Mithra e la misteriosofia romana della Luce – Luca Valentini
Sguardi sull’Invisibile: incroci artistici e sapienziali su Evola, Martinato e Nitsch – Luca Violini (*)
Con profonda emozione ho preso parte alla conferenza ‘Sguardi sull’Invisibile Julius Evola, Hermann Nitsch, Lara Martinato‘, tenutasi presso il prestigioso Circolo Ufficiali nel suggestivo Palazzo Storico Cusani di Milano, a cura del prof. Luca Siniscalco. Questo evento ha avuto un significato particolare per me, poiché proprio tra le mura di questo palazzo ho svolto il servizio militare nel lontano 1991. La combinazione di questo contesto storico e della tematica affrontata nella conferenza ha reso l’esperienza ancora più intensa e significativa. Le opere discusse nella conferenza manifestano in modi diversi la volontà di potenza, un concetto affascinante e complesso che emerge attraverso le lenti uniche di Julius Evola, Hermann Nitsch e Lara Martinato. La volontà di potenza è un concetto filosofico centrale nel pensiero di Friedrich Nietzsche. Essa rappresenta la forza primaria che anima la vita e che spinge ogni individuo ad affermarsi e a superare i propri limiti. Nietzsche non definisce la volontà di potenza in modo univoco. Tuttavia, possiamo individuare alcuni aspetti chiave di questo concetto:
- non è una semplice brama di potere: la volontà di potenza non si limita al desiderio di dominare gli altri. Essa è piuttosto una forza vitale che spinge ogni individuo a crescere, a espandersi e a superare se stesso;
- una forza impersonale: la volontà di potenza non è una proprietà individuale, ma piuttosto una forza universale che opera attraverso tutti gli esseri viventi;
- è una forza creativa: la volontà di potenza è la fonte della creatività e del divenire. È ciò che spinge gli individui a superare le proprie barriere e a creare nuove forme di vita;
- è una forza tragica: la volontà di potenza è intrinsecamente legata al conflitto e alla sofferenza.
La lotta per l’affermazione di sé implica necessariamente lo scontro con gli altri e la possibilità di soccombere. Julius Evola , ha elaborato una propria interpretazione della “volontà di potenza” nietzschiana, inserendola nel contesto della sua visione tradizionalista e spiritualista. Per Evola, la volontà di potenza non è una semplice brama di dominio o di sopraffazione. Essa è piuttosto
una forza metafisica che pervade l’intera realtà e che si manifesta in diversi modi:
- come anelito all’assoluto: La volontà di potenza è la spinta che muove l’uomo verso il superamento di sé e la realizzazione del proprio destino spirituale;
- come principio di gerarchia: La volontà di potenza si manifesta nella gerarchia naturale che esiste tra gli esseri, in cui i più forti e i più capaci sono destinati a guidare e dominare;
- come lotta contro il nichilismo: La volontà di potenza è l’unica forza in grado di contrastare il nichilismo e la decadenza della modernità.
Evola distingue due tipi di volontà di potenza:
- Volontà di potenza ascendente: È la volontà di potenza orientata verso il superamento di sé e la realizzazione del proprio destino spirituale;
- Volontà di potenza discendente: È la volontà di potenza orientata verso il dominio e la sopraffazione degli altri.
