
Rosa+Croce: il simbolismo iniziatico – Luigi Angelino
Come è noto, la rosa e la croce sono i principali simboli dell’ordine segreto iniziatico denominato dei Rosacroce, termine italianizzato derivante dal tedesco Rosenkreuzer, ispirato a vari filoni misterici e filosofici, in particolare alla Cabala e ad alcuni aspetti del Misticismo cristiano. In questa breve trattazione, pur introducendo le problematiche storiografiche principali relative all’effettiva esistenza del movimento, dedicheremo più spazio alla profonda ed antica simbologia, che ha reso i Rosacroce l’archetipo di società segreta dotata di straordinari poteri occulti e dalle origini che affondano radici in un lontano passato.
I Rosacroce
Nel 1614, nella città tedesca di Kassel, fu diffuso un libercolo dal titolo misterioso Fama fraternitatis Rosae Crucis che conteneva ipotetici dettagli biografici su un personaggio, poi considerato leggendario, chiamato Christian Rosenkreuz, vissuto tra l’ultimo scorcio del quattordicesimo secolo e la fine del quindicesimo, un periodo lunghissimo soprattutto se rapportato all’epoca. L’opuscolo riportava anche la notizia che dopo 120 dalla sua morte, era stato ritrovato il corpo di Rosenkreuz ancora intatto, nonché circondato da strani segni esoterici. Nel 1615 e nel 1616 furono pubblicate rispettivamente altre due opere, Confessio fraternitatis e Le nozze chimiche di Christian Rosenkreuz, quest’ultima firmata dal teologo Johannes Valentinus Andreae che definì la trovata dei Rosacroce come un ludibrium, cioè una sorta di scherzo o forse, come più verosimile, un’allegoria drammatica della difficile situazione politica ed economica della Germania alla vigilia della guerra dei trent’anni. Sta di fatto che gli autori successivi di opuscoli rosacrociani molto spesso adoperarono tale espediente per favorire la diffusione di ideologie luterane a discapito di quelle cattoliche, senza alcuna ambizione di natura esoterica (1). De facto, al di là di una vera e propria militanza ad un’organizzazione ben strutturata, vi furono illustri pensatori che si ispirarono agli ideali rosacrociani, come gli alchimisti Fludd, Maier, Mogling o il teologo Cramer. Nelle opere degli editori De Bry e Jennis, in particolare, si distingueva un progetto globale che mirava a rinnovare il mondo, attraverso la trasformazione dell’anima individuale e, di conseguenza, dell’agire sociale. In linea generale, si tratta di ideali che nei secoli successivi saranno seguiti dalle Obbedienze massoniche e da altri ordini iniziatici. In buona sostanza, a partire dal diciottesimo secolo, numerose società più o meno segrete, rivendicarono a vario titolo una discendenza dal mitico ordine che si voleva perfino collegato ai Templari ed alla ricerca del sacro Graal (2).
Molteplici ipotesi e leggende sono fiorite intorno alla nascita dei Rosacroce. Tra queste, ci limitiamo a citarne quelle più importanti. Secondo quanto riportato dai precitati opuscoli, il movimento sarebbe stato fondato nel 1407 da un pellegrino tedesco, il già nominato Christian Rosenkreuz, al ritorno in Germania dopo una permanenza piuttosto lunga in Siria ed in Terra santa, luoghi dove si sarebbe avvicinato allo studio dell’occultismo. La leggenda, perché appunto di leggenda si tratterebbe secondo gli storici, vuole che il gruppo originario fosse composto soltanto da otto membri, tra cui il medesimo fondatore. In ambiente massonico, invece, gira un altro racconto, secondo il quale l’organizzazione rosacrociana risalirebbe addirittura all’anno 46 dell’era cristiana, quando lo gnostico della scuola alessandrina Ormus si sarebbe convertito al Cristianesimo insieme ai suoi discepoli, sulla scia delle predicazioni dell’evangelista Marco. Ormus avrebbe cercato di fondere la dottrina cristiana con i culti misterici dell’antico Egitto ed in qualche modo i suoi insegnamenti sarebbero giunti fino a Rosenkreuz. Anche questa narrazione non ha alcun fondamento storico certo, pur ispirandosi al fermento culturale della scuola filosofica alessandrina che, nei primi secoli dopo Cristo, culmina in pensatori del calibro di Origene, che tentò di conciliare la cultura classica con quella cristiana ancora acerba ed alla ricerca di una sua identità. Molto suggestiva è l’interpretazione dell’antroposofo Rudolf Steiner, per il quale la corrente rosacrociana moderna avrebbe visto la luce, in un luogo non noto, dove si sarebbero riunite dodici eminenti