Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Roberto Calasso, lo sdoganatore – Gianfranco de Turris
La scomparsa del fondatore di Adelphi
Qualcuno forse si ricorderà che Eugenio Scalfari scrisse che Berlusconi aveva “sdoganato” la destra parlamentare quando, dopo aver vinto inopinatamente le elezioni politiche del 1994, seguite allo scandalo di tangentopoli che azzerò i partiti tradizionali, imbarcò per la prima volta al governo nel dopoguerra il partito di “estrema destra” per eccellenza, quello guidato da Fini: si chiamava ancora Movimento Sociale Italiano e divenne Alleanza Nazionale solo l’anno dopo in seguito ai lavacri di Fiuggi. In base alle premesse e alle conseguenze, si può effettuare un parallelo tra politica e cultura. La stessa definizione si può legittimamente applicare a Roberto Calasso, morto lo scorso 28 luglio 2021, un mese dopo aver compiuto 80 anni, per la sua opera nel campo editoriale, tramite la Adelphi grazie alla quale “sdoganò” tutta una serie di autori – narratori saggisti storici filosofi scienziati – dalle idee, posizioni e “visioni del mondo” decisamente contro il “politicamente corretto” come si dice da un po’, tutti che andavano contro il Pensiero Unico progressista. Ovviamente non lo si diceva, erano nomi di valore noti o ignoti che fossero, e così bastava. Tanto vero da essere definito un apologeta della gnosi pagana dagli ultrà cattolici e dell’anti scienza dagli ultrà scientisti, per i quali molto democraticamente certe opere non si sarebbero mai dovute pubblicare e restare sconosciute… Nonostante queste critiche la sua autorevolezza e serietà e soprattutto la non-compromissione con ambienti politici gli ha consentito di diffondere autori e testi italiani e stranieri, noti o meno di enorme importanza, alcuni dei quali erano stati ignorati, meglio snobbati, quando erano apparsi tempo prima per editori connotati ideologicamente. Ovviamente Calasso, come all’epoca gli venne contestato anche dal sottoscritto, si guardò bene dal citare anche incidentalmente come se quel libro o quell’autore li avesse scoperti lui per la prima volta in Italia…Non poteva ammettere di essere arrivato secondo o far pesare certa eredità ideologica “compromettente”. Basti pensare a Emil Cioran, tradotto per la prima volta dalle Edizioni del Borghese per merito di Mircea Popesco, anche lui un “romeno della diaspora” come Mircea Eliade, George Uscatescu, Eugène Ionesco, Vintila Horia e lo stesso Cioran.
Calasso aveva una immensa cultura antimoderna e la espresse sin dalla sua tesi di laurea dedicata a I Geroglifici di Sir Thomas Browne, ripubblicata ampliata nel 2018, e da quando appena ventiduenne entrò a far parte della Adelphi fondata nel 1963 dai suoi due numi tutelari, Roberto Bazlen e Luciano Foà (fuoriusciti da Einaudi, se non ricordo male, proprio perché certe opere e autori lì non avrebbero mai potuto pubblicare). E un simile anticonformismo della Adelphi e la sorpresa di aver avviato la sua ormai famosa “Biblioteca” facendomi scoprire due classici sconosciuti del fantastico come L’Altra Parte di Alfred Kubin n.1 e il Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki n.3 edito nel 1965, aggiunto al dispetto provato dalla loro stroncatura per motivi per me incomprensibili da parte di recensori cattolico-tradizionalisti, mi indusse ad andare nella loro sede milanese alla fine anni 60-inizio anni 70 e parlare proprio con Luciano Foà e proporgli molto ingenuamente di pubblicare un antimoderno radicale, come Julius Evola! Non ricordo la sua risposta che certo fu diplomatica (mi ero presentato come giornalista che recensiva regolarmente i loro libri). Ovviamente non lo fecero mai.