Evola esalta la “volontà di potenza ascendente” come la forza che permette all’uomo di superare la propria individualità limitata e di realizzare la propria vera natura immortale. In virtù di quanto detto Julius Evola intraprende un viaggio intellettuale alla ricerca di una dottrina che pone la potenza e l’energia al centro della realtà. In questa concezione evoliana, la realtà non è considerata un’illusione o una manifestazione divina, bensì un’espressione di potenza in continua evoluzione. Tale prospettiva conduce Evola a identificare nel Tantrismo orientale una filosofia affine con la tradizione occidentale, in particolare con la visione eroica e aristocratica a cui egli stesso si ispira. Evola pertanto dedica ampio spazio alla “via della mano sinistra” (Vamachara), un ramo del Tantrismo che utilizza tecniche rituali e sessuali per raggiungere l’illuminazione. Evola interpreta questa via come un percorso per l’uomo virile e prometeico che non si accontenta della passività e della contemplazione, ma vuole realizzare la propria potenza e il proprio dominio sul mondo. L’uomo virile e prometeico è un concetto filosofico che ha le sue radici nella mitologia greca e nella filosofia occidentale. Nella mitologia greca, Prometeo è un titano che ruba il fuoco agli dei e lo dona all’umanità. Questo atto di ribellione contro l’ordine divino rappresenta l’audacia, la sfida e la capacità di autodeterminazione dell’uomo.
L’uomo virile e prometeico è visto come un individuo che:
- rifiuta la passività e l’obbedienza alle norme e alle autorità;
- assume la responsabilità del proprio destino e si batte per la propria libertà;
- cerca di superare i propri limiti e di raggiungere la massima espressione di sé;
- è consapevole della propria mortalità e la affronta con coraggio e stoicismo.
L’uomo virile e prometeico è un ideale che ha ispirato oltre a Evola pensatori e scrittori come Friedrich Nietzsche e Ernst Jünger in particolare Evola, con il suo tradizionalismo radicale, propone un ritorno a una visione aristocratica e spirituale della società, criticando aspramente l’età moderna come periodo di decadenza e degenerazione. La sua idea di “rivolta contro il mondo moderno” promuove la trasformazione individuale e sociale attraverso l’illuminazione spirituale. D’altra parte, Jünger esplora la figura dell’uomo virile e prometeico, incarnata dal concetto del “Lavoratore”, come un individuo che abbraccia il rischio e l’azione per raggiungere una forma superiore di esistenza. Contrapponendo questa figura alla massificazione e al nichilismo della modernità, Jünger si concentra sulla possibilità di una nuova umanità emergente dalla complessità del mondo contemporaneo. L’evoluzione della visione spirituale L’uomo virile e prometeico di Julius Evola ha richiesto un percorso che si è esteso per diversi anni, attraversando molte esperienze significative. Tra queste, spiccano le sue esperienze belliche durante la guerra e il suo coinvolgimento artistico nel movimento Dadaista. Questi momenti cruciali hanno contribuito a plasmare il pensiero di Evola, portandolo a sviluppare una
prospettiva unica e complessa sulla natura umana e sulla realtà.
Il mito delle origini del movimento Dada si concentra su un unico individuo, il poeta e teorico Hugo Ball, e su un locale notturno chiamato Cabaret Voltaire, che aprì nel febbraio del 1916 a Zurigo, nella via Spiegelgasse. Inizialmente ispirandosi a locali simili in altre città come Monaco e Berlino, il cabaret offriva un variegato programma di eventi, che spaziavano dal canto di ballate popolari alla recitazione di poesie in stile espressionista. I primi membri del cabaret includevano Ball, la sua fidanzata Emmy Hennings, Tristan Tzara, Marcel Janco, Jean Arp e Sophie Taeuber. Presto si unirono al gruppo Richard Huelsenbeck, Walter Serner e diversi altri artisti e intellettuali. Gli eventi messi in scena al Cabaret Voltaire inizialmente seguirono uno schema piuttosto convenzionale,
ma presto si trasformarono in provocazioni. Una performance particolarmente famosa, ricordata da Tzara, vide il pubblico coinvolto in un tumulto mentre Ball e Huelsenbeck esprimevano concetti audaci e inquietanti. Questi eventi enfatizzavano la rottura e il rinnovamento, concetti centrali per il Dadaismo. La parola “Dada” secondo Huelsenbeck rappresenta il primo suono pronunciato da bambino- Pertanto suono di un bambino esprime la primitività, l’inizio a zero, il nuovo .L’arte dai Dadaisti stessa veniva vista come un’assurda combinazione di affermazione e negazione, rappresentando una sorta di stato primordiale simile al Tao o alla natura primordiale dello Dzogchen.
