Sibilla Aleramo e un amore degli anni Venti: riflessioni sul testo di Simone Caltabellotta – Stefano Eugenio Bona
Alcune letture le si intraprende per il nucleo centrale della proposta, per poi trovarsi piacevolmente coinvolti anche dallo stile dell’insieme, scorrevole, accattivante. L’occhio del narratore è elegantemente presente nella materia trattata, si sente la sua profonda ricerca per il periodo e per l’unicità degli intrecci tra le varie, notevoli personalità dell’ambiente romano gravitante intorno alle riviste di studi iniziatici. Simone Caltabellota compie un excursus ricco di fascino, passando per lo snodo di Sibilla Aleramo, da Prezzolini definita “lavatoio sessuale della letteratura italiana”, a causa dei suoi innumerevoli flirt (e del suo comportamento da donna “emancipata” e “moderna”, per l’epoca), tra cui si annoverano Dino Campana, Lina Poletti, Eleonora Duse, Franco Matacotta, Tullio Bozza, Vincenzo Cardarelli, Giovanni Papini, Giovanni Boine, Clemente Rebora, Umberto Boccioni, Salvatore Quasimodo e bla bla bla. Autrice, tra l’altro, del primo romanzo femminista italiano “Una donna”. Prima Julius Evola poi Giulio Parise furono suoi amanti. Nel libro si utilizza una documentazione atta a farci comprendere certamente molto di più, rispetto alla sola considerazione estetico-etica di una liaison amoureuse. Un amore degli anni Venti non è ovviamente (solo) un romanzo, la materia è storia di anime e di un ambiente preciso nel tempo, ove l’autore usa espedienti narrativi solo per collegare i vari punti. In realtà il narrato parla attraverso una multiforme autorialità: di ricerca, di organizzazione narrativa, estetico-compositiva, nei toni, nella costruzione finale di un libro che scorre (rara avis) come acqua di fonte. Delicato nel riportare le situazioni, mai lasciandosi andare ad interpretazioni fantasiose, ma al contempo fornendo nuovi spunti agli studiosi di quella stagione unica. Come dice Caltabellota, è una Roma che si può solo immaginare, ma che non stenta a prender vita in chi la sente familiare. Così possiamo immergerci nella meravigliosa cornice culturale della Roma di quegli anni e raffigurarci i luoghi di ritrovo: le Grotte degli Avignonesi, centro delle serate futuriste romane, e poi quelle dell’Augusteo, ove si davano appuntamento i dadaisti. Poi le sale teosofiche, i salotti dei palazzi nobiliari. Evola passò da tutti questi luoghi facendo parlare sempre e molto di sé, in ogni termine.
Colpisce la legenda all’inizio del libro: come in una pièce tetrale, si elencano i “personaggi principali”, presentati ad un pubblico non solo di specialisti. La riportiamo. Oltre alla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio, scrittrice, 1876-1960), ad Evola (pittore, filosofo ed esoterista, 1898-1974) e a Parise (studioso di alchimia, esoterista e mago, 1902-1969), troviamo Arturo Reghini (matematico, filosofo, pitagorico e mago, 1878-1946) la Marchesa Livia Picardi (amica di Sibilla Aleramo e amante di Evola e Parise, 1885ca.-1965ca.), Amedeo Armentano (musicista, ierofante pagano e capo della scuola pitagorica italiana, proprietario della Torre Talao, 1886-1966), Arturo Onofri (poeta e antroposofo, 1885-1928), il Duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò (uomo politico antifascista tra i capi della secessione dell’Aventino e studioso di esoterismo, 1878-1940). La materia viva di quel periodo è riportata in maniera documentaria ed al contempo con uno stile fresco, avvincente, mai ritorto su stesso a dimostrare o a notificare a margine tesi, antitesi; mai ad elucubrare teorie bizzarre e totalmente aleatorie sulle personalità in gioco (come si sente talvolta in taluni settori). Il libro si srotola leggiadro dalla prima all’ultima pagina. E sì, a livello tecnico questo non è un romanzo. Le tracce dal diario, dalle opere edite ed inedite non sono citazionismo, ma fili di una trama di vita vissuta, i protagonisti del libro sono trasposti con rara incisività, sembra di toccare con mano i caratteri in gioco. Rievocando la genesi del suo interesse per una vicenda apparentemente secondaria, l’autore ha fatto ampio lavoro archivistico: attraverso l’Archivio Aleramo, in fascicoli della polizia politica fascista, in note a piè pagina di libri e articoli, annuari e riviste, attraverso racconti dei pochi superstiti di quegli anni.
