Simbolismi pagani e cristiani della Via Lattea nel quadro “La Fuga in Egitto” di Adam Elsheimer (1609) – Rosa Ronzitti
“Qui consurgens accepit puerum et matrem eius nocte et recessit in Aegyptum”
(Mt II 14)
1. Adam Elsheimer nacque a Francoforte nel 1578, figlio maggiore di un sarto. Studiò con Philipp Uffenbach, un artista locale, e subì l’influenza di Dürer e Altsdorfer. Tra il 1598 e il 1599 fu a Venezia, dove poté osservare le tele di Tintoretto e Veronese. L’anno dopo si trasferì a Roma; frequentando circoli umanistico-scientifici, conobbe l’archiatra papale Johannes Faber (1574-1629) e il cardinale Federico Cesi (1585-1630), fondatore dell’Accademia dei Lincei. Tra il 1606 e il 1607 si convertì al cattolicesimo. In quegli anni entrò nell’Accademia di San Luca, la potente gilda dei pittori, e sposò una donna di Francoforte di origini scozzesi, Carla Antonia Stuarda, dalla quale ebbe l’unico figlio, Giovanni Francesco. Durante il soggiorno romano studiò le tele del Caravaggio, tanto che la sua produzione pittorica matura, rara e squisita, appare come una sintesi tra miniaturismo nordico e luminosità caravaggesca. Morì a soli 32 anni, l’11 dicembre 1610, per un morbo allo stomaco e fu sepolto in San Lorenzo in Lucina. Rubens, che lo conobbe personalmente, ne pianse la scomparsa in una famosa lettera a Johannes Faber del 14 gennaio 1611 (1). Nel 1609, suo penultimo anno di vita, lo sfortunato artista realizzò un quadro intitolato La fuga in Egitto. Il piccolo dipinto, un olio su rame di 30,6 x 41,5 centimetri conservato oggi nella Alte Pinakothek di Monaco (n. inv. 216), è noto, oltre che per l’altissima qualità esecutiva, per essere la prima rappresentazione “naturalistica” della Via Lattea nella storia dell’arte occidentale. Nel 1627-1630 la tavoletta risulterebbe (ma oggi la notizia è messa in dubbio) nella collezione del principe elettore Massimiliano I di Baviera, poi in quella di Giovanni Guglielmo del Palatinato; è custodita a Monaco dal 1836. Sul retro si legge la scritta (probabilmente non autografa, ma fededegna) Adam Elsheimer fecit Romae 1609. Il quadro, restaurato di recente, è stato oggetto di moltissimi studi (2). Grazie a una nuova ricerca da noi condotta sui nomi della Via Lattea in un’area che va dall’Iran al Marocco (3), si propone qui una nuova interpretazione di questo piccolo e sconosciuto capolavoro.
2. Alcuni critici hanno voluto scorgere un legame tra il cielo notturno raffigurato nel quadro e il Sidereus Nuncius di Galileo Galilei, apparso nel 1610, testo in cui lo scienziato pisano stabilisce, una volta per tutte, la natura stellare della Galassia: ciò ha monopolizzato in gran parte il dibattito sull’interpretazione del dipinto. La presenza della Via Lattea in un quadro di tema religioso all’alba della rivoluzione scientifica galileiana non può certo essere un caso, ma ci sembra che non sia stata del tutto còlta la motivazione profonda tra il soggetto prescelto (la fuga in Egitto) e la striscia di fittissime stelline che attraversa in diagonale la metà superiore del dipinto, terminando poco sopra il gruppo costituito dalla Sacra Famiglia sull’asinello. Anna Ottavi Cavina, in un lavoro del marzo del 1976 (4), facevano tare nel dipinto “two astonishing details, explicable only in the light of Galileo’s researches: the depiction of the Milky Way as a conglomeration of stars forming a misty streak across the sky; and the presence of stains on the surface of the moon”. Nel Sidereus Nuncius, che sarebbe uscito a Venezia il 12 marzo 1610, Galileo si concentrava, in effetti, sull’osservazione della superficie lunare e (in misura però assai minore) sulla natura della Galassia, potendo offrire, grazie al perspicillum (‘cannocchiale’) da lui costruito, una diretta e dirimente descrizione del fenomeno: Est enim Galaxya [sic] nihil aliud quam innumerarum stellarum coacervatim consitarum congeries (5).
