Religiosità e presenza politica degli Orazi fra il VI e il IV secolo A.C. – Stefano Arcella
SOMMARIO: 1. Le origini della gens Horatia e la mobilità gentilizia nel Lazio arcaico. — 2. I sacra: i temi religiosi dell’ ‘ inizio ‘ e della ianua. — 3. La lettura di Varro rer. hum. 17.62 in rapporto a Dion. 3.22.2 e a Liv. 1.26.13: l’organizzazione gentilizia in classi di età. 4. La presenza politica in età repubblicana e la mediazione del conflitto fra patriziato e plebe.
- — La píù antica presenza della gens Horatia nella storia di Roma è collocata dalla tradizione nell’età del mitico Tullo Ostilio, del quale, tra l’altro, viene descritta l’iniziativa bellica contro Alba Longa ((Liv. 1.22-23; Dion. 3.2-14. La critica moderna considera più recente la conquista di Alba, come di altre località del Lazio. V. F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana 12 (1972) 54 nt. 20 e bibl. ivi.)). Livio e Dionigi riportano ((Liv. 1.23-26; Dion. 3.15-22.)), con impostazioni diverse, il noto episodio del duello fra Orazi e Curiazi, il cui esito decide le sorti della guerra fra i due popoli.
Al di là dello sfondo ideologico-religioso del racconto, giova approfondire alcuni aspetti delle due testimonianze, utili alla ricostruzione delle origini di questa gens.
Sul punto Livio registra l’incertezza delle sue fonti:
Liv. 1.24.1: tamen in re tam clara nominum error manet, utrius populi Horatii, utrius Curiatii fuerint. Auctores utroque trahunt; plures tamen invenio qui Romanos Horatio vocent: hos ut sequar inclinat animus.
Sul tema esistevano, dunque, due diverse tradizioni; Livio accetta quella dell’origine romana degli Orazi che, essendo prevalente, gli appare più credibile. L’esistenza di un secondo filone annalistico sulla provenienza albana degli Orazi, si colloca, però, in un significativo insieme di altre notizie. Nella versione di Dionigi gli Orazi e i Curiazi appaiono come cugini matrilineari ((Dion. 3.15.1-3. Secondo Dionigi gli Orazi ed i Curiazi si chiamavano fra di loro e si consideravano fratelli. Sul punto v. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio e strutture monogamiche. Contributo alla storia della famiglia romana’ (1983) 84, 91, 110.)), essendo nati da due sorelle, figlie dell’albano Sicinio ((Dion. 3.13.4.)). É un aspetto sul quale lo storico greco insiste, allorché parla di sangue della stessa gens che verrebbe sparso ((Dion. 3.18.3.)) (έμϕύλιον αίμα) mentre in Livio il legame più evidente è quello che unisce la sorella degli Orazi a uno dei fratelli Curiazi, a testimonianza di un’area di scambio matrimoniale tra Roma e Alba Longa in età arcaica ((Liv. 1.26.2; cfr. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 110 ss.)).
Le indicazioni sulla provenienza albana degli Orazi sono, dunque, insistenti — anche se non unanimi — ove si consideri che l’humus storico-culturale su cui s’innestano le opere degli storici citati è costituito da narrazioni consolidatesi nel tempo, per l’apporto di molteplici fonti le quali recepiscono, oltre ai dati del filone pontificale, anche elementi della tradizione orale ((V. per un approfondimento delle stratificazioni del pensiero storico romano S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2 (1983) 245 ss., con particolare riguardo all’incidenza che gli interessi gentilizi ebbero sulla formazione e i contenuti dell’annalistica, a partire da quella pontificale.)).
Del resto, la stessa leggenda sull’ascendenza di Romolo e Remo ((Liv. 1.3-6. In questo racconto dí Livio può scorgersi il ricordo offuscato dell’antico rito del ver sacrum sul quale v. G. FRANCIOSI, Clan gentizio 117 ss. e bibl. ivi.))(che si allontanano dal luogo di origine) può considerarsi il riflesso, in forma mitica, di un nucleo di vicende storiche legate alla mobilità dei gruppi gentilizi. La tradizione fornisce anche altre notizie in tal senso ((Le testimonianze della migrazione dei Claudi sono in Liv. 2.16.4; 4.3.14; Dion. 5.40.5; Plut. Popl, 21.; Tac. ann. 4.9; 11.24. V. al riguardo A. ROMANO, Dal ‘ pater gentis ‘ ai ` patres’ dell’organizzazione cittadina. Note sul fondamento della leadership arcaica, in Ricerche sull’organizzazione gentilizia romana 1 (1984) 107 ss.)) (notoria, ad esempio, la migrazione dei Claudi) seppure riferite a epoche più recenti.
