Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
ROMA: i miti della fondazione, il periodo arcaico ed il nome segreto – Luigi Angelino
La descrizione di ogni città o di ogni luogo presenta inevitabili difficoltà narrative, in quanto è sempre difficile dare un’impronta personale a quanto si scrive, cercando di non indulgere troppo nell’elaborazione di particolari né troppo scontati, né troppo votati ad un’aggressiva originalità. Parlare di Roma è senza dubbio un compito ancora più arduo e ricco di ostacoli, in considerazione della storia millenaria della città eterna diventata, nel corso dei secoli, paradigma di progresso culturale, civile e religioso, al punto da assumere un significato simbolico e semantico che trascende la sua stessa essenza. Le origini di Roma sono avvolte nella leggenda. Sulla derivazione del nome sono state azzardate tante ipotesi ed elaborate numerose ricostruzioni, ciascuna legata ad un filone particolare. Si può cominciare dai riferimenti mitologici: Roma, figlia di Italo, sposa di Enea o di suo figlio Ascanio; Romano, figlio di Odisseo e di Circe; Romo, figlio di Ematione, che Diomede condusse da Troia; Romide, tiranno dei latini, che espulse gli Etruschi dall’area territoriale circostante; Romolo e Remo, figli di Ascanio e leggendari fondatori della città. Alla precedente ricostruzione si può aggiungere il filone topografico che ricollega il nome della città eterna a Rumon o Rumen, il nome arcaico del Tevere, che presenta una evidente analogia alla radice del verbo greco rèo e al verbo latino ruo (scorrere). Infine, si può accennare ai riferimenti semantico-sintattici che intravedono legami con il vocabolo etrusco Ruma, che si può tradurre con “mammella”, alludendo al mito di Romolo e Remo che sarebbero stati allattati da una lupa, oppure più semplicemente alla conformazione territoriale della zona collinare presente tra il Palatino e l’Aventino; il vocabolo greco ròme, traducibile con forza, alla cui radice fonetica si ricollega anche il termine latino irregolare vis (nominativo), roboris (genitivo); fino ad arrivare all’originale e romantica ipotesi dello scrittore bizantino Giovanni Lido che, leggendo Roma al contrario, ricavava il termine latino Amor (1).
Come si accennava in precedenza, la nascita di Roma, individuata nel 21 aprile 753 a.C., ha caratteristiche leggendarie, anche alla luce di recenti scoperte nel Lapis Niger(2), secondo le quali la sua fondazione potrebbe risalire a circa due secoli prima. I primi insediamenti nell’area territoriale, dove sarebbe sorta la città eterna, si formarono sul colle Palatino proprio intorno alla metà del X secolo a.C. ma le prime tracce archeologiche sono riconducibili addirittura al XIV secolo a.C.. Alla fine del X secolo furono occupati anche i colli Esquilino e Quirinale, quando, come si può evincere da alcune scoperte archeologiche, dalla zona interna fino ad Ostia esisteva già una fitta rete di villaggi lungo il fiume Tevere (3). E’ ragionevole pensare che la città di Roma si venne a creare mediante un progressivo fenomeno di aggregazione dei villaggi nel corso dei secoli, a somiglianza di quanto stava avvenendo per altri grandi centri dell’antichità. In quest’ottica, il personaggio della nota leggenda, chiamato Rmolo, potrebbe essere stato un capo tribù particolarmente autorevole che avrebbe portato a termine il processo di unificazione dei preesistenti insediamenti in una compagine unitaria.