personalità, a cui si riconoscevano conoscenze particolarmente profonde e significative (3). In realtà costoro fungevano da rappresentanti del sapere accumulato fino a quel momento, con una visione delle cose completa ed esaustiva. In seno alla comitiva sarebbe stato accolto un tredicesimo adepto, un giovane dall’origine sconosciuta ma dalla spiritualità prorompente. Il ragazzo, istruito in maniera graduale dai dodici maestri, avrebbe raggiunto un elevatissimo livello di conoscenza, arrivando a comprendere il Cristianesimo come religione universale, ma interpretato e vissuto in chiave esoterica. La preparazione del giovane avrebbe raggiunto l’apice durante un viaggio a Damasco, quando avrebbe rivissuto la famosa esperienza estatica di Paolo di Tarso. Ed in questo racconto vi è spazio anche per la reincarnazione: il ragazzo, morto in giovane età, si sarebbe reincarnato nel XIV secolo come Christian Rosenkreuz che, per recuperare la sapienza conquistata nell’esistenza precedente, avrebbe fatto ritorno proprio a Damasco. Anche il Conte di Saint Germain, vissuto nel diciottesimo secolo, altro non sarebbe che una nuova manifestazione corporea del giovane iniziato nel tredicesimo secolo (4).
Di recente alcune organizzazioni hanno rivendicato di essere eredi dei Rosacroce, suscitando spesso sospetti di settarismo. Uno dei casi più emblematici è avvenuto in Francia negli anni Novanta del secolo scorso, quando il Lectorium Rosicrucianum (Alleanza Rosacroce) e l’Amorc (Antico e Mistico ordine della Rosae Crucis) furono sottoposti ad indagine da parte delle autorità politiche francesi. Nonostante il successivo riconoscimento della legittimità delle azioni di tali organizzazioni, esse continuano ad essere guardate con una certa diffidenza da parte dell’opinione pubblica. In merito ad una presunta eredità genuina rosacrociana delle associazioni contemporanee, che si ispirano al modello antico, o quanto meno così come configuratosi in epoca medievale, il grande esoterista Renè Guenon, già nel 1921 osservava (5) che una moltitudine di persone che si fanno chiamare Rosacroce o Rosacruciani non hanno alcun legame fra loro, non più che con le antiche organizzazioni dallo stesso nome, ed è esattamente la stessa cosa per coloro che si fanno chiamare Templari. Inoltre, sono davvero tanti i personaggi famosi sui quali si è speculata l’appartenenza al sacro ordine, da Leonardo da Vinci a Nostradamus, da Paracelso a Giordano Bruno, da Bacone a Galileo, da Shakespeare a Goethe, da Newton a Hugo, da Mozart a Bach e così via…
Il simbolo più conosciuto dell’ordine dei Rosascroce è rappresentato da una croce con al centro una rosa rossa a cinque petali. Esistono numerose interpretazioni di tale emblema che racchiude in sé, sintetizzandoli, unificandoli e sublimandoli, due antichissimi simboli, la rosa e la croce appunto. Se si orienta l’interesse ad un discorso legato al misticismo cristiano, la croce indicherebbe il cuore di Cristo, lo strumento di redenzione dell’umanità, mentre le gocce di sangue che cadono dalla piaga aperta nel costato darebbero vita all’immagine della rosa. Seguendo questa chiave di lettura, la sovrapposizione della rosa sulla croce indicherebbe una ricerca gnoseologica del cosmo mediante un approccio ermetico cristiano. Tuttavia, a parte le notevoli difficoltà che si riscontrano nel voler conciliare una sapienza di tipo ermetico con una religione “rivelata” come il Cristianesimo, una lettura esclusivamente orientata in tal senso appare limitativa, se non fuorviante. E’ più corretto interpretare la simbologia rosacrociana come rivolta ad un percorso di evoluzione spirituale dell’uomo, dove la croce ne rappresenta il corpo fisico, mentre la rosa ne plasmerebbe la struttura psichica e mentale (6). Come la rosa, fiore forte e delicato nel contempo, si apre progressivamente alla luce del sole, così l’anima umana, attraverso un graduale e ben definito viaggio iniziatico, può raggiungere un adeguato livello di illuminazione. Sembrerebbe prediligere questo tipo di approccio interpretativo, la già citata organizzazione AMORC, secondo la quale l’unione della rosa e della croce incarna l’archetipo dell’armonia necessaria, ad ogni essere umano, nelle sue componenti materiale e spirituale. Questo simbolismo duale, pertanto, sottolinea in maniera marcata il concetto di indissolubile unità tra il corpo e l’anima, come due facce inseparabili della stessa medaglia (7).