Le risultanze archeologiche relative al sito dell’antica Alba Longa hanno rivelato le tracce di un insieme di villaggi di rudimentale costruzione, posti al di fuori delle grandi correnti di scambio commerciale e culturale fra l’Etruria, il Lazio e la Magna Grecia ((A.GUIDI, Alcune osservazioni sul popolamento dei Colli in età protostorica, in Riv. Archi (1982) 31 ss. Cfr. A. ROMANO, ‘Dal pater gentis’ ai ` patres ‘ dell’organizzazione cittadina, in Ricerche 1.99 e bibl. ivi.)). La collocazione marginale dì quest’area dovette indurre i gruppi gentilizi, probabilmente anche per effetto delle pressioni di altri popoli, a ricercare nuovi insediamenti, sulla cui scelta influivano esigenze di ordine culturale (concezioni totemiche ((Sul totemismo presso í popoli dell’Italia arcaica v. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 239 ss. e bibl. ivi. Per un esame topografico del sito della Roma arcaica v. P. DE FRANCISCI, Primordia Civitatis (1959) 90 ss.; R. BLOCH, Le origini di Roma (1977) 65 ss.; R. M. OGILVIE, Le origini di Roma (tr. 1984) 9 ss. Per l’analisi delle condizioni economiche dell’età preurbana v. F. DE. MARTINO, Storia della Costituzione Romana 12 52 ss.; 61 ss., con fonti e letteratura; ID., Storia economica di Roma antica 12 (1979).)) inerenti alla sacralità dei luoghi e degli animali-guida) ed economico (disponibilità di nodi fluviali e di centri di traffico). Poiché le ricerche archeologiche relative al Foro, al Palatino e all’Esquilino hanno messo in luce il carattere ‘ progressivo ‘ della formazione storica della comunità cittadina, a partire dal più antico villaggio del Palatino ((G. FRANCIOSI, Preesistenza della ‘gens’ e ‘nomen gentilicium’, in Ricerche 1.8 ss. e bibl. ivi., anche per quanto concerne la preesistenza delle gentes rispetto alla formazione della città-stato.)), è evidente che tale processo di fusione dei vari villaggi e di espansione territoriale dell’abitato si sia potuto giovare dell’apporto di componenti di diversa provenienza ((Cfr. C. AMPOLO, I gruppi etnici in Roma arcaica: posizione del problema e fonti, in Gli Etruschi e Roma. Atti dell’incontro di studio in onore di Massimo Pallottino (1981) 45 ss.)).
D’altra parte alcuni autori — la cui lettura di questa leggenda è comunque tuttora molto discussa — hanno interpretato l’intervento degli Orazi nel duello quale difesa militare non solo della Roma pre-civica, ma anche e soprattutto dell’insediamento territoriale della propria gens ((A. RUGGIERO, Mito e realtà nella vicenda storica della gens Fabia, in Ricerche 1.277 ss.; KUBITSCHEK, De Romanarum tribuum origine ac propagatione (1882) 12; In., sv, tribus, in PW, 6 A2 (1937) 2492 ss.)) . Tale ipotesi risulta plausibile alla luce della comprovata preesistenza della gens rispetto alla civitas nonché della collocazione — in età repubblicana — della tribus Orazia, il cui territorio confinava proprio con quello di Alba ((Idem, 278. Cfr. A. PIGANIOL, Le conquiste dei Romani2(tr. 1979) 78, 112, 126.)).
L’insieme dí questi dati — alcuni più immediatamente pertinenti, altri inerenti al quadro della mobilità gentilizia — sembra possa suffragare l’ipotesi della provenienza albana degli Orazi che, in età molto antica, dovettero spostarsi dal luogo di origine, inserendosi nella comunità romana pre-civica, che andava sviluppandosi verso forme di assetto urbano. Ciò consente di spiegare anche l’incertezza delle fonti registrata da Livio in merito al problema. L’antichità dell’insediamento di tale gens nel sito di Roma dovette offuscare il ricordo delle sue radici.
Degli Orazi vanno esaminati alcuni tratti salienti della loro storia, nei suoi vari risvolti, a partire dai sacra, elemento coesivo di ogni raggruppamento gentilizio ((G. FRANCIOSI, Sepolcri e riti di sepoltura delle antiche ‘ gentes ‘, in Ricerche 1.37 ss. con fonti e letteratura,)) e, dunque, particolarmente rilevante per la ricerca dei caratteri strutturali di questa gens.
- — Livio, a conclusione del racconto sul mitico duello e sul susseguente sororicidio da parte di P. Horatius, narra dell’istituzione del Tigillum Sororium
Liv. 1.26.13: 1s, quibusdam piacularibus sacrificiis factis, quae deinde genti Horatiae tradita sunt, transmisso per viam tigillo capite adoperto velut sub iugum misit iuvenem.
Benché lo storico latino scriva che il rituale venne fondato pecunia publica, lo si può tuttavia inquadrare fra i sacra
gentilicia, propri della gens Orazia e perciò nell’ambito del culto privato ((Fondamentale, al riguardo, è la testimonianza di Fest. sv. publica sacra (L. 245).)). Notizie più esaurienti si leggono in Dionigi, il quale scrive di un rituale fondato sul giogo e sulla contestuale origine di due culti celebrati per Ianus Curiatius e Iuno Sororia ((” Dion. 3.22.7.)).
