a leghe di metalli diversi, in cui il conferimento di una natura dorata passa attraverso la fusione e mescolanza di una molteplicità di elementi.
Con la scoperta di Zosimo di Panopoli (alchimista egizio di epoca romana vissuto tra il III e il IV sec d.C.) l’alchimia, oltre a mantenere il suo significato pratico e operativo nella ricerca dell’elixir, assunse una valenza che era stata sino ad allora trascurata, cioè religiosa e filosofica. Il corpo, soma, oggetto di trasformazione nel corso dei procedimenti alchemici, non riguardava unicamente il metallo ma l’essere umano. Infatti, il corpo che subiva la trasmutazione era quello dell’alchimista che insieme al metallo mirava a raggiungere l’oro finale o la pietra filosofale innalzandosi spiritualmente. Passando così da essere soma (corpo) a pneuma (soffio vitale, spirito). Questa prospettiva di innalzamento spirituale attraverso l’operazione alchemica che si compiva sulla propria materia interna (il corpo umano) è stata analizzata e descritta dallo psicoanalista Carl Gustav Jung, attraverso lo studio delle visioni di Zosimo di Panopoli.
Jung pensava che l’alchimia fosse strettamente collegata alla psicologia, in quanto gli alchimisti, lavorando sulla materia, proiettavano in essa contenuti che provenivano dall’inconscio, prodotti in situazione in cui la parte cosciente non influenzava tale andamento. Le immagini simboliche che gli alchimisti disegnavano e incidevano sulla materia durante il processo di trasmutazione erano le stesse che Jung osservò durante la sua vita nei sogni dei suoi pazienti. Per Jung, l’oro che gli alchimisti andavano cercando non era prettamente un oro materiale, ma un oro filosofico, una ricerca spirituale che teneva conto dei contenuti dell’inconscio per raggiungere uno stadio psichico finale, che Jung chiamava il Sé (unione degli opposti, conscio e inconscio).4 Nell’alchimia, molta importanza è ricoperta dal linguaggio. Essendo una dottrina esoterica, non utilizza un modo di esprimersi comune ma contorto, intrigato e oscuro, sia per mettersi al sicuro da truffatori o falsari, sia per conservarsi dignitosamente, in quanto “Arte Sacra”. Questa modalità di scrittura così oscura ha portato critiche anche dagli stessi praticanti dell’alchimia, «Laddove abbiamo parlato apertamente, in realtà non abbiamo detto nulla. Laddove, invece, abbiamo scritto in modo cifrato o figurato, abbiamo nascosto la verità»5. Nel linguaggio dell’alchimia non esistono significati chiari e limpidi, ma tanti e sparsi significanti che aspettano di essere decifrati, attraverso un lavoro di erudizione che non porti alla semplificazione dei diversi contenuti ma alla loro conoscenza intuitiva. I messaggi lasciati dai “discepoli di Ermete o di Thot” non si esplicavano solo attraverso le parole dalle molte interpretazioni, in quanto esisteva anche un discorso muto, privo di parole, in cui gli enigmi venivano svelati attraverso un gargantuesco deposito di immagini. Secondo il pensiero del rosacrociano Micheal Maier, gli alchimisti, attraverso le loro immagini simboliche, intendevano «giungere allo spirito attraverso i sensi»6. Il linguaggio per immagini, altamente simbolico, oltre a permettere ai sensi di giungere fin dove necessariamente non possono giungere, consente di custodire il segreto di ciò che si scopre, ovvero i traguardi raggiunti dall’alchimista che non li deve rivelare al fine di non corrompere la sapienza di questa dottrina. Nell’universo delle immagini alchemiche, molte sono le raffigurazioni di ciò che è presente in natura. Si tratta dei quattro elementi primordiali, dei metalli e delle sostanze adottate nei procedimenti di trasmutazione collegati all’astrologia e quindi ai diversi pianeti, il sole e la luna, in quanto «ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto»7 ma anche simbologie di piante e animali (incluso l’uomo) sia reali che fantastici. Tra gli animali troviamo il leone, gli uccelli (corvo, cigno, aquila e fenice) presenti nelle quattro fasi di tintura e di trasmutazione della materia prima e collegati all’elemento aria, i rettili, tra cui sia serpenti che draghi. La raffigurazione dell’Ouroboros (il serpente che si morde la coda) è l’esempio più conosciuto in alchimia, collegato al significato della ciclicità del tempo, cioè il principio dell’eterno ritorno.