La Rosa
La rosa, in particolare, è un importante simbolo alchemico, denominata anche “il fiore del saggio”, come emblema del passaggio per raggiungere la perfezione e del matrimonio mistico fra gli opposti. La rosa, in estrema sintesi, rappresenta il rimescolamento delle essenze separate e la loro rinascita su un nuovo piano ontologico. Ma questo fiore così affascinante, che appare come un mandala naturale, allargandosi dal centro ed espandendosi verso l’esterno con vari petali e corolle concentriche, nel corso dei secoli è stato indicato anche come simbolo dell’emanazione dell’Assoluto. Nella raffigurazione grafica della rosa, infatti, fondamentale è la forma circolare, il cerchio, che richiama l’appartenenza dei vari piani dell’esistenza universale all’Uno, all’Assoluto. A tale proposito, si ricorda che la tradizione esoterica esprime l’idea dell’insieme del Tutto e dell’Uno proprio con l’immagine del labirinto circolare (8). In alcune incisioni rosacrociane ritroviamo cinque rose: una al centro della croce ed una su ogni braccio. Non a caso il numero cinque vuole sottolineare le qualità dell’iniziato, che corrisponde alla stella a cinque punte, segno distintivo dei cultori delle arti alchemiche. Lo stesso simbolo numerico si riscontra anche nell’uomo vitruviano di Leonardo, volendo trasfigurare il passaggio dalla crocifissione dell’uomo ordinario quaternario ( i quattro elementi basilari della materia) verso la liberazione del cinque, la quintessenza. Seguendo questa chiave di lettura, le rose incise sulla croce assumono la funzione di allegoria dell’esistenza individuale alla perenne ricerca della perfezione spirituale, attraverso le pene di ciascuno, incarnate dalle pungenti spine della rosa. L’iconografia ermetica della rosa è pervenuta ai nostri giorni, anche mediante le sculture ed i mosaici presenti nelle chiese romaniche e gotiche. Incise sulle architravi di alcuni edifici, si può scorgere lo stemma dei Mastri Comacini (9), tra gli architetti più illustri della loro epoca: un compasso aperto, dentro il quale è disegnata una rosa. Nelle grandi architetture medievali, la rosa è adoperata anche come simbolo della ruota del tempo e dello Zodiaco e, in maniera ancora più figurativa, dell’energia dello spirito che si rinnova in un continuo movimento ciclico. Tale iconografia raggiunge la sua concretizzazione più compiuta nel rosone, che fa risplendere tante cattedrali del nostro continente, lavorato sia in pietra traforata che con vetri dipinti. Nell’immaginario rosacrociano, a differenza della rosa bianca, che indica la pietra filosofale non ancora perfetta, la rosa rossa indica la pietra filosofale perfetta, cioè il risultato finale della Grande Opera, ossia quella perfezione spirituale che il movimento si prefiggeva tra i suoi obiettivi più nobili.