“La storia d’amore tra una grande scrittrice ed un giovane mago”, “una storia che non è mai stata raccontata”. Rotare intorno a questa storia d’amore, promessa, mancata eppur consumata e sbocconcellata, fa respirare molto più a fondo di tante disamine sterili su questioni opinabili o dottrinarie di parte. Caltabellota porta i fatti alla luce, l‘insolito alla ribalta. La donna ardente propugnatrice del proto-femminismo e il Circolo dei Magi comunicavano su piani troppo diversi. Da lì la possessività della scrittrice, il disincanto di Giulio, che vorrebbe meno sentimentalismo. “È occorsa la tua infinita seduzione perché io non fuggissi quando ho saputo che eri anche tu della setta dei Magi…” – ciò che scrive in Amo, dunque sono, per paura d’incappare per la seconda volta in una personalità come quella di Evola, incontrando il Parise.
Molto ficcanti stralci come questa lettera inedita senza data (ca. 1925): “So cose che tu ignori, che non ti dirò, e per le quali il mio amore non cede. Fra te e me, in quest’ora, forse la più disumana son io, anche perché l’umanità che in me mortifico è più ricca della tua”…Sibilla Aleramo a Julius Evola…Quella verso Evola è una relazione figlia di un subitaneo trasporto, presto mortificato e congelato, ma che lascia strascichi e un distacco violento. Mentre allontanamento, dal cuore della Aleramo non ci fu mai del tutto verso Parise, e nel libro si mostra come rimase speranzosa anche ben dopo il periodo centrale del loro amore, corrisposto da Parise con un metro comune più vicino rispetto a quello di Evola, che la Aleramo in “Amo, dunque sono” ritrarrà con grande ripugnanza. Nel libro curiosità interessanti come la visita della Aleramo a casa di Bruno Tellegra (Evola in Amo, dunque sono), con il segnapagine su un trattato antico di magia aperto, che ravvisa in realtà come legaccio per i capelli con cui li aveva legati e mandati romanticamente a lui…Bruciati poco dopo. “Portai nelle nari, per giorni e giorni, quell’atroce odor d’etere”. Lungo tutto il testo segnaliamo molti dettagli, vista la perizia nella ricerca: così si può immaginare Parise pronto a spogliarsi per la Aleramo nel salotto della Picardi…Esemplificativi sono alcuni passaggi di Amo, dunque sono, ove significativamente Parise (Luciano nel romanzo) confida alla scrittrice di vederla di natura angelica, per questo rifiutata dal Tellegra-Evola, più propenso a farsi affascinare da donne demoniche come Piera Vasco (la Marchesa Picardi qui trasfigurata).
Poi alcuni snodi importanti per la biografia di altre personalità in gioco, come per avere ulteriori sfumature da inserire in una storia della cultura italiana del Novecento. Ad esempio sottolineare la fine di un ciclo, simbolicamente, con la morte di Onofri nel 1928. Non sarà un caso che La Torre aprirà con una sua lirica, pur uscendo postumo. Il poeta romano era figura carismatica e dalla poetica unica, in questo libro compare ogni tanto come contraltare e amico dei protagonisti, rispettato per il suo rigore, per la sua libertà interiore, al di là delle scelte di campo, nella via spirituale abbracciata. Proprio questo è un punto di grande interesse: in Ur confluirono esperienze diversissime. Per chi mantiene il vivo interesse su questo momento irripetibile, per chi ben comprende queste personalità nelle proprie simpatie, amicizie e collaborazioni, sono da segnalare altri episodi divertenti, come quando compaiono tracce di discorsi preparati dalla Aleramo per Arturo Onofri, affinché questi parli con Parise e lo convinca a stare con lei….Il Gruppo di Ur aveva in Colonna di Cesarò un esponente antifascista, per cui vi sono accenni doverosi all’attentato al Duce, quello da parte della irlandese Violet Gibson, forse ispirata dal Duca e da una manovra di “catena”. A questa supposizione sarà lo stesso Mussolini a prestare orecchio e Caltabellota, giustamente collega il fatto all’apprensione mostrata verso riviste come Ur e Krur, ove poteva subodorare minaccia proprio per gli scritti sulle “catene magiche”.
