Platone: la conoscenza che supera il tempo – Luigi Angelino
E’ superfluo ricordare che parlando di Platone, ci troviamo di fronte ad uno dei più grandi fondatori del pensiero occidentale. Le sue dottrine sono state in grado di proiettare una luce, capace di superare le barriere dello spazio e del tempo, suscitando innumerevoli dibattiti in merito alle problematiche affrontate dal filosofo e creando le premesse per i successivi approfondimenti sviluppati dai posteri. Platone fu senza dubbio un genio originale se rapportato al suo periodo storico, dal quale fu naturalmente influenzato. Ricordiamo molto brevemente le vicende politiche della Grecia tra il V ed il IV secolo a.C. che lasciarono un’impronta indelebile nella formazione giovanile del filosofo. Atene, che per decenni era vissuta nel più fulgido splendore culturale ed istituzionale, ora si vedeva afflitta e assediata dalle temibili truppe spartane. Ciò che, tuttavia, angosciava maggiormente la classe dirigente degli Ateniesi era il timore di perdere l’egemonia culturale nell’ambito del mondo ellenico. Platone aveva circa diciotto anni, quando le mura della sua città furono rase al suolo ed un’orda di rivoluzione e di sangue divampò rovinosamente (1). Andava profilandosi un panorama politico che evidenziava ancora di più le contraddizioni del sistema politico ellenico: da un lato la cultura che appariva molto vivace ed alquanto omogenea, esperienza unica forse fra tutte le civiltà antiche, dall’altra la costante rivalità fra le “poleis” che non consentiva una progressiva unificazione nazionale. Qualche speranza di rinascita la fece intravedere il governo dei Trenta Tiranni, ma ben presto dal punto di vista pratico deluse anche di più dei regimi precedenti (2).
Pur essendo stato invitato ad entrare nella vita pubblica, Platone rimase consapevolmente estraneo ad una partecipazione politica attiva, allo scopo di non contaminarsi con la dilagante corruzione che abbracciava l’intero sistema governativo del tempo. Si trattava, possiamo dire, di una situazione paradigmatica, comune a tutte le epoche storiche, con le dovute differenziazioni, e quanto mai attuale. Nella sua formazione culturale, Platone familiarizzò dapprima con Cratilo, allievo di Eraclito, dal quale ricevette il suo primo indottrinamento filosofico. Ma l’esperienza più importante fu di certo il suo avvicinamento a Socrate, che aveva ormai raggiunto l’apice della notorietà quando Platone era appena ventenne. Alla notizia dell’ingiusta condanna che colpì il suo amico e maestro, Platone si rese ancora più conto della corruzione che dilagava nello stato ateniese: una corruzione che, con linguaggio moderno, non aveva soltanto implicazioni “penalistiche” ma che investiva l’intero costume delle varie stratificazioni sociali. Si potevano intravedere già i sintomi di una decadenza generale che investirà tutta la Grecia e che avrà un momento di gloria solo con l’effimero impero di Alessandro Magno. Con la morte di Socrate, si va delineando il dramma giovanile che accompagnerà Platone per tutta la vita: un dramma sentito, sofferto, e perfino studiato, che provocherà l’inizio di un intero e ben strutturato programma filosofico e che si intreccerà con altri grandi interrogativi, quasi prendendo la forma di un mosaico che va gradualmente completandosi (3). Ed è proprio Platone a costituire la testimonianza scritta del pensiero di Socrate, non avendo quest’ultimo lasciato alcunché di redatto di proprio pugno (4).
La scelta di Socrate, di prendere la cicuta e di rifiutare la fuga offerta dagli amici, sarà risolta ed interpretata come “scelta etica”, quale obbedienza della legge fino in fondo, nonostante fosse viziata da ingiustizia in maniera manifesta. Alcuni pensatori cristiani, nell’ottica di dare continuità al pensiero classico, vedranno in Socrate, con le necessarie distinzioni, una sorta di prefigurazione del Cristo che, per attuare il progetto di salvezza a favore dell’umanità, obbedì al volere del Padre fino alla morte in croce (5).