Il quadro fu dunque realizzato l’anno prima che il Sidereus Nuncius vedesse la luce; per questo la Cavina si spinge ad ipotizzare che “Elsheimer took the copper up again in 1610, retouching the moon and the Milky way with Galileo’s discoveries in mind” (6). Su tale punto è stata però detta una parola definitiva: non risultano sulla tavola parti aggiunte dopo la prima stesura (7). Del resto, già nell’agosto 1976 Keith Andrews, grande esperto del pittore tedesco, smentiva la Cavina sia sulla base del dato cronologico (tutte le osservazioni del Sidereus Nuncius sono posteriori al 1609 – partono infatti dal 7 gennaio 1610 e terminano il 2 marzo dello stesso anno, dieci giorni prima della sua pubblicazione) sia sulla base del fatto che non vi sarebbe nel dipinto un intento eccessivamente naturalistico (la posizione degli astri e della luna non corrisponde alla realtà, né la Via Lattea può risultare così nettamente definita se la luce lunare è al massimo dello splendore) (8). Vi è infine una terza e decisiva obiezione che l’Andrews mette in campo: Galileo dedicò alla Via Lattea poche righe (12 su un libretto di 60 pagine) perché l’annuncio circa la sua natura stellare non sarebbe stato così sconvolgente e innovante: una non secondaria corrente di pensiero pre-galileiana, addirittura risalente (almeno) a Democrito, aveva infatti già sostenuto che la Galassia fosse composta da innumerevoli stelle, e non da vapori condensati, come invece intendeva Aristotele nella sua Meteorologia (I viii).
Risulta quindi difficile salvare la necessità di un legame cogente Elsheimer–Galileo (almeno per quanto riguarda la raffigurazione della Galassia), in mancanza di altri dati che facciano, per esempio, supporre un rapporto tra i due anteriore al 1610. Non tanto perché di tale rapporto non resta traccia (9), ma, soprattutto, perché pare improbabile che lo scienziato pisano facesse trapelare informazioni sulla sua attività di ottico e astronomo prima di dare alle stampe il Sidereus Nuncius, che doveva avere valore di novità assoluta nel panorama scientifico dell’epoca. Oggi, grazie agli studi sull’ambiente in cui Elsheimer operava, siamo in grado di avere un’idea più chiara della realtà artistica e scientifica romana all’inizio del XVII secolo e di impostare il problema in modo più sfumato. Si è detto che il giovane pittore tedesco frequentava la neonata Accademia dei Lincei (1603): il fondatore, Federico Cesi, nutriva interessi astronomici paralleli a quelli di Galileo, col quale ebbe intensi rapporti e che cooptò nel 1611. Siamo certi, grazie alla testimonianza del medico tedesco Johannes Faber, amico di Elsheimer, che nell’estate del 1609 il Cesi si stava dedicando alla costruzione di uno strumento cui diede il nome di telescopio (10) e che conduceva osservazioni astronomiche destinate a confluire in un’opera intitolata Coelispicium: parallelamente al Galilei, dunque, il Cesi lavorava a perfezionare il più rudimentale cannocchiale che già circolava nei Paesi Bassi e a Parigi. Anche il cardinale Scipione Borghese disponeva nello stesso periodo di un telescopio delle Fiandre: un’intera classe intellettuale di altissimo livello, dislocata in vari punti d’Europa, lavorava dunque in quel momento su temi comuni. È probabile che Elsheimer partecipasse di tali esperimenti; in particolare, emerge da diversi suoi dipinti l’uso di lenti e l’attenzione per i fenomeni ottici che già erano del suo maestro Uffenbach. Nella Fuga il riflesso della luna sull’acqua sembra l’esito di uno studio ottico e le quasi mille stelle della Galassia sono dipinte con un pennello sottilissimo attraverso una lente di ingrandimento.