Gli esercizi dati da Parise all’Aleramo, i soggiorni del giovane mago dal maestro Reghini in Calabria, i chiaroscuri di quelle esperienze interpretati dalla scrittrice, che non aveva il gergo e la dimestichezza con ciò che esperiva il “Circolo dei Magi”, la passione complicata per Evola che si tramuta in incomprensione, fino a fuggire al solo pensiero di “Bruno Tellegra”. Ma anche Parise non potè e non volle abbandonarsi all’amore per lei, nonostante una bella pagina del libro in cui si evidenzia un punto saliente: il diverso valore dato all’elemento femminile da Jules e da Giulio, fin dai tempi di Ignis. Il dissidio sfociato in Ur ha ben campo già qui, anche in una visuale prettamente di distanze concettuali. L’eterno scontro tra l’Io autosufficiente evoliano e la visione mistico-passiva di qualsiasi entità, in questo caso esemplificata da un lacerto di Visione di Parise, testo comparso sul primo numero di Ignis (uscito ad inizio del 1925), proprio insieme a “La donna come cosa” del Barone. Giulio non sarà attratto a tal punto da abbandonare tutto per lei: non è da mago, né Sibilla fu tipologia di donna con cui formare una famiglia (visto che a differenza di Evola, Parise la fece), troppo umbratile, possessiva, ardente non di una fiamma realmente unitiva, ma di una parte sensibile semplicemente ipereccitabile, anche questo traspare dal ricco racconto di Caltabellota. Si tratta pur sempre di un rapporto con un iniziato e la Aleramo, sempre nel romanzo, annota: “Mi dicesti che normalmente il rapporto fisico con la donna ti estrania da lei ancor di più….Ma io voglio che il nostro amore sia più forte della tua “norma”! La scrittrice dentro un’incessante operazione di convincimento a far accettare l’amore per la sua femminilità, supplicando Giulio a non estraniarsi in quell’ ”opera magica che ti rende immune dalle fiamme”…Lei aveva solo un’intima certezza (da una lettera da Salsomaggiore, dell’11 luglio 1926): ”Non so se son stata donna, non so se son stata spirito. Son stata amore…”.
Parise si lamentava espressamente del tono tormentoso della Aleramo; non era evidentemente il temperamento a lui congeniale…In una lettera dell’agosto ‘29 Giulio tronca di fatto i rapporti, esprimendo il suo disappunto: non può essere compreso da “coloro che non mi sono compagni nella via dello spirito…”. Nel diario della Aleramo testimonianze straordinarie sulla tensione che dovette esistere, sugli spasmi strazianti di una storia d’amore lacerante, poi le Prove I e II, ove Sibilla volle a tal punto star vicino al giovane mago, da accettare il percorso per lei stabilito. Ma alla fine la scrittrice rifiuta di “consegnare mani e piedi ad una forza trascendente. È quello che mi rimprovera anche Onofri. Onofri che a tale forza dà il nome di Cristo, in antitesi a Luciano che la sente invece come fuoco pagano”. “ La mia poesia nasce dalla mia passione di donna. Non posso snaturarmi. Folle è Onofri, folle è Luciano, ma in ambedue il delirio è lucido. In me, se mi lasciassi afferrare, diverrebbe tenebra.”. A latere, ma non troppo, della storia d’amore Parise-Aleramo, che occupa il maggior numero di pagine, il momento della grande frattura in seno ad Ur. Da una parte Parise (e il maestro Reghini), dall’altra Evola. Quello che il libro suggerisce è come la causa della distanza tra i due, continuata anche ben dopo il Gruppo di Ur, fosse in gran parte dovuta a dissidi di orientamento, per altro incentrata su una vicenda molto umana.