Dall’esame delle due fonti emerge chiaramente la funzione catartica del Tigillum ((Sul Tigillum Soriorum v. Val. Max. 6.3.6; Fest. sv. sororium tigillum (L. 380); Cic. pro. Mil. 3.7; Flor. 1.3.1-6; Plin. n,h. 14.14, Cfr, E. PERUZZI, Origini di Roma 1 (1970) 153 ss.; E. MONTANARI, Il mito degli Orazi e Curiazi in Roma. Momenti di una presa di coscienza culturale (1976) 48 ss.)), legata alla liberazione del guerriero dal ‘ furor ‘ accumulato nel corso della guerra ed al suo conseguente reinserimento nell’ordine giuridico e religioso della comunità ((G. Dumezil, Ventura e sventura del guerriero (tr. 1984) 27 ss.)). Sul piano dell’esegesi mitologica, il racconto riflette, in una forma storicizzata tipica della cultura romana ((ID., La religione romana arcaica 79 ss.; D. SABBATUCCI, Lo Stato come conquista culturale (1985) 91 ss., partendo dalle conclusioni del Dumézil sulla storicizzazione romana dei miti, evidenzia lo « specifico » storico romano e sviluppa quindi in senso storicistico l’analisi dei miti e dei culti della Roma repubblicana.)), un noto tema religioso comune a molte culture indoeuropee ((G. Dumézil, Ventura e sventura 21 ss., per la comparazione con analoghi miti presenti in altre culture indoeuropee, con fonti e letteratura. Per le fonti sul tema v. part. La Saga irlandese di Cuchulainn (tr. 1982) 25 ss.)). Significativo è, al riguardo, il dies natalis di tale rito, il 1° di ottobre, il mese nel quale si chiude la stagione della guerra e inizia il ciclo posto sotto la tutela di Quirino, il Mars qui praeest paci ((Sulla ricorrenza calendariale del 1° ottobre v. G. Dumezil, Ventura e sventura 30; ID., La religione romana arcaica 190 ss. (anche riguardo alla connessione col rito dell’Equus October); F. COARELLI, Il Foro Romano (1983) 111 ss.)). Al passaggio temporale dal ciclo bellico a quello della pace corrisponde la transizione rituale rappresentata anche sul piano topografico. Il Tigillum, infatti, in virtù della sua disposizione orizzontale, va a costituire una porta ((P. DE FRANCISCI, Primordia Civitatis 303; F. COARELLI, Il Foro Romano 113.)), simbolo del transito da uno status a un altro, da una bellicosità furente (uccisione della sorella da parte di P. Horatius) alla reintegrazione nella pax interna della comunità. Alla luce di questi elementi il legame coi culti di Ianus Curiatius ((Su Ianus v. Macr. sat. 1.7.19-24; 1.9.3; 1.13.3; Plut. NUM. 20.1; Ovid. fasti 1.247-248. Il dio presiede agli inizi nel tempo, nello spazio, nella vita sociale ed è invocato per primo nelle preghiere. Sull’etimologia di Ianus V. ERNOUT – MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine (1950) sv. Ianus; WALDE – HOFMAN, Lateinisches etymologisches Wòrterbuch (1954) sv. Ianus. Cfr. G. Dumézil, La religione romana arcaica 290 ss.; A. BRELICH, Tre variazioni romane sul tema delle origini; E. MONTANARI, Il mito degli Orazi e Curiazi in Roma 81; D. SABBATUCCI, Lo Stato 118 ss.)) e Iuno Sororia ((Su Iuno v. Macr. sat. 1.11.36-40; Varro 1. L. 6.18; Ovid. fasti 3.228230; Dion. 4.15.5. La dea è preposta alla tutela delle nascite ed è legata all’inizio del mese lunare. Cfr. G. Dumézil, La religione romana arcaica 261 ss.; E. PESTALOZZA, La religione mediterranea (1951) 369 ss.; ID., Iuno Caprotina, in SMSR. (1933) 40; 52. Per l’etimologia di Iuno V. ERNOUT -MEILLET, Dictionnaire, sv. Iuno) appare decifrabile, trattandosi di due divinità aventi in comune, sia pure sotto profili diversi, il motivo della sacralità degli inizi.
Tali culti e rituali catartici, collocandosi in un’età arcaica, mostrano chiaramente la preesistenza della istituzione gentilizia rispetto alla formazione della vera e propria città-stato ((G. FRANCIOSI, Preesistenza della ‘gens’ e ‘nomen gentilicium’ in Ricerche 1.8 ss. e bibl. ivi.)). Che in epoca storica i sacrifici espiatori presso il Tigillum venissero poi officiati dai Fratres Arvales ((V. infra, nt. 30)) sta ad indicare l’assimilazione progressiva di alcuni culti gentilizi da parte della civitas e quindi l’influenza culturale e politica che le gentes esercitarono su di essa. Si tratta di un processo storico dimostrato anche in altri casi ((Emblematico è, ad esempio, il caso dei Lupercalia, sorti probabilmente come rito gentilizio dei Fabi e dei Quinzi e successivamente divenuti rito della civitas. Cfr. E. MONTANARI, Il mito degli Orazi e Curiazi 21 ss,; In., Nomen Fabium, in Roma (1976) 148 ss.; A. RUGGIERO, Mito e realtà, in Ricerche 1.289 ss.)). Le ragioni storiche della persistenza del mito e del rito del Tigillum vanno ricercate muovendo dalla topografia di Roma antica ed integrandone i dati con quelli forniti dall’epigrafia e dalla ricerca archeologica. Nei Fasti degli Arvali si legge infatti la seguente notizia: Tigillo Sororio ad Compitum Acili ((CIL. 1.330; cfr. G. HENZEN, Acta Fratrum Arvalium (1874) 238.)). Orbene, la scoperta del Compitum Acili, ubicato all’incrocio di varie strade che collegavano la Velia e il Foro con l’Esquilino, ha consentito la localizzazione del Tigillum ((F. COARELLI, Il Foro Romano 111. Sul piano topografico, molto indicativa è la contiguità dei Tigillum col Compitum Acili, poiché la gens Acilía contribuì all’introduzione in Roma della medicina greca. Sul punto v. Plin. n.h. 29.12-13; KLEBS, sv. Acilius, in PW. 1 (1894) 251 e v. inoltre F. D’IPPOLITO, Gli Ogulnii e il serpente d’Esculapio, retro 157, riguardo all’introduzione del culto di EscuIapio nel 292 a.C. da parte degli Ogulni. È noto che nelle culture arcaiche la medicina è legata alla rigenerazione sul piano rituale. V. ad es., per la cultura indo-aria, il Codice di Mano (tr. 1972) 219 ss. L’analogia di questo tema con quello dei piacula officiati al Tigillum sembra evidente.)), quasi in corrispondenza dell’inizio della stradina moderna in salita (il clivio di Acilio) simmetrica, sull’altro lato di via dei Fori Imperiali, al clivio di Venere Felice. Si trattava di un’area di confluenza di varie strade (che si dirigevano una verso l’Esquilino, l’altra verso la valle in cui poi sorgerà il Colosseo) all’estremità delle Carinae, ove sorgeva il murus terreus menzionato da Varrone ((Varro l. L. 5.47-48. Va rilevato che, secondo questa testimonianza, dalle Carinae ha inizio la Via Sacra. La porta ove si svolgevano i riti di purificazione e di iniziazione è adiacente al luogo in cui ha inizio la Via Sacra. L’insistenza con cui ricorre il tema religioso dell’ ‘ inizio ‘ rende ancora più chiara la funzione simbolica dei luoghi considerati.)). Il Tigillum era, in altri termini, la porta nord-orientale della Roma dell’VIII secolo, cioè la Roma che si estendeva dal Palatino alle Carinae. Livio, del resto, colloca l’episodio del sororicidio da parte dell’Orazio superstite presso la Porta Capena ((Liv. 1.26.2.)). Secondo una ricostruzione largamente accolta per la consistenza della documentazione che la suffraga, la Porta Capena sostituì il Tigillum in conseguenza della creazione delle ‘ mura serviane ‘ (F. COARELLI, Il Foro Romano 112.). E ciò sembra confermare l’arcaicità della ‘ trave delle sorelle ‘ e la sua datazione in età sicuramente anteriore alla seconda metà del VI secolo a.C. (ID. 112 ss.).