Il termine “Dzogchen” trae origine da due parole tibetane: la prima parte, “dzog”, assume un doppio significato. Da un lato, rappresenta l’idea che “tutto è finito, non rimane nulla indietro”, suggerendo un senso di completezza e totalità. Dall’altro, implica che “tutto è perfetto, tutto è già presente in modo potenziale”, suggerendo un’essenza di perfezione intrinseca che attende di essere rivelata. Questa doppia interpretazione riflette la profonda complessità e la ricchezza concettuale del Dzogchen, che invita alla riflessione e all’approfondimento della propria comprensione del mondo e della realtà. Inolre il riferimento Il riferimento di Huelsenbeck al suono di un bambino è significativo. Esso suggerisce la spontaneità e l’innocenza del linguaggio infantile, riflettendo così l’aspirazione del movimento Dada a liberarsi dalle restrizioni e dai significati convenzionali dell’arte e del linguaggio. Inoltre, il suono di un bambino simboleggia un nuovo inizio, una speranza di liberazione dalle strutture oppressive del passato. Questi concetti hanno contribuito a plasmare il Dadaismo come un movimento d’avanguardia, impegnato a sfidare le convenzioni artistiche e sociali dell’epoca e ad attrarre per un certo periodo Evola Paesaggio Dada n. 1″ di Julius Evola adotta un approccio pittorico primitivista e infantile, caratterizzato dall’uso di colori vivaci e forme distorte. La sua tecnica richiama l’innocenza e la semplicità dell’arte infantile, mentre le forme distorte aggiungono un tocco di surrealismo e provocazione. Inoltre, l’opera include elementi di collage, con frammenti di immagini e parole che si mescolano in un effetto di disordine e frammentazione, creando così un’atmosfera di caos e ambiguità Il quadro è intriso di simbolismo e rappresenta un affascinante viaggio attraverso un paesaggio mentale surreale e distorto. In questo quadro, Evola trasforma elementi visivi ordinari in simboli carichi di significato, invitando lo spettatore a immergersi in un mondo di enigmi e suggestioni.
Sono due gli elementi che catturano particolarmente la mia attenzione: l’assenza di una figura umana e la presenza imponente di un pianoforte. Un quadro senza figure umane, ma carico di simbolismo: è l’opera che cattura l’attenzione e invita a riflettere sulla condizione primigenia dell’uomo e sulla sua natura primordiale. Un piano a sinistra rappresenta il suono primordiale, vibrazione originaria da cui, secondo alcune correnti della scienza sacra , l’universo stesso ha avuto origine. Il pianoforte, con la sua capacità di creare una vastità di suoni ed evocare emozioni profonde, si avvicina a questa idea di suono primordiale o universale. L’opera suggerisce inoltre una connessione tra il mondo materiale e quello spirituale: il suono del pianoforte diventa una manifestazione tangibile dell’espressione umana e dell’esperienza interiore. Uno strumento che simboleggia il processo di trasformazione e di connessione con il divino attraverso la musica e il suono. Un’interpretazione affascinante che invita a esplorare le profondità dell’animo umano e il potere evocativo della musica. Il dipinto cattura la perfezione primordiale della natura che si manifesta attraverso suoni, forme e colori. Ma contemporaneamente, emerge anche la coscienza. I suoni, i raggi luminosi e le sfumature di colore si presentano quasi come oggetti tangibili, mentre la coscienza agisce come il soggetto osservante. È come se entrambi si svelassero nello stesso istante, creando un’esperienza unica e fugace.
Tuttavia, nonostante questa bellezza, c’è un aspetto più profondo da considerare. Quando la coscienza interagisce con questi elementi sensoriali, tende a percepirli come entità separate, come oggetti distinti da osservare. È il momento in cui nasce quel sottile senso di ignoranza, quando la mente inizia a interpretare ciò che vede come qualcosa di indipendente e separato da sé stessa.
