L’arazzo di Bayeux: un documento storico attendibile – Luigi Angelino
Peter Wessel Zapffe: l’ultimo messia – Pietro Missiaggia
INTRODUZIONE
Peter Wessel Zapffe (Tromsø, 18 dicembre 1899 – Asker, 12 ottobre 1990) è stato uno scrittore e filosofo norvegese, autore di saggi filosofici, di racconti umoristici e soprattutto di saggi informativi sulla montagna, tutti testi molto amati e conosciuti nel suo paese. In Italia viene citato per la prima volta da Thomas Ligotti nella sua opera La cospirazione contro la razza umana, che poggia le sue idee sulla “biosofia” di Zapffe caratterizzata da sua visione pessimistica e fatalista dell’esistenza umana, nonché antinatalista e nichilista. Ma al contrario di Ligotti, Zapffe si autodefiniva “nichilista ma non pessimista”.
BIOGRAFIA (1)
L’UOMO DELLA VITA ALL’ARIA APERTA E L’ALPINISTA
Il padre, Fritz Gottlieb Zapffe, era un ginnasta e un amante della vita all’aria aperta e spesso portava la famiglia in gite in montagna e nei campi, estate e inverno. Durante gli studi di giurisprudenza presso l’università di Oslo, Peter Zapffe, si avvicina all’arrampicata su roccia., sport che eserciterà e amerà per tutta la vita, e che gli permetterà di stringere amicizia con Arne Næss, importante filosofo norvegese di stampo spinoziano. Si rivela già all’università uno spirito simpaticamente ribelle: durante un esame universitario scrive una delle risposte in versi, intitolata “Om Præjudicater2“. Un’altra volta si dice che si sia arrampicato su uno dei pilastri all’ingresso dell’Università di Oslo. Conclusi gli studi e ottenuta l’abilitazione alla professione legale nel 1923, Zapffe torna a Tromsø in Lapponia, dove inizia a lavorare come sostituto procuratore. Durante questo periodo compie più di una ventina di spedizioni in montagna, scalando montagne come il Kvaløya, Lyngsalpan, Ytre Senja, Ofoten e Lofoten, anche perché a quel tempo la cittadina di Tromsø era un importante centro di scambi commerciali da cui partivano molte spedizioni artiche, tra cui quelle dell’esploratore italiano Umberto Nobile. Dopo tre anni a Tromsø, Zapffe lascia definitivamente il suo lavoro di procuratore, torna a Oslo dove inizia gli studi di letteratura comparata, durante i quali rimane affascinato dalle opere letterarie e teatrali di Henrik Johann Ibsen (1828-1906). Conclude gli studi con un dottorato in filosofia nel 1940, dissertando su una tesi dal titolo A proposito del tragico3, che riprende principî e pensieri che aveva già presentato in un saggio precedente L’Ultimo messia. Oltre alle opere filosofiche, Zapffe scrive una serie di saggi e racconti umoristici sulle sue avventure nella natura (raccolti nel libro Barske Glæder4), accompagnati da originali illustrazioni, nonché testi descrittivi e informativi dedicata alla sua amatissima montagna.
IL PENSIERO FILOSOFICO
Dall’analisi della sua biografia, si possono rilevare tre punti fondamentali a sostegno del suo pensiero filosofico:
- L’amicizia con il filosofo Arne Næss (1912-2009), l’amore per la filosofia e l’interesse per la biologia.
- Lo spiccato senso umoristico nero che caratterizzano i suoi racconti.
- Il ruolo della natura, segnatamente della montagna, luogo di sfida e di pace allo stesso tempo.