E’ interessante notare il significativo parallelismo fra il tema della catarsi guerriera presso il Tigillum (poi Porta Capena) e l’ubicazione dei templi di Marte, poiché uno di essi si trovava proprio extra portava Capenam e rappresentava il luogo da cui partivano le armate per la regione a sud di Roma ((Liv.7.23.3.)), di cui fa menzione Dionigi a proposito della transvectio equitum cui ebbe modo di assistere ai suoi tempi ((V. Dion. 6.13.4. Cfr. G. Dumezil, La religione romana arcaica 190.)). Che inoltre il Campus Martius ((Sul campus Martius Liv. 1.44.1; 2.5.2; 3.10.1; 3.27.3; 3.63.6; 3.69.6; 3.69.8; 4.22.7.)) — ove si radunavano i cives in armi convocati per le iniziative militari — fosse ubicato extra pomerium, è un dato omogeneo coi precedenti e che induce a ipotizzare un significato a loro comune: tutto ciò che ha attinenza diretta, immediata, con la guerra va compiuto fuori dalla città, della quale va rispettata la pace interna ((V. l’interpretazione del DUMEZIL, La religione romana arcaica 190 ss., anche per quanto concerne le. attribuzioni di Marte.)). In questo orizzonte religioso il dio della guerra non può essere invocato per la battaglia intra pomerium, poiché altrimenti l’impeto bellicoso che verrebbe ridestato si tradurrebbe in motivo di pericolo e di turbamento dell’equilibrio della civitas contro i cui nemici va invece rivolto. Le mobilitazioni militari devono dunque aver luogo fuori della cinta muraria, così come il guerriero, reduce dalla battaglia, deve sottoporsi al piaculum prima di accedere alla città. Analoga è la motivazione che si rinviene nelle fonti a proposito della collocazione extra pomerium, sin da epoca arcaica, del tempio di Vulcano: il fuoco, nel suo aspetto distruttivo, va diretto contro gli hostes ((Vitr. 1.7.1.)) e dunque deve aver sede fuori dalla città. Il sacrarium Martis della Regia ((Sul sacrarium Martis, F. COARELLI, Il Foro Romano 118 ss.)) non sembra possa smentire questa spiegazione; giustamente il Dumézil ha rilevato che anche la funzione guerriera doveva essere presente nella « casa del re » poiché egli, in epoca arcaica, rappresenta la sintesi di tutte le funzioni sociali ((G. DUMEZIL, La religione romana arcaica 190 ss. esclude la presenza di un culto di Marte in città, riferendo il sacrarium a una diversa funzione legata alla sovranità del rex; ID., Mythe et épopée 2 (1971) 364 ss.)).
Ciò consente di spiegare perché il mito di fondazione del Tigillum si sia conservato nella tradizione fino ai tempi di Livio e Dionigi, nonché il motivo per cui i riti di passaggio si siano tramandati fino ad epoca storica. Questo rituale calato in un contesto gentilizio risulta omogeneo, nel suo contenuto, alla mentalità religiosa romana, imperniata sulla distinzione fra spazio civico e spazio esterno, potenzialmente ostile. Il Tigillum racchiude la giustificazione, in termini di ideologia religiosa, dell’esistenza stessa del pomerium, inteso come limen sacrum entro cui tutto dev’essere funzionale all’ordinata convivenza civica. È vero che anche Marte, quale dio della guerra, interviene in difesa di Roma per tutelarne la pace, ma è nota d’altra parte l’ambivalenza di questa divinità ((Sull’ambivalenza della nozione del sacro v. E, BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee 2 (tr. 1976) 419 ss.; 426 ss., con fonti e letteratura. Nelle culture arcaiche il sacro è una nozione ambivalente e complessa, designando al tempo stesso ciò che è consacrato agli dei e quel che è fonte di pericolo, di turbamento ed anche di contaminazione. V. al riguardo M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni (tr. 1976) 19 ss.)); egli è Mars pater nei rituali agresti riportati da Catone ((Cato, de agr. 141.)), ma è anche Mars caecus, alludendosi con tale espressione alla inesorabilità del suo potere distruttivo ((Su Mars caecus cfr. G. Dumezil, La religione romana arcaica 209.)).
