Pulsional: corpo fra ferite, arte, terapia come Ritual – Vitaldo Conte
Il corpo ferito come arte
Il mio libro Pulsional Gender Art (Avanguardia 21 Ed.) esce a fine 2011. Fra le sue principali argomentazioni ci sono i Corpi d’Arte Estrema, che “attraversano” il segno-ferita, richiamando espressioni sciamaniche. Il taglio-ferita è presente nelle pieghe e nei corpi della storia dell’arte. “Attraversa” molteplici espressioni con segni e immagini di rosso: rappresentazioni di animali feriti nella pittura rupestre, rappresentazioni bibliche cruenti, scene di guerra e violenza, ecc. Le sue tante immagini rimandano al sangue fuori dall’opera di ogni epoca: dalle prime raffigurazioni paleocristiane fino agli eventi del corpo estremo degli ultimi decenni. L’esibizione di questo rosso esprime, insieme, la purezza e l’impurità, il sacro e il profano, la vita e la morte. Dagli anni Settanta la rappresentazione visiva delle arti canoniche subisce uno scombussolamento, poiché irrompono le perturbanti espressioni del “corpo come arte”, che diviene protagonista assoluto: soggetto e oggetto da esibire come opera. Nasce così anche l’arte estrema: l’esposizione della carne e la sua violazione diventano una specie di momento epifanico. Il segno-ferita è da inserire nelle dimensioni espresse, negli ultimi decenni, dalla Live Art. Queste azioni, dai tempi e dalle modalità variabili, hanno una comunicazione immediata: il pubblico è in rapporto diretto con la pulsione emozionale dell’evento. È arte dal vivo, dunque, ma anche Arte Vitale in tutte le sue immagini, pure in quelle più sconvenienti per le norme sociali, come quelle segnate con il sangue. «Siamo tutti libri di sangue; in qualunque punto ci aprono siamo rossi» (Clive Barker)[1]. Numerose sono le espressioni che si manifestano – oggi – attraverso la corporeità e il sangue, divenendo eventi di Ritual Art. A queste concorrono, talvolta, pratiche di modificazione corporali, diffuse socialmente: il tatuaggio, il piercing, il branding. Ciò costituisce l’entrata nel mondo dei Modern Primitives, della Vampire Culture, del Fetish e BDSM Art. Da queste subculture, fortemente ritualizzate, partono, frequentemente, diverse espressioni del corpo estremo d’arte. I segni rossi narrano “ferite sempre aperte”, che vogliono in/seguire l’altro, al di là di ogni linguaggio. Il sangue e il taglio sigillano il contatto, visivo e intimo, tra il corpo segnato e l’occhio che guarda, più di ogni altra comunicazione verbale. Ho parlato su questo legame nell’introduzione all’evento Nella mia ferita sgorga il tuo sangue (Roma 2014)[2].
La ferita: tra creatività e patologia, arte tra mistica e desiderio
«L’età della ferita, più della sua profondità e del suo propagarsi ne costituisce la dolorosità. Essere continuamene squarciato nel medesimo canale della ferita, vedere medicata la ferita già operata infinite volte» (Franz Kafka)[3].
