Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Riflessioni sul mito del vaso di Pandora – Luigi Angelino
Nella mitologia greca il vaso di Pandora è il contenitore che, secondo la leggenda, avrebbe racchiuso tutti i mali che si sarebbero riversati nel mondo dopo la sua apertura. Il mito racconta che Zeus, allo scopo di vendicarsi di Prometeo, che aveva rubato il fuoco degli dèi per donarlo agli uomini, decise di inviare sulla terra la prima donna mortale, Pandora, affidando ad Efesto il compito di forgiarla con terra ed acqua. Alla creazione della donna collaborarono, in diversi modi, tutte le principali divinità dell’Olimpo. Pandora, che fu resa oltremodo avvenente da Afrodite, istruita da Era sulle arti manuali e da Apollo nel campo musicale, si rivelò l’origine della perdizione per il genere umano. Il nome Pandora deriva, infatti, dall’unione di due vocaboli del greco antico: l’aggettivo pàn (tutto) + dora (doni). Era colei, insomma, a cui erano state donate tutte le virtù divine. La ragazza fu condotta da Epimeteo (1), il fratello di Prometeo che, nel frattempo, era stato liberato da Eracle. Il titano che aveva regalato il fuoco agli uomini invano cercò di avvertire Epimeteo sulle insidie che poteva portare la nuova arrivata: egli, invece, se ne innamorò perdutamente e l’accolse nella propria dimora, facendola diventare sua moglie.
Secondo la versione di Esiodo, riportata sia nella “Teogonia” che nel testo “Le opere e i giorni” (scritti risalenti all’VIII secolo a.C.) (2), il cosiddetto “vaso” (pithos, in greco antico) era stato consegnato alla donna da Zeus, insieme alla ferma raccomandazione di non aprirlo per nessun motivo. Apollodoro riporta esplicitamente che Pandora fu la prima donna ad essere plasmata dagli dèi. A Pandora era stato riferito che il vaso conteneva grano o altri generi alimentari, invece che tutti i mali che avrebbero afflitto gli esseri umani, che fino ad allora erano vissuti in una sorta di età dell’oro. La bellissima fanciulla, a cui Ermes aveva istillato una buona dose di curiosità, non ascoltò l’avvertimento di Zeus, forse spinta ancora di più ad aprire il vaso proprio dal divieto imposto dal padre degli dèi. Quando il vaso fu scoperchiato, tutti i mali possibili ed immaginabili si diffusero nel mondo, impersonati da spiriti maligni che incarnavano tutte quelle condizioni esistenziali a cui siamo abituati, come la vecchiaia, la malattia, il vizio e l’infelicità. In fondo al vaso rimase soltanto Elpis, la speranza, che non riuscì ad uscire fuori, prima che il contenitore venisse sigillato nuovamente. Il mondo diventò allora desolato ed inospitale, simile ad un deserto. Soltanto quando il vaso fu riaperto e ne uscì fuori la luce della speranza, l’umanità riprese un certo vigore e tornò a vivere. Si sa molto della prima parte della vita di Pandora, ma poco è narrato dei suoi ultimi anni di vita. Di certo, il mito tramanda che dal matrimonio con Epimeteo nacque una bambina, Pirra, che successivamente sarebbe diventata la moglie di Deucalione, un cugino frutto dell’unione tra Prometeo e Climene. Proprio questa coppia sarà destinata a ripopolare il mondo, dopo che il vendicativo Zeus, deluso per il decadimento morale della razza umana, l’avrà sommersa sotto un’enorme quantità di acqua (3).
E’ evidente come questo racconto sia la versione ellenica del mito del diluvio universale, presente in quasi tutte le culture antiche. Come avremo modo di approfondire nel corso della trattazione, la teodicea ellenica arcaica, con il mito di Pandora, cercava di spiegare l’origine del male, o meglio dei “mali”, che affliggono l’umanità.