Questa ipotesi consente di cogliere il rapporto dialettico che storicamente viene a crearsi fra la civitas e le tradizioni gentilizie. Queste vengono conservate e poi progressivamente assorbite, in quanto funzionali alla logica dello Stato romano ((B. BIONDO, I Potizi, i Pinarii e la statizzazione del culto di Ercole, infra 191 ss.; A. RUGGIERO, Mito e realtà, in Ricerche 1.289 ss,; cfr. E. MONTANARI, Nomen F abium, in Roma 169 ss., per quanto concerne i sacra e i mores della gens Fabia nel loro rapporto con l’ideologia dello Stato romano. Particolarmente significativo è l’episodio, narrato in Liv. 5.40.7-10, dell’aiuto offerto al flamen Quirinalis e alle Vestali dal plebeo Lucius Albinius per portare in salvo a Caere gli oggetti del culto in seguito all’assedio gallico. Alla concezione del sacro fondata sulla preminenza del culto gentilizio e del nomen se ne sostituisce una nuova, scaturente dalla sintesi culturale e sociale fra plebe e patriziato di cui quell’episodio sembra essere la simbolica rappresentazione.)), nella quale politica e religione sono inestricabilmente legate ((J. SCHEID, La religione a Roma (1983) 13 ss.)). Il rito del Tigillum si perpetua in età storica (e il mito della sua fondazione si tramanda) perché risponde in definitiva a una esigenza politico-religiosa radicata nella respublica, quella di salvaguardare la civitas da ogni causa di turbamento della pax deorum ((Sulla nozione della pax deorum in rapporto al problema dell’empietà v. J. SCHEID, La religione a Roma 20 ss,)).
Risulta opportuno verificare ora se la funzione di questo rituale sia riducibile al tema della purificazione del guerriero o se invece tale interpretazione non sia legata rigidamente allo schema dell’ideologia trifunzionale. Sono interrogativi che spingono ad esaminare altri aspetti dei sacra di questa gens.
- — La disponibilità dei dati relativi ai culti di Ianus Curiatius e Iuno Sororia consente di attribuire al rituale del Tigillum una funzione molto più ampia di quella individuata dal Dumézil.
L’epiteto di Curiatius suffraga l’ipotesi che si trattasse del Giano preposto alla tutela delle curiae e quindi all’ammissione dei giovani nel loro seno ((F. COARELLI, Il Foro Romano 114 ss.)). In altri termini, è questo il dio cui è legato l’inizio della partecipazione alla vita politica in età antica. Che tale passaggio abbia un valore rituale lo si desume anche dal culto femminile di Iuno Sororia — chiaramente irriducibile alla dimensione guerriera — il cui nome richiama immediatamente quello del Tigillum, ponendo in risalto la persistenza di questo motivo di religiosità femminile ((Sulle iniziazioni femminili nelle culture arcaiche v. M. ELIADE, Miti, sogni e misteri (tr. 1976) 241 ss.; 246 ss.)). Sono entrambi riti di iniziazione, rispettivamente connessi alla sfera politica (nel segno di Ianus Curiatius) e allo sviluppo sessuale (Iuno Sororia), come lascia comprendere la testimonianza di Festo sul significato di sororius (da sororiare):
Fest. sv. sororiare (L. 380): Sororiare mammae dicuntur puellarum cum prinaum tumescunt.
La differenziazione fra un tipo di iniziazione e l’altro, fra piano naturalistico e piano politico, è del resto motivo comune a molte culture arcaiche, ampiamente documentato in sede etnologica e storico-religiosa ((Cfr. A. VAN GENNEP, Les rites du passage (1909); H. SCHURTZ, Alterklassen und Mannurbunde (1902); M. ELIADE, Miti, sogni e misteri 232 ss., 241 ss. e bibl. ivi.; Id., Lo sciamanísmo e le tecniche dell’estasi (tr. 1974) 49 ss.; 60 ss.; 64 ss.)). Il Tigillum è dunque la porta della Roma palatino-veliense ove si svolgono i riti di iniziazione maschile e femminile, oltre al rito di purificazione dei guerrieri reduci dalle spedizioni militari.
Tale porta di una Roma estremamente arcaica (ma il discorso è analogo per la successiva porta Capena) aveva dunque vaste e complesse funzioni, tutte imperniate sul comune motivo della purificazione.
Questi dati hanno importanti implicazioni per la conoscenza dell’organizzazione gentilizia in età arcaica. I riti del Tigillum presuppongono infatti un’organizzazione sociale articolata in classi di età ((Sul punto v. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 298 ss., con fonti e letteratura.)), nella quale il passaggio dall’una all’altra va ritualmente compiuto, implicando nuovi doveri, nuove funzioni e un diverso rilievo sociale. Al riguardo, la testimonianza di Varrone ((Varro, rer. hum. (?) 17.62 (= Censor. de die nat. [Semi 2.133]).)) non sembra lasciare dubbi. L’erudito reatino distingue, infatti, cinque classi di età delle quali l’ultima è stata giustamente interpretata come un elemento aggiunto posteriormente poiché interrompe l’euritmia scandita con precisione fino ai 60 anni ((V. retro nt. 52.)). Che l’organizzazione per classi di età fosse una peculiarità delle società arcaiche è cosa nota, ma, a mio avviso, la notizia di Varrone contiene ulteriori dati, storicamente rilevanti, qualora sia rapportata all’insieme delle fonti sul Tigillum. Se infatti confrontiamo il passo di Varrone con Dion. 3.22.2 (culti di Iuno Sororia e di Ianus Curiatius) e abbiamo presente la testimonianza di Liv. 1.26.13 sui piacula annualmente celebrati al Tigillum quali elementi costitutivi della tradizione religiosa degli Orazi, abbiamo un’ulteriore conferma dell’esistenza, presso le culture arcaiche, dell’antica istituzione tribale, attraverso la sua sopravvivenza nell’organizzazione interna della gens Horatia.