Mi rapporto, in un laboratorio-evento, su La ferita: tra creatività e patologia (Messina 2001)[4], anche per omaggiare l’entrante primavera, con un gruppo di psicoterapeuti e con pazienti (affetti da turbe mentali). Fra quest’ultimi c’è qualcuno già praticante il segno-ferita, sul proprio corpo, come insopprimibile necessità interiore. Un ex ospedale psichiatrico, con le sue memorie di internamento, si trasmuta, per qualche ora, in uno spazio d’arte. La ferita – da segno patologico – diviene una possibilità espressiva: realizzata con comportamenti, manualità creative e musiche. L’evento unisce i terapeuti e i pazienti, gli artisti collaboratori (Stello Quartarone, Wolfango Telis), insieme a me, nel medesimo climax psico-pulsionale. Siamo tutti vestiti con una tuta e una maschera, raffigurante ognuna il nostro altro volto. Ci sdraiamo su grandi fogli di carta bianca: la nostra sagoma viene “delineata intorno” da un altro. Su questi fogli e sulle tute, alla fine dell’evento, tutti tracciano, con il colore rosso, il segno-ferita in una sorta di psicodramma (personale e collettivo), che doppia e libera, catarticamente, la memoria di una personale ferita. L’evento si conclude con una danza che vuole essere celebrazione collettiva. Lo psicoterapeuta denuncia, talvolta, una serie d’interrogativi verso alcune segnaletiche patologiche (come quelle della ferita). Per comprenderle, deve rimettere in discussione il suo mondo interiore, oltre che i limiti della sua disciplina, “aprendoli” verso altri percorsi. Il guaritore delle ferite rischia, nella dialettica terapeutica, di rianimare le proprie. La guarigione è: «un processo dialettico: la comprensione ha bisogno di uno specchio. Più l’analista è ‘dentro’ il caso, è familiare con l’anima dell’altro come specchio di essa, tanto meglio può comprendere il sogno. La stessa cosa è con il suicidio» (James Hillman)[5]. Lo psicanalista e scrittore Aldo Carotenuto è «propenso a credere che nel dolore fermentino e si accrescano le potenzialità creative dell’uomo; poiché il dolore è come la spina nel fianco che, tenendoci sempre svegli, ci costringe a guardare oltre la soglia dell’abitudine. Ma è pur vero che affinché ciò accada deve esserci un orizzonte di speranza: la promessa di un superamento»[6]. I miti stessi ci offrono, come Carotenuto ricorda, immagini di eroi “trafitti”. La ferita e la sindone è il titolo di una mia mostra personale, condivisa con il pittore Wolfango Telis, in cui espongo lavori di corpo-scritture (Siracusa 2001)[7]: la sindone è, per me, traccia/ferita di mistica e desiderio. «Sul concetto di confine come ‘ferita’ lavora l’artista-scrittore romano Vitaldo Conte (…). Ma la ‘ferita’ allude anche alla ‘sindone’, alla traccia del corpo e della sua sparizione: la ferita è anche evocatrice dell’assenza, come confine che delimita la presenza» (Luciana Cataldo)[8]. La mostra ricorda il ceroplasta siracusano Gaetano Giulio Zumbo (1656-1701) con i suoi corpi di cera, che potrebbero essere oggi definiti “arte estrema”, poiché presentano la ferita, l’orrido, la decomposizione e la malattia (fisica e interna). «La ferita è nelle pieghe della cera di Gaetano Zumbo (…). La ferita è nel racconto dell’arte, in tutte quelle occasioni in cui si impone la riflessione dell’uomo sulle conseguenze degli egoismi, dei soprusi, delle angherie» (Paolo Giansiracusa)[9]. Intervengo in un convegno (Roma 2015)[10] sullo Scrivere la ferita come arte, in cui auspico che questa possibilità possa divenire una interiore narrazione terapeutica e di creazione. Studi di psicosomatica, effettuati da ricercatori dell’Università di Aukland (Nuova Zelandia), rilevano, infatti, che scrivere aiuta a curare la ferita, non solo in chiave metaforica. La sua “trascrizione” accelera la guarigione, favorendo la cicatrizzazione del taglio.