Questa percezione influenzata dall’ignoranza colora ogni aspetto della nostra esperienza. Ciò che vediamo, udiamo, gustiamo o tocchiamo è distorto dall’inganno della mente, creando una sorta di
“Visione Impura”. È una condizione intrinseca alla nostra vita, una realtà da cui non possiamo scappare, che permea ogni aspetto delle nostre attività e pensieri. In fondo, il dipinto ci offre uno sguardo su questa complessa interazione tra la purezza primordiale della natura e la distorsione dell’ignoranza umana. È un invito a esplorare la profondità della nostra percezione e a cercare una comprensione più profonda di noi stessi e del mondo che ci circonda. Evola ritornerà spesso su questo tema in particolare La parole obscure du paysage intérieur ‐ Poème à 4 voix è un poema scritto in francese dal filosofo e pensatore tradizionale Julius Evola appartenente alla fase artistica dell’autore. È lo stesso autore a stamparne 99 copie numerate sotto l’etichetta di Collection Dada nel 1931.
“Le parole oscure del paesaggio interiore” di Julius Evola
L’opera “Le parole oscure del paesaggio interiore” di Julius Evola è un testo filosofico e esoterico che esplora i temi della spiritualità, della conoscenza interiore e della trasformazione personale. Attraverso un linguaggio simbolico e metaforico, Evola invita il lettore a esplorare i confini tra il mondo visibile e quello invisibile, suggerendo che dietro la realtà apparente esista un mondo sottile e nascosto. Evola, maestro dell’esoterismo e della filosofia, ci conduce in un viaggio intraprendente attraverso i recessi più oscuri del nostro essere interiore. In questa prima parte del suo trattato illuminante, ci presenta il concetto affascinante del “paesaggio interiore”, un regno simbolico e misterioso popolato da immagini arcaiche e forze nascoste. Con abilità magistrale, ci rivela come l’uomo moderno, immerso nell’alienazione e nel caos della società contemporanea, abbia perduto il contatto con questa terra interiore, relegando le sue profondità nell’oblio. Tuttavia, Evola ci offre una via d’uscita, un cammino iniziatico che promette di rischiarare le tenebre interiori e trasformarle in fulgida conoscenza spirituale. Nella seconda parte del suo trattato, Evola ci invita ad esplorare le “parole oscure” che permeano il paesaggio interiore. Attraverso un’analisi penetrante, il filosofo affronta concetti come “morte”, “solitudine”, “abisso” e “sacrificio”, rivelando il loro significato profondo nel contesto della sua filosofia evoliana. Queste parole, spesso cariche di connotazioni negative, si rivelano essere pietre miliari nel percorso iniziatico dell’individuo, segnando momenti cruciali di confronto con le proprie ombre e di apertura a una dimensione spirituale superiore. Con la sua prosa incisiva e penetrante, Evola ci guida con maestria attraverso il labirinto della psiche umana, illuminando le vie della ricerca interiore e offrendo una guida preziosa per coloro che cercano la verità oltre le apparenze. Una tappa cruciale nel percorso evoliano è il confronto con le nostre ombre, quelle parti oscure e talvolta inaccettabili della nostra personalità. Questo aspetto spesso viene associato a Lucifero. Lucifero, noto come il portatore di luce, è il principe delle tenebre che incarna una doppia natura, sia luminosa che oscura. La sua ribellione contro Dio può essere interpretata come una metafora della ribellione dell’individuo contro le convenzioni sociali e religiose, un atto che conduce alla consapevolezza e alla crescita personale.