Considerando inoltre la formazione progressiva della comunità romana pre-civica per effetto del sinecismo fra i vari villaggi nonché il rilievo storico delle tradizioni relative all’insediamento in Roma di interi gruppi gentilizi provenienti da aree vicine, possiamo plausibilmente ipotizzare che le classi di età sono un’eredità storica della società tribale e gentilizia. Al contrario, il giudizio cui l’Orazio superstite viene sottoposto, secondo il racconto tradizionale, può spiegarsi come il segno di un mutamento culturale che, storicamente, si verifica nella società romana d’età più recente, e che viene proiettato in un tempo mitico. Esso riguarda il consapevole rifiuto del sacrificio umano ((Cfr. A. DE MARCHI, Il culto privato di Roma. antica 2 (1903) 20. Le fonti sul tema sono in Varro, de vita p. Rom. 2.87 (= Non. 523.22 [Semi 3.133]); Fest. sv. sexagenarios (L. 452); Lact. epit. 18 (23) 2. V. l’analisi del tema sviluppata in G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 300 ss., con particolare riguardo al rito degli Argei alle idi di maggio.)) — mi riferisco al sororicidio narrato dalla tradizione — limitato solo a casi eccezionali ((Le testimonianze di Liv. 22.57 e Plut. Marc. 3 sui sacrifici umani dopo la sconfitta di Canne e prima della guerra contro gli Insubri riguardano appunto eccezionali congiunture politiche e non una prassi sistematica.)). Tale interpretazione può chiarire perché di questo episodio del processo si sia conservata memoria nella tradizione fino ai tempi di Livio; al di là della versione mitica, occorre scorgere il processo storico cui il mito allude, ossia il rapporto che intercorre fra ‘ cultura ‘ gentilizia e logica politica della civitas, imperniata sulla prevalenza del diritto statale.
Se questi sono i dati inerenti ai culti della gens Horatia in un contesto storico-culturale arcaico, occorre ora vedere qual’è stata la sua presenza politica in età repubblicana, verificando se e quale connessione esista con l’insieme della sua religiosità, il cui contenuto non sembra esaurirsi nello scenario mitico-rituale del Tigillum.
- — Il primo personaggio della gens Horatia che compare in età repubblicana è M. Horatius Pulvillus ((Liv. 2.8.4-5. Lo storico registra peraltro l’incertezza delle sue fonti in merito al brevissimo consolato di Spurio Lucrezio che non risulta citato apud veteres auctores. Secondo tale versione — che Livio non accoglie — M. Horatius Pulvillus sarebbe succeduto direttamente a Bruto. Secondo Polibio (3.22.1) questo esponente della gens Horatia sarebbe stato collega e non successore di Bruto.)) — consul suffectus nel primo anno della repubblica (insieme a P. Valerius Publicola) in sostituzione di Sp. Lucretius — al quale le fonti attribuiscono concordemente la dedica del tempio di Giove Capitolino. Livio ((ss Liv. 2.9.6-9. Secondo Val. Max. 5.10 l’Orazio avrebbe dedicato il tempio nella qualità di Pontifex Maximus. Dion. 5.35.3 riferisce invece la dedica del tempio a un secondo consolato di questo personaggio, ossia al 507, secondo la cronologia dei Fasti,)) e Plutarco ((Plut. Popl. 14.2.)), con alcune varianti, narrano il conflitto insorto fra gli Orazi e i Valori per la dedica .del tempio, a testimonianza dell’antagonismo fra gruppi gentilizi in un momento storico in cui, dopo la cacciata dei Tarquini, il nuovo equilibrio politico si andava lentamente delineando ((L’orientamento più consolidato presso la critica moderna è, infatti, quello che ricostruisce l’ordinamento costituzionale repubblicano come il frutto di un lungo e travagliato processo storico, legato alle difficoltà internazionali che Roma affrontò durante l’arco del V secolo sul piano militare e, contestualmente, a quelle interne di ordine sociale, economico e politico. Notoriamente diverse sono le forme, le modalità e i tempi entro cui questo processo storico viene delineato: cfr. F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana 1 (1972) 215 ss. con fonti e letteratura in merito; L. Homo, istituzioni politiche romane (tr. 1975) 24 ss,; R. M. OGILVIE, Le origini di Roma 81 ss. Per una diversa interpretazione delle fonti sull’argomento, nel senso di un più ampio riconoscimento della loro attendibilità in merito al passaggio dalla monarchia etrusca al consolato collegiale e annuale, S. TONDO, Profilo di storia costituzionale romana 1 (1981) 131 ss. Al dí là delle differenti esegesi della tradizione su questa vexata quaestio, quel che interessa in questa sede è la puntuale e concorde testimonianza degli storici antichi in ordine alla presenza politica degli Orazi nella storia della repubblica del V secolo e della prima metà del IV secolo, quale che sia stata la forma costituzionale e la configurazione della magistratura entro cui quella presenza va a collocarsi.)). Lo stesso M. Horatius Pulvillus, secondo Dionigi, avrebbe svolto un ruolo di primo piano, sotto il profilo militare, nella destituzione di Tarquinio il Superbo ((Dion. 4.85.3-4.)). Nel 477 (475 in Dionigi) le fonti registrano un C. Horatius ((Liv. 2.51.1; Dion. 9.18.)) console con T. Menenius, nell’anno in cui, stando a Dionigi, si verifica la strage del