Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Roma: archetipo eterno della gloria e della libertà – Giandomenico Casalino
Il miracolo di Roma, ciò che inauditamente, per tutta la vicenda dell’intera umanità, sia prima che dopo la sua irruzione in quella che si è convenuto chiamare “storia”, ha realizzato e, per oltre un millennio, consolidato, esteso e donato a migliaia di Popoli, Nazioni e Culture tra loro alquanto differenti, facendo una Città di ciò che prima era Mondo (vedi Rutilio Namaziano, De Reditu), è tutto racchiuso ed espresso nell’acronimo S.P.Q.R.. In queste quattro lettere, in guisa essenzialmente sintetica e quindi romana, che, come è noto, sono le iniziali delle parole Senatus Populusque Romanus, vi è impresso, quasi come scolpito nel marmo, proprio il miracolo a cui facevamo cenno innanzi: la coniugazione, mai pensata né voluta e né istituzionalmente mai realizzata da nessuna civiltà, della Maestà e della Gloria dello Stato con la Libertà del Popolo! Ed è la Res Publica Romana che tanto entusiasma Polibio, riscontrando in essa la realizzazione della miktè politèia (Costituzione mista) di cui aveva parlato Aristotele.
In Roma infatti tali due poli dello spirito, quello della Gloria che pertiene alla Luce ed al fulgore Divino dell’Auctoritas Patrum, proprii del Senato, Ordine dei Pari, “consesso di Re”, come affermò stupito Cinna ambasciatore del Re Pirro, signori della Guerra, della Terra e del Rito, titolari esclusivi, poiché Gentes habent cioè per tradizione di sangue e spirito che è conoscenza magico-giuridico-religiosa, del Jus cum Diis agendi mediante gli Auspicia, condizione sine qua non per l’accesso alle magistrature superiori cioè quelle cum imperio e quello della Majestas Populi Romani che è la dignitosa e grandiosa Libertà del Popolo Romano, sono due dimensioni della medesima unitaria realtà; e poiché il Popolo coincide con il Pubblico e quest’ultimo con il Sacro, è Sacro esso medesimo, atteso che, come precisa Cicerone (De Re Publica, I, XXV), la Res Publica è Res Populi. In altre parole quello che impropriamente noi moderni chiamiamo “Stato” si identifica, nella continuità millenaria della cultura romana, con il Popolo nella sua concreta e vivente realtà: è la Cosa di tutti, dell’intera Comunità, legata da un fortissimo coniugio religioso, sussistente ab urbe condita tra i componenti della stessa e tra questa e il Mondo dell’Invisibile che è quello degli Dei, e il legame è un contrarre, termine che deriva da cum trahere che significa mettere insieme, unire in un contratto: ed infatti è il Patto primordiale stipulato dal Popolo Romano con gli Dei che è la Pax Deorum.
Sicché Roma, proprio come archetipo del Bene e della Felicità e quindi come una straordinaria forma di iniziazione collettiva, con quell’acronimo afferma, dichiara e proclama a tutti i secoli nella perennità del Mondo, che non solo è possibile ma necessaria, per intrinseca virtus divina, affinché vi sia Giustizia, Ordine, Autorità e Gerarchia mediante il Jus ed il Mos (che sono il Rito) e la Legge che è il Jussus (comando) del Popolo, deliberato dai Comizi, la unione, che è identificazione (Res Publica è Res Populi!…) dello Stato con il Popolo e che, per lo effetto, la Gloria divina del primo (come insegna Hegel) è la stessa del Popolo come la Libertà di questo è quella dello stesso Stato: mai più, dopo il ritrarsi di Roma nei Cieli quale Paradigma celeste, è apparso nel mondo tale inno alla Vita e quindi alla organicità del Vivente (vedi apologo di Menenio Agrippa) poiché l’organismo è l’insieme degli strumenti (òrganon in greco è lo strumento…) legati (da re-legere da cui religio) tra loro da un rapporto funzionale ed organico finalizzato alla realizzazione (entelècheia aristotelica) del Bene dell’organismo medesimo nel suo Intero e quindi in tutte le sue parti, cioè la sua Virtus che è la Salus Populi Romani. Tale è la concezione organica dello Stato e dell’Animo, che devono essere simili all’ordine divino e quindi eterno dell’Universo, di cui parlano Platone ed Evola, ed è l’Idea indoeuropea del Principio giuridico-religioso che è tutt’uno con il Politico e che, avendo origine da una spiritualità guerriera, è fondato sull’elemento communis, che è il cum munus = con l’obbligo, officium che si nutre della visione unitaria del Fato della medesima Res Publica che la Comunità tutta degli uomini e delle donne vive ed incarna, in uno stato di fedeltà assoluta sempre pronta al sacrificio supremo, estendendolo e diffondendolo (Civitas Augēscens) in quanto Fatum è da Fas che è la Parola divina, base e fondamento mistico (Dumezil) della Romanità.