Nell’alchimia, Lucifero è talvolta equiparato alla “materia prima” o alla “materia nigra”, simboleggiando la materia grezza o non sviluppata, ma anche il punto di partenza del processo alchemico di
trasformazione e crescita spirituale. In questo contesto, Lucifero rappresenta l’aspetto oscuro e materiale della psiche umana che deve essere integrato e trasformato per raggiungere la piena realizzazione individuale. Di fronte a queste riflessioni sulle opere di Evola , non posso fare a meno di evocare il maestoso poema della Divina Commedia. Il maestoso poema della Divina Commedia, Dante Alighieri ci trasporta attraverso un viaggio epico e simbolico che abbraccia l’intero spettro dell’esperienza umana. Una delle scene più suggestive e cariche di significato è quella in cui, dopo aver superato il terribile regno di Lucifero nell’Inferno, Dante emerge da un passaggio a forma di imbuto, simboleggiando la discesa verso il centro della Terra, e si trova di fronte alle luminose terre del Purgatorio. Qui, nel cuore di questo regno di purificazione, Dante alza lo sguardo al cielo e contempla la stella di Venere, conosciuta anche come la stella di Lucifero. Questa immagine poetica è intrisa di significato, poiché Venere è tradizionalmente associata alla bellezza, all’amore e alla rinascita. Tuttavia, nell’alba del giorno, Venere appare come la stella del mattino, portatrice di luce e speranza, ma anche come la stessa stella che talvolta era identificata con Lucifero, il portatore di luce caduto. Questa dualità cosmica riflette la complessità dell’esperienza umana, in cui il bene e il male, la luce e le tenebre, si intrecciano in un intricato intreccio di significato. Dante, con la sua maestria poetica, ci invita a riflettere su questa dualità e a riconoscere che anche nelle profondità dell’inferno, c’è sempre la possibilità di riscatto e redenzione, simboleggiata dalla luce radiosa della stella di Venere che brilla nel cielo del Purgatorio.
Lara Martinato Quinta combinazione
La Quinta combinazione di Lara Martinato una talentuosa artista, cattura l’immaginazione e incanta gli occhi degli spettatori. Si tratta di un quadro magistrale, realizzato con maestria e abilità
Quest’opera straordinaria è stata dipinta con tempera, olio e gesso, creando un effetto visivo unico e coinvolgente. Il dipinto raffigura un dodecaedro stellato, una figura geometrica complessa e affascinante, che emerge dall’opera con una forza e una bellezza indiscutibili. Le sfumature delicate e i dettagli accurati creano un senso di profondità e dimensione, mentre le varie tonalità di colore si fondono armoniosamente tra loro, dando vita a una composizione visivamente affascinante. Ma ciò che rende veramente speciale questo dipinto sono le ombre che lo accompagnano, che aggiungono un elemento di mistero e fascino. Platone, con la sua profonda intuizione filosofica, potrebbe aver anticipato un’idea che la scienza moderna ha solo recentemente cominciato a esplorare: la struttura geometrica dell’universo stesso. Nel suo dialogo “Timeo”, Platone descrive una “quinta combinazione” usata da Dio per disegnare l’universo, un’idea affascinante che si sposa con la moderna teoria del dodecaedro sferico. Secondo Platone, gli elementi primordiali del mondo non sono terra, aria, fuoco e acqua, ma piuttosto due specie di triangoli rettangoli, i mattoni fondamentali con cui Dio ha costruito la materia. Tuttavia, la sua menzione di una “quinta combinazione” apre le porte a una prospettiva più ampia sulla creazione cosmica. Se consideriamo il dodecaedro sferico come parte integrante della struttura fondamentale dell’universo, come suggerito dalla moderna teoria dell’universo topologico, possiamo interpretare la “quinta combinazione” come il modello geometrico stesso dell’universo. In questa visione affascinante, il dodecaedro sferico rappresenterebbe il fondamento stesso della realtà, una rete intricata di facce pentagonali che definisce lo spazio e il tempo. Questa interpretazione aggiunge un nuovo strato di significato alla filosofia platonica, suggerendo che la bellezza e l’armonia geometrica siano intrinseche alla struttura stessa dell’universo. Così, la “quinta combinazione” di Platone non sarebbe solo una componente della creazione cosmica, ma anche la chiave per comprendere la natura fondamentale dell’esistenza. In questo modo, l’universo diventa non solo un palcoscenico per l’azione umana, ma un’opera d’arte geometrica, una sinfonia di forme e strutture che riflettono l’intelligenza e la creatività del suo architetto divino. La visione di Platone si fonde con le scoperte moderne, aprendo la porta a una comprensione più profonda e avvincente del nostro posto nell’universo. Nel dipinto si fa uso di un particolare tipo di dodecaedro : il dodecaedro stellato. Attraverso questa figura, ottenuta stellando un dodecaedro regolare, l’artista evoca un senso di primordialità e
trascendenza dello spazio.
