Silicio e prodigi: “Il Trono oscuro” della post-modernità – Intervista ad Andrea Venanzoni a cura di Stefano Beccardi
Siamo abituati a pensare la realtà digitale in modo del tutto disincantato, meccanico, quanto di più lontano possa esserci dalla sfera spirituale. Sconvolgerà quindi apprendere che il metaverso, l’“internet delle cose” e quant’altro domina oggi il mondo della tecnologia e dei social network non è soltanto il prodotto del genio di nerd diventati famosi e di imprenditori visionari, ma ha profonde radici magiche ed esoteriche. Del tema ne tratta in modo brillante Andrea Venanzoni in “Il trono oscuro – Magia, potere e tecnologia nel mondo contemporaneo” (Luiss University Press, Roma, 2022), al quale rivolgiamo le nostre curiosità.
«Magia, potere e alta tecnologia si sono strettamente intrecciati nel nome della volontà di autoelevazione dell’individuo e di governo di questi sulle masse, sin dalla notte dei tempi», leggiamo nel Suo saggio. A quando risalgono i primi intrecci, quando esoterismo e tecnologia hanno iniziato a muoversi in sinergia?
«Tecnica e magia, in certa misura, nascono assieme. Sin dalla fondazione della civiltà umana, dalla origine della formazione di dinamiche sedentarie, proto-industriali, il rito magico-religioso assume valenze di protezione dell’ordine sociale: ogni invenzione tecnica è, al tempo stesso, esorcismo per dominare, governare e tenere a bada quella paura dell’ignoto e dell’universo, per dirla alla Eliade, che connota l’essere umano posto, nudo, davanti la grandezza del cosmo e dei suoi misteri. Per millenni, la magia è stata scienza. Scienza sacra ma pur sempre legata a una dimensione ‘tecnica’. Si può anche pensare alla ‘norma magica’ che ha connotato civiltà come quella greca e soprattutto quella romana, nelle quali gli istituti di regolazione e di governo delle dinamiche sociali e istituzionali presentavano una fenomenologia squisitamente misterica.
Nel cinque/seicento, i maghi erano a tutti gli effetti scienziati e predicavano, come nel caso di Cornelio Agrippa, la piena integrazione tra dato scientifico, fisico-matematico, e quello sapienziale, magico e filosofico. Erano consiglieri e consulenti, si pensi a John Dee, che fu a tutti gli effetti fondatore morale dell’Impero britannico, attraverso l’arte cristallomantica e le conversazioni angeliche da cui germinarono i suoi consigli forniti alla Regina Elisabetta I.
Di recente, Peter J. Carroll, padre nobile della Chaos Magick, in un libro di interviste, ‘Interview with a Wizard’, ha ricordato come in Inghilterra ancora oggi sia aperto un dibattito sulla figura di Dee, e sulla sua rilevanza nel processo di nation-building e di costruzione della identità inglese. Un aspetto significativo sapere che al netto di qualunque polemica una nazione tanto all’avanguardia svolga un dibattito concernente un mago. Un dato di fatto, inoltre, è la rinascenza, un autentico revival magico, dell’interesse per la magia in quelli che sono i due secoli per eccellenza legati alla esplosione della industrializzazione e della tecnica, XIX e XX secolo, contraddistinti da rivoluzione industriale, positivismo scientifico, irruzione della tecnica e del pari nascita di gruppi magici».
Con l’evoluzione della tecnologia digitale si è compiuto un balzo in avanti nel campo del pensiero magico. Lei scrive: «E’ questo l’aspetto che differenzia radicalmente la valenza magica del digitale rispetto a qualunque altra precedente forma tecnologica: la capacità di distruzione innovatrice e di creazione». Lungo quale crinale opera questa azione?