3. Abbiamo detto che il maestro tedesco non volle rappresentare un cielo realistico: la posizione della Via Lattea, delle costellazioni visibili (Orsa Maggiore, Leone, Pleiadi, Delfino) e persino le irregolarità della superficie lunare non corrispondono alla realtà (11). Il cielo della Fuga non è mai esistito, non è un notturno romano del 1609, ma scaturisce dalla fantasia di Elsheimer, da un libero e creativo “riassemblaggio” di elementi astronomici (12). Se il magnifico panorama celeste ha un significato, questo deve perciò essere simbolico. Secondo Deborah Howard e Malcolm S. Longair la costellazione del Leone richiamerebbe Cristo per vari motivi: sia perché il Leone è associato alla regalità sia perché la sua stella più brillante, battezzata Regulus dal Copernico, allude al ‘piccolo re’, cioè al bambino, sopra il cui capo, oltre il gruppo scuro degli alberi, proprio tale costellazione è sospesa. Inoltre, la luna richiamerebbe Maria Vergine. Qui i due autori, appropriatamente, ricordano l’affresco della Cappella Paolina dipinto dal Cigoli in Santa Maria Maggiore su commissione di Papa Paolo V. Si tratta di una Immacolata concezione con Apostoli e Santi ai cui piedi giace una luna dichiaratamente galileiana (siamo nel 1612), con crateri in bella evidenza (13). Ma torniamo al dipinto di Elsheimer: esso si sviluppa lungo due linee diagonali che si incrociano sopra il gruppo sacro, dividendo lo spazio in quattro triangoli. Nella parte sinistra domina il concetto ottico della riflessione: ci sono due lune, quella superiore, celeste, e quella inferiore, riflessa nello specchio d’acqua. Se ora applichiamo lo stesso schema alla parte destra constatiamo che il “riflesso” terrestre della Galassia altro non è che la via lungo la quale la Sacra Famiglia si sta incamminando verso l’Egitto e, nell’immediato, verso un accogliente bivacco di pastori che si scaldano al fuoco. La striscia galattica coincide con la diagonale superiore destra, mentre la strada ne costituisce il pendant inferiore, epperò maggiormente inclinato verso il basso. L’idea che il pittore abbia voluto far corrispondere due “cammini”, uno celeste e uno terrestre, viene sostenuta dalla disposizione delle stelle, che indicano alla Sacra Famiglia l’ovest (l’Egitto) come via di salvezza (14).
4. Nessuno ha notato prima d’ora che i dati iconografici collimano con quelli linguistici. Nel 1933 l’etnologo italiano Carlo Volpati pubblicò un importante studio nel quale erano schedati e spiegati centinaia di nomi della Via Lattea (15). A quanto risulta dall’enorme dossier da lui raccolto, nelle culture cattoliche neolatine (e germaniche meridionali) la nostra nebulosa viene prevalentemente denominata secondo il semplice schema ‘strada/cammino di X’, dove X è rappresentato da un personaggio religioso. In genere X è San Giacomo, titolare del santuario di Compostella, ma può essere anche San Pietro, San Giorgio, San Giovanni, San Martino o qualche patriarca biblico. Esistono anche denominazioni più complesse, perifrastiche, tra le quali citiamo le seguenti:
Brianz. (milan.) ‘strada che ha faa la Madonna a andà in Egitt’ (Cherubini)
Pietracamela (Abr.) ‘strada sulla quale camminò la Madonna da Nazaret a Loreto’ (Finamore)
Celano (Abr.) ‘strada sulla quale camminò la Madonna dall’Egitto a Loreto’ (Finamore)
…
Friuli ‘[strada] originata da una goccia di latte della Madonna versatasi accidentalmente sul pavimento del cielo’
Acri (Abruzzo) ‘la strada bianca del latte che la Vergine versò percorrendola allora che cercava Gesù Cristo disputante coi dottori (Finamore)’ (16).
La Galassia è vista da una parte come latte versato e catasterizzato (evidente camuffamento cristiano del mito pagano di Era che allatta Eracle e sparge in cielo il bianco liquido, γάλα in greco antico) (17) e, dall’altro, come la via percorsa per cercare Gesù o scappare in Egitto (o andare a Loreto). Quanto poteva essere diffusa la credenza popolare che interpretava la Via Lattea come strada per l’Egitto? Sicuramente non poco e non solo sul territorio italiano: vent’anni prima del Volpati lo svizzero Hermann Rotzler, un valente filologo romanzo e raccoglitore dialettale, metteva insieme una piccola monografia intitolata Die Benennungender Milchstrasseim Französischen (‘Le denominazioni della Via Lattea in francese) (18), con dati che spaziavano dalla Francia ad aree limitrofe, compresi territori di lingua tedesca. Il Rotzler individuava nomi come ‘cammino di San Giuseppe‘ e ‘cammino della Vergine’ in Svizzera, Francia e Germania meridionale (Svevia e Granducato di Baden): Francoforte, patria del nostro pittore, è piuttosto vicina. In sostanza, ci pare possibile sostenere che Elsheimer avrebbe utilizzato nella sua opera un dato linguistico-mitologico, traducendo la corrispondenza linguistica fra via terrestre e via celeste in una corrispondenza spaziale.