Nel dipinto di Martinato, il dodecaedro stellato non è solo una forma geometrica, ma un simbolo carico di significato. Le facce pentagonali stellate, estese verso l’esterno, evocano un’immagine di profonda bellezza e complessità cosmica. L’artista utilizza questo simbolo per rappresentare l’aspetto primordiale dello spazio, una dimensione che trascende la comprensione umana e si avvicina al divino. Le ombre che si stagliano accanto al dodecaedro stellato assumono un significato ancora più profondo. Esse non sono semplici riflessi di luce, ma rappresentano i puri spiriti in contemplazione ed estasi. Questi spiriti sono rapiti dalla percezione del principio della verità, incarnato dal dodecaedro stellato. Nella loro contemplazione, essi si avvicinano alla conoscenza ultima, alla comprensione più profonda della realtà e del cosmo.
Chi sono queste ombre elemento importante del quadro?
Le ombre che si ergono al di sotto del dodecaedro stellato non sono semplici figure, ma portatori di un significato profondo che si snoda attraverso antiche tradizioni e saggezza millenaria. Nella tradizione tibetana, queste ombre verrebbero identificate come i “Yid Lu” o il corpo mentale. Attraverso il Bardo, lo stato intermedio tra la morte e la rinascita, si manifesta la percezione della realtà senza il vincolo del corpo materiale. È una condizione in cui la mente conserva tutta la sua lucidità e percezione sensoriale, ma tutto è in costante flusso, come nei sogni. Questo stato, chiamato “Yidgyi”, è la forma spirituale o corpo mentale che si manifesta anche nei sogni come “Yidlu”, il corpo della coscienza mentale o dello spirito. Nel dipinto di Martinato, le ombre che contemplano il dodecaedro stellato rappresentano la condizione dell’anima nel Bardo: una realtà sospesa tra cielo e terra, tra vita e morte, in cui la percezione della verità primordiale si manifesta in tutta la sua intensità. È un momento di estrema delicatezza e instabilità, in cui l’esperienza della realtà primordiale emerge come un’ispirazione potente e irresistibile. Per gli esseri ordinari, questa esperienza può essere fugace, ma per coloro che hanno praticato con dedizione e saggezza durante la vita, questo momento diventa un’opportunità per la liberazione. È il momento in cui la mente si apre alla comprensione ultima, alla realizzazione della verità profonda che permea l’universo stesso. Così, nel dipinto di Lara Martinato, il dodecaedro stellato diventa non solo un simbolo di perfezione matematica, ma anche un portale verso la realizzazione spirituale. Attraverso le ombre che lo contemplano, siamo invitati a riflettere sul significato più profondo della nostra esistenza e sulla ricerca della verità primordiale che risplende al di là delle forme e dei confini del mondo materiale. Ma come possiamo iniziare questo viaggio? Per coloro che cercano una via accessibile alla conoscenza spirituale, c’è un semplice punto di partenza che risiede proprio nel cuore del quadro stesso. Guarda fisso il dodecaedro stellato, come se stessi prendendo la mira per scagliare una freccia o infilare un ago. Concentrati su di esso con intensità, lasciando che la sua forma e la sua bellezza penetrino nella tua coscienza. Con ogni respiro, immergiti sempre di più nell’osservazione di questo simbolo che si manifesta davanti a te. Poi, quando ti senti pronto, chiudi gli occhi e visualizza il dodecaedro stellato nella tua mente. Immagina ogni dettaglio, ogni angolo, come se fosse impresso nella tua memoria. E ad un certo punto, rivolgi lo sguardo all’indietro, verso quell’osservatore che è il tuo io interiore. In questo momento di profonda introspezione, lascia che l’io incapace di guardarsi svanisca. Abbandona ogni identità e ogni confine, lasciando spazio alla pura consapevolezza che risplende oltre la forma e il tempo. È qui che la natura primordiale, allusa dal dodecaedro stellato, splende in tutta la sua
magnificenza.