Secondo Dionisio di Alicarnasso (4), i luoghi della futura città di Roma sarebbero stati occupati, già in epoca antichissima da popoli di stirpe greca. Per primi gli Aborigeni, provenienti dall’Arcadia, avrebbero stretto un’alleanza con i Pelasgi di origine tracia per cacciare i Siculi dalla zona. Di seguito, più o meno verso la metà del XIII sec. a.C., circa trent’anni dopo, sarebbero giunti alcuni abitanti della città greca di Pallantio (5) (da cui il nome al colle Palatino), guidati da un certo Evandro, ai quali, in un’ultima migrazione, si sarebbero aggiunti i seguaci del famoso Eracle (6), reduce dalla conquista dell’Iberia. In suo onore sul Palatino la tribù ormai stanziata avrebbe istituito un culto ed alcune festività. Spendiamo, a questo punto, qualche parola sul mito di Romolo e Remo, tramandato dalla maggior parte delle fonti antiche. I due gemelli sarebbero stati discendenti della dinastia dei re di Alba Longa, generati da Rea Silvia, figlia di Numitore, che si sarebbe unita con il dio Marte. Amulio, col timore che la discendenza di Numitore lo avrebbe spodestato dal trono, avrebbe ordinato di abbandonare i due gemelli in fasce sulle rive del Tevere. I bimbi, però, sarebbero sopravvissuti grazie all’istinto materno di una lupa e di seguito sarebbero stati cresciuti da un pastore di nome Faustolo. La lupa della leggenda potrebbe essere identificata con la moglie del contadino Faustolo, alla quale poteva essere stato attribuito il soprannome di “lupa”, in considerazione del suo passato da donna di facili costumi. Diventati giovanotti, i due fratelli avrebbero aiutato il nonno a ritornare sul trono, uccidendo Amulio e fondando una nuova città, appunto Roma. La leggenda della fondazione nacque in età repubblicana verso il III-II sec. a.C., arricchendosi di ulteriori particolari in età augustea, per nobilitare le origini della città che ormai dettava legge sull’intero mondo allora conosciuto. In particolare fu Virgilio nel suo poema più famoso, l’”Eneide”, che contribuì a rafforzare il legame tra Romolo e l’eroe troiano (7). Enea sarebbe sfuggito con alcuni compagni alla distruzione di Troia, giungendo in Italia dopo tantissime peripezie ed avrebbe fondato la città di Lavinio e, successivamente, suo figlio Ascanio avrebbe fondato la città di Alba Longa (8), inaugurando la dinastia di regnanti che sarebbe arrivata fino a Romolo. La leggenda narra che per stabilire chi fra i due gemelli avrebbe dovuto regnare sulla nuova città, si decise di affidarsi alla “volontà divina”, in grado di manifestarsi mediante il volo degli uccelli. Remo, collocatosi sul colle Aventino, avrebbe avvistato solo sei avvoltoi, mentre Romolo dal colle Palatino ne avrebbe scorto esattamente il doppio. A questo punto nacque una vivace disputa tra i due fratelli su quale elemento dovesse prevalere per la scelta del re: Remo dava più importanza al “momento” dell’avvistamento degli uccelli, in quanto cronologicamente era stato il prima, invece Romolo attribuiva maggiore importanza al numero degli uccelli osservati. Da qui nacque uno scontro armato che portò Remo alla morte, forse per la stessa mano di suo fratello. Un’altra variante della leggenda racconta che l’uccisione di Remo da parte del fratello si verificò a seguito del fatto che il primo superò il “sacro solco”, detto anche pomerium o sulcus primigenius (9), che delimitava i confini sacri della città di Roma come sancito dallo stesso Romolo. Egli, infatti, aveva promesso di uccidere chiunque l’avesse valicato e mantenne la parola data, anche quando a farlo fu proprio suo fratello. In ogni caso Romolo avrebbe officiato i riti necessari per consacrare la città al suo potere e ad un destino glorioso, che avrebbero influenzato l’intero cerimoniale sacerdotale dei secoli seguenti, provvedendo a far fortificare il nuovo insediamento e ad elevare una pregressa comunità di pastori in un corpo civile più organizzato ed evoluto. Si può dedurre che la narrazione semplificata con una leggenda era in realtà il compimento di un lungo processo di civilizzazione e di scontri per conquistare il potere durato qualche secolo.