5. La densità semiotica del quadro diventa sempre più evidente allorché il tema della fuga impone di richiamare un’altra fuga celebre della mitologia greco-egiziana, quella di Iside. Sanno bene gli storici delle religioni che la Vergine Maria eredita alcuni tratti isiaci, in una continuità storico-geografica davvero sorprendente (e talvolta persino sfacciata) tra paganesimo e cristianesimo, della quale sono state fornite ampie e nutrite prove a partire, per citare un dato qui pertinente, dal comune simbolismo lunare e astrale (19). Maria che fugge in Egitto con il bambino per sottrarsi ad Erode è Iside che fugge lungo il Nilo con il piccolo Horus mentre Seth (Tifone in greco) la insegue. A questa narrazione, nota soprattutto grazie al De Iside et Osiride di Plutarco (le fonti egiziane latitano), fu aggiunto in qualche momento non precisabile un dettaglio per noi di fondamentale importanza: scappando in cielo, Iside gettò tra le gambe di Tifone un fascio di spighe da cui ebbe origine la Via Lattea. Appare sorprendente che tale segmento del mito sia riportato, poco dopo la morte di Elsheimer, da un suo dottissimo conterraneo, il padre gesuita Athanasius Kircher, vivente e operante a Roma intorno alla metà del Seicento. Il Kircher, noto per la sua “egittomania” e “isidomania” (raccolse cimeli isidèi per tutta la vita) (20), pubblicò nel 1643 la Lingua Aegyptiaca Restituta, opera poderosa che si proponeva di decifrare, in chiave simbolica, i geroglifici. A p. 560, nel paragrafo in cui si menzionano elenchi di lingue e popoli che sono soliti chiamare la Via Lattea ‘via della paglia’, viene attribuita agli Egiziani questa leggenda:
Fingunt enim Typhonem Isidis fugientis fasciculum aristarum sibi obiectum in cælo dispersisse.
‘Immaginano che Tifone abbia disperso in cielo un mannello di spighe di Iside in fuga gettato davanti a sé’.
Purtroppo non conosciamo la fonte del dotto gesuita (che non si trova fra quelle classiche di maggior diffusione, tutte incentrate sull’allattamento di Era), ma è possibile che la storia fosse conosciuta anche da Elsheimer tramite qualche lettura comune a entrambi. A essere precisi, Kircher non dice che fu Iside a generare direttamente la Galassia: questa nacque da un fascio di spighe gettato fra i piedi del bieco persecutore. È un immaginario rurale che nelle letterature classiche viene declinato in vari modi: Iside porta tradizionalmente (come Cerere) una corona di spighe e Spica si chiama la stella più brillante della costellazione della Vergine (Κόρη), che rappresenta una fanciulla fuggita in cielo. Il racconto non è affatto isolato; si iscrive anzi in una vasta temperie mitica che interpreta la Via Lattea come spargimento di paglia lungo le vie celesti. Diverse culture, in forma letteraria o folklorica, ne serbano testimonianza fino all’età moderna; se una parte di queste era già nota al Kircher, altre sono state reperite, in seguito, dall’Africa fino all’Asia centrale. Ne citiamo una sintesi: spargono in cielo paglia i santi (Italia meridionale), i compari o padrini (Sardegna, Armenia, Balcani), un cavallo divino (Caucaso), un pope, una vecchia, gli zingari, Venere (Grecia, Romania). Parallelamente, nelle lingue dei popoli che conoscono tali miti, la Galassia è denominata (soprattutto a livello popolare) ‘via della paglia’ o ‘via del ladro di paglia’, in quanto la paglia viene sottratta a qualche malcapitato, epperò dispersa durante la fuga a segno perenne del furto. Alcune volte il mito non risulta per esteso (forse per semplice difetto delle fonti), ma rimane il galassionimo a testimoniarlo, come in etiopico, arabo dialettale, varietà berbere, siriaco, ebraico, persiano, turco, ceceno (21).
