Pierre Pascal, un geniale intellettuale tra Occidente e Giappone – Luca Valentini
“Roma di sole e di silenzio, Roma sacra e santa, che il galoppo interminabile degli uomini motorizzati, con le sue vibrazioni senza fine, distrugge più sicuramente che la pioggia, al punto di minare le fondamenta di tutto quanto rimane ancora di anacronistico in un mondo, pazzo di cronaca, ma sempre più ignaro del valore del Tempo, il cui termine assoluto non è altro che l’Eternità” (1)
Pierre Pascal (Mons-en-Barœul, 16 aprile 1909 – Roma, 13 gennaio 1990), quale poeta sublime, fine intellettuale e profondo conoscitore della cultura tradizionale, può essere considerato uno degli esempi luminosi del ‘900, in cui la dimensione spirituale ha saputo inverarsi in una coraggiosa pragmatica esperienziale, collegandosi a filoni d’anima e di culture apparentemente diversi. I suoi studi giuridici interrotti, infatti, non gli impedirono, tramite l’iscrizione alla Sorbonne, e poi la frequentazione dell’Istituto di lingue orientali di Parigi, di innamorarsi del mondo lontano ed ancestrale del lontano Oriente quale maturazione di un archetipo, a cui si era sempre ispirato, per tutta la propria esistenza, quello della Roma Eterna. Impegnato sul fronte nazionalista prima in Francia e poi in Italia, nell’ambito dell’ultimo conflitto mondiale, non mancò di esplicitare liricamente la propria vicinanza sottile alla mantica estatica e guerriera, che egli condivideva con due grandi esponenti dell’anima profonda sempre del ‘900, Gabriele D’Annunzio e Yukio Mishima.
Su queste linee di vita si inserisce la prima biografia a lui dedicata dalla scrittrice spezzina Gabriella Chioma, che per Novantico Editrice, ha recentemente pubblicato “Pierre Pascal, lettere ad una Signora – tra Occidente e Giappone”. Il testo che abbiamo il piacere di presentare ai lettori di Pagine Filosofali si incentra su un corposo epistolario – più di 400 missive – di un’anonima Dama, che permettono all’autrice di ricostruire la duplice esperienza spirituale di Pascal, tra anima occidentale e anima giapponese, nel segno della dedica iniziale che la stessa Chioma tributa al genio francese:
“A Pierre Pascal, Combattente della penna e della spada sul Fronte dello Spirito…”.
Un anno prima del suo congedo dall’esercito francese, avvenuto nel 1934, fu il fondatore della rivista letteraria “I quaderni di Eurydice” (2), che gli permise di affermarsi nel mondo culturale e letterario parigino, sempre avendo quali cardini d’ispirazione l’incontro fatale con Charles Maurras e la sfera dell’epica arcaica, in un connubio misterioso tra politica e sacro, che lo condurrà nel 1935 a scrive e pubblicare per le Editions du Trident la celebre “Ode alla Terza Roma”. Come segnala la Chioma, il suo lirismo determinava un piano di azione tradizionale e pedagogico, non limitandosi all’astrattezza o all’arte mezzo espressivo di sè stessa, in una mera produzione senza fondamento:
“L’esercizio poetico divenne – e lo fu sino all’ultimo – un’arma ideale per battersi contro qualsiasi forma di imbarbarimento, di degenerazione e di volgarità, con una particolare attenzione nello stigmatizzare la decadenza e l’ipocrisia della nostra epoca” (3).