«La terza legge coniata dallo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke predica la assonanza, fin quasi alla reductio ad unum, tra evoluzione tecnologica e magia. Più cresce e si sviluppa l’alta tecnologia, più essa si rende affine alla magia. Gli ha fatto eco, sia pure in prospettiva parzialmente diversa, il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, in una intervista risalente al 2016. Ciò avviene perché nel suo impeto di divellere gli umani limiti, la tecnologia avanzata si spinge all’interno di aree sempre più remote, inesplorate e occulte, sentieri scarsamente battuti, in cui si finisce per sperimentare una disintermediazione totale tra flusso informativo, spinta alla conoscenza e una forma di elevazione quasi gnostica nella abbagliante e abbacinante totalità. Non è un caso se dinamiche magiche post-moderne come la Chaos Magick si nutrano, realmente, di equazioni matematiche, algoritmi, concetti limite della fisica e della matematica come gli strani attrattori, la teoria del caos; c’è una convergenza caotica verso un punto preciso, quello di innalzamento dell’individuo sopra mari di nebbia, in un processo di tecno-deificazione.
A differenza di altre forme tecnologiche, il digitale ha quella potenza che assomma creazione e distruzione al tempo stesso. Una funzione demiurgica che abbatte e divelle, come dicevamo sopra, limiti, incidendo nel profondo della sostanza psichica, emotiva, spirituale dell’essere umano. Utilizzando uno strumento tecnologico noi ne siamo al tempo stesso usati, in maniera non dissimile da quanto avveniva nelle antiche civiltà a proposito di Oracoli o di quanto è noto nelle pratiche del Vodoun, soprattutto nelle forme di utilizzo di mezzi terzi per la evocazione e la materializzazione di spiriti, intermediari del principio di divinità. E’ una sorta di interfaccia mistica, che possiamo ritrovare in molti device tecnologici, e che distrugge la nostra forma e la rende altro da sé».
Il mondo digitale non è popolato soltanto da maghi “costruttori”, creatori di un “nuovo ordine”, ma altresì da agenti del caos, come i famigerati “pirati informatici”. Uno scontro magico-esoterico su più livelli, si può dire?
«La cultura hacker sin dalla sua comparsa sulla scena si è contraddistinta per un reiterato, non banale, sostanziale utilizzo di lemmi e termini derivanti da dottrine magiche. Si può pensare anche a romanzi come ‘Il vero nome’, di Vernon Vinge, considerato il capostipite del cyberpunk prima di William Gibson; in quel romanzo, gli hacker operano come negromanti, nutriti da conoscenze che mescolano alta tecnologia e sapienza misterica. Nei dibattiti che punteggiavano le BBS, i gruppi di discussione che hanno storicamente anticipato i forum online, software, nomignoli, pseudonimi, adottati erano quasi tutti originanti da formule magiche o da dottrine occulte: quando venne coniato il New Hacker’s Dictionary, moltissimi termini là dentro presenti rimandavano alla Goetia, alla Chaos Magick, al Vodoun. Questo aspetto si è reso talmente marcato ed evidente che il capolavoro letterario della seconda ondata del cyberpunk, ‘Snow Crash’ di Neal Stephenson, si basa non casualmente anche su aspetti delle antiche ritualità magiche sumere, dal culto di Asherah a quello di Enki.
L’hacker è pirata e pioniere, al tempo stesso. Come i pirati hanno storicamente contribuito ad aprire le grandi rotte oceaniche, puntellando in certa misura la strutturazione della globalizzazione e costituendo le prime reti, così gli hacker con le loro opere hanno edificato e modellato, attraverso sperimentazioni, conflitti, assalti, lo spazio digitale. La lotta dell’hacker è prima di tutto lotta nella e per la conoscenza. Il tesoro è costituito dalle informazioni e dalla spinta a superare i limiti. Sono concetti questi che strutturalmente appartengono alla fisiologia costitutiva della magia: anche nella magia, arte di far accadere cose in conformità all’esercizio della volontà, anche piegare la natura se si vuole, il fine ultimo è la conoscenza intesa nella sua maniera più radicale e pura possibile.