Tra le letture filosofiche di Zapffe possiamo rintracciare influenze di Kierkegaard, Nietzsche e Schopenhauer nonché del biologo e filosofo tedesco Jakob Johann von Uexküll da cui prenderà il concetto di ambiente “Umwelt”. Per tutta la sua lunga vita, il filosofo norvegese rimane fedele alle proprie intuizioni che aveva già chiaramente espresse nella sua tesi di dottorato del 1941 (“Sul tragico”). Nei suoi scritti c’è quindi un motivo conduttore che ricorre continuamente e che costituisce la base di tutto il suo pessimismo umanistico: l’idea dell’uomo come sovra-dotato rispetto all’ambiente di vita in cui è necessariamente relegato. Ai suoi occhi, l’essere umano è una sorta di creatura biologica che però non vedrà mai la possibilità di veder soddisfatto il più essenziale dei suoi interessi, ossia la richiesta di una giustizia complessiva e di un senso della vita. L’opera che qui si analizzerà è un sunto del suo pensiero basato su una interpretazione implicita e pessimistica dello Übermensch nietzschiano che Zapffe pubblicò nel 1933 prima della sua tesi di dottorato e che venne distribuito durante la sua disquisizione della tesi stessa. Lo scritto apparve con il titolo “Den siste Messias” (L’ultimo messia). Tale scritto fu tradotto in inglese e recentemente in francese; innumerevoli edizioni in diverse lingue si trovano su Internet in formato elettronico. Tale piccolo pamphlet viene oramai considerato come una summa del pessimismo filosofico e di una vera e propria attenzione data dal pensiero filosofico per la natura una sorta di “bio-filosofia” o biosofia e di conseguenza anche di una certa tendenza anti-natalista.
L’UOMO: UNO SCHERZO DELLA NATURA
Scorrendo le pagine dell’opera, si sottolinea la sostanziale differenza tra l’uomo e gli animali. Gli animali non sono in grado di esigere un senso e una giustizia dalla vita, solo gli esseri umani sono in grado di farlo – e solo gli esseri umani hanno un impulso indomabile a fare tali richieste. Il fatto che l’uomo nasca con questa pulsione è un punto importante per Zapffe. Gli esseri umani sono condannati a pretendere dall’esistenza una risposta che l’esistenza non può o non vuole dare loro. È per questo che l’uomo come specie è spinto in una spietata solitudine cosmica: l’uomo chiede di accedere al nucleo più intimo dell’esistenza ma, invece di una risposta, incontra solo il silenzio. Se tuttavia qualcuno crede che queste richieste possano essere soddisfatte, cioè che esista un significato che l’uomo può cogliere con i suoi poteri di cognizione (ad esempio un ordine divino), dimentica che la cognizione dell’uomo non è imperfetta, ma al contrario troppo perfetta. Dimentica che l’uomo è sovra dotato rispetto all’ambiente in cui è inserito, che il violento impulso dell’uomo a riconoscere è quasi una deformità da parte della natura, che l’uomo è una sorta di deformità, condannato a una ricerca inquieta, nella paura e nella solitudine.
IL CERVO GIGANTE CHE SI È ESTINTO
Zapffe paragona la specie umana a un animale preistorico, il cervo gigante (Megaloceros giganteus, BLUMENBACH, 17995). Questo cervo alla fine sviluppò corna così grandi e pesanti da non riuscire a sollevare la testa da terra, e di conseguenza si estinse. Il suo splendore e la sua fierezza, il suo marchio di nobiltà come specie, sono stati proprio la causa della sua scomparsa. Questo sarà anche il destino degli esseri umani, dice Zapffe:
“La cognizione dell’uomo è il suo distintivo d’onore assoluto, ma è troppo sviluppata dalla natura, costringendoci a lottare per obiettivi che sono impossibili da raggiungere. La nostra forte capacità cognitiva e l’impulso a riconoscere ci costringono quindi alla disperazione e alla rovina – se vogliamo essere onesti e seguire il nostro istinto cognitivo a oltranza6”.
Questa è la vera tragedia dell’essere umano: la natura ha fatto in modo che cercare di vivere il più possibile secondo la propria natura innata porti necessariamente l’uomo alla distruzione. Ma che dire del cervo: non avrebbe potuto salvare la sua specie se solo ogni tanto avesse fatto in modo di spezzare i rami più esterni delle sue corna in modo che non fossero così pesanti, si chiede Zapffe.
“No, non gli sarebbe mai venuto in mente di fare una cosa del genere”, dice. “Il cervo era solo un animale e gli animali non devono mai scegliere se vivere o meno la loro natura, lo fanno solo per istinto. Ma gli esseri umani hanno una scelta. E gli esseri umani, secondo Zapffe, hanno scelto di “spezzare i rami più esterni delle corna”,
cioè la stragrande maggioranza di noi ha scelto di ridurre artificialmente la propria capacità cognitiva in modo da tenere a distanza di sicurezza l’ansia e la disperazione dell’esistenza. Zapffe parla dell’“onestà intellettuale soggettiva” dell’uomo come di una delle nostre migliori qualità; è proprio questa onestà che ci impedisce di spezzare i rami delle nostre “corna cognitive7”. Secondo Zapffe, l’umanità presta poca attenzione a questa tendenza innata all’onestà.