Tra le raffigurazioni più vicine all’aspetto umano, si riscontrano l’immagine dell’ermafrodita o l’omuncolo. Tutte queste immagini non sono solo presenti nei trattati di alchimia e tra i loro utilizzatori alchimisti, ma si ritrovano anche in menti tendenzialmente lontane da tale dottrina esoterica, come ad esempio in Ulisse Aldrovandi, nel suo Monstrorum Historia. Per cercare di comprendere tale presenza di immagini associabili all’alchimia nell’opera di uno scienziato e naturalista è opportuno capire il ruolo dell’alchimia nel periodo in cui è vissuto Ulisse Aldrovandi, ovvero il Rinascimento.
2. L’alchimia nel Rinascimento
L’alchimia, dopo il suo iniziale sviluppo occidentale in terra egiziana e greca, subì un forte declino a causa della diffusione del Cristianesimo, che produsse una distruzione di tutto ciò che entrava in contrasto con il suo credo religioso. La dottrina alchemica scomparve in quanto in lei era presente il germe del paganesimo. Rientrò nel vecchio continente solo intorno al VIII sec d.c. con la conquista islamica della penisola iberica. Furono infatti gli arabi a mantenere e a conservare tutta la sapienza antica che dal Medioevo in poi ritornò a circolare, con diverse modalità, in Europa. Nel Medioevo, l’alchimia rimase principalmente nascosta e incominciò a legarsi al Cristianesimo; essa veniva praticata e studiata come una filosofia naturale all’interno dei vari ordini monastici e conventi.8 All’inizio del Rinascimento, una vera e propria rinascita attraversò l’Italia, soprattutto Firenze, grazie alla famiglia dei Medici, ma anche ai sapienti e agli artisti del tempo come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Sandro Botticelli e Leonardo da Vinci. Nella rinascita e nello sviluppo di nuove e vecchie arti, anche l’alchimia si prese il suo spazio. Marsilio Ficino, grazie alla sua traduzione del Corpus Hermeticum (impostagli da Lorenzo de Medici), riportò in auge la figura di Ermete Trismegisto e la filosofia ermetica, da sempre connessa all’alchimia. Sull’onda del lavoro di Ficino, tra il ‘400 e il ‘500 furono molti i testi alchemici copiati e rielaborati in latino.9 L’esplosione dell’alchimia creò un conflitto interno ad essa tra un sapere sacro-sapienziale accessibile ai pochi che riuscirono a sviluppare una “seconda visione” portandoli a penetrare i segreti religiosi, cosmologici, etici ed operativi, contro una pratica e un sapere utilitaristico, mercenario e quindi vendibile di tale dottrina. Si creò così un conflitto tra la “vera” e la “falsa” alchimia.
Grazie alla presenza di due alchimie, la produzione letteraria nel Rinascimento fu enorme. Ecco che, quindi, si sviluppò un nuovo linguaggio: quello delle immagini e dei simboli che arricchì il sapere alchimico medievale. Nel Rinascimento rispetto alla pratica alchemica si ebbe un enorme repertorio iconografico perché in essa si celava il suo significato attraverso un linguaggio simbolico. Ci fu l’esplosione di una conoscenza che si propagò attraverso l’uso di metafore, segni grafici, alfabeti cifrati, immagini allegoriche. Oltre al già famoso Ouroboros, venivano rappresentate immagini fortemente suggestive e di forte impatto: l’albero, l’aquila (con o senza ali), la tartaruga, il re e la regina, il sole e la luna, il vecchio, il serpente, tesori nascosti ecc. Questi simboli dal forte significato alchemico si intrecciarono con immagini cristiane. Si avevano nuove raffigurazioni della Vergine Maria (donna vestita di sole), del Cristo (con la croce, risorto) e degli evangelisti (che già avevano raffigurazioni animali). L’elemento iconografico acquisì molta importanza nel Rinascimento, poiché veicolava qualcosa in più rispetto alla semplice parola, permettendo l’astrazione e l’interpretazione simbolica-artistica.10 A partire dalla seconda metà del ‘500, l’alchimia incominciò a perdere il terreno guadagnato durante i primi anni del Rinascimento, il nuovo sapere scientifico che si stava sviluppando sulla spinta propulsiva del magistero di Galileo Galilei e successivamente sull’onda del pensiero filosofico razionale cartesiano avrebbe provocato la svalutazione dei cardini principali del pensiero alchemico e la sua scomparsa. La pratica operativa alchemica coincise da allora con leggi e misurazioni scientifiche che portarono alla nascita della futura chimica. Così, il suo valore filosofico-religioso nonché simbolico, non ebbe più nei secoli a seguire alcun valore. L’arte sacra di un tempo fu inesorabilmente declassata a mera superstizione.