Il periodo temporale che intercorre tra la prima apertura del vaso e la seconda può essere inteso come “il tempo della mediazione”, quel tempo cioè necessario per fare chiarezza dopo il caos venutosi a creare a seguito del trauma della conoscenza. E’ questo il tempo adatto alla riflessione, che serve a far emergere le idee e a ricomporre le parti disgiunte del proprio io individuale. Se Elpis, la speranza, fosse uscita dal vaso unitamente a tutti i mali, avrebbe corso il rischio di rimanere imprigionata in un vortice di forze tossiche e distruttive. Il periodo temporale successivo alla seconda apertura del vaso, invece, è da considerarsi la fase in cui si forma una nuova dimensione, quando le parti in gioco raggiungono una maggiore consapevolezza di tutto ciò che le circonda. Senza averlo previsto, perché l’onniscienza non è una caratteristica propria delle divinità della Grecia antica, Zeus dona agli uomini il portento più grande, il sentimento della speranza, che consente loro di continuare il cammino in mezzo a tante difficoltà, lasciando perdere le cose che non servono più e costruendo un futuro più soddisfacente (4). Con la “speranza” il genere umano si avvia così verso il progresso spirituale, morale ed intellettuale.
Non vi sono dubbi che, pur con notevoli differenze, il mito di Pandora richiama il racconto della tentazione di Eva compreso nel libro della Genesi, il primo dell’Antico Testamento biblico. Eva e Pandora soddisfano la propria curiosità o sete di conoscenza: la prima cedendo al suggerimento di un’entità esterna, identificata nel serpente; la seconda ascoltando la voce della propria coscienza. Come la prima donna creata da Dio dalla costola di Adamo, in un certo senso anche Pandora si rende “colpevole” di una sorta di “peccato originale”, dal quale sarebbero derivati tutti i mali esistenziali dell’umanità. Tuttavia, il mito greco è scevro da qualsiasi costruzione metafisica e fideistica, a differenza del precitato episodio biblico sul quale si è sbizzarrita l’intera tradizione religiosa giudaico-cristiana fino a renderne uno degli elementi imprescindibili delle rispettive dottrine. Le caratteristiche principali attribuite a Pandora sono l’astuzia, la bellezza e l’inganno, mentre nella vicenda di Eva l’attenzione è maggiormente rivolta nei confronti del risultato della trasgressione, cioè sulle modalità del “peccato”e di come sia stata violata la volontà divina (5).
Il processo di apertura del vaso di Pandora può essere interpretato anche come un invito a guardarsi dentro fino in fondo, senza indugiare nel timore e nella reticenza. Il fondo del vaso, infatti, evidenzia non solo le qualità costruttive, simboleggiate dai doni che gli dèi avevano elargito alla fanciulla prima dell’invio sulla terra, ma anche i lati più oscuri e complessi del proprio inconscio. Sotto questo profilo, il detto comune “aprire il vaso di Pandora” assume il significato traslato di entrare nella propria completezza, un tipo di percorso o di perfezionamento che può riferirsi ad un individuo, ad un gruppo o anche ad una particolare situazione. Da questo punto di vista, allora, Pandora, un po’ come Eva, non deve essere indicata semplicemente come il caprio espiatorio necessario per forgiare una rudimentale teodicea relativa ai mali del mondo, ma deve essere considerata una “risvegliatrice”, cioè come colei che ha disobbedito, assecondando il proprio istinto, o per meglio dire, i bisogni dettati dalla propria anima e dimostrando un indomabile coraggio nell’andare oltre le regole imposte da altri, perfino da creature divine, come Zeus, il padre degli dèi. In tale contesto, si intuisce il chiaro riferimento ad una ulteriore tematica comune all’intera mitologia greca: la supremazia del fato che tutto governa, dèi ed uomini.