I MECCANISMI DI SPOSTAMENTO.
La via d’uscita dall’isolamento
Zapffe parla di quattro modi per limitare il proprio interesse naturale per la cognizione, che chiama meccanismi di spostamento e che sono l’isolamento, l’ancoraggio, la distrazione e la sublimazione. Con l’isolamento noi cerchiamo di reprimere o isolare i pensieri disturbanti e distruttivi nella nostra coscienza. Questo può avvenire in una miriade di modi. Un modo è quello di relazionarsi esclusivamente con l’aspetto pratico della vita, senza osare aprirsi ai dilemmi personali ed etici che sorgono sempre nell’interazione umana. L’isolamento si manifesta altrimenti nella vita quotidiana come un accordo di occultamento reciproco: ci sono alcune cose di cui non si parla nel contatto quotidiano con le persone, come Dio, il paradiso e l’inferno. Anche i bambini hanno bisogno di essere schermati per poter conservare le loro illusioni fino a quando non potranno sopportare di perderle. Perché prima o poi le perderanno. Ma questa è la vita8.
Il confort dell’ancoraggio
L’ancoraggio è il secondo meccanismo di spostamento: esso rappresenta la rete di sicurezza e protezione di cui la maggior parte delle persone ha bisogno per vivere la propria vita. L’ancoraggio di un bambino è naturalmente la casa dei genitori che costituisce una sorta di microcosmo che protegge il bambino efficacemente dal mondo esterno, cosmo reale e minaccioso. L’adolescente, al contrario, scopre che questo ancoraggio è del tutto casuale e, crescendo, cercherà freneticamente sempre nuovi ancoraggi in sostituzione di quelli vecchi. Stabilire un obiettivo nella vita, sacrificarsi per una causa, iniziare a credere in un Dio altro non sono che prove dell’ansia di ricerca di nuovi ancoraggi. Di conseguenza, Zapffe considera l’ancoraggio una sotta di bugia più o meno fantasiosa sulla vita, perché la scelta dei punti di riferimento che ci riparino dalla dissolvenza del caos è del tutto casuale e, peggio ancora, non dà un senso assoluto alla nostra vita. Per dare un senso alla vita si deve trascendere la vita stessa. L’ancoraggio è un meccanismo di spostamento che ci rende più facile isolare i nostri pensieri problematici, ci permette di essere felicemente ancorati alla vita, ci fornisce la migliore difesa contro l’ansia, l’insicurezza e la disperazione. Ma assicurandoci in questo modo contro l’ansia e l’insicurezza, noi uomini tradiamo il destino stesso che la natura (per errore?) ha posto in noi, ovvero il destino che ci impone di risolvere l’enigma più intimo dell’esistenza, enigma che noi preferiamo non risolvere per nascondersi nella menzogna della vita: gli esseri umani sono deboli, dice Zapffe9.
Il fascino della distrazione
Permettersi di distrarsi è una difesa molto efficace contro la schiacciante solitudine del pensiero. Distrarre significa mantenere la nostra attenzione entro il limite critico catturandola costantemente con nuove impressioni dall’esterno. Cerchiamo distrazioni e piaceri, vogliamo sperimentare qualcosa e, se non succede nulla a intervalli regolari, ci annoiamo. E la noia è molto pericolosa perché può far riaffiorare i pensieri “nocivi10”. Ecco perché dobbiamo mantenere il ritmo: dobbiamo alzare il volume, accendere la TV, accelerare, indossare il casco. “Essere costantemente distratti è come viaggiare in aereo11”, dice Zapffe: finché la velocità è stabile, tutto sembra andare bene (anche se la disperazione sarà sempre in agguato). Ma se c’è il minimo intoppo nel motore, la crisi è acuta!