3. Ulisse Aldrovandi
Ulisse Aldrovandi (1522-1605) 11, bolognese, fu uno dei più grandi scienziati della natura del suo tempo e fu, indubbiamente, uno dei primissimi fautori del moderno museo di Storia Naturale della città emiliana. Dopo una gioventù movimentata (a dodici anni scappò di casa per recarsi a Roma, a piedi, in cerca di nuove opportunità), Aldrovandi si dedicò prima agli studi umanistici (lettere, diritto e filosofia) per poi intraprendere quelli scientifici (matematica e medicina). Divenne ben presto uno stimato e riconosciuto uomo di cultura, al punto che per lui venne creata la prima cattedra di Scienze Naturali all’Università di Bologna, nel 1561. L’interesse principale di Aldrovandi fu il mondo naturale. Nel 1568 convinse il Senato felsineo a creare il primo orto botanico, di cui rimase a capo per ben trentotto anni. Affiancò la sua attività di docente alla ricerca, dedicandosi alla creazione di enormi registri in cui venivano descritti dettagliatamente animali, piante e minerali provenienti da tutto il mondo. Aldrovandi si fece aiutare da scienziati, esploratori e illustratori per raccogliere reperti e catalogare tutte le conoscenze del suo tempo sul mondo naturale. Nonostante questo impegno, però, Aldrovandi fu comunque figlio del suo tempo. È così che nei suoi testi non mancano leggende, elementi magici e animali immaginari (celebri furono il suo Monstrorum Historia e il Serpentum et Draconum historiae).
4. Monstrorum Historia
La Monstrorum Historia è forse il lavoro più sorprendente e peculiare tra i volumi della Historia Naturalis di Ulisse Aldrovandi. Pubblicata nel 1642, a quarant’anni dalla morte del naturalista, da Bartolomeo Ambrosini, l’opera è il prodotto della cura e della dedizione dei discepoli del celebre naturalista che iniziarono a collaborare con lui a partire dal poco noto Pandechion Epistemonicon12, il quaderno nel quale Ulisse Aldrovandi appuntò le prime informazioni sui mostri che poi sarebbero andati a costituire l’opera principale. Al contrario degli altri testi di Aldrovandi, il Monstrorum Historia si concentrava sul racconto e sulla descrizione, attraverso immagini e testi, dell’incontro con l’inconsueto, il mostruoso in termini universali, facendo riferimento sia al mondo naturale ed empirico che alla mitologia e all’immaginario. Il mostruoso, e quindi il mostro, costituivano la base dell’opera. Il mostro fin dall’antichità attirava curiosità. In epoca greca la faceva da padrone in innumerevoli miti: Polifemo, Scilla e Cariddi, Medusa, ecc. In epoca romana, mostri e creature fantastiche ricevettero spazio nella gargantuesca Naturalis historia di Plinio il Vecchio (I sec d.C.) per poi essere protagonisti dei Collectanea rerum memorabilum di Gaio Giulio Solino (III sec d.C.). Durante il cristianesimo, il Physiologus fu una delle prime opere in cui si ebbe una descrizione sistematica e dettagliata di animali, piante e minerali sia reali che fantastici. Tale lavoro esercitò una grande influenza nel Medioevo, epoca in cui lo studio dell’immaginario fantastico si legò alla simbologia religiosa. Creature fantastiche erano già comparse nella Bibbia e in altri testi sacri nei quali assolvevano la funzione di manifestazione del demonio. Un testo medievale molto importante sul tema fu il Liber monstrorum de diversis generibus dedicato ai mostri antropomorfi, alle belve e ai rettili, in particolare i serpenti. Successivamente, nel XVI secolo, con il progresso portato dal metodo scientifico, si arrivò alla nascita di una vera scienza sui mostri, la teratologia. Come disciplina scientifica, non si accontentava di limitarsi ad esporre una serie di creature mostruose come nei bestiari medievali, ma indagava la loro reale esistenza per arrivare alle cause della loro origine13. I mostri non venivano più visti come “opere o maledizioni divine” ma costituivano il prodotto anomalo della natura-artefice, vista sempre più in termini razionali e meccanicistici. Casi di bambini senza testa, cavalli con testa e voce umana e presenza di ermafroditi