Questo semplice esercizio di concentrazione e auto‐riflessione può essere il primo passo verso la scoperta della verità primordiale che giace dentro di noi. Attraverso il simbolo del dodecaedro stellato, possiamo aprire le porte alla comprensione più profonda della nostra natura e del mondo che ci circonda, in un viaggio di auto‐scoperta che ci guida verso la luce della verità universale.
Hermann Nitsch: Il Crocefisso tra Cristianesimo e Mitologia Dionisiaca
Nel suggestivo dipinto di Hermann Nitsch emerge un’interpretazione audace del crocefisso, che oltrepassa i confini del Cristianesimo tradizionale per abbracciare le profondità della mitologia dionisiaca. Sebbene il dipinto possa sembrare un crocifisso cristiano, l’osservatore attento potrebbe cogliere richiami alla figura di Dioniso, il dio greco del vino, della festa e della trasgressione. E non è un caso che il pensiero vada a Nietzsche, che si definiva come un “Cristo crocifisso”, evidenziando la complessità delle influenze religiose e filosofiche in gioco. Nella forma che evoca la maschera barbuta che emana un magnetismo misterioso e trasgressivo, Hermann Nitsch dipinge Dioniso‐Cristo di una vitalità che sprizza dall’innocenza. Questa dualità si riflette anche nella posizione sulla croce, che rappresenta sia la sofferenza divina che la redenzione dell’umanità. Ma perché Dioniso? La sua presenza nel dipinto suggerisce una ricerca di trascendenza che va oltre i
confini delle tradizioni religiose convenzionali. Dioniso incarna l’elemento femminile, la trasgressione e il movimento, sfidando le convenzioni e aprendo la strada alla libertà spirituale. La croce, simbolo del quattro nella sua completezza e perfezione, diventa così il punto di unione tra il divino e l’umano, il terreno fertile per la rinascita e la trasformazione. E nel cuore di questo simbolismo
risiede il Mercurio Comune, il regolo purificato che rappresenta il principio femminile, volatile e dissolvente, alla base dell’alchimia e della ricerca dell’essenza spirituale. Così, il crocefisso di Nitsch diventa non solo un’icona religiosa, ma un viaggio attraverso le profondità dell’anima umana, alla ricerca della verità e della saggezza che risiedono al di là delle convenzioni e delle credenze. È un richiamo alla libertà interiore e alla trasformazione spirituale, un invito a esplorare le molteplici dimensioni dell’esistenza umana con occhi aperti e mente aperta Hermann Nitsch: relitto performance idropittura su abito talare.
Nell’audace performance di Hermann Nitsch, la linea sottile tra i culti dionisiaci e cristiani si fonde in un tumulto di simbolismo e provocazione. L’artista sfida le convenzioni religiose tradizionali, portando alla luce la complessità dei rituali antichi attraverso una lente contemporanea. In questa performance, un abito talare diventa il palcoscenico per una narrazione ricca di simbolismo.