Nel ‘27 Evola e Parise sono ancora in buoni rapporti, come testimoniato da una lettera inviata alla Aleramo, firmata da entrambi. Successivamente, quel qualcosa che si ruppe tra Reghini-Parise ed Evola non fu nemmeno scatenato soltanto dalla pubblicazione di Imperialismo Pagano (Caltabellota riporta una lettera di Reghini ad Armentano dove il fiorentino si lamentava per le copiature…). Il 1928 è comunque l’anno fatale: in primavera il tentativo di forzare le cose e disperatamente distogliere il fascismo dal cattolicesimo, in autunno lo scioglimento della compagine, fatto che avrà molti strascichi, anche legali. L’astio di Parise per quel “tale”, come lo nominerà, testimonia una frattura apparentemente dovuta al motivo centrale, ovvero se la compagine massonica potesse trovare voce o meno attraverso Ur. Ovviamente anche Evola ricorda poi il “tentativo subdolo di togliermi la mano da elementi che mantenevano in vita la massoneria…Il tentativo fallì ma Parise uscì dal gruppo mantenendo oscuri vincoli con un individuo sospetto”.
La cosa che Evola non perdonerà mai, fu quando ritrovò in un articolo di giornale firmato Reghini, alcune sue frasi scritte per quell’amante così particolare…Quindi questi due elementi, con magari antipatie personali a priori e forse qualche altra sfumatura non rintracciabile tra i documenti. Di certo ci fu che con Manovre di Massoni su Roma Fascista, Evola diede la stoccata finale (delatoria) contro Reghini…Ove cita sarcasticamente il libro della Aleramo con titolo storpiato: Omo, dunque sono…E di fatto l’articolo scatenò una sorveglianza speciale su Reghini e Parise. Sul finale, si cerca di far Luce (in tutti i sensi…) sulla vita di Parise, visto che “semplicemente aveva voluto sparire”. “Scrivere il meno possibile”…Poiché dopo la fine dell’epoca d’oro delle riviste, a Parise compete un’azione solitaria, legata comunque a doppio filo al maestro Arturo Reghini, per cui scrisse la nota introduttiva alle Considerazioni sul Rituale dell’apprendista libero muratore, il necrologio del 1947 e si curò di far uscire per Ignis I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica. Poi dagli anni ’50 è il silenzio più denso e fitto. L’ambiente esoterico tornerà nelle memorie della Aleramo in un ultimo romanzo: Il Frustino. Torna quindi quel giovane che voleva “superare la natura..dominare il desiderio”. Un eterno rimpianto mai sopito del tutto.
Infine l’episodio della caccia alla tomba in quel del Verano…E la ricerca su una verità più profonda, su quella traccia di grande silenzio, su quell’aura così difficile da penetrare, porta il Nostro fino dal figlio ancor vivente del Parise (Lucio, l’altro fu Elio) in un corollario delicato, di confidenze e ricordi ancora nitidi…Le immagini sul rapporto difficile col fascismo…I ricordi dello zio Arturo (così alto che sembrava di toccare il cielo…) che lo prendeva in braccio, a Bolsena, ove la famiglia si rifugiava, mentre il padre Giulio svolgeva in giro la funzione di attivista del Partito d’Azione. Per tutto questo va lodato un lavoro meticoloso, mirato a far combaciare tanti pezzi sparsi. Metterlo in forma romanzata lo ha reso accattivante. Sul finale anche suggerimenti di lettura per ulteriori approfondimenti; mentre chiudiamo il volume non possiamo far altro che rimanere come lo stesso autore: con il bandolo della matassa non del tutto sciolto, come se nel proprio silenzio, Giulio Parise avesse trascinato quel qualcosa che ha scatenato la ricerca e che tuttavia rimane ancora da cogliere. Poiché Un amore degli anni Venti avverte fin da subito: “Ogni volta che avevo l’impressione di essermi avvicinato un po’ di più, improvvisamente Giulio sembrava sfuggirmi, come se la sua volontà di scomparire dalla scena della Storia e del ricordo si mantenesse comunque più forte di qualsiasi tentativo di ricerca: in alcuni momenti avevo anzi la netta impressione che non volesse essere trovato”.
Stefano Eugenio Bona