Ferita e cicatrice come ritual sciamanico
Il filo rosso del segno-ferita diviene un rituale di consapevolezza, quando accompagna l’esorcismo emozionale dell’autore. Far emergere la propria essenza, attraverso il sangue, è un modo per liberare il segreto delle proprie interne “crepe” dall’intonaco delle protezioni e censure. Il taglio-ferita può essere una estrema testimonianza per “sentirsi esistenti” in un mondo di relazioni estranee. La ricerca di una propria altra definizione “attraversa” questo rituale rosso come passaggio per la rinascita. Crisostomo Lo Presti scrive: «Vitaldo Conte si sofferma al continente Mediterraneo, dove ancora lo sciamano (nel suo segreto) continua a trastullarsi nel contatto con il trascendente (…) la ferita come segno estremo di desiderio si blocca di fronte al sacrificio totale. Quello dei santi o dei sacerdoti aztechi che avevano un punto preciso: il cuore da strappare per innalzare l’energia al loro dio. E l’opera d’arte della ferita estrema si compiva con la morte della vittima»[11]. L’uso del sangue come “pratica”, interiore e spirituale, è presente in rituali religiosi e di varie tradizioni, che, talvolta, si esprimono attraverso una trascendenza cruenta. Questi intendono assimilare, simbolicamente, l’iniziato a una condizione di morte, che precede la rinascita. La dimensione sciamanica, presente nelle espressioni d’arte del corpo estremo, ha riferimenti nella teoria del sacrificio dell’antropologo e filosofo René Girard. In questa il taglio-ferita è visto in una duplice natura di violenza: può insudiciare o purificare, indurre gli esseri alla follia e morte, come pure a farli rinascere[12]. Il taglio di una ferita, divenuta poi cicatrice, può essere anch’esso un possibile tatuaggio di rigenerazione e difesa. Il sangue, che emerge dal taglio-ferita, diviene nel contempo, come in un antico rito, segno di una perdita ma anche di una possibile rigenerazione, di un nuovo destino. Come quello dei medici-guaritori dell’antichità che doppiavano le ferite per poterle esorcizzare e sanare con i loro stessi corpi. Una ferita sempre aperta, che non può o vuole cicatrizzarsi, può condurre a un segreto. La cicatrice sulla pelle indica, simbolicamente e visivamente, la chiusura di una ferita, di una malattia profonda. Rappresenta la prova tangibile di una guarigione o di una bellezza “sofferta”. Un tempo si riteneva che i tagli sul corpo potessero allontanare l’influsso degli spiriti maligni o le influenze di energie malate, “rinchiuse” nel proprio interno: gli si apriva così una via di uscita. Questo percorso diveniva, per gli antichi guerrieri, la mappa di un viaggio di protezione dalla violenza della natura e dell’uomo. I tagli e le abrasioni, espressi sulla propria pelle come lingua di interne motivazioni e pulsioni, vogliono divenire poi “cicatrici”. «Il tessuto della cicatrice rappresenta una sostanza magica, che tiene insieme la carne e lo spirito, il corpo e la mente in un mondo che minaccia di separarli» (Armando Favazza).
Sensual massage come ritual
Le ‘maschere del corpo-anima’ possono incarnarsi nelle espressioni energetiche del sensual massage. Questo vuole vivere in un evento ritual per recuperare la totalità del proprio sentire. Il corpo-anima, ascoltando i moti della psiche e della pulsione, è infatti creatore della propria don/azione di benessere, in dialettica con lo specchio dell’altro e i condizionamenti della società. Il “massaggio totale” collega la bioenergetica e il polarity, il reiki e la terapia pranica del colore, l’ascolto e la canalizzazione del respiro, il colloquio con minerali e profumi, espressioni d’arte e sonore, ecc. Il sensual massage può esprimere dunque il sentire del corpo-anima, in cui l’altro da sé diviene un “alchenico legame” psico-emozionale. L’operatore è “guidato” dall’energia-creazione: fisica e spirituale. Il viaggio in questo massaggio del corpo-anima è, per me, soggetto/oggetto di incontri: come quello alla ‘Sallustiana Art Today’ di Roma (3 marzo 2019), in cui intervengo, comparando questa possibilità con poetiche del corpo d’arte. Dopo l’incontro con il pubblico, la serata diviene un ritual evento, attraverso frammenti di sensual massage sul corpo vestito di donne, distese sul lettino per massaggi. L’ambientazione, con opere d’arte alle pareti, concorre ad avvolgere l’azione, animata anche dallo spray profumato della rosa, emblema di mistica sensualità. La carica energetica dell’essere può essere ricercata in una totalità fisico-interiore e di creazione. Esprimo questo pensiero nella conferenza-evento Arte-Sciamanesimo-Energia, al Castello di Rocca Sinibalda (RI) (28 agosto 1993). Il mio viaggio, nelle espressioni di guarigione naturale e interiore, è sintetizzato nel catalogo dell’esposizione Stati del bianco, in cui partecipo come artista: “operatore di reiki sciamanico e dinamiche creativo-corporali, massoterapia e ‘maschere estetiche’ per ricercare sulla fronte lo ‘yang bianco’: le tre rughe ondulate, il ‘segreto’ di chi possiede solo il proprio ‘yang’ esistenziale che non può che essere ‘bianco’, in quanto questo colore riunisce in sé tutti gli altri… ‘oltre’ le forme della seduzione per rivolgersi all’invisibile ‘altro’… per danzare con il respiro del…”[13].