Una tiara imbrattata di sangue evoca l’immagine del sacrificio rituale e della rinascita mistica, mista a un senso di vitalità e trasgressione. Il simbolismo del sangue e del vino, elementi centrali nei culti dionisiaci, diviene il cuore pulsante di questa espressione artistica. Il sangue rappresenta la forza vitale e l’essenza dell’essere, mentre il vino simboleggia l’unione con il divino e l’estasi mistica ed il potere . Vi è un mito interessante legata alla vite al vino. Nel cuore delle antiche leggende greche, un’epica storia si svolge, intrecciando il destino del dio del vino, Dioniso, con il prezioso nettare degli dei: il vino.
Si racconta che i potenti Titani, sospinti dall’ardore della gelosia e del risentimento, abbiano osato sfidare il giovane Dioniso mentre giocava spensierato. Questi antichi spiriti, relegati agli Inferi da Zeus stesso, colsero il bambino dio di sorpresa, dilaniandolo in sette crudeli pezzi, i quali vennero gettati in una fumante caldaia. Ma la storia non finisce qui. Mentre la carne del dio bimbo arrostiva su sette spiedi, Zeus, colto dall’irrefrenabile desiderio suscitato dal profumo dell’arrosto, scese in tutta la sua maestosità al banchetto divino. Con il suo fulmine, incenerì i Titani, ristabilendo l’ordine divino. Eppure, dalla cenere di quella tragica notte, nacque qualcosa di straordinario: la vite. Le membra cotte di Dioniso si trasformarono in questo nobile albero, che avrebbe dato origine al liquido ambrosiano, il vino. Ma il vino non è solo una bevanda. È il veicolo attraverso cui lo spirito vitale del dio penetra gli esseri umani, estendendo la loro visione e possedendo le loro anime con un’estasi divina. È la forza che infonde vita, gioia e saggezza, soprattutto tra le donne, che nella sua essenza trovano una via per la liberazione e l’estasi. Per alchimia l’alcol è il mercurio della pianta . Per l’alchimista, tutto è vivo e composto da Corpo, Anima e Spirito, ovvero Sale, Zolfo e Mercurio. Questo vale per il Regno Vegetale, il Regno
Animale e il Regno Minerale.
Scrive Paracelso:
“Nell’Alchimia Pratica, esiste solo la Cosa Unica e tutto ciò che percepiamo è un adattamento di quell’Uno. L’Uno assume il “Vestito” dei Quattro Elementi per produrre i Tre Essenziali: Zolfo, Mercurio e Sale. Il compito dell’alchimista è separare, purificare e ricombinare questi principi fondamentali fino a raggiungere una proporzione e un’armonia perfette tra loro. L’Alchimia riguarda il portare le cose a uno stato di maggiore perfezione. Ogni cosa generata dai suoi elementi si divide in tre: Sale, Zolfo e Mercurio. Impara la forma peculiare di questi tre. Una è liquida, ed è la forma del Mercurio; una è oleosa, ed è la forma dello Zolfo; una è alcalina, e proviene dal Sale” (Robert Allen Bartlett – Real Alchemy – 2006 Quinquangle Press – p. 25).
Così questa tiara dipinta di rosso ricorda come si intrecciano le storie degli dei e degli uomini, in un ciclo senza fine di morte, rinascita e trasformazione. E nel cuore di questa epopea, il vino, con la sua essenza divina, continua a fluire come un fiume inestinguibile di vita e di gioia. Attraverso la fermentazione e la distillazione della vite, l’alchimia della natura si rivela, offrendo alla mente umana un accesso a nuove forme di conoscenza e di espressione artistica. Il vino diventa così il veicolo attraverso cui ci si unisce alla natura stessa, entrando in comunione con il ciclo eterno di crescita e morte. In questa fusione dei culti e delle pratiche rituali, Nitsch ci invita a esplorare le profondità dell’anima umana e a rompere i confini della razionalità. La performance diventa un viaggio di trasformazione e liberazione, un richiamo alla vitalità e alla forza vitale che risiedono in ogni essere umano. È un’esperienza che sfida le convenzioni e apre la mente a nuove possibilità di comprensione e di espressione.
Luca Violini