Crémera, mentre Livio scrive che la notizia della clades giunge a Roma poco prima che abbia inizio il loro consolato. In tale circostanza, C. Horatius, inviato contro i Volsci, ritorna a Roma e interviene in tempo per impedire che gli Etruschi pongano l’assedio alla città. Del 457 (455 in Dionigi) è il consolato di M. Horatius Pulvillus ((Liv. 3.30.1-7; Dion. 10.26.1.)), unitamente a Q. Minucius: è l’anno in cui, secondo la tradizione, i tribuni plebis costringono il patriziato ad elevare a 10 il loro numero, ricorrendo all’artificio della falsa notizia di una scorreria dei Sabini nell’agro romano. Per il 453 Dionigi attesta un P. Horatius console insieme a S. Quintilius, a fianco del quale Livio riporta invece un P. Curiatius ((Liv, 3.32.1; Dion. 10.53.)). L’anno successivo tornano a Roma gli ambasciatori dalla Grecia e si fa luogo alla creazione del decemvirato, con la conseguente sospensione di ogni altra magistratura e della provocatio ((Liv. 3.33 ss. Sul punto v. M. Ducos, L’influence grecque sur la loi des douze tables (1978) 13 ss., con fonti e letteratura sull’argomento. La versione tradizionale risulta inattendibile in vari punti: cfr. G. POMA, Tra legislatori e tiranni (1985).)). Nel primo decemvirato Dionigi riporta l’ex console P. Horatius, ma Livio, ancora una volta, attesta un P. Curiatius ((Liv. 3.33.3; Dion.. 10.56.2.)). Entrambi i nomi scompaiono nel secondo decemvirato ((Liv. 3.35.11.)), segnato dal tentativo di usurpare il potere ((Liv. 3.36.5: Decem regum species erat; Liv. 3.38.1: Idus Maiae venere. Nullis subrogatis magistratibus, privati pro decemviris, neque animis ad imperium inhibendum imminutis neque ad speciem honoris insignibus prodeunt.)). Contro i decemviri si riscontra in particolare l’opposizione di L. Valerius Potitus e di M. Horatius Barbatus ((Liv. 3.39.3-10; Dion. 11.5.)). Il discorso attribuito a quest’ultimo — riferito in modo quasi identico da Livio e Dionigi — è imperniato sul ricordo dell’esempio dei suoi antenati, ostili alla politica liberticida e tirannica di Tarquinio il Superbo, per cui un comportamento analogo da parte di un gruppo di ‘ privati ‘ risultava ancora più inaccettabile. Il tema della tutela delle libertà repubblicane ricorre nella difesa di Icilio, promesso sposo di Virginia e membro influente della plebe ((Liv. 3.49.3; Dion. 11.28.2; 11.28.7; 11.30 ss.)), nonché nell’intervento in funzione mediatrice che il Valerio e l’Orazio conducono in seguito alla secessione sul Monte Sacro ((Liv. 353 ss.)). L’impegno che essi assumono per il ripristino delle garanzie costituzionali sembra rispettato durante il consolato del 449, caratterizzato, oltretutto, dal ripristino della lex de provocatione — la cui collocazione storica è tuttora molto discussa — e da una nuova legge per la quale nessuno avrebbe avuto facoltà di creare una magistratura senza che ad essa si potesse fare opposizione mediante provocatio ad populum ((Liv. 3.55.1-15. Cic. de rep. 2.31.53. Sul punto v. B. SANTALUCIA, Gli inizi della repressione criminale, in Lineamenti di storia del diritto romano, sotto la direzione di M. Talamanca (1979) 44 ss.)). Il consolato del 449 si conclude col rafforzamento del potere dei tribuni della plebe — i quali ottengono che il trionfo ai consoli vincitori sia celebrato populi iussu e sine auctoritate senatus ((Liv. 3.63.11. Livio attribuisce a tale consolato il riconoscimento della efficacia vincolante delle deliberazioni della plebe e della inviolabilità dei testimonianze — vengono pubblicate le due tabulae iniquae che suoi tribuni; lo storico registra comunque le incertezze interpretative riguardo alla sacrosanctitas. V. Cic. de rep. 2.31.53.))— ma è anche quello in cui — secondo alcune testimonianze — vengono pubblicate le due tabulae iniquae che sanciranno, tra l’altro, il divieto di conubium fra patrizi e plebei ((Liv. 3.57.10.)). I due ex consoli ricompaiono nel 445, in occasione della creazione dei tribuni militum consulari potestate ((Liv. 4.6.7-8.)). Livio registra inoltre un L. Horatius Pulvillus nel 386 ((Liv. 6.6.3.)) e un M. Horatius nel 378 ((Liv. 6.31.)), entrambi nella qualità di tribuni militum consulari potestate. A partire dalla metà del IV sec. a.C. non è più attestata una presenza politica degli Orazi.
Molteplici e significative sono le indicazioni che emergono dalla lettura delle testimonianze citate. Nel quadro della reazione asti-etrusca — per effetto delle note vicende internazionali — e dell’ostilità verso il carattere tirannico della monarchia dei Tarquini, risalta il ruolo dí questa gens. Si ha l’impressione che, nella prospettiva annalistica, tale linea di azione sia l’aítion della successiva caratterizzazione della presenza politica degli Orazi. Costante è, infatti, la salvaguardia delle libertà repubblicane contro ogni tentativo di restaurazione della tirannide, sia esso di tipo demagogico, come nel caso di Valerio Publicola, sia invece di impronta chiaramente antiplebea, come in quello del secondo decemvirato. Il conflitto per la dedica del tempio di Giove Capitolino nel 509 e il discorso attribuito a M. Horatius Barbatus contro i decemviri vanno letti in questa chiave.