La leggenda della lupa e della nascita di Roma, così come tramandata, offrì interessanti spunti di ricerca per la localizzazione degli scavi archeologici nella zona del Palatino, allo scopo di trovare eventuali conferme del mitico racconto. Ad una certa profondità sono stati ritrovati, ai piedi del predetto colle, i resti di alcune fortificazioni murali e di qualche capanna. Lo stesso sepolcro di Acca Laurentia (10) sarebbe presente nella zona compresa tra il Palatino ed il Foro, dove attualmente c’è l’edicola di Giuturna (11), a sua volta luogo di altre sepolture, fino a formare una vera e propria antica necropoli del medesimo periodo storico.
L’ipotesi dell’origine greca della città di Roma, legata alla leggenda di Enea, divenuto re dopo aver sposato la figlia del re dei Latini e, pertanto, antico progenitore di Romolo e Remo, fu acquisita dalla storiografia romana a partire dal III sec. a.C., soprattutto per giustificare gli interventi autoritari di Roma nel sud della penisola italica, nonché per legittimare la sua politica contro Cartagine. In quest’ottica l’inserimento di elementi ellenici nelle origini di Roma assunse un significato strategico e diplomatico, così come afferma la maggior parte degli esegeti moderni. La data simbolica della nascita di Roma è considerata il 21 aprile del 753 a.C., determinata dallo storico latino Varrone (12), sulla base di alcuni calcoli astrologici compiuti dall’astrologo Lucio Taruzio. Altre narrazioni offrono ricostruzioni fantasiose diverse e di conseguenza date della fondazione di Roma differenti. Secondo Velleio Patercolo, la città eterna sarebbe stata fondata 437/438 anni dopo la caduta di Troia, avvenuta nel giugno del 1182 a.C., mentre Marco Porzio Catone colloca la fondazione di Roma 432 anni dopo la caduta di Troia. Dionigi di Alicarnasso fissa la fondazione di Roma nel 750 a.C., anno in cui si pensa si sia svolta la settima Olimpiade, prendendo come riferimento di base l’anno 776 a.C., considerato quello della prima Olimpiade (13). Tornando al calcolo di Varrone, poi tradizionalmente accettato dai posteri, non bisogna dimenticare che l’autore latino conosceva molto bene il mondo greco e, con ogni ragionevole probabilità, scelse il 753 a.C., poiché fu l’anno in cui ebbe inizio la democrazia ateniese, con l’ascesa al potere da parte degli arconti. La scelta di Varrone, quindi, si potrebbe interpretare come il tentativo di collegare la nascita di Roma all’evolutissimo mondo culturale greco. In tale contesto, seguendo lo schema utilizzato da Varrone, è doveroso chiarire il significato dell’espressione ab urbe condita. La cosiddetta “data varroniana” si ricavò, ritenendo il 509 a.C. il primo anno della Repubblica ed attribuendo 35 anni di regno a ciascuno dei sette re, operazione chiaramente simbolica e poco verosimile, in considerazione del difficile tenore di vita dell’epoca e dell’elevato tasso di mortalità di tutti i livelli sociali. La correttezza del calcolo di Varrone fu accettata per secoli fino all’età moderna e, pur essendo di ispirazione “mitica”, fu universalmente accettata per dare lustro a Roma. A ciò si aggiungono i riferimenti ad alcune eclissi solari che sarebbero state osservate nella città eterna nel 763 a.C., nel 745 a.C, e nel 709 a.C., indicate dagli autori latini e greci come segni beneauguranti per la prodigiosa città che stava sorgendo (14).
Per quanto riguarda i dati raccolti dagli studiosi, è stato evidenziato che soprattutto l’area del Campidoglio presenta una continuità abitativa almeno a partire dalla media età del bronzo, cioè verso la metà del XIV secolo a.C., fino alla prima età del ferro, IX secolo a.C., come testimoniano i rinvenimenti di alcuni corredi funerari e di alcune opere in ceramica. Dal IX secolo in poi l’area abitativa si estese alla zona del Foro e del Palatino, con caratteristiche simili a quelle del Campidoglio, presentando un’evidente continuità nella formazione di un unico centro abitativo. Si suppone, invece, che nello stesso periodo storico, sull’Esquilino e sul Quirinale si fosse formata una distinta comunità, separata rispetto a quella del Palatino-Campidoglio, ma destinata a riunirsi con questa in epoca successiva. Da queste considerazioni emerge che l’ipotesi più verosimile per configurare la formazione del primo nucleo urbano di Roma sia quella di un graduale processo di “sinecismo” (15).