Nella mitologia greco-romana, la rosa era il fiore sacro ad Afrodite-Venere, corrispondente occidentale dell’asiatico fior di loto. Nel Medioevo, come già anticipato, la rosa si lega alla mistica cristiana: in vari passi letterari compare il riferimento al misterioso “sanguis rosaceus”, il sangue color di rosa assimilato al sangue salvifico del Salvatore. Il Cristo misterico è definito filius macrocosmi, dal cui costato sgorga il sangue rosaceo, l’acqua eterica , la cosiddetta quintessenza del filius microcosmi. Ancora oggi il rosaceo è il colore liturgico, per la Chiesa Cattolica, di due domeniche molto particolari, chiamate gaudete e laetari (10), rispettivamente la terza di Avvento e la quarta di Quaresima. La rosa è anche il simbolo del sacro graal, la leggendaria coppa che raccolse il sangue di Cristo e che, in maniera trasfigurata, designa il compimento del mistero salvifico. Le peculiarità di questo fiore sono però talmente complesse ed intricate, da assurgere anche ad emblema di segretezza e di svelamento degli arcani con gradualità e delicatezza. L’espressione “sotto il segno della rosa”, nel corso della storia, di frequente ha voluto indicare la conduzione di attività che richiedevano il rispetto di assoluta segretezza. Si tramanda che nel culto di Dioniso, la rosa impedisse agli ebbri di rivelare i misteri a cui avevano assistito. Il tema del rispetto del silenzio viene poi riassunto nel brocardo latino: “sub rosa dicta velata est”(11). In ambiente cristiano, papa Adriano VI fece scolpire sui confessionali una rosa a cinque petali, molto simile al simbolo rosacrociano, per rimarcare l’importanza del vincolo di segretezza nel sacramento della confessione. La rosa, soprattutto di colore rosso, in epoca moderna è stata utilizzata come segno distintivo da parte di società segrete anche con finalità illecite ed eversive in ambito criminale sociale e politico.
In letteratura la rosa è stata legata quasi sempre all’amore ed alla passione, come il “Romanzo della rosa”, un poema allegorico composto nel tredicesimo secolo (12), in cui l’eroe di turno deve conquistare una fatidica rosa che simboleggia la vergine da lui amata. Nel XXI canto del Paradiso, Dante osserva con meraviglia la rosa dei beati, il luogo dove risiedono le anime di coloro che godono della grazia di Dio. Ma la rosa mistica di Dante è anche la stessa Beatrice, che incarna l’amore ideale ed irraggiungibile e che lo guida nel viaggio verso l’Empireo. E come dimenticare il riferimento alla rosa nella fiaba “La bella e la bestia”, quando il padre della fanciulla ruba il fiore dal giardino della Bestia, scatenando una terribile ira (13). In questo caso il nobile fiore si impone quale veicolo di metamorfosi, presentando molti punti in comune con la favola di Amore e Psiche di Apuleio.
La Croce
Prima di essere un’icona culturale e religiosa, la croce è innanzitutto una figura geometrica, formata da due linee che si incrociano formando un angolo retto, in maniera che entrambe, o una di esse, appaia divisa a metà. Si tratta di uno dei simboli più antichi del genere umano, adoperato fin dall’età della pietra. In epoca storica, nella variegata ed affascinante civiltà egizia, si forma il sacro simbolo dell’anke, la croce ansata, conosciuta anche con l’espressione di “chiave della vita”. Le divinità del pantheon egizio erano di frequente raffigurate mentre impugnano l’anke, oppure tenendolo appoggiato al gomito o al petto, in prossimità del cuore, l’organo creduto dagli antichi sede dei sentimenti. Nella lingua geroglifica, la croce ansata aveva il significato principale di “vita”, ma a secondo del contesto in cui era inserita, poteva abbracciare altre accezioni, ma pur sempre con assonanze religiose o mistiche. In epoca romana, l’anke viene trasfigurato nella cosiddetta “mano di Venere”, simbolo della divinità, poi passato ad indicare l’omonimo pianeta in ambito astrologico. Nella mitologia norrena, l’immagine della croce, contenuta in un cerchio, contrassegnava la potenza di Odino. Tale simbolo, negli usi successivi, fino ad arrivare all’epoca contemporanea, con il nome di “croce celtica”, ha assunto significati molto diversi da quello originario, fino a contraddistinguere l’appartenenza a gruppi politici ed ideologici estremisti (14).