Altro aspetto significativo riguarda la funzione di mediazione che appare spesso assunta dagli Orazi nel quadro del conflitto fra patriziato e plebe. L’iniziativa legislativa attribuita al consolato del 449 nel segno del rispetto delle garanzie costituzionali, l’intervento in occasione della secessio plebis o per il potenziamento del tribunato della plebe e la successiva presenza degli Orazi nel tribunato militare sono segni univoci della volontà di recepire talune istanze plebee in un quadro civicostatuale di cui occorre garantire l’unità ((V. Liv. 4.6.7. I due ex-consoli sono menzionati come gli unici patrizi che non prendevano parte alle riunioni organizzate dai consoli in carica per fronteggiare l’iniziativa plebea tendente all’abolizione del divieto di conubium. E mancato intervento nella contesa politica su tale problema non equivale però, a mio avviso, ad una posizione di aperto favore per la proposta del tribuno Canuleio.)). Lo stesso tribunato militare, secondo una interpretazione largamente accreditata e recentemente ripresa, è un istituto volto a realizzare una soluzione transitoria di compromesso fra patrizi e plebei ((Cfr. F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana 12 317 ss, V. ora A. ROMANO, Il ruolo della ‘ gens Veturia’ nelle scelte diplomatiche nei secoli V e W a.C., infra 270.)). Tuttavia gli Orazi, pur rappresentando parte dell’ala moderata del patriziato, ne esprimono pur sempre la logica politico-religiosa. La pubblicazione delle tabulae iniquae sotto il consolato dí M. Horatius Barbatus — anche se l’argomento è discusso sul piano dell’attendibilità storica — è molto indicativa in questo senso. La gens Horatia sembra tener conto delle nuove esigenze sociali, ma entro i limiti dettati dall’esigenza, altrettanto importante, di garantire in seno alla civitas le distinzioni sociali che, secondo la testimonianza liviana ((Liv. 4.2.)), hanno una motivazione religiosa (oltre che politica), la quale incide sugli equilibri di potere. È un aspetto il cui rilievo è stato anche di recente sottolineato ((G. FRANCIOSI, La plebe senza genti e il problema della rogatio Canuleia’, ín Ricerche 1.125 ss.; 174 ss.)).
La funzione storica che le fonti concordemente attribuiscono alla gens Horatia è, dunque, quella di realizzare la concordia ordinum nel contesto della tutela delle libertà repubblicane e della graduale enucleazione delle strutture politiche della civitas, fondate, in modo sempre più accentuato, sulla sintesi patrizio-plebea e quindi sul progressivo consolidamento di un nuovo tipo di classe dirigente ((Cfr. E. MONTANARI, Il mito degli Orazi e Curiazi, in Roma 57 ss.)). A tale proposito va notato che la statua della mitica figura di H. Clocles ((Liv. 2.10.1-3. Sull’etimologia del cognomen v. G. DUMÉZIL, MitraVaruna, Essai sur deux représentations indo-européennes de la souvranité (1948) 169 ss.; ID., Gli déi dei Germani (tr. 1977) 53 ss.)) viene collocata in area Volcani ((Gell. 4.5.1-5.)) che, in età repubblicana avanzata, diviene il simbolo dell’unità cittadina, tanto da essere chiamata indistintamente ‘ area Concordiae ‘ o area ‘ Volcani et Concordiae ‘ ((Liv. 39.56.6; 40.19.2. Nel 367 a.C. il console Camillo eleva a lato del Volcanal il primo tempio alla Concordia (Ovid, fasti 1.637-642; Plut. Canini. 42). Nel 304 a.C. l’edile Cn. Flavius edifica una cappella alla Concordia Liv. 9.46.6; Plin. n.h. 33.1.19).)). Alla luce di quanto detto poc’anzi, è plausibile che tale collocazione della statua avesse il valore di riconoscimento dell’azione mediatrice esplicata dagli Orazi. Ove si consideri che la Concordia a Roma era una dea che personificava il valore dell’unità della civitas ((V. G. DUMÉZIL, La religione romana arcaica 349-354, con fonti e letteratura.)), si può ragionevolmente stabilire un parallelismo fra dimensione religiosa e linea politica degli Orazi. È noto, infatti, che il nomen Horatium è un gentilizio teonimo ((Sui nomina gentilicia G. FRANCIOSI, Preesistenza della ‘gens’ e nomen gentilicium’; Clan gentilizio 243 ss. Sul nomen Horatium cfr. E. MONTANARI, Il mito degli Orazi e Curiazi, in Roma 71 ss.)), derivante da Hora, la dea associata a Quirino, il Mars qui praeest paci. Nel mito trádito da Ovidio
((Ovid. met. 14.581. Hanc manibus notis Romanae/conditor urbis excipit et priscum pariter/cum corpore nomen mutat Horamque vocat/quae nunc dea iuncta est.)), essa è la divinizzazione di Ersilia, la donna sabina che interviene per riconciliare i Romani col suo popolo dopo il leggendario episodio del ratto.
Questi elementi vanno considerati nello stesso contesto della già richiamata funzione catartica del Tigillum, rapportabile all’esigenza di salvaguardare l’ordinata convivenza civica, con l’eliminazione rituale di ogni fattore di impurità e di potenziale pericolo. L’analogia che viene così a delinearsi fra aspetti religiosi e politici, sembra poter suffragare l’ipotesi che questo scenario mitico-rituale sia l’aition, il modello di giustificazione mitico-ideologica del ruolo storico degli Orazi.
La connotazione guerriera di alcuni esponenti di questa gens (altri sono caratterizzati in senso sacerdotale ((V. retro 182 nt. 58 e 59, per quanto concerne la dedica deI tempio di Giove Capitolino da parte di Horatius Pulvillus. L’episodio sembra denotare una funzione sacerdotale di questa figura gentilizia. Cfr. E. MONTANARI, Il mito degli Orazi e Curiazi 59, in disaccordo con l’esegesi del Dumézil.)) non è preclusiva rispetto a questa analisi; infatti a Roma la funzione guerriera non è peculiare di questa o di quella gens, e la plurivalenza funzionale appare un dato storicamente attendibile in una società che, sin dall’età più antica, non conosce rigide articolazioni di casta, sul tipo di quelle Indo-arie. Nella prospettiva della tradizione annalistica, i temi illustrati sono funzionali alla legittimazione religiosa e politica dell’ordinamento repubblicano. La successiva statalizzazione dei riti del Tigillum conferma questo processo storico.
(fonte: Ricerche sull’organizzazione gentilizia romana, II, a cura di Gennaro Franciosi), Jovene, Napoli, 1988, pubblicato online su www.ereticamente.net)
Stefano Arcella