La progressiva formazione della città di Roma, attraverso l’unificazione di preesistenti insediamenti autonomi, abitati da veri e propri gruppi gentilizi, sarebbe alla base della successiva struttura sociale e politica della stessa Urbe. A prescindere dagli aspetti mitici, ad eccezione di Romolo, considerato il fondatore di Roma, il rex del periodo arcaico era il supremo magistrato eletto dai patres, i capifamiglia delle gentes originarie, con la piena potestà di reggere e di governare la città. Non vi sono testimonianze a favore dell’applicazione di un principio ereditario nella designazione dei primi quattro re di stirpe latina (Romolo, Numa Pompilio, Tulli Ostilio ed Anco Marzio), mentre per i successivi tre di origine etrusca (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo) si stabilì un principio di discendenza matrilineare. Gli storici antichi non seppero dare una descrizione esatta dei poteri del re e, pertanto, in età repubblicana ne fu data un’interpretazione ex post, prendendo come modelli consolidati le prerogative peculiari dei consoli (16). Alcuni studiosi moderni hanno ipotizzato che il potere supremo fosse attribuito al popolo e che il re ne rappresentasse solo il vertice esecutivo, contrariamente all’interpretazione tradizionale che credeva che il rex avesse potere assoluto, mentre al Senato e al popolo rimanesse solo un ruolo secondario di supervisione e di controllo. Le insegne del potere del re erano dodici littori adornati di fasci dotati di asce, la sedia curule, la toga rossa, le scarpe rosse ed il diadema bianco sul capo. Questi simboli sono, comunque, indicativi di tutta una serie di poteri: il rex era il capo con pieno potere esecutivo, comandante in capo dell’esercito, capo di stato, pontefice massimo, legislatore e giudice. La carica di pontefice massimo gli conferiva una sorta di sacralità religiosa, il cui retaggio rimarrà in età repubblicana con la figura del rex sacrorum (17), assumendo il significato di competenza appunto solo nelle questioni religiose, con una ricchezza di valore semantico così forte da essere mutuata anche nel linguaggio cristiano (il papa della Chiesa Cattolica sarà chiamato anche pontefice). Per quanto riguarda la procedura dell’elezione del re, essa avveniva con il coinvolgimento di una figura di coordinamento, l’interrex, del Senato, dei Comizi Curiati ed anche con la partecipazione del collegio sacerdotale che aveva il compito di interpretare la volontà degli dèi mediante la lettura degli auspici. Anche se in teoria era il popolo ad eleggere il rex, tramite i Comizi Curiati (18), nella realtà era il Senato ad esercitare l’influenza maggiore, in quanto espressione dei gruppi gentilizi più autorevoli. La tradizione più diffusa conta soltanto sette re di Roma, non annoverando tra questi Tito Tazio (19), re dei Sabini dell’area del Quirinale che fu associato a Romolo nell’unione tra il suo popolo ed i Latini, regnando sulla città soltanto per un anno. Il dibattito sul periodo arcaico di Roma è tuttora aperto e controverso, in mancanza di fonti certe ed incontrovertibili, a parte la stranezza dell’equa distribuzione di 35 anni anni di regno per ciascun sovrano, come già si è avuto modo di accettare. Le prime fonti storiografiche romane risalgono al III secolo a.C., nel periodo delle guerre puniche, con Fabio Pittore e Cincio Alimento. Inoltre, non bisogna dimenticare le numerose devastazioni subìte da Roma, come ad esempio l’incendio gallico del 390 a.C. (20), che, secondo Polibio e Tito Livio, avrebbero provocato la distruzione della maggior parte dei documenti più antichi. In sintesi si può dire che le informazioni sulla Roma arcaica derivano in prevalenza da tradizioni orali, via via tramandatesi nell’ambito dei gruppi gentilizi più antichi ed assumendo una configurazione del tutto leggendaria. Le notizie trasmesse di generazione in generazione furono rielaborate con il passare del tempo ed adattate ad esigenze nazionalistiche di propaganda politica, fino a cristallizzarsi in una tradizione più o meno omogenea.