circolavano non solo nei circoli intellettuali ma nei fogli informativi diretti alle masse. Esplose dunque, fra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo, il numero di trattati sui mostri nell’intera Europa, grazie a diversi fenomeni (oltre alla nascita della teratologia): l’infittirsi di informazioni sui mostri in generale e il crescente interesse nei confronti di queste informazioni, e la possibilità di riproduzione testuale e iconografica offerta dalla stampa fu un dato di fatto. In questo periodo, il Monstrorum Historia si distinse per alcune caratteristiche dagli altri testi. Per Aldrovandi, il mostruoso stava a significare qualsiasi cosa che esorbitava dalla natura, nel bene o nel male. L’opera si differenziava dalle altre per la presenza di un’illustrazione numerosissima, basata su immagini apparse già in opere precedenti di altri autori. Nel Rinascimento le imitazioni grafiche erano piuttosto comuni, quindi non si trattava di un plagio ma di una modalità di lavoro usuale per l’epoca. Le incisioni di Aldrovandi e dei suoi discepoli mostravano una qualità superiore a quelle a cui si ispiravano. L’altro aspetto era che l’opera teneva conto dell’enorme cultura del suo autore, che gli consentì di divagare con maestria di linguaggio anche al di là degli aspetti meramente biologici dei mostri. Nell’opera comparvero trattazioni etimologiche, mitologiche, storiche insieme a curiosità riguardanti superstizioni e credenze religiosi. Non per questo, l’opera è descrivibile come un trattato di scienza e magia. Aldrovandi fu un naturalista, ma il suo intento in quest’opera non era quello di stabilire delle certezze scientifiche piuttosto di creare una trattazione quanto più completa possibile sui mostri e sui prodigi della natura. La sua fu una ricerca, condotta su varie fonti, di raffigurazioni e di opinioni succedutesi nel tempo su questi argomenti; veniva pertanto offerta una dettagliata descrizione su ogni raffigurazione presente nell’opera, senza tralasciarne alcuna. Il termine historia infatti, ai tempi di Aldrovandi, significava proprio questo: ricerca e studio capace di abbracciare ogni angolo del sapere. Il metodo messo in pratica dal naturalista, ovvero quello di toccare tutte le branche del sapere, non era ascrivibile ad una maggiore credulità dell’epoca per il fantastico, quanto al fatto che il ruolo dell’erudito era quello di passare al setaccio tutta la letteratura esistente riportando le questioni e le informazioni più significative.14 Proprio per questa modalità di lavoro, è possibile riscontrare nell’opera di Aldrovandi, il Monstrorum Historia, elementi che richiamano l’alchimia. Passando al setaccio tutte le informazioni sui mostri e immettendo raffigurazioni passate, l’alchimia entrava prepotentemente ma al tempo stesso silenziosamente nell’opera, poiché stava alla persona che leggeva riscoprire e connettere le informazioni presenti con la dottrina esoterica. L’indice dell’opera comprendeva una inziale trattazione sull’essere umano che veniva analizzato esteriormente (sia biologicamente che culturalmente) per poi proseguire con la ricerca delle sue diversità sempre su due piani: biologico e mitologico. Si procedeva successivamente con la trattazione del mostro in generale, ripercorrendo la sua nascita e la sua evoluzione durante la storia. Seguivano i paralipomeni sulla storia naturale, sugli animali sia reali (volpi, pesci, tigri, cinghiali) sia fantastici (draghi). In seguito si dava spazio alle anomalie delle singole parti del corpo, trattando casi di errori della natura sugli esseri umani (senza testa o con due teste, conformazioni mostruose di braccia e piedi), sugli animali, parlando anche delle malattie. L’ultimo capitolo si concentrava sul mondo inanimato: i mostri vegetali e i mostri celesti. Raffigurazioni di piante con escrescenze fogliari o floreali enormi e immagini riguardanti i “mostri” che esulavano dal concetto comune di natura, quali il Sole, la Luna, i dischi e le comete e gli altri corpi celesti, analizzando i loro assetti15.