L’intento principale del pensiero del programma platonico sarà sempre l’edificazione di una società giusta mediante l’ausilio della filosofia. Nonostante non abbia mai partecipato attivamente alla vita politica ateniese, Platone fu l’unico discepolo di Socrate che giunse al convincimento della necessità per il cittadino di avere rapporti sociali e politici attivi e proficui. Gli altri discepoli di Socrate, invece, giunsero a conclusioni diametralmente opposte, cioè scegliendo la strada di chiudersi in un atteggiamento di solitaria saggezza, tipico modo di fare che adotteranno gli esponenti delle scuole filosofiche post-aristoteliche. Il programma politico di Platone, pur essendo per molti aspetti utopistico, è stato proiettato attraverso i secoli, assumendo sfumature diverse a seconda dei vari contesti sociali e culturali di riferimento. Esso si è rivelato pietra miliare sia per i sistemi teologici che per quelli materialisti, come ad esempio il comunismo. Dal punto di vista epistemologico, Platone ha dato un significato completamente diverso alla filosofia. Questa particolare disciplina fino a Socrate era considerata una ricerca come unico mezzo per rendere nobile la propria esistenza. A partire da Platone, invece, la filosofia viene messa a servizio della comunità, al fine di conseguire risultati utili e positivi per la stessa. Ed ecco che lo schema filosofico caro a Platone non si perde nei giochi di parole tipici della sofistica e nemmeno nell’analisi di problematiche esclusivamente speculative, seppure non ne siano mancate nella sua copiosa letteratura.
Prima di cominciare, nel 396 a.C., la propria fiorente carriera letteraria, Platone viaggiò molto, soprattutto in Egitto, dove conobbe il famoso matematico Teodoro, nonché nell’Italia meridionale, quell’area geografica che i Romani non a caso denomineranno Magna Graecia, dove si fermò per lungo tempo a Taranto , per apprendere le dottrine pitagoriche. E’ opportuno ribadire che in epoca antica non vi era una vera e propria distinzione classificatoria tra le varie discipline: i filosofi molto spesso erano anche matematici e viceversa.
L’intento generale che guida la ricerca di Platone si avverte già nelle prime opere, l’Apologia (6) ed il Critone (7), nelle quali richiama i concetti primari dell’insegnamento socratico, come la necessità di prendersi cura della propria anima. Le opere di Platone, come è ben noto, sono espresse sotto forma di “dialoghi”, esigenza forse nata inizialmente dalla volontà di spiegare meglio il Socrate storico, del quale, come si diceva in precedenza, non abbiamo nessuna diretta eredità scritta. Nel “Protagora” e nel “Gorgia” (8), Platone delinea in maniera esauriente ed esaustiva il grande programma di rieducazione della società attraverso la filosofia. Il linguaggio adoperato dall’abile scrittore è colorito e vivace, al punto che in alcuni passi sembra di leggere “una penna” di alcuni secoli più matura. Ma ciò che rende maggiormente interessante le sue opere, è la carica drammatica e dialettica che anima le scene e la scelta dei soggetti molto spesso contrapposti. La profondità della filosofia greca raggiunge in Platone vette insormontabili, in alcuni campi “razionalizzate” meglio soltanto da Aristotele, ma forse con minore vis poietica (9).
Già in alcuni dei suoi predecessori vi era stata l’aspirazione alla ricerca della “verità”, a spiegare il perché delle cose e della loro esistenza. Ma in Platone questa aspirazione si impone in una dimensione nuova, una dimensione che potremmo definire “più umana”: la sua visione complessiva è di carattere antropocentrico, anche quando affronta interrogativi di natura cosmologica. Platone, tuttavia, rovescia il famoso motto attribuito a Socrate “so di non sapere” in “non sapere di sapere”. La conoscenza dell’uomo, nella riflessione platonica, rimarrebbe imprigionata in una miriade di opinioni poco chiare, di cui avrebbe solo un vago ricordo. E da qui che il filosofo parte per formulare la teoria della “reminiscenza” o della “anamnesi”, che darà vita alle numerose osservazioni sul “mondo delle idee”.