In apertura abbiamo parlato delle ipotesi tradizionali riguardanti l’etimologia di “Roma”, mi piace concludere con qualche breve cenno al suo presunto nome “segreto”, così come emerso in recenti studi (21). In relazione alla condanna all’esilio del poeta Ovidio (22) avvenuta nell’anno 8 d.C., per opera di Augusto, è stato evidenziato che lo stesso poeta stava lavorando alla stesura dei “Fasti”, con l’ambizioso progetto di elaborare un poema “finalizzato a rivisitare l’intero calendario romano”. La condanna da parte del princeps arriva proprio quando il poeta stava ultimando i versi riferiti al mese di maggio. Ovidio analizza le etimologie relative a quel mese, con particolare riferimento alla misteriosa fondazione della città e menzionando la costellazione delle Pleiadi (23). Il poeta avrebbe attribuito particolare importanza alla stella Maia (24), legando il destino dell’astro a quello dell’origine di Roma. E’ stato ipotizzato, pertanto, che Ovidio avesse toccato un argomento considerato sacrilego, evocando il nome segreto della città di Roma: Maia, la più importante stella della costellazione delle Pleiadi. Questo nome sarebbe stato considerato indicibile fin dall’età più arcaica e poteva essere pronunciato soltanto dai sacerdoti, quando si doveva invocare la protezione della divinità contro i pericoli degli attacchi nemici. Il nome segreto di Roma era perciò considerato un segreto di stato e militare. A differenza di Atene, il cui nome rivelava chiaramente la dea alla quale la città era stata consacrata, Roma forse aveva un nome destinato al più totale riserbo. Il poeta Ovidio, addirittura, si era soffermato sul legame tra le sette Pleiadi ed il luogo dove sarebbe sorta Roma, evidenziando la corrispondenza tra le sette stelle della predetta costellazione ed i sette colli di Roma. La città eterna avrebbe un’origine in perfetta sintonia con la sapienza ermetica: la terra come specchio del cielo. La posizione della sanctissima Maia confermerebbe la centralità del Palatino, sul quale Romolo aveva proceduto a delineare i limiti della città.
Note:
(1) Cfr. Alfonso Buglione, Storia di Roma Antica, Ed. Archeoares, Roma 2018;
(2) Si tratta del sito archeologico collocato nell’area del Foro Romano, in prossimità del luogo dei “Comizi” a poca distanza dalla Curia Iulia;
(3) Cfr. Andrea Carandini, Roma il primo giorno, Ed. Laterza, Bari 2009;
(4) Dionigi o Dionisio di Alicarnasso (60 a.C.- 7 a.C.) fu un eminente storico ed insegnante di retorica, vissuto durante il principato di Augusto. La sua opera più famosa è Antichità romane, testo abbastanza accurato secondo i canoni del tempo;
(5) Pallantio era un’antichissima città nell’Arcadia, nella zona di Menalia;
(6) Sulla figura mitologica di Eracle vi sono numerosi racconti divergenti ed in alcuni casi anche contrastanti. La tradizione è concorde sul fatto che fosse un eroe e semidio del pantheon greco, nato a Tebe, dall’unione di Zeus e di Alcmena, famoso per essere dotato di una forza sovrumana. Nella mitologia etrusca era noto con il nome di Hercle ed in quella romana come Ercole;
(7) Cfr. Andrea Carandini, Il sacro fuoco di Roma. Vesta, Enea, Romolo, Ed. Laterza, Bari 2015;
(8) In merito ad Alba Longa, le fonti concordano sul fatto che sia stata una città del Latium vetus e che per un certo periodo di tempo esercitò grande influenza sulla confederazione dei popoli di stirpe latina. Sembrerebbe che sia stata distrutta da Roma sotto il regno di Tullio Ostilio dopo il 673 a.C.;