Il vaso, inteso come contenitore in senso metaforico, è un emblema che di frequente ritroviamo nei racconti analitici che riguardano le persone. Ciascuno di noi può essere paragonato ad un vaso psichico, destinato a racchiudere ogni tipo di emozioni, di desideri, di tensioni e di tentazioni. Il già citato termine adoperato dagli autori antichi era, infatti, pithos che, sotto il profilo linguistico, non indicava un “vaso da fiori”, di tipo ornamentale, ma una vera e propria giara dedicata all’immagazzinamento di provviste, come cereali, olio, vino ed altri tipi di cibo (6). L’apertura del vaso di Pandora rappresenta, quindi, una specie di intrusione nel nostro campo psicologico che viene “invaso” da qualcosa di inatteso, da quelli che sono “i mali del mondo” che, nel contempo, sono le stesse “provviste” compresse nell’ambito della nostra psiche. Si tratta di un gioco di specchi tra l’universo interiore di ogni individuo e l’universo esterno, tra il microcosmo ed il macrocosmo. Peraltro, in ambito terapeutico, gli esperti in psichiatria sono piuttosto concordi nel ritenere un male l’atteggiamento di coloro che tendono a tenere nascoste le proprie emozioni interiori, piuttosto che abbandonarsi ad una liberazione soggettiva progressiva e catartica.
L’espressione “aprire il vaso di Pandora” è ancora oggi adoperata per alludere, in maniera metaforica, all’imprevista ed imprevedibile scoperta di una situazione che, una volta svelata e conosciuta all’esterno, non è più possibile tenere segreta. Si tratta di un’azione che di per sè potrebbe sembrare innocua, ma che nella realtà è in grado di scatenare una serie di conseguenze incontrollabili ed, in certi casi, catastrofiche. Tra le molteplici rappresentazioni artistiche del mito, tre di esse, in particolare, hanno cercato di immortalare l’essenza stessa della semi-divina fanciulla. Nella raffigurazione del pittore John William Waterhouse, eseguita nel 1896 (7), la giovane, con la sua eleganza naturale ed i suoi colori variopinti, illumina uno scenario dai colori cupi e dai contorni selvaggi. Ma il punto focale del dipinto è lo scrigno dorato che contiene tutti i mali del mondo, pronti per essere liberati. Alcuni anni prima, nel 1881, l’artista romantico Sir Lawrence Alma-Tadema, sul tema del mito di Pandora, delinea un vaso decorato con una sfinge, quasi ad indicare la connessione tra il mondo divino e quello umano. Pandora assume un aspetto fiabesco, nell’atto di osservare ammaliata il tesoro che ha fra le mani, completamente ignara del suo contenuto. Sir Lawrence riesce perfettamente a cogliere l’espressione ipnotica di una seducente Pandora dai capelli rossi, prima del compimento dell’evento drammatico dell’apertura del vaso. Segnalo, infine, il quadro eseguito da Dante Gabriel Rossetti nel 1871, dove Pandora è disegnata come una figura angelica su uno sfondo da cartolina in cui prevalgono i colori dell’oro e dell’azzurro. Nella fanciulla di Rossetti si nota una donna più matura e consapevole che trattiene fra le mani il vaso che, all’esterno, si presenta dorato e ricco di ornamenti (8). Quest’ultima rappresentazione trasfigura in maniera plastica la natura duale del significato mitologico del vaso di Pandora: all’esterno il luccichio dello scrigno indica le mirabili virtù che gli dèi hanno infuso nella fanciulla, mentre l’atmosfera cupa dello scenario complessivo preannuncia le grandi insidie che in esso sono celate.
Note:
(1) Il nome di Epimeteo può essere tradotto con l’espressione “colui che riflette in ritardo” in contrapposizione all’avventatezza associata al fratello Prometeo;
(2 ) In entrambe le opere di Esiodo, il mito di Pandora è descritto nei suoi tratti essenziali;
(3) Nelle varie versioni, il mito di Deucalione e Pirra è collocato in Epiro, in Tessaglia o sull’Etna;
(4) Al mito di Pandora si ricollega il brocardo latino “Spes ultima dea”;
(5) Cfr. Angela Chiaino, Il mito di Pandora. L’ambiguità al femminile, Diogene Multimedia editore, Bologna 2020;
(6) Gli archeologi ritengono che i più antichi esempi di “pythos” siano quelli ritrovati a Creta presso il palazzo di Cnosso;
(7) Si tratta di un olio su tela dalle dimensioni di 91 cm*152;
(8) Cfr. Francesca Brioschi, Come l’arte racconta Pandora e il vaso che la condannò in eterno, su https://www.losbuffo.com, consultato il 10 novembre 2024.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.