La sublimazione
Siamo arrivati all’ultimo dei “rimedi al panico12” che, secondo Zapffe, sono a disposizione dell’uomo. Qui si tratta più di trasformare il dolore della vita con l’aiuto delle capacità artistiche che di reprimerlo. Chiunque sia ricco di capacità in un senso o nell’altro, chiunque padroneggi uno strumento musicale, chiunque sappia cantare, chiunque sia in grado di aprire le proprie volte più profonde attraverso le parole del linguaggio, ha l’opportunità di elaborare i propri sentimenti tragici nei confronti della vita in un modo che rimuove il peggior pungiglione della sofferenza stessa. Trasformando o elevando (sublimando) il sentimento in espressione artistica, riesce a prendere le distanze dal dolore diretto della sofferenza. In un certo senso, quindi, la sublimazione diventa una variante dell’isolamento, poiché il risultato è proprio quello di allontanarsi o isolarsi dal problema della vita. Zapffe ritiene, tuttavia, che questa sia la forma più alta di fuga. Una forma che lui stesso utilizza quando si mette a scrivere libri: è proprio perché scrive del problema che lo mette a distanza psicologica13. Ma è comunque una fuga14.
CONCLUSIONE DEL DESTINO DELL’UMANITÀ SECONDO ZAPFFE
C’è speranza per l’umanità secondo Zapffe? No, Zapffe è un pessimista convinto. In alcuni punti dei suoi scritti, sostiene addirittura quello che chiama “suicidio collettivo15”: se gli uomini e le donne si uniscono ma non hanno mai più di un figlio, l’umanità finirà per estinguersi. E questa, secondo lui, è la cosa migliore che possa accadere. Una vita che non riesce a guardare oltre la propria vita limitata e all’enigma della morte – quando questa visione è il suo desiderio più profondo e sentito – non è una vita che vale la pena di continuare.
“Fin dai primi passi del bambino sul fiume della vita, la cascata della morte si erge alta sopra la valle, sempre più vicina, e rosicchia, rosicchia la sua gioia. L’uomo guarda la terra, ed essa respira come un grande polmone; se espira, allora la bella vita brulica da ogni poro e tende le braccia verso il sole, ma se inspira, allora c’è un gemito prorompente attraverso lo sciame, e i cadaveri frullano il terreno come piogge di grandine16”.
Secondo il valente scrittore influenzato dalla Weltanschauung di Zapffe, Thomas Ligotti:
“La coscienza è un ostacolo esistenziale, come ogni pessimista ben sa; un errore della natura cieca che, secondo Zapffe, ha condotto l’umanità in un buco nero della logica. Per continuare a vivere, dobbiamo far finta di non essere quello che siamo: esseri contradditori la cui continua esistenza non fa altro che peggiorare le nostre sofferenze di mutanti che incarnano la logica contorta del paradosso. Per correggere tale errore dovremmo desistere dal procreare. Cosa potrebbe esserci di più assennato e più urgente, dal punto di vista esistenziale, di un autoinflitto oblio? […] Tutte le civiltà scompaiono. Tutte le specie si estinguono. L’universo stesso ha una data di scadenza. Gli esseri umani non saranno certo il primo fenomeno a tirare le cuoia. Ma potremmo essere i primi ad accelerare la nostra dipartita, tagliando corto prima che i cadaveri comincino ad ammassarsi17”.
I RACCONTI UMORISTICI
Vett Og Uvett ovvero I Saggi E Gli Sprovveduti
Saggio e inconsapevole. Stubber fra Troms und Nordland18 è un libro di Einar Kristoffer Aas (1901– 1981) e Peter W. Zapffe (1899–1990). Racconta 49 racconti umoristici che Ole Heide Aas (1863– 1941) scrisse e ricordò della sua infanzia a Øyhelle e Raftsundet e delle sue visite nei villaggi di Trondenes, dove lavorò. Il lavoro di raccolta delle storie iniziò nel 1924, quando i figli Einar K. Aas e Peter W. Zapffe studiavano all’Università di Oslo e il padre in pensione viveva a Tønsberg. Oltre alle storie originali, Zapffe ha creato le sue storie dalla sua immaginazione, che costituiscono la seconda parte del libro. Le illustrazioni erano incisioni di Kaare Espolin Johnson (1907–1994) e rappresentavano il suo primo lavoro commissionato. Si possono citare le seguenti edizioni importanti:
- Saggio e ignoranza, con illustrazioni di Kaare Espolin Johnson (1942), sesta edizione (1995)
- Vett e Uvett – Il classico dell’umorismo norvegese (1992)
- Saggiamente e inconsapevolmente, Nils Johnson legge 16 delle storie, pubblicato come CD da Lydbok edition (1999).