(9) La tradizione di delimitare i confini di una città, delineando una cosiddetta “linea sacra” si era sviluppata nell’ambito dei popoli italici fin dall’antichità, soprattutto in ambiente etrusco;
(10) Acca Laurentia è ricordata come un’antichissima divinità romana, sulla cui tomba al Velabro, il 23 dicembre che corrispondeva al giorno dei Larentalia, il flamen Quirinalis ed i pontefici celebravano i riti funebri. Per alcuni si trattava della madre dei Lares, per altri si identificava con la “Madre Terra”;
(11) Nella mitologia romana, Giuturna era una ninfa delle fonti che in origine era una donna, ma dopo essere stata amata da Giove, le fu offerto il dominio sui corsi d’acqua dolce del Lazio. Secondo un’altra versione era la sposa di Giano, con il quale avrebbe concepito Fons;
(12) Marco Terenzio Varrone (116 a.C.- 27 a.C.) fu una personalità poliedrica dell’ultimo periodo repubblicano di Roma. Si occupò di letteratura, di storia, di grammatica e di agronomia, ricoprendo anche un importante incarico nell’esercito;
(13) Cfr. Giovanni Brizzi, Storia di Roma. Dalle origini ad Azio, Ed. Patròn, Bologna 1997;
(14) Nonostante i racconti mitologici e le superstizioni riguardanti le eclissi, nell’antica Roma le cause furono studiate e chiarite, soprattutto quando si venne in contatto con il mondo ellenico. Nel II sec. a.C., il console Gaio Sulpicio Gallo aveva già chiarito che le cause dell’eclissi erano naturali e non magiche;
(15) Il termine “sinecismo” si riferisce all’unificazione di entità politiche in precedenza indipendenti, anche se poi è servito ad indicare diverse forme di aggregazione;
(16) Cfr. Augusto Fraschetti, Storia di Roma dalle origini alla caduta . dell’impero romano d’occidente, Edizioni del Prisma, Catania 2002;
(17) Il rex sacrorum era appunto una figura della magistratura romana in età repubblicana alla quale erano affidate le funzioni religiose anticamente riservate al re;
(18) I Comizi Curiati costituivano una sorta di assemblea del popolo romano, secondo la tradizione instaurata dallo stesso Romolo. I cittadini erano suddivisi per “curie” ed all’inizio avevano funzione consultiva del rex;
(19) In merito a Tito Tazio, le fonti sono discordi. Secondo alcuni regnò insieme a Romolo solo per un anno, secondo altri per ben cinque anni;
(20) L’incendio gallico del 390 a.C., durante il quale Roma fu messa “a ferro e fuoco”, fu condotto da Brenno, condottiero della tribù celtica dei Senoni, che pronunciò la famosa frase “vae victis” (guai ai vinti);
(21) Cfr. Felice Vinci e Arduino Maiuri in Appunti di filologia (XIX, 2017);
(22) Publio Ovidio Nasone, detto semplicemente Ovidio (43 a.C.- 18 d.C.), fu uno dei maggiori esponenti della letteratura latina e della poesia elegiaca. Fu esiliato nell’8 d.C., spedito a Tomi, un piccolo centro sul Mar Nero, nei pressi dell’attuale Costanza in Romania. Il poeta attribuisce la sua disgrazia a un carmen et error (una poesia ed uno sbaglio), come lui stesso scrive nel Tristia. Sono state date molte interpretazioni a questo passo: quella riportata dai due studiosi citati nella nota precedente appare originale e innovativa;
(23) Le Pleiadi, conosciute anche come le “sette sorelle”, costituiscono un ammasso aperto visibile nella costellazione del Toro. A causa della loro luminosità, le Pleiadi sono conosciute fin dall’antichità e cantate perfino da Omero;
(24) Maia, in particolare, conosciuta come 20 Tauri, è una delle Pleiadi e si trova a circa 440 anni luce da noi. Il suo nome deriva da Maia, una delle Pleiadi mitologiche, figlia di Atlante e di Pleione, nonché madre del Dio Hermes.
Luigi Angelino