5. Simbologie e Significati alchimici
Nell’opera Monstrorum Historia, molte sono le xilografie che possono essere lette con uno sguardo alchemico. Pertanto il lavoro si concentrerà sull’analisi di quelle più importanti e significative, che hanno un maggior peso all’interno della simbologia alchemica, riportando all’inizio le illustrazioni presenti nell’opera, seguite dalla loro interpretazione alchemica.
5.1 Ermafrodito o Androgino
Figura 1- Androgino (Monstorum Historia)
Figura 2- Ermafrodito di Gemma (Monstrorum Historia)
La descrizione degli Ermafroditi o Androgeni inizia attraverso un’indagine etimologica latina e greca, per poi proseguire con l’analisi storica attraverso la descrizione delle creature nell’antichità, da Platone fino a Colombo. Aldrovandi riporta come di solito, il pensiero di alcuni autori del passato che distinsero quattro varietà di ermafroditi: l’ermafrodita maschio, che presentava un sesso virile formato e funzionante, ma con la presenza a livello del perineo di una fessura simile alla vulva (da cui non usciva nessun liquido seminale); l’ermafrodito femmina, in cui si aveva una rappresentazione naturale della vulva con liquido e cicli mestruali in aggiunta alla presenza, a livello dell’osso pubico, di una protuberanza carnosa, che richiamava l’organo maschile non completo. Il terzo tipo era quello in cui si aveva l’espressione facciale di entrambi i sessi, con i rispettivi organi non funzionanti, incompleti per quanto concerneva la procreazione e la produzione di liquido seminale (solo uno dei due poteva urinare). L’ultimo era caratterizzato non solo da un’esteriorità duplice ma anche da un funzionamento corretto per la procreazione dei due apparati, maschile e femminile.
Si passava poi al chiedersi se gli Ermafroditi dovessero essere catalogati come mostri. La risposta fornita era negativa, in quanto non nascevano di rado (come i veri mostri) ma erano comunque frequenti. Non presentavano nessun difetto di natura, anzi: la natura ritenuta duplice doveva creare duplicità attraverso esseri come l’androgino o l’ermafrodito. Venivano ritenuti mostri solo gli androgeni che avevano un organo sessuale imperfetto e posizionato in maniera errata. La seconda opinione era quella secondo la quale alcuni autori nel passato ritenevano mostruosa la nascita di un androgino, a cominciare da Aristotele16. Le xilografie presenti nell’opera mostrano ermafroditi diversi. I primi due hanno un corpo esteriore femminile con la presenza dei due organi: il maschile rappresentato inferiormente rispetto al femminile oltre che di ridotte dimensioni. Hanno una sola testa (figura 1, 2). Un’altra raffigurazione di ermafrodita è caratterizzata da un corpo esteriore principalmente maschile con due teste (maschile a sinistra e femminile a destra), con un rigonfiamento nella zona puberale (che richiama l’atto della procreazione) comprensivo sia di vulva che di pene (figura 3) Nell’ultima illustrazione si ha un ermafrodita con zampe d’aquila al posto delle gambe. L’organo maschile si trova nel petto sopra quello femminile. Lateralmente a sinistra all’altezza dell’organo maschile, presenta due frecce conficcate (figura 4).