Il libro ha riscosso un enorme successo ed è stato pubblicato in numerose edizioni. Il filologo Nils M. Knutsen ha descritto il libro come uno dei più importanti contributi alla comprensione della cultura nord-norvegese, come la tromba nordica di Petter Dass. Il libro è anche conosciuto come la “Bibbia dell’umorismo della Norvegia del Nord”.
Esempio di racconto umoristico tratto dalla raccolta Vett og Uvett (19)
“Signor Maestro Aas!
Durante la tempesta su Yttersia la scorsa domenica, la famiglia a Snauholmen aveva cercato rifugio nella cantina a causa della violenta raffica di vento che minacciava di rovesciare la casa. Solo il vecchio Jentoft era rimasto nella soffitta, dove abitava in vecchiaia. L’avevano supplicato in ginocchio di scendere. Quando la tempesta aumentava e una tavola del tetto si staccava dal lato ovest, inviarono nuove suppliche attraverso il portello della cantina e il buco del soffitto, dove lo vedevano nella sua testardaggine. “Jentoft, scendi, il vento sta distruggendo la casa.” Ma il vecchio Jentoft rispose solo questo: “Non abbiate paura, ma preoccupatevi di voi stessi e dei vostri bambini.” Poi venne una raffica che fece saltare via il tetto. Allora gridarono come fosse la fine: “Scendi Jentoft, senti ora, il vento sta distruggendo la casa.” Ma il vecchio era come incollato alla panca del letto. “Perché vi preoccupate? Chiudete la bocca, voi di poca fede. Io voglio dormire.” Poco dopo venne un’altra raffica che portò la panca del letto fuori dal tetto, mentre lui stesso fu spinto giù attraverso il buco del soffitto insieme alla cresta del tetto, pezzi del comignolo e mezza stufa con il fuoco dentro. “Ecco che arriva,” gridò Indianna. Ma il vecchio Jentoft si tolse la polvere dagli occhi e disse come tra sé: “E così, il vento ha preso la casa”.
Con rispetto, Ingart Haldorsen Kjeila”
Racconto è mordace, interessante, ricco di termini norreni perché fanno parte di un antico lessico popolare: protagonista è il vecchio Jentoft che testardo sfida la tempesta che si abbatte sulla casa, forse consapevolmente, forse stupidamente, sordo alle suppliche dei famigliari che lo chiamano. Lui è attaccato alla casa, non la molla e quando alla fine viene travolto dalle macerie, si sveglia fuori facendoci pure una battuta di spirito, atteggiamento che contrasta con la paura dei famigliari che si erano saggiamente rifugiati nella cantina per sfuggire alla forza della natura.
Barske Glæder ovvero Le Gioie Difficili (1969)
È una raccolta di racconti di Peter Wessel Zapffe sulla vita all’aria aperta, tratti da riviste e giornali norvegesi. È illustrato dall’autore. Nel racconto Vieien –La strada20– si narra la storia di un sentiero di montagna che in sessant’anni di vita ha fatto da collegamento principale tra il villaggio e la sua frazione su per i monti: abbiamo una personificazione di questa stradina, rappresentata come una principessa cui tutti gli abitanti del villaggio si inchinano rispettosi, una principessa che corre su per i monti, tra boschi, paludi da una parte e il fiume dall’altra, in un paesaggio mozzafiato. È la natura affascinante della montagna che come abbiamo visto rappresenta uno degli amori dello scrittore norvegese. Ad un certo punto arriva un qualcosa di puzzolente, nero e rumoroso: è una grossa auto, da cui scende un uomo vestito di nero con il sigaro: rimane affascinato dal luogo incantevole e decide di costruire un albergo turistico nuovo luogo di pace. Ma per far ciò si deve costruire una nuova strada: questa sarà asfaltata, larga, che taglia dritta e irrispettosa il paesaggio verso la meta turistica, mettendo in secondo piano il sentiero, che abbandonato sarà ricoperto di felci e cespugli, tranne quella parte visibile perché farà parte del cimitero del paese. Si rivedono qui alcuni punti del pensiero di Zappfe: l’amore per la montagna vista in tutta sua maestosità, la dimensione dell’uomo all’interno dei suoi limiti naturali, il rispetto quasi riverenziale verso la natura, che ad un certo punto lasciano il passo ad un epilogo tragico: l’uomo vestito di nero rappresenta il progresso, la spinta oltre i limiti, gli abitanti alla ricerca di nuove ricchezze soggiacciono alla nuova logica economica che tutto divora, fino all’immagine inquietante del sentiero – una volta simbolo di un legame naturale tra gli uomini e l’ambiente – ridotto ora ad un cimitero.