Quando acquistò un appezzamento di terra vicino al parco dedicato ad Academo (10), donde deriva il nome di “Accademia” attribuito alla scuola fondata da lui stesso, Platone si dedicò all’attività di insegnamento orale, nel corso della quale ebbe modo di chiarire meglio le proprie idee, di ampliarle e di correggerle. Nel “Menessemo” (11) illustrò i fondamenti della “paidea” ( nella nostra lingua potremmo tentare di renderla con il termine di “formazione”), che la sua scuola mirava a raggiungere, non mancando di esprimere giudizi e paragoni con altre scuole dell’epoca. Il problema principale che si trovò ad affrontare fu soprattutto di carattere gnoseologico, cercando di sciogliere il dilemma se la conoscenza sia oggettiva oppure soggettiva. Platone si trovò davanti a due teorie in contrapposizione: da un lato il divenire eracliteo, dall’altro l’essere immutevole ed eterno di Parmenide di Elea. Il suo genio filosofico cercò di individuare una giusta posizione intermedia, valorizzando in maniera originale sia il “divenire” eracliteo che l’ “essere” di Parmenide. Con la stesura del “Fedro” (12), Platone riesce ad ampliare il discorso iniziato nel “Menone”(13), recuperando la distinzione operata dalla famosa scuola eleatica tra “doxa” (opinione) ed “aletheia” (verità). La verità, nello specifico, non diventa più ciò che l’uomo avverte con il semplice intervento dei sensi, ma qualcosa che è possibile raggiungere soltanto con il pensiero, attraverso un processo di vera e propria astrazione rispetto al “mondo sensibile”. Le “idee”, presenti nell’iperuranio, il mondo ideale, diventano, secondo Platone, anche la causa del mondo del divenire, rappresentando quindi gli “archetipi” della nostra realtà materiale. L’occasione per esplicitare meglio il suo concetto, si presenta a Platone, in una scena vivace e dinamica del “Simposio” (14), una riunione conviviale immaginaria tra i personaggi più illustri dell’antica Atene, come Socrate, il retore Fedro, il commediografo Cristofane, il politico Pausania et cetera. Dopo aver ascoltato con attenzione le opinioni degli altri commensali, Socrate individua nel personaggio mitologico di “Eros”, l’essenza stessa della filosofia: egli, infatti, è povero e ricco nello stesso tempo e possiede uno slancio nell’anima rivolto alla ricerca del “bello”(15) . Questa immagine didascalica vuole far comprendere come l’uomo comune, con la forza della filosofia, possa riuscire a cogliere le essenze immutabili delle cose; l’anima umana assume un forma intermedia e “demoniaca” (nell’accezione ellenica), in quanto si colloca a metà strada tra il mondo divino e quello materiale. Si tratta di posizioni che saranno estremizzate dai filosofi della cosiddetta “scuola neoplatonica” a partire dal I secolo d.C., soprattutto da Plotino e successivamente dagli esponenti dello gnosticismo cristiano.
L’insieme del mondo delle idee costituisce, per Platone, il già citato “iperuranio”, dove risiede un’idea che è in grado di sovrastare tutte le altre, possedendo una luce più sfolgorante ed accecante delle altre: l’idea del bene. Quest’ultima rappresenta la vetta più alta a cui possa pervenire il filosofo, la maggiore aspirazione che deve animare coloro che si accingono a ricercare la verità. L’idea del bene, in quest’ottica, diventa per Platone quasi il “destino” verso il quale si devono dirigere tutti gli elementi naturali, una concezione che sarà ripresa ed adattata ai propri schemi dottrinali da parte di Agostino di Ippona.
La “Repubblica” (16) rappresenta il compendio del pensiero politico di Platone, pur presentando alcuni aspetti del tutto utopistici ed eticamente inaccettabili secondo i canoni del pensiero contemporaneo predominante, come ad esempio l’adozione di modelli eugenetici, che prevedano l’eliminazione di persone non utili alla società, oppure l’impossibilità di scegliere il proprio coniuge imposto invece dalle istituzioni statali. A ciò si aggiunge una visione di una forma di comunismo estremo con l’eliminazione dei gruppi familiari e gentilizi, nonché della proprietà privata, istituti considerati dal filosofo come “nemici” dello sviluppo completo della poleis. Nell’ambito delle teorizzazioni politiche, forse la lacuna più notevole di Platone è quella di aver identificato la stessa politica con la filosofia, distinzione che, invece, sarà ampiamente esplicitata da Aristotele.