La presenza di una insolita Venere-ladra va approfondita: in Romania circolava la leggenda di “Santa Vinire”, madre di San Pietro, che sarebbe fuggita dalla corte del figlio con un bottino di paglia, disseminandola in cielo (22). Qui osserviamo un duplice passaggio: prima Iside è stata “venerizzata” a Roma e/o nelle province dell’Impero Romano (tra cui la Dacia) in séguito all’introduzione di culti orientali che i soldati diffondevano ovunque; poi è diventata una santa cristiana, in più perseguitata da San Pietro, che corrisponde al sincretico Tifone (a sua vòlta l’egiziano Seth, vd. supra). La mitologia armena precristiana, per qual poco che ci è conservata, attribuisce l’origine della Galassia a un furto di paglia del dio indigeno Vahagn al suo avversario assiro, Baršam (23). Nel quadro di Elsheimer Gesù Bambino riceve un fuscello di erba o di paglia da Giuseppe, che lo tiene nella destra, mentre nella sinistra regge la splendida torcia che illumina circolarmente il piccolo gruppo familiare e si riverbera sulla lucida pentola trasportata dall’asino con altre masserizie. Possiamo in conclusione pensare che dietro la splendida e dettagliatissima rappresentazione del dipinto giacciano fonti religiose e popolari. Quelle religiose, cristiane e pagane, fondono nella figura della Vergine Era ed Iside, quelle popolari fantasticano un cielo di paglia stellare, grazie al cui tracciato la Sacra Famiglia potè raggiungere l’Egitto preparando così l’avvento del Cristianesimo.
Note:
1 – Tra i biografi antichi segnaliamo Carel van Mander (1548-1606), Giulio Mancini (1558-1630), Giovanni Baglione (1573-1644), Joachim von Sandrart (1606-1688), Jean-Baptiste Le Brun (1748-1813): i loro contributi sono stati raccolti da Claire Pace,Lives of Adam Elsheimer: Mander, Mancini, Baglione, Sandrart& Le Brun, London:PallasAthene, 2006. Tra i moderni si vedano soprattutto Heinrich Weizsäcker (a cura di), Adam Elsheimer, DerMaler von Frankfurt, 2 Bde. Berlin: Deutscher Verein f. Kunstwissenschaft, 1936 e 1952 e Gottfried Sello (a cura di), Adam Elsheimer, München: Verlag C.H. Beck, 1988.
2 – Cfr. Reinhold Baumstark – Marcus Dekiert (a cura di), Von neuen Sterne: Adam Elsheimers Fluch nach Ägypten, München und Köln: Pinakothek DuMont, 2005 e Andreas Thielemann – Stephan Gronert (a cura di), Adam Elsheimer in Rom: Werk – Kontext – Wirkung, München: Hirmer Verlag, 2008.
3 – Cfr. Rosa Ronzitti, La Via Lattea come ‚via del ladro di paglia‘: uno studio onomasiologico interlinguistico, in Velizar Sadovski et alii(a cura di),Studi in onore di Rüdiger Schmitt, Wien: Österreichische Akademieder Wissenschaften (in corso di stampa).
4 – Cfr. Anna Ottavi Cavina, On the Theme of Landscape — II: Elsheimer und Galileo, in «The Burlington Magazine», 118, 876, Mar. 1976, pp. 139-145.
5 – La pagina, non numerata, si trova sotto il titolo PLEIADVM CONSTELLATIO.
6 – Cfr. A. O. Cavina, On the Theme of Landscape — II: Elsheimer und Galileo, cit., p. 142.
7 – Cfr. Deborah Howard and Malcolm S. Longair, Elsheimer, Galileo, and The Flight into Egypt, in Enrico Maria Corsini (a cura di), The Inspiration of Astronomical Phenomena VI, San Francisco: Astronomical Society of the Pacific, 2011, pp. 23-29, in part. pp. 27-28.
8 – Cfr. Keith Andrews, Elsheimer and Galileo, in «The Burlington Magazine» 118, 876, Aug. 1976, p. 595.
9 – Di per sé l’assenza di dati non corrisponde all’assenza di un fatto.
10 – La notizia è data dal Faber nel suo Animalia Mexicana, che analizza i disegni degli animali del Nuovo Mondo. Tale opera, edita nel 1628, riferisce fatti di alcuni anni precedenti ed ha quindi un grande valore documentario. Come abbiamo visto, Galileo usò invece nel suo opuscolo il termine perspicillum.
11 – Cfr. D. Howard – M. S. Longair, Elsheimer, Galileo, and The Flight into Egypt, cit..Ap. 27 la luna galileiana e quella della Fuga sono affiancate, in modo tale che risultino ben chiare le “licenze pittoriche” della seconda.
12 – Cfr. Gerhard Hartl – Christian Sicka, Die Darstellung des Nachthimmels in Adam Elsheimer Fluch nach Ägypten – eine naturvissenschaftlich-kritische Betrachtung, in R. Baumstark – M. Dekiert, Von neuen Sterne, cit., pp. 107-126.