Figura 3- Ermafrodito a due teste (Monstrorum Historia)
Figura 4- Ermafrodito dalle zampe d’aquila
L’androgino (o l’ermafrodito) in alchimia è una delle figure simboliche più importanti, in quanto connesso al rebis (“due cose”), all’androgino cosmico rappresentato proprio dall’unione di due individui per ottenere una creatura umana bisessuale. Il rebis nasce dall’unione di due principi opposti, il sole e la luna (qui ci si connette ai mostri celesti di Aldrovandi), il maschile e il femminile che, sempre in ambito alchemico, vengono rappresentati con lo zolfo e il mercurio. Per trovare l’androgino, bisogna superare la coniunctio oppositorum (l’unione degli opposti). Chi era capace di fare ciò, poteva ottenere la pietra filosofale, chiamata appunto anche rebis, portatrice dell’androgino cosmico, ovvero di Dio. L’operazione alla base del rebis è l’unione di ciò che in natura è separato, per poter ascendere all’Uno (e in questo è evidente il richiamo alla filosofia neoplatonica di Plotino). Attraverso questa unione, si otteneva un “miracolo”, un atto straordinario o, riprendendo il primo significato etimologico, un mostro, da cui era possibile sviluppare ogni tipo di creazione sia sui metalli (poiché il segreto della pietra era di poter trasmutare ogni metallo in oro) che sul proprio corpo e sulla vita. Trovato il rebis, l’Uno, nulla si ferma, tutto diventa possibile poiché in esso è racchiuso il molteplice. Il possesso dell’androgino cosmico portava con sé la sapienza e la saggezza di tutte le cose – perché chi domina una cosa perfetta diventa lui stesso perfetto. L’alchimista che raggiungeva il rebis diventava lui stesso androgino, ermafrodito.17 Usando termini della psicologia analitica di Jung, trovare l’androgino significa unire nella propria psiche la parte maschile con quella femminile della psiche, l’anima e l’animus. Significa avere e raggiungere una doppia conoscenza, una conscia e una inconscia, che dialogano armonicamente tra loro fino a diventare una cosa sola. Di fatto, significa esperire ciò che fin dall’inizio doveva essere esperito.18 Nella filosofia ermetica, nei miti della creazione l’androgino appare come atto di creazione ad opera del Demiurgo, il dio creatore che attraverso le sue facoltà plasmò il mondo. Nel Corpus Hermeticum, e più specificatamente nel Poimandres, si narra della nascita di Ánthropos (archetipo celeste dell’uomo) del tutto simile al Dio creatore, quindi, come lui, androgino. Ánthropos, però, mosso dalla curiosità, decise di unirsi alla creazione del Dio-Padre chiamata natura e così divenne duplice, costituito da due essenze, non più una. Così divenne un semplice essere umano. In alchimia, il processo che si vuole raggiungere è l’opposto, e la filosofia ermetica ci dice esattamente questo: ritornare alla prima condizione, ritrovare l’archetipo celeste del Demiurgo, l’Ánthropos androgino. Bisogna ripercorrere attraverso la pratica alchemica il tempo circolare, il tempo dettato dall’Ouroboros per ritrovare l’ermafrodito, il rebis ancora raggiungibile. Le raffigurazioni alchemiche che riguardano l’ermafrodita o l’androgino sono molteplici e sono caratterizzate maggiormente da un unico corpo dotato di due volti. Ciò è funzionale per rappresentare al meglio la coniunctio oppositorum, con tutti i simboli alchemici sullo sfondo che richiamano la natura terrestre o celeste pronti, anche loro, a trovare la giusta congiunzione.
Figura 5- Androgino (Azoth)
Figura 6- Androgino (Aurora Consurgens)
Nell’illustrazione a sinistra, presa dal trattato Azoth (1613), l’androgino è circondato dai sette pianeti che richiamano esplicitamente i metalli, mentre regge una squadra e un compasso. La sua figura poggia al di sopra di un drago e di una sfera alata, nella quale sono iscritti un quadrato e un triangolo, sintesi della triade e del quaternario.19 In quella di destra invece, tratta dall’Aurora consurgens, si ha un’aquila che rappresenta il vento del sud (simbolo sia dello Spirito Santo, sia della totalità delle sublimazioni) che unisce gradualmente i due opposti. Le tre gambe presente nell’androgino alludono al tripode su cui veniva messa la provetta durante le fasi alchemiche di riscaldamento della materia20.
