Praga Magica: Max Brod e la Praga esoterica di Rodolfo II – Giovanni Sessa
Vi sono in Europa città crogiolo, veri e propri athanor alchemici, nelle quali culture diverse, religioni disparate, lingue e popoli, hanno trovato sintesi sublime. Il loro tratto connotante, l’atmosfera spirituale rilevabile nelle loro strade, nei monumenti, nelle chiese, le rende rappresentazione architettonica dell’intera civiltà prodottasi, nel corso del tempo, nel nostro continente, espressione quint’essenziale dell’homo europaeus. Tra esse una posizione di rilievo ha certamente Praga. Lo slavista Angelo Maria Ripellino ha immortalato tale tratto della città boema, nel titolo della sua opera più nota, Praga magica. Le sue pagine fanno il paio con quelle di un grande scrittore di lingua tedesca, Max Brod che, alla città magica, ha dedicato un volume imprescindibile, da poco riproposto nella nostra lingua da Iduna editrice, La Praga esoterica di Rodolfo II, per la cura di Paolo Mathlouthi (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 392, euro 25.00).
Si tratta di una ricostruzione romanzesca della vita intellettuale della Praga nel Cinquecento, in cui Brod mette in luce le sue indubbie qualità scrittorie, riuscendo a coinvolgere il lettore attorno alle vicende che ruotano attorno a due personaggi, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo e l’astronomo- alchimista Tycho Brahe. Un libro che, come si suol dire, si legge d’un sol fiato. Praga, ricorda il curatore, nel Rinascimento fu Capitale della magia e in tale funzione subentrò a Toledo, che lo era stata nel Medioevo. In essa: «il rigore tedesco delle architetture convive con l’anima slava, fatalista e sognatrice» (p. II). La città divenne sede imperiale per volontà di Rodolfo II, che concesse asilo e protezione a cabalisti, alchimisti, astrologi e maghi delle più diverse scuole.
A Praga visse il Doktor Faust, medico e occultista, protagonista di tanta letteratura da Goethe a Thomas Mann, per non dire della suggestione esoterica suscitata dal ghetto ebraico, dove Gustav Meyrink sostenne aggirarsi il Golem: «mostro d’argilla chiamato a compiere vendetta contro coloro che perseguitano i figli dispersi d’Israele» (p. III). All’ingresso del ghetto vi è uno strano orologio che segna il tempo al contrario: questa sua caratteristica colpì a fondo Walter Benjamin. L’umbratile quartiere di Malá Strana conserva, lungo i suoi vicoli acciottolati, il ricordo della presenza degli ermetisti Cornelio Agrippa e Paracelso, mentre nei sotterranei della città trovarono sicuro ricovero gli Yazidi, adoratori dell’Angelo Caduto: «riparati in Boemia per sfuggire all’intransigenza coranica dei Turchi […] i quali coltivavano in gran segreto la goetica, antica arte di evocare le potenze infernali» (p. III). Filosofi, ciarlatani, maghi autentici, alchimisti-matematici come John Dee e il suo assistente Kelly (protagonisti de, L’Angelo della finestra d’Occidente di Meyrink) animarono la Praga rodolfina.
La lettura del libro sembra, innanzitutto confermare l’intuizione di Frances A. Yates in merito alla stretta relazione tra sapere magico-ermetico e scienza moderna (pur trattandosi di due approcci assolutamente diversi al reale!). Lo testimonia la figura di Tycho Brahe, cosmologo il cui sistema planetario fu sintesi della visione tolemaica e di quella copernicana, ma che conseguì maggiore notorietà per le pratiche stregoniche e per lo studio inteso dell’ opera dell’ermetista Tritemio. Egli individò in Keplero, personaggio che compare nelle prime pagine del volume, il proprio allievo prediletto. Brahe fu costretto, per le accuse di pratiche occulte illecite, ad abbandonare l’osservatorio astronomico di Uraniborg in Danimarca e a trovare riparo nella tollerante Praga.
Vi giunse nella notte di S. Silvestro del 1598: «avvolto in un lungo mantello trapuntato di stelle ricamate, le formule magiche cucite nelle maniche di ermellino» (p. IX). Il suo aspetto era inquietante: al posto del naso, strappatogli a morsi da un rivale in amore, una protesi d’argento. Era inoltre accompagnato da Jeppe, nano deforme che aveva salvato da un rogo, appiccato per lui da una carovana di zingari. Entrambi: «accomunati dal segno di Caino della deformità, tra i due sembra esistere un legame segreto […] indissolubile» (p. X). Tycho Brahe divenne, ben presto, confidente e consigliere di Rodolfo. Si instaurò tra loro: «un complicato gioco di ombre cinesi, un fitto intreccio di proiezioni, rimandi corrispondenze a livello inconscio nel quale è possibile ravvisare una sublimazione […] dell’esperienza personale dell’Autore» (p. X). Rodolfo, del resto, viveva asserragliato nel Palazzo, poco incline a occuparsi degli affari di Stato, mentre le Fiandre erano dilaniate dalla guerra di religione tra cattolici e protestanti e parte dell’Ungheria era stata assoggettata dai Turchi. Collezionava, nella propria Wunderkrammer, mirabilia procurategli, in ogni dove, da Jacopo Strada, antiquario, padre della concubina prediletta e: «interpella(va) i fantasiosi automi meccanici dei quali si circonda(va) come fossero suoi consiglieri» (p. VIII).
(Rodolfo II)
Il nunzio apostolico Filippo Spinelli informò il Pontefice Paolo V della pericolosa influenza esercitata da Brahe sull’Imperatore. Il papa convinse Mattia, fratello di Rodolfo, ad intervenire. Questi dall’Ungheria, con l’appoggio dei nobili locali, marciò alla volta di Praga. Rodolfo II, rimasto politicamente solo, fu costretto a cedere il trono a Mattia. Visse da prigioniero nel Palazzo, preda di allucinazioni, in completa solitudine, non potendo contare sull’appoggio di Tycho, scomparso poco prima, probabilmente avvelenato. La “Praga magica” di Rodolfo fu sconfitta e con essa ebbe termine, con la guerra dei Trent’anni, l’Europa. Con Tycho si spense, almeno momentaneamente, il progetto ermetico che, attraverso l’Eros cosmogonico mirava a conseguire la conciliazione di natura e cultura. Un libro, non solo letterariamente coinvolgente, ma chiarificatore sulle sorti dell’Europa e del sapere.
Giovanni Sessa