E’ superfluo ricordare come la croce sia il simbolo più importante del Cristianesimo, ricordando la crocifissione di Gesù Cristo ed il conseguente mistero salvifico della redenzione dell’umanità. Vi è, tuttavia, da fare una precisazione di carattere storico: la croce come simbolo della dottrina cristiana si consolidò soltanto a partire dal IV secolo, in quanto in precedenza era considerato quasi un segno di biasimo e di disprezzo. La leggenda del sogno di Costantino (in hoc signo vinces, con questo segno vincerai)(15) con riferimento alla croce legittima la sua diffusione verso il periodo tardo imperiale. La consuetudine poi di collocare croci sull’altare si sviluppò soltanto in età medievale, con l’edificazione delle grandi cattedrali. Sul graduale processo di compenetrazione, nel corso dei secoli, tra il simbolo arcaico e quello cristiano della croce, il dibattito è molto acceso ed ostico. In linea generale, si può ragionevolmente affermare che la croce, fin dall’antichità, abbia incarnato una sorta di imago mundi (immagine del mondo), riferendosi alla capacità dell’essere umano di potersi orientare sia in senso spaziale che temporale, ma capace soprattutto di proiettarlo in una dimensione trascendente. In questo senso, si potrebbe dire che il Cristianesimo abbia plasmato il secolare simbolo della croce, adattandolo alle esigenze della propria teologia di redenzione.
Una delle opere più famose e significative di Renè Guénon aiuta proprio a comprendere la profonda simbologia che si nasconde dietro l’immagine della croce. La sua opera, Il simbolismo della croce, consente di cogliere la pluralità dei significati di questo antichissimo simbolo (16). L’autore evidenzia come la croce non appartenga esclusivamente al Cristianesimo, né alla civiltà occidentale, ma essa si riscontra nelle icone spirituali e metafisiche di tutti i continenti, come emblema universale, di cui si conservano evidenti tracce nell’Induismo, nel Buddismo e nel Taoismo. Al di la delle sue diverse raffigurazioni, la croce nel suo aspetto più genuino ed astratto, richiamerebbe l’unione dei complementari, quale incontro tra una linea verticale ed una orizzontale: il cielo con la terra, l’infinito con il finito, lo spirito con il corpo. Un’altra icona paragonabile a quella della croce è il cosiddetto “albero di mezzo”, o “asse del mondo”, che si può identificare come l’albero della vita del Paradiso terrestre biblico, l’Eden (17). Nel contesto alchemico la croce era considerata come il geroglifico alchemico del crogiolo, indicato con il termine tardo-latino crucibulum, la cui etimologia si ricollegherebbe alla parola crux, che vuol dire appunto croce. Il crogiolo, dal punto di vista materiale, era il mezzo necessario per lavorare la materia prima con il fuoco, purificandola ed indicando, in maniera trasfigurata, la morte e la rinascita spirituale.
Conclusioni
Chi erano dunque davvero i Rosacroce? E qual era il loro pensiero originario, al di là del sincretismo religioso e della filosofia della natura? E quale influenza hanno avuto sui movimenti moderni che ad essi si ispirano? L’analisi dell’intima unione di due simboli così significativi, come la rosa e la croce, ci può fornire qualche importante traccia, ma non conduce a nessuna certezza incontrovertibile. Il motto, che suona molto simile a quello di alcune logge massoniche moderne, “la più ampia tolleranza nella più rigorosa indipendenza”, così come cristallizzato da coloro che se ne proclamano eredi (18), è di certo un ottimo manifesto di ricerca iniziatica spirituale. Alcuni storici hanno paragonato gli opuscoli rosacrociani del diciassettesimo secolo, a cui abbiamo fatto riferimento nella prima parte, allo scisma protestante provocato da Martin Lutero nel 1517. Come quest’ultimo avrebbe portato la rivoluzione religiosa all’interno della Chiesa di Roma, così i Rosacrociani, circa un secolo dopo, avrebbero determinato un terremoto culturale nella tradizione esoterica occidentale.