CONSIDERAZIONI SPARSE SU ZAPFFE E LA SUA WELTANSCHAUUNG
A distanza di quasi un secolo dalla pubblicazione del testo qui analizzato del pensatore norvegese Peter Wessel Zapffe si possono trarre alcune conclusioni basate sullo sviluppo che nella contingenza ha avuto la modernità europea nell’ultimo secolo entrando nell’attuale XXI secolo e che rappresenta un insieme di sfide che aprono a prospettive diametralmente nuove ma anche inquietanti. È bene considerare questo pensatore come legato in parte ad una concezione anti-natalista e contraria al perpetuarsi della sofferenza che l’uomo, questo sconosciuto, possiede dalla sua apparizione nel mondo. Il contesto culturale, a cui Zapffe attinge, si può inserire all’interno di quella tradizione prevalentemente europea che sin dagli albori della grecità e romanità classica fa del nascere, inteso come il venire al mondo di una nuova vita, un qualcosa di tragico riprendendo sia il mito del Sileno sia l’universo platonico, aristotelico, stoico, neoplatonico21, fino ad arrivare alla tradizione giudaico- cristiana che nonostante per certi versi si differenzi dalla tragicità classica, ne ripercorre e ripropone certi miti per arrivare ad abbracciare le visioni nietzschiane e schopenhauriane nonché di Kierkeegard22 e di von Uexküll. La profondità ma anche la schiettezza ed ironia del discorso del Norvegese si inserisce all’interno di un contesto che tutt’ora continua nell’epoca della crisi della modernità ovvero quello dell’uomo e dell’ambiente in cui vive nonché, possiamo aggiungere all’uomo in quanto tale alla sua missione storica ed al suo destino in relazione all’attualità ed alle sfide che il presente con il suo fare ci mette di fronte. Una sola specifica però prima di venir al dunque dell’analisi profonda del discorso fatto da Zapffe: il suo anti-natalismo ed il suo inserire l’uomo e quindi la vita stessa in una visione tragica dell’esistenza non ha niente a che vedere con opere in qualche modo intrise di polemiche sterili nonché di Moralisierung come quelle del pensatore sudafricano David Benatar. Benatar che è considerato un pensatore anti-natalista di spicco e piuttosto letto nell’area anglofona viene paragonato nella prefazione di Luca Lo Sapio alla traduzione italiana del testo del Sudafricano La difficile condizione umana. Una guida disincantata alle maggiori domande esistenziali23 a Zapffe stesso.
Per Lo Sapio: “L’esito di Benatar è, dunque, accostabile a quello di Zapffe. Tuttavia, va rilevata una importante differenza. Benatar si muove nel solco della filosofia analitica. Dunque, le sue analisi si sviluppano attraverso argomenti rigorosi, tra loro concantenati e diretti a conclusioni stringenti. Il linguaggio è asciutto, senza enfasi e retoriche. La condizione umana richiede uno sguardo lucido, disincantato e il contributo di Benatar va in questa direzione24”.