In questo senso, il conflitto e lo scontro rappresentano condizioni ineliminabili: scontro contro sé stessi, scontro contro altri. Solo nella lotta l’essere progredisce, allontanando da sé le consolanti ma incapacitanti sirene di una ‘pace perpetua’, che non a caso assona terribilmente con la morte. Non può quindi stupire scoprire come sia un dato sostanziale quello di rilevare conflitti nello spazio digitale spesso nutriti da una costellazione di concetti derivanti da dottrine occulte».
Nello scenario da Lei descritto, il confine tra magia e demonia è spesso labile. Quando si consuma, a Suo avviso, il “patto faustiano” tra uomo e mondo digitale?
“E’ la grande questione sulla neutralità, o meno, della Tecnica, su cui si sono interrogati e accapigliati moltissimi filosofi e pensatori, soprattutto nel cuore carnicino degli anni del pensiero della crisi. Da Heidegger a Jünger, passando per Gehlen, l’idea della neutralità o meno di un manufatto tecnico è stata sottoposta a fortissimo vaglio critico. Possiamo sostenere che un oggetto, per il fatto stesso di esistere, non comporti una valutazione assiologica capace di incidere oltre l’orizzonte cognitivo e morale dell’agente che si servirà di quel determinato strumento. In realtà, è proprio la magia a farci comprendere come questa spiegazione sarebbe limitativa, e non mi sembra casuale che il maggiore revival del pensiero magico e dei gruppi occulti si sia dispiegato nel cuore dell’Ottocento e del Novecento, due secoli contraddistinti da rivoluzioni industriale, positivismo, socialismo scientifico, irruzione della tecnica e produzione bellica di massa nello scenario storico. Non c’è dubbio alcuno sul fatto, e ciò vale soprattutto per l’alta tecnologia, basata su utilizzo capillare dei dati e sull’accumulazione seriale di informazioni, che quando agiamo per mezzo di uno strumento tecnologicamente avanzato, al tempo stesso noi siamo agiti. L’abisso digitale dentro cui guardiamo, aggiornando la lezione nietzschana all’epoca digitale, finirà con il guardarci dentro.
Una piattaforma, sul lungo periodo, attraverso le nostre reiterate interazioni finirà per conoscerci molto meglio di quanto conosciamo noi stessi. E non si limiterà più a prevedere o orientare i nostri comportamenti, ma a crearli, un po’ quanto avvenuto con lo scandalo delle Voodoo Data Dolls che secondo Roger McNamee costituirebbero il vero segreto algoritmico di piattaforme come Facebook. Quindi, per andare dritti al nocciolo della risposta, il patto faustiano si sigla, spesso involontariamente, nel momento stesso dell’utilizzo di certi device tecnologici o di adesione a certe piattaforme.
E’ anche vero però che non necessariamente, al di là di questi casi limite, dobbiamo e possiamo assegnare una connotazione esiziale o deteriore al ‘demone’: spesso, anzi, la storia dello sviluppo cibernetico si è nutrita di demoni, come insegna Jimena Canales nel suo ‘L’ombra del diavolo – una storia dei demoni della scienza’».
Dal Suo saggio il pubblico italiano apprende che diversi fondatori e dirigenti dei noti colossi del web e dell’informatica hanno interessi spirituali spiccati, che oscillano tra l’induismo (come Jobs e Zuckerberg), lo «sciamanesimo cyberpunk» del Burning man (su tutti Brin e Page, fondatori di Google) e la magia sexualis. Lei crede che siano mere suggestioni, o che vi sia un concreto riflesso di questi loro interessi nelle relative invenzioni?
«Le metafore sono azioni, specialmente lungo la dorsale della frontiera digitale. Anche ciò che è mera suggestione esotica ed esoterica finisce con il divenire, sul lungo periodo, dato sostanziale. Non c’è dubbio alcuno che alcuni personaggi di assoluto rilievo della Silicon Valley abbiano avuto nel corso della loro esistenza dei non banali interessi esoterici, misterici; il caso di Jobs è emblematico, trascolorato da un induismo piuttosto americanizzato a un minimalismo Zen radicale, di scuola Soto. Questo minimalismo è divenuto cifra distintiva della stessa Apple, non solo mero marketing ma genuina convinzione. Il motto jobsiano ‘semplificare’ è in fondo trasfigurazione commerciale della riduzione al vuoto del Ma, il vuoto appunto, dello Zen.