5.2 Simulacri mostruosi: il grifone
Tra le più inquietanti e sorprendenti presenze nei simulacri egiziani ci sono i grifoni: creature con corpo di leone, ali e testa di aquila, nemici giurati dei cavalli, chiamati anche Ippogrifi da alcuni. Da loro e dai loro artigli, si racconta, si ricavavano tazze, mentre con le loro penne si facevano archi. Nella Monstrorum Historia, vengono riportate due raffigurazioni di grifoni. Il primo grifone ha testa e ali d’aquila, e le altre parti che appartengono al leone; con la zampa destra tiene un pugnale, mentre con le zampe posteriori calpesta il serpente del dio Esculapio. La seconda illustrazione mostruosa è caratterizzata da una testa umana ricoperta da peli che si estendono fin sotto il mento e in fronte. Il resto del disegno rimanda invece a un normale felino21.
Figura 7 – Grifoni (Monstrorum Historia)
Nella tradizione esoterica dell’alchimia, il grifone ha un valore esplicito e ben riconoscibile: è un simbolo doppio. Infatti ha una natura volatile, rappresentata dalle parti di aquila e una natura fissa, rappresentata dal corpo di leone. Di nuovo, dunque, una rappresentazione dei due costituenti alchemici per eccellenza: il mercurio e lo zolfo. Nella sua figura si ha una unione, come con l’Androgino. Il Grifone si rinnova come simbolo doppio anche grazie al suo legame con due dei quattro elementi creatori: aria (aquila) e terra (leone). Attraverso queste simbologie di cui è portatore, permette di conoscere i segreti sia di quanto sta in basso, racchiuso nella creazione della Madre Terra che di quanto è in alto, nei cieli e nelle atmosfere che sempre influenzano tutto ciò che sovrastano. Proprio grazie alla figura del grifone, è possibile riscoprire questo messaggio della tradizione ermetico-alchemica, inaugurata dal sapiente Ermete Trismegisto.
Figura 7 – (Aurora Consurgens)
In questa illustrazione, tratta di nuovo dall’Aurora Consurgens, il maschio e la femmina, che hanno rispettivamente come testa il Sole e la Luna, combattono mentre cavalcano il leone (il maschio) e il grifone (la femmina). L’immagine del combattimento, che contiene molti altri simboli, sembra raffigurare i due principi alchemici, lo zolfo (leone) e il mercurio (grifone). Nell’immagine, gli opposti che lottano in realtà sono già in mescolanza; il grifone è blu come il cavaliere con la testa solare, mentre il leone è bianco come il corpo del cavaliere lunare. Inoltre gli scudi riportano i simboli celesti del proprio avversario. Il sale, simbolo di mediazione e di contatto, si associa sia al fisso che al volatile e permette l’unione prossima. È da questo passaggio che inizia la lavorazione della materia, partendo dal suo stato di putrefazione e morte fino ad arrivare al suo stato finale di splendore. Durante questo tragitto, ritorna però il grifone dinanzi all’alchimista che lavora a precise condizioni. Si manifesta, così, quello che viene chiamato l’Artiglio del Grifone che indica che il lavoro alchemico sta procedendo sulla giusta direzione (motto “In hoc signo vinces”).22 Nelle antiche leggende, il grifone abitava nelle montagne dove si estraeva l’oro e ricoprivano il ruolo di guardiani di tale elemento chimico. Il grifone è la creatura che protegge aggressivamente il proprio oro o i propri piccoli dagli estranei, così come l’alchimista protegge le sue scoperte non divulgandole ai profani. Vedere il grifone vuol dire affrontare le ultimi fasi, le più concitate e le più pericolose, poiché vicine al risultato finale del processo alchemico. Ma se questo si supera, se si attende e si lavora con calma e perspicacia, il grifone può apparire sotto una nuova prospettiva, può mostrare ciò che nascondeva e proteggeva: la maestosità del suo tesoro, lucente e potente come il sole. Nell’ antico Egitto, questa creatura mitologica era infatti un geroglifico con cui si rappresentava Osiride, divinità collegata all’attività solare23.