Calasso, peraltro, ci pare si sia occupato di Evola solo nella prefazione a L’unico e la sua proprietàdi Max Stirner (Adelphi, 1979), sostenendoche la esegesi evoliana del filosofo tedesco risultava “inopportuna”, in quanto rimarcava l’origine ebraica del pensatore individualista. In realtà, la lettura evoliana è dadaista (presente nelle sue due brochures giovanili)e legata all’idealismo magico (lo critica in Teoriadell’Individuo assoluto del 1927). Nonostante ciò, Calasso iniziò a stampare un po’ di tempo dopo (1975) René Guénon, metafisico puro senza implicazioni “ideologiche” e “politiche”, facendolo così uscire dalla cerchia ristretta dei suoi adepti e presentando le sue opere ad un pubblico più vasto già sensibilizzato dal catalogo Adelphi. Libri privi di apparato critico, cosa di cui mi sono sempre rammaricato, a parte i risvolti o la quarta di copertina che poi si seppe essere sempre tutti redatti dallo stesso Calasso (riuniti parzialmente nel 2003 in Cento lettere ad unosconosciuto, n.500 della “Piccola Biblioteca Adelphi”). Ecco perché definire Roberto Calasso uno “sdoganatore” è un elogio nella Italia del conformismo culturale, anche se implicitamente spesso si attribuì meriti di primazia che non erano affatto suoi… Basti pensare al suo interesse per la letteratura mitteleuropea e, quindi, per gli autori della Rivoluzione Conservatrice da tutti ignorati, O al ripescaggio delle opere di Jorge Luis Borges, tradotte nei decenni da editori diversi e da lui ripresentate in maniera organica. O la medesima operazione compiuta per scrittori italiani rapidamente dimenticati dopo la morte e non più ristampati come Tommaso Landolfi, Anna Maria Ortese e Giovanni Arpino. O a certi testi, malamente definiti “minori”, di Ernst Jünger e quindi ignorati.
Le centinaia e centinaia di opere pubblicate in sessant’anni dalla Adelphi sono state di solito un antidoto per i lettori italiani dimostrando loro che non esisteva soltanto una visione progressista e scientista ma anche un’altra che potremmo definire mitopoietica e traeva linfa e ispirazione dalla classicità soprattutto greca. Un autore demonizzato come Friedrich Nietzsche, boicottato dal guru Croce nel dopoguerra, ebbe una edizione critica magistrale curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, e del primo venne pubblicata la sua storia della filosofia classica, con le riscoperta fondativa del pensiero presocratico.
La visione che Calasso aveva del mito si può ben definire “tradizionale”, anche se lui probabilmente non usò mai questa definizione (ma sono i fatti e non le parole che contano), come stanno a dimostrare i libri scritti in prima persona a partire da Le nozze di Cadmo e Armonia del 1988: “Le nozze di Cadmo e Armonia furono l’ultima occasione in cui gli dei dell’Olimpo si sedettero a tavola con gli uomini, per una festa. Ciò che accadde prima di allora […] e dopo di allora […] forma l’albero immenso del mito greco”. E il tentativo di far rivivere o rivitalizzare in qualche modo il mito classico è stato uno dei punti fermi e indirettamente espressi con le scelte effettuate da Calasso per contrapporsi, anche se in modo non polemicamente frontale, a quella che definisce l’ “inconsistenza assassina” in un saggio di quattro anni fa (L’innominabile attuale del 2017). Il mito è fondativo e quindi concreto, mentre oggi domina una inconsistenza generalizzata che uccide il pensiero e le coscienze.
Gli si potrebbe rimproverare di non essere stato più esplicito e ficcante, ma glielo impediva la sua formazione intellettuale e soprattutto esoterica, il suo carattere e il modo in cui in fondo era necessario che operasse. Se fosse stato diverso, se avesse adottato tattiche più esplicite, sarebbe stato ghettizzato e la sua opera del tutto inutile. Possiamo dirlo col senno di poi, noi che in alcune occasioni l’abbiano criticato anche aspramente.
Gianfranco de Turris