Il capolavoro iconografico di Platone, forse più conosciuto ed impresso nell’immaginario collettivo, è il cosiddetto “mito della caverna”, raccontato all’inizio del libro settimo della “Repubblica”, in cui il filosofo analizza i vari gradi che l’uomo deve compiere per arrivare alla conoscenza, distinguendoli in quattro: due dei quali relativi alla conoscenza sensibile ed altri due alla conoscenza intellegibile. Nel compendio del racconto, gli uomini sono immaginati come schiavi incatenati nel fondo di una caverna e scorgono delle ombre che ritengono siano le parti dell’unica vera realtà (l’immaginazione). Al contrario, uno sguardo d’insieme ci mostra come le ombre siano proiettate dalle statue (l’opinione) ed all’esterno c’è il sole che potrebbe abbagliare, nonche alcuni oggetti reali riflessi nell’acqua (elementi matematici). Sollevando gli occhi verso l’alto, gli uomini relegati in fondo alla caverna potrebbero arrivare, comunque, a scorgere lo stesso sole splendente (simbolo della apoteosi filosofica e della stessa idea del bene). A partire soprattutto dal ventesimo secolo, il mito della caverna è diventato una metafora utilizzata per indicare l’incessante manipolazione dei mass-media nei confronti degli individui, perdendo l’originalità della visione platonica. Molteplici, infatti, sono state le pellicole cinematografiche prodotte con l’intento di evidenziare una fantomatica realtà olografica di cui sarebbe vittima l’umanità attuale oppure del futuro, come la fortunata trilogia di Matrix, che raffigura la razza umana sfruttata e controllata dalle macchine. Gli esseri umani credono di vivere liberamente nel XX secolo, mentre in realtà sono imprigionati dagli automi, allo scopo di fornire costantemente energia necessaria alla sopravvivenza meccanica degli androidi. Si tratta di una rilettura transumanista poco felice del mito di Platone, il cui intento, partendo dal problema gnoseologico, era proprio quello di mettere l’essere umano al centro dell’intera realtà.
Note:
1 – La cosiddetta “guerra del Peloponneso” terminò con la definitiva sconfitta di Atene, culminata nella battaglia di Egospotami nel 405 a.C. Atene fu occupata dal generale spartano Lisandro, che originò una breve rivincita del partito oligarchico e filo-spartano;
2 – Nel 404 a.C. ad Atene fu instaurato il regime dei “Trenta Tiranni”, ossia un governo capeggiato da trenta oligarchi, ma l’anno successivo visse l’esperienza del governo democratico guidato da Trasibulo;
3 – Francesco Adorno, Introduzione a Platone, Ed. Laterza, Bari 2008;
4 – Nonostante la fama acquisita, Socrate non ha lasciato nessun documento scritto di proprio pugno. Alcuni suoi famosi motti sono riportati nei dialoghi platonici e, pertanto, è molto difficile comprendere quanto ci sia di veramente genuino;
5 – Sul tema l’articolo di Paul Ricoeur, pubblicato su Avvenire il 27 gennaio 2013;
6 – L’Apologia è un’opera in difesa di Socrate, elaborata tra il 399 ed il 388 a.C. e costituisce la più credibile fonte di informazioni sul processo a Socrate;
7 – Nel Critone, composto intorno al 390 a.C., Platone tende ad evidenziare il pensiero del maestro Socrate;
8 – Nel Protagora e nel Gorgia, Platone polemizza con i filosofi sofisti;
9 – Franco Trabattoni, La filosofia di Platone. Verità e ragione umana, Ed. Carocci, Roma 2020;
10 – Academo fu un eroe della mitologia greca che, secondo la tradizione, rivelò ai fratelli Dioscuri, Castore e Polluce, il luogo dove era tenuta prigioniera la sorella Elena. Quando morì, la sua tomba fu collocata alla periferia di Atene, circondata da un fitto bosco, che finì per dare il nome ad una zona della città;
11 – Si tratta di uno dei dialoghi più brevi di Platone, composto dopo il 387, nel quale il filosofo si rivolge soprattutto ai giovani;
12 – Nel Fedro, composto intorno al 370 a.C., Socrate e Fedro discutono sull’amore, in tre discorsi che servono come metafora per il corretto uso della retorica;
13 – Il Menone è un dialogo composto intorno al 375 a.C., sul rapporto fra le virtù, che viene identificata come “conoscenza”, attraverso la “teoria delle idee”;
14 – Il Simposio è forse il più conosciuto dei dialoghi di Platone, concepito quasi come una “gara retorica” tra i partecipanti;
15 – G. Reale, Eros demone mediatore, Ed. Bompiani, Milano 1997;
16 – La Repubblica è anch’essa redatta sotto forma di dialogo, più volte rimaneggiata dal filosofo in un arco temporale che va più o meno dal 390 al 360 a.C..
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.