Note:
1 H. Gebelein, Alchimia la magia della sostanza, Roma, (trad. di Chiara Jaeger), Edizioni Mediterranee, 2009, pp. 9-30, 128-137
2 G. Ranque, La pietra filosofale, Roma, Edizioni Mediterranee, 1989.
3 Ibidem, pp. 63-73
4 C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, Torino, (trad. di Roberto Bazlen), Bollati Boringhieri editore, 2020.
5 A. Roob, Alchimia e Mistica, Milano, Taschen, pp 8-12
6 Ibidem. Si veda inoltre Rosarium philosophorum
7 Ibidem.
8 A. Aromatico, Alchimia, l’oro della conoscenza, Parigi, Electa Gallimard, 1996, pp. 106-115.
9 J. Hillman, Re-visione della psicologia, (trad. di Aldo Giuliani), Milano, Adelphi,2000, pp. 175-178, 343-358.
10 M. Pereira, Arcana sapienza, L’alchimia dalle origini a Jung, Roma, Carocci editore, 2001, pp 189-202.
11 https://www.unibo.it/it/ateneo/chi-siamo/la-nostra-storia/alumni-e-personaggi-celebri/ulisse-aldrovandi
12 P. Molino, Vedere i mostri. Lo studio della natura in età moderna, in «Storica», 63, 2015, p. 134. Si rimanda inoltre a p. 423, kramer, Ulisse Aldrovandi’s Pandechion Epistemonicon and the Use of Paper Technology in Renaissance Natural History, in «Early Science and Medicine», 2014, pp. 398-423.
13 U. Aldrovandi, Monstrorum Historia, Slovenia, trad. di Lorenzo Peka, Moscabianca Edizioni, 2022., pp. 4-7
14 Vedere i mostri. Lo studio della natura in età moderna, cit., pp. 133-134.
15 Monstrorum Historia, pp. 318-319.
16 Monstrorum Historia, cit., pp. 104-107.
17 https://www.rigenerazionevola.it/larchetipo-androgino/
18 Psicologia e Alchimia, cit., pp. 83, 115, 203, 229, 238, 285.
19 Si rimanda a M. Insolera (a cura di), Azoth, cit., pp. 10-14.
20 Alchimia e Mistica, p. 376.
21 Monstrorum Historia, pp. 121-122.
22 https://hyperborea.live/2017/08/20/il-grifo-tra-mito-e-simbologia/
23 Ibidem.
Bibliografia:
- Aldrovandi, Monstrorum Historia, Slovenia, trad. di Lorenzo Peka, Moscabianca Edizioni, 2022
- Aromatico, Alchimia, l’oro della conoscenza, Electa Gallimard, 1996, pp 106-115
- Roob, Alchimia e Mistica, Milano, Taschen, 1997
- Gebelein, Alchimia la magia della sostanza, Roma, trad. di Chiara Jaeger, Edizioni Mediterranee, 2009, pagg 9-30; 128-137
C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, Torino, trad. di Roberto Bazlen, Bollati Boringhieri editore, ristampa, 2020
- Hillman, Re-visione della psicologia, Milano, trad. di Aldo Giuliani, Adelphi 1 ed pp 175- 178, 343-358
- Molino, Vedere i mostri. Lo studio della natura in età moderna, in “Storica 63”, 2015
- Pereira, Arcana sapienza, L’alchimia dalle origini a Jung, Roma, Carocci editore 1ed, 2001, pp 189-202
- Ranque, La pietra filosofale, Roma, trad. di Vincenzo Montenegro Edizioni Mediterranee, 1989.
Sitografia:
https://www.unibo.it/it/ateneo/chi-siamo/la-nostra-storia/alumni-e-personaggi-celebri/ulisse- aldrovandi
https://hyperborea.live/2017/08/20/il-grifo-tra-mito-e-simbologia/
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Edoardo Serini,
laureato in Scienze Forestali (AN) e laureando in Scienze delle Religioni (PD). I suoi ambiti di studio attraversano la psicologia del profondo, la filosofia religiosa, l’esoterismo e la natura, con particolare riguardo al mondo animale. Oltre agli studi e alla stesura di articoli, collabora nel sito https://substack.com/@metasenso.