13 – Il Cigoli era Ludovico Carli (1559-1613), pittore toscano. Lavorò per i Medici e per la corte papale; condivise con Galileo gli insegnamenti del matematico Ostilio Ricci e un’amicizia lunga tutta la vita. La sua madonna è chiamata “galileiana” perché ispirata alla lettura del Sidereus Nunciuse a osservazioni dirette, fatte con il telescopio. Sulle vicende dell’affresco resta interessante testimonianza nell’epistolario Cigoli-Galileo, recentemente pubblicato da Federico Tognoni, Il carteggio Cigoli-Galileo, Pisa: Edizioni ETS, 2009. Per irapportifrai due cfr. anche Erwin Panofsky, Galileo as a Critic of the Arts: Aesthetic Attitude and Scientific Thought, in «Isis: A Journal of the History of Science» 47, 1956, 3-15; Steven F. Ostrow, Cigoli’sImmacolata and Galileo’s Moon: Astronomy and the Virgin in Early Seicento Rome, in «The Art Bulletin»78, 1996, pp. 218-235 e Eileen Reeves, Painting the Heavens: Art and Science in the Age of Galileo, Princeton: Princeton University Press, 1997, p. 158 ss.
Dal canto nostro sottolineiamo come le maculae lunari che lo scienziato pisano descrive nel Sidereus Nuncius, rivelandone la natura, vengano riprodotte dal Cigoli con grande accuratezza: alla base sta un dato linguistico, l’interpretazione rispettivamente privativa e locale del prefisso in-, che permette di creare una particolare corrispondenza fra la Vergine ‘senza macchia’ e la luna ‘che ha le macchie al suo interno’.
14 – Cfr. Lucia Corrain, Realismo o artificio? Un’analisi di La fuga in Egitto di Adam Elsheimer, in Lucia Corrain (a cura di), Semiotiche della pittura. I classici. Le ricerche, Roma:Meltemi, 2004, pp. 49-56.
15 – Cfr. Carlo Volpati, Nomi romanzi della Via Lattea, in «Revue de Linguistique Romane» 9, 1933, pp. 1-51.
16 – Francesco Cherubini e Gennaro Finamore sono i dialettologi da cui il Volpati trae materiali ed esempi per Lombardia e Abruzzo.
17 – In sequenza cronologica (fino al tardo antico) le fonti classiche sono: Arato, Phaenomena 47; Eratostene, Catasterismi 44; Manilio, Astronomica I 750-761; Diodoro Siculo, Biblioteca IV 9,6-7; Plinio, Storia Naturale XVIII, 280-281; Elio Teone, Progymnasmata; Igino, Astronomica II 43; Pausania, De Greciaede scriptione IX 25; Achille Tazio, Isagoge ad Phaenomena. In Petavio Doctrin. Temp. Tomus III, p. 85; Macrobio, Commentum in Somnium Scipionis XV 1-8; Nonno, Dionisiaca XI 420; Marziano Capella, De nuptiis Mercurii et Philologiae VIII 826.
18 – Pubblicata a Erlangen, Universitätsbuchdruckerei von Junge & Sohn, 1913.
19 – Cfr. Reinhold Merkelbach, Isis regina – Zeus Sarapis, Stuttgart und Leipzig: B. G. Teubner, 1995. Recentemente Mario Alinei (in Carnevale: dal carro navale di Iside a Maria Stella Maris,apparso su «Quaderni di semantica» XXXIV/1, 2013, pp. 9-37) ha raccolto un’imponente documentazione iconografica comparativa fra Iside e la Madonna, con bibliografia molto aggiornata.
20 – Su tutti questi aspetti si veda l’accurata ricostruzione di Jurgis Baltrušaitis, La ricerca di Iside, Milano: Adelphi, 1985.
21 – Cfr. Rosa Ronzitti, La Via Lattea come ‚via del ladro di paglia‘, cit. (in corso di stampa).
22 – Cfr. Albert Schott, Walachische Märchen, Stuttgart und Tübingen: J.G. Cotta, 1845, p. 285.
23 – Il testo si legge in James R. Russell, Zoroastrianism in Armenia, Cambridge (Mss.): Harvard University Department of Near Eastern Languages and Civilizations and National Association for Armenian Studies and Research, 1974, p. 170: “Certain of the earliest men of the Armenians said that during a bitter winter (ixistjmeṙayni), Vahagn, the ancestor of the Armenians, stole straw (gołacʽawzyardn) from Baršam, the ancestor of the Assirians, which [straw] we have become wont in science to call the Trail of the Straw thief (yardgołi het)”.
Rosa Ronzitti, docente di glottologia presso l’Università di Genova