Il tramonto del mondo classico elleno-romano equivalse alla scomparsa della Civiltà urbana, quella che i Romani chiamavano orgogliosamente humanitas degli uomini togati, cioè modo di pensare, stile di vita del Civis dove il suo luogo culturale è la Città nella quale, ne Cives ad arma ruant, vige il comando della Legge, che è la dimensione di Juppiter Optimus Maximus. Migliaia di Città, collegate dalla Britannia alla Persia e dalla Germania all’Africa da circa 130.000 Km di strade romane, che, in tutto l’immenso Impero di Roma, sono altrettante piccole Rome (vedi Encomio a Roma di Elio Aristide), con i loro Consoli, (Curiones), i loro Senati e le loro Assemblee popolari, istituzioni tutte frutto di libere elezioni, unico esempio, nella storia dell’umanità, di un’autentica sovranità dei Popoli a livello universale, nella pace sociale e nella certezza del diritto, dove si ripete e si moltiplica, come in una gioiosa sinfonia, quell’abbraccio tra il Senato ed il Popolo, dove le loro sovranità religiose, politiche, giuridiche ed economiche sono esercitate in guisa autonoma e senza alcun impedimento, dove proprio sotto il profilo religioso si instaura e si diffonde spontaneamente una sorta di feudalesimo degli Dei e degli Eroi delle varie culture e tradizioni dei Popoli, tutelate tutte e protette dal Principe che, quale Pontifex Maximus, è il ponte tra le stesse ed il Mondo degli Dei. Talchè i Cives romani di tutto l’Ecumene elleno-romano (Constitutio antoniniana del 212 d.C.) sono indotti, per un sentimento di gratitudine e devozione, a pregare e sacrificare, ognuno ai propri Dei e secondo le loro varie ritualità, per la Salus del Genio del Principe che è Augustus in occidente e Sebastòs in oriente, che vuol dire Santo in quanto carico di augurale forza divina, in uno con il Senato, venerando e antichissimo consesso della miglior parte del genere umano, composto dai più nobili esponenti di tutte le sterminate etnie e culture dell’Impero, dalle quali provengono i migliori tra gli stessi Principi, come quelli cosiddetti adottivi del II secolo o i soldatenkaiser del III secolo dall’elitè militari.
La fine delle Città e della loro cultura si accompagnò quindi alla fine del concetto stesso di Civis poiché il Popolo, come realtà unitaria, si diluì nelle campagne e nei piccoli centri abitati, scomparve, per lo effetto, la stessa fanteria, che è il Popolo in armi, ricomparendo la cavalleria, privilegio della nobiltà che dimora in manieri fortificati e governa il territorio ivi esteso. Pertanto è iniziata così in tutto l’occidente la scissione, la frattura definitiva tra la Gloria e la Libertà, dove la prima appartiene ormai solo a quello che si chiamò il Sacro Romano Impero e della Libertà del Popolo non se ne parlò più, atteso che la stessa non era più nemmeno un ricordo. Nella modernità, iniziata con i cosiddetti Umanesimo e Rinascimento, i due poli dello Spirito, ormai separati, iniziano gradualmente a confliggere, atteso che l’individualismo della borghesia mercantile e bancaria, che settariamente osa spacciarsi per il Popolo (vedi la vera natura socio-economica e culturale dei Comuni e delle Signorie…), non tollera più alcuna autorità che sia universale e sacrale, come l’Impero, il quale, essendo ormai in irreversibile crisi, è aggredito e oltraggiato sia dal mercantilismo avanzante che dalla teocrazia lunare del Papato; nel contempo inizia a svilupparsi il concetto di nazione ed intorno alla stessa ed alla sua origine etnica, si costituisce la forma moderna dello Stato (Grozio, Hobbes) che immediatamente si palesa, in forma Leviatanica, quale entità astratta, meccanica e staccata dal Popolo, in una realtà istituzionale dove i più basilari elementi della sovranità dello stesso non sono nemmeno immaginati.
La sovranità, infatti, è del sovrano (dal francese souverain = che stà sopra…) ed appartiene solo a lui, così anche la “gloria”, tanto che ormai si circonda di giullari di corte in quanto residui inutili dell’antica nobiltà: è lo Stato cosiddetto assoluto che prepara il terreno per la fioritura dell’ideologia giacobina del 1789 e cioè la sua distruzione per mano di quella stessa borghesia mercantile che, non avendo più bisogno né di Re né di nobiltà, intende gestire il potere, (e non il governo, ignorando per deficenza genetica, il concetto stesso della categoria del Politico), senza più intermediari ed in guisa arrogantemente diretta. Così quella frazione del Popolo, che si può avvicinare all’ordine degli Equites della Romanità e cioè la borghesia affaristica ed imprenditrice che, peraltro, nella società romana, per ragioni profondamente culturali e spirituali, su cui qui non ci si può diffondere, non ebbe mai il sopravvento politico né la primazia culturale (tanto che nel mondo antico il capitalismo non è esistito, essendo una iattura frutto della sola modernità) ma, anzi, fu sempre vista con un non celato disprezzo e quasi come estranea poiché non confacente ai valori fondamentali della cultura romana, valori antimercantilistici ed aristocratici e del pensiero e della spada (vedi la Lex Claudia de Senatoribus del 218 a.C. che fa divieto ai componenti del Senato ed all’Ordine senatorio di esercitare il commercio!…) sui quali si fondava l’Ordine senatoriale che era il primo nella gerarchia sociale; quella frazione, quindi, quale secta, si erse rivendicando la piena e totale sovranità in conflitto con quello che ormai era un relitto di qualsiasi Idea di Gloria o di Stato, atteso che il liberalismo, la nuova religione della borghesia, si fonda sulla teologia dell’individuo e sulla sola “gloria” del suo profitto infinito ed assoluto.
E qui è tutta la contemporanea tragedia dell’Europa e, possiamo dire, dell’intera modernità ormai terminale: quei due poli dello spirito si sono talmente degradati che, pur continuando a confliggere uno contro l’altro (vedi il feroce imperialismo dei potentati finanziari globali che si scaglia contro ciò che resta ancora dell’Idea di Stato) non avranno mai la capacità di ricostruire, in una vera Rivoluzione tradizionale, quel connubio, quella comunione salvifica in quanto identificatrice tra la Gloria e la Libertà, che solo Roma ha realizzato e che è, quale modello platonico nei Cieli, la sua Tradizione vivente e quindi presente.
Giandomenico Casalino