Il maestro spirituale indiano Osho Rajneesh considera: «Il mondo ha bisogno di massaggio poiché l’amore è scomparso. Una volta il semplice tocco di due amanti era sufficiente. (…) La persona che massaggi non ha corpo. Concepiscila come senza corpo e il tuo massaggio andrà molto in profondità. (…) Per corpo intendo che né lui né tu siete materia, entrambi siete energia. Quando due cose materiali si toccano, c’è una collisione. Quando due energie si toccano esse semplicemente si mischiano, si uniscono e si fondono l’una nell’altra. Non c’è collisione. Allora la prima cosa è sentire che l’altro è semplicemente una energia; tu sei anche una energia. Dopodiché comincia a giocare con l’energia come se stessi suonando una chitarra. Fa che sia musica più che massaggio. Fa che sia gioco più che lavoro. Lascia che venga dal cuore più che dalla mente. La tecnica va conosciuta, ma poi dimenticata. Uno dovrebbe conoscere la tecnica e poi non preoccuparsi di essa. Il massaggio è quasi come amare. (…) il 90% del lavoro si fa attraverso l’amore, e il 10% attraverso la tecnica»[14].
Note:
[1] C. Barker, Libri di sangue, Castelvecchi, Roma 2011.
[2] V. Conte, introduzione a Nella mia ferita sgorga il tuo sangue, evento a cura di M. Fioramanti e I. Palomba, Caffè Letterario, Roma 30 marzo 2014.
[3] F. Kafka, Diari 1910-1923, Mondadori, Milano 1977.
[4] V. Conte, in La ferita: tra creatività e patologia, laboratorio-evento, Cittadella della Salute (area L. Mandalari), Messina 21 marzo 2001.
[5] J. Hillman, Il sucidio e l’anima, (1964, 19979); Casa Editrice Astrolabio, Roma 1999; Adelphi, Milano 2010.
[6] A. Carotenuto, Se la vita non è più vita…, Il Messaggero, Roma 3 dicembre 1999.
[7] La ferita e la sindone, mostra bi-personale con W. Telis, Il camino, Siracusa 2001. Catalogo: Ed. Genia Group, Siracusa 2001.
[8] L. Cataldo, Puglia d’Oggi, 11 aprile 2011.
[9] P. Giansiracusa, introduzione a La ferita e la sindone, cit.
[10] V. Conte, Scrivere la ferita come arte…, intervento in Territori Contaminati, convegno a cura di L. Reghini di Pontremoli, Aula Magna, Accademia di Belle Arti, Roma 26 marzo 2015.
[11] C. Lo Presti, Gazzetta del Sud, Messina 13 marzo 2001.
[12] R. Girard, La violenza e il sacro, cit.
[13] Stati del bianco (Bolsena, Roma, Taormina), mostra a cura di V. Biasi. Catalogo: Stampa Alternativa, Roma 1994.
[1a] Osho Rajneesh, Thle shadow of the whip, Rajneesh Foundation, 1978.
Vitaldo Conte