Il “fenomeno” rosacrociano è di certo molto dibattuto, anche per il fatto che i libercoli si palesarono in maniera improvvisa e misteriosa in varie città tedesche, pur mancando ancora oggi prove storiche dell’esistenza dell’antica “confraternita” di riferimento e risalente al leggendario personaggio chiamato Christian Rosenkreuz, un nome ictu oculi di fantasia, visto che contiene in sé i due principali simboli del movimento. Si potrebbe obiettare che l’inconsistenza degli indizi storici sarebbe dovuta alla insita segretezza dell’organizzazione stessa che, con artifizi quasi soprannaturali o sapientemente umani, avrebbe fatto in modo da nascondere nel corso dei secoli il proprio operato, influenzando lo sviluppo del pensiero umano in modo indiretto, attraverso l’azione di grandi scienziati, filosofi, letterati ed artisti. Ovviamente questa soluzione non convince la maggioranza degli storici, ma lascia ancora un campo di ricerca aperto. Suggestiva, infine, è l’ipotesi avanzata da una celebre coppia di studiosi – Alessandro Boella e Antonella Galli in “L’alchimia della confraternita dell’aurea Rosacroce: Documenti inediti sulle sue origini italiane”, Edizioni Mediterranee -, secondo i quali, in realtà, il primo manifesto Rosacroce sia conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, correlato, pertanto, alla cultura esoterica partenopea, oltre che a quella tedesca: a tale humus sapienziale è presumibile si possa far risalire tale viatico di realizzazione.
Note:
1 – Alberto Cesare Ambesi, I Rosacroce, Ed. Armenia, Milano 1982;
2 – Jean-Pierre Bayard, curatore G. De Turris, traduttore S. De Franceschi, I rosacroce. Storia, dottrina, simboli, Ed. Mediterranee, Roma 2016;
3 – Rudolf Steiner, traduttore I. Bavastro, La saggezza dei Rosacroce, Editrice antroposofica, Milano 2009;
4 – Sulla vita del Conte di Saint-Germain sono fiorite numerose leggende, soprattutto sulle sue origini. Secondo alcuni, egli fu il figlio illegittimo di Francesco II Rakoczi, principe di Transilvania e della principessa Violante Beatrice di Baviera, moglie di Ferdinando de’ Medici;
5 – Renè Guenon, Il teosofismo, nuova pubblicazione Editions Traditionnelle, Parigi 1965;
6 – Franz Hartmann, I simboli segreti dei Rosacroce, Anima edizioni, Milano 2005;
7 – L’AMORC è un’organizzazione filosofica ed iniziatica fondata nel 1915 che si ispira agli ideali rosacrociani. Riunisce membri che appartengono a tutte le confessioni religiose, lasciando libero ciascuno di professore il proprio credo;
8 – Claudia Gualdana, Rosa- storia culturale di un fiore, Marietti editore, Bologna 2019;
9 – I Maestri Comacini formavano una vera e propria corporazione di costruttori, muratori e stuccatori, attiva fin dall’VIII secolo soprattutto nell’Italia settentrionale;
10 – Le domeniche “gaudete” e “laetari” introducono alla gioia rispettivamente del Natale e della Pasqua, in periodi di penitenza, l’Avvento e la Quaresima, in cui prevale il colore liturgico del viola;
11 – Corrado Colafigli e Maurizio Saudelli, Spigolando fra le rose, LASER edizioni, Milano 1999;
12 – Si tratta di un poema composto da 21.780 ottosillabi, scritto in due parti da due autori diversi a distanza di circa quarant’anni;
13 – Luigi Angelino, Di alcune fiabe e di ciò che nascondono, Stamperia del Valentino, Napoli 2025;
14 – Claudio Lanzi, Misteri e simboli della croce, Simmetrica edizioni, Roma 2015;
15 – La leggenda, da Lattanzio in poi, racconta di una scritta in greco apparsa in cielo a Costantino: “en touto nika”(in hoc signo vinces ne è la traduzione latina). A parte l’ovvia interpretazione allegorica, molti studiosi ritengono che si possa trattare della rielaborazione cristiana del culto del Sol invictus, molto in voga tra le truppe romane del tardo-impero;
16 – Questo pregevole testo fu pubblicato per la prima volta nel 1931;
17 – Isabella Becherucci, curatore Paolo Martino, La croce. Un simbolo attraverso i tempi e le culture, Edizioni Studium, Roma 2013;
18 – E’ il motto della già citata organizzazione AMORC.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con Auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.