(Pierre Pascal)
Tale disposizione lo condusse (4) a frequentare prima l’appartamento parigino di René Guènon (nel 1928, a seguito della presentazione di Pierre-Noël de la Houssaye), il tramite cui, successivamente, entrò in contatto con Julius Evola. Mentre il rapporto con il primo fu interrotto dalla conversione all’Islam del tradizionalista francese trasferitosi al Cairo, Pascal essendo un fervente cattolico, nonostante la ancora più marcata differenza religiosa, instaurò un rapporto con Evola che si sarebbe rivelato assolutamente più solido nel corso del tempo, fino alla morte, nel 1974, dello stesso Evola. A tale rapporto privilegiato l’autrice ha dedicato un capitolo specifico nell’opera in riferimento, cogliendo, dal nostro punto di vista, tutta l’unicità di una visione tradizionale della vita e del sacro, che può anche superare aspre diversità religiose. Critico per ovvie ragioni nei confronti del testo evoliano sull’Imperialismo Pagano, nella denuncia della catabasi della civiltà moderna, l’intellettuale francese ed il filosofo francese ritrovarono, però, una comune Weltanschauung di riferimento:
“E’ dunque questa visione del mondo che accomuna i due grandi personaggi, uniti anche dal vivere la propria eccezionalità e le proprie scelte ideologiche, in maniera autoctona, fuori dall’inquadramento in un regime” (5).
Altri due incontri straordinari di Pierre Pascal devono essere citati e raccontati e Gabriella Chioma nel testo se ne occupa con puntualità e profondità: sono gli incontri spirituali con Edgar Allan Poe e con Yukio Mishima.
Se l’incontro con lo scrittore americano dell’800 era per Pascal “un gigantesco labirinto di poesia, di chiavi esoteriche di storia letteraria” (6), tramite cui un’anima ferma, religiosamente salda in se stessa, ricercava il fondamento della propria esistenza nella vorticosa ed incessante ricerca documentale inerente ad un’artista la cui personlaità inquieta penetrò nel poeta francese per aprirgli il mondo, tra i tanti, dell’astrologia, ma anche propiziando la conoscenza di autori come Renè Quinton oppure di incontri mancati come quello con Alain de Benoist, definito senza troppa speranza “darwiniano, gramsciano, brutalmente antiromano” (7).
L’anima orientale, estremo-orientale, fu ridestata in Pascal tramite l’incontro fatale con Yukio Mishima, con il quale lo legava sia una comune infanzia problematica, sia la comune ripulsa delle società, occidentale ed orientale, in cui si sono svolte le rispettive esistenze. Come riporta la Chioma, da un documento del 1980, lo stesso poeta francese era consapevole di come
“non esiste il Caso, e la vita è un incontro” (8),
nell’ambito di una ipersensibilità che riunì l’anima più profonda ed eroica del Giappone ad un membro stimato dell’Accademia Imperiale della “Foresta dei Pennelli”. Si concretizzò una durevole e solida amicizia, che si interruppe solo a seguito dell’harakiri di Mishima, ma che perdurò per quel misterico connubio dialettico che entrambi ebbero con la vita, tra l’Occidente, quale espressione di Roma ed il Giappone del sole radiante, quale l’espressione del medesimo archetipo metafisico. Tale comunanza sottile, infine, ha consentito alla Chioma di tratteggiare magistralmente le personalità di due grandi samurai dello Spirito. In ciò l’essenza di un testo che emozionalmente, anche grazie alla prefazione ed alla postfazione di Federico Prizzi, avvicina il lettore ad uno degli indagatori della Tradizione più geniali del ‘900, Pierre Pascal appunto:
“Come il fiore del ciliegio il fiore sublime, così l’uomo per eccellenza è il Samurai” (9).
Note:
1 – Pierre Pascal, il poeta francese cantore della Terza Roma, in Carmine Starace, Panorama della letteratura francese del dopoguerra, in Rassegna Nazionale, maggio 1938;
2 – Gabriella Chioma, Pierre Pascal, lettere ad una Signora, Novantica Editrice, Cantalupa (TO) 2023, p. 35;
3 – Ivi, p. 45;
4 – Ivi, p. 46;
5 – Ivi, p. 70;
6 – Ivi, p. 90;
7 – Ivi, p. 97;
8 – Ivi, p. 127, nota 135;
9 – Ivi, p. 136.
Luca Valentini