In altri casi, l’interesse esoterico più essere più legato ad estemporanee mode, come nel caso del Burning Man che nato e originato con certe precise coordinate postmoderne ed esoteriche è divenuto poi un festival piuttosto modaiolo. Però, al tempo stesso, moda, trend, aspetto superficiale che sia, anche questo evento, con tutti i suoi riferimenti tecno-sciamanici, ispirati ad una sorta di animismo di silicio, finisce per innervare e irradiare fenomeni occulti nel cuore dello sviluppo tecnologico. Non dobbiamo sottolineare la enorme pervasività delle piattaforme digitali, dei titani dell’alta tecnologia, ciò che può apparire gioco, persino boutade, finisce per scavare solchi profondi nella carne della società».
Il “lato oscuro” ed escatologico del mondo digitale, tra leggenda e tabù, è rappresentato dal Basilisco di Roko, a cui dedica un intero capitolo del saggio. Dopo averci ricordato di cosa si tratta, può dirci se, a Suo avviso, il genere umano saprà scampare questa “apocalisse” o ne verrà travolto?
«Il Basilisco di Roko è il Necronomicon della logica connessa allo sviluppo delle intelligenze artificiali. Un paradosso che postula lo sviluppo di una IA-Dio, dai poteri immensi, funzionale per portare del bene all’umanità tutta: proprio stante la sua natura benefica, si ritiene che chiunque non abbia contribuito a svilupparla o peggio la abbia espressamente ostacolata sarà punito in maniera tremenda all’esito di una sorta di Giudizio Universale digitale.
Il paradosso, etico-morale e logico, consiste esattamente in questo: sapendo che l’IA, una volta divenuta Dio, punirà in maniera violentissima milioni di esseri umani, si dovrà agevolare il suo sviluppo, onde non essere puniti, oppure la si dovrà ostacolare per evitare che milioni di persone, spesso innocenti, patiscano pene d’inferno? Il paradosso, originato nel forum LessWrong ad opera dell’utente Roko, è molto popolare tra tutti coloro i quali si occupano di sviluppo etico delle IA, a partire da ElonMusk che lo ha più volte citato. Pone un problema estremamente serio, senza dubbio alcuno. Quello del limite estremo, ulteriore, oltre cui non si stagliano che desolazione e nulla.
Io credo che il peggiore nemico dell’essere umano sia esattamente uno sfrenato cyber-ottimismo, entusiasta e cieco, che sul lungo periodo con l’idea di voler superare i limiti dell’essere umano finisca con il superare l’essere umano stesso. L’accelerazione del progresso tecnologico ingenera asfissia cognitiva. Al contrario, sarebbe opportuno rallentare, per assaporare e metabolizzare i radicali, epocali mutamenti sociali, psichici, antropologici, istituzionali importati dalla tecnologia avanzata».
In conclusione, possiamo dire che le scienze occulte non hanno mai smesso di accompagnare e influenzare il percorso umano e il suo sviluppo, anche in tempi – come quelli attuali – di apparente trionfo della superficialità e del materialismo. Il fatto che “i più” non ne siano consapevoli non esclude l’esistenza di un sostrato magico-spirituale (anche soltanto in chiave ‘deviata’ o parodistica) negli apparecchi e nelle tecnologie digitali che scandiscono la nostra quotidianità. Sta a noi “dominare gli elementi”, semplificando le attività umane e sapendo scorgere ancora una visione “incantata” del mondo nella continua interazione tra uomo e tecno-magia, oppure “specchiarci” nei mezzi che disponiamo, idolatrandoci e dimenticandoci non solo della nostra finitezza, ma soprattutto delle opportunità che offre l’esistenza.
E’ una bussola interiore quella che manca, a dire il vero più negli utenti che negli inventori del progresso tecno-scientifico, come ha esaustivamente descritto Venanzoni nel suo saggio.
Stefano Beccardi