Con questo giudizio Lo Sapio non si può, a parere di chi scrive, concordare: se da una parte abbiamo Benatar che nonostante sia un valido analitico egli si basa non sulla filosofia precedente anche anti- natalista né su una ricostruzione storica ma su una moralizzazione del dolore di stare al mondo ed a suo favore porta fonti provenienti da dati sociologici o fonti giornalistiche nonché, per paura di passare come un “estremista” davanti a certi elementi della cultura ad oggi comune impaurito cerca di giustificare le sue posizioni come quando in un altro suo testo edito in italiano con il titolo Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo25 dice che bisogna comunque evitare di scrivere che la durezza della vita e quindi del non riprodursi possa essere data da una disabilità o da una grave malattia ciò perché, de facto, offenderebbe e lederebbe i diritti dei disabili e di altre minoranze. Questa moralizzazione, come già detto, poco appartiene ad una speculazione metafisica ben fatta e su basi che oltre ad appoggiare sul contingente poggiano su dei principii come quella di Zapffe: in sintesi la critica di matrice culturalmente anglosassone di Benatar poco ci importa. Legarsi quindi a delle parole od ad una moralizzazione od a semplice analisi di dati contingenti per resistere ad una vita materiale più o meno triste e cupa si cadrebbe in “false idee” o “pseudo-idee” che come ebbe a scrivere il metafisico francese René Guénon sono “destinante principalmente a provocare delle reazioni sentimentali, il che è effettivamente il mezzo più efficace e più semplice per agire sulle masse26” quando una parola ha una importanza maggiore rispetto della nozione che rappresenta si crea un vero e proprio idolo. Benatar crea degli idoli ergo dei luoghi comuni per molti versi.
Ritornando all’eminente pensatore norvegese non si può valutare egli come un tragico anti-natalista tout court ma come un tragico dell’esistenza ed in questo è molto simile a Friedrich Nietzsche: valutare Nietzsche come un ateo dell’immaginario comune sarebbe errato; egli ha preso atto del tragico dell’esistenza del mondo in cui il metafisico è morto. Sicuramente egli è stato anche un pessimista nel vedere la nascita dell’uomo ed infatti viene riportato come un autore di rilievo nel volume anglofono di Ken Coates Antinatalism: Rejectionist philosophy. From Buddhism to Benatar (Design Publisher, 2014) ma Zapffe ha cercato anche di inquadrare l’umano in una nuova prospettiva riprendendo le tematiche ambientali che già all’epoca iniziavano a farsi importanti e colpivano la mente di movimenti romantici e totalitari nonché democratici a cavallo fra il XIX e XX secolo fino ad arrivare agli attuali movimenti che vorrebbero politiche volte ad una maggiore attenzione dei problemi ambientali – anche a costo di diminuire la popolazione e/o di non fare figli quindi agganciandosi ad una prospettiva moralizzatrice come quella di Benatar. Zapffe è d’accordo con una integrazione dell’uomo con il proprio ambiente come la sua vita ed opera lo dimostra; solo così, passando al vaglio il bieco razionalismo forse qualcosa potrà essere salvato.
Quindi si giunge al quesito toccante della nostra trattazione: cosa può Peter W.Zapffe dare alla nostra epoca? Innanzitutto la soluzione, a parere di chi scrive, non si risolve in uno spicciolo chiacchiericcio del “non fare figli per l’ambiente o la sofferenza umana” se non si vuole fare figli – lo si può legittimamente pensare e fare sul piano dell’agire – ma ciò dovrebbe partire da una coscienza filosofica radicale e da un pessimismo per l’esistenza e per ciò che è ultimo: l’oltre-uomo o super- uomo nietzschiano e quindi il filosofo non si riproduce perché prende atto dell’esistenza e del tragico in un mondo di ultimi uomini non per la paura della decadenza e per dare addito agli istinti più bassi dell’esistenza. Il singolo che oggi prende una particolare coscienza della crisi della civiltà intesa come la intende lo Spengler non può non concordare della precarietà sia della nuova vita che dell’amore che dà origine a questa nuova vita e questo con amarezza viene preso come dato. I sessi si trovano in una situazione come quella descritta da Julius Evola nella sua opera cardine Rivolta contro il mondo moderno”: l’uomo vero è passato a fantoccio di una civiltà standardizzata, un fantoccio incapace di reagire se non agli stimoli dati dal capitalismo e la donna non ha trovato la sua personalità intesa come un ritrovo del suo sacro femminino dopo secoli di “schiavitù maschile” bensì essa emulando l’uomo ha fallito nel “essere ed a valere come ciò che essa è: come donna e non come uomo27”.
Pertanto, si può anche non fare figli se si ha una coscienza radicata e se si cerca di trovare una soluzione sotto il piano dell’esistenza alla crisi dell’uomo che non si rivolga a volgarità contingenti o meglio non solo ad esse se si volessero accettare. Il trovare il proprio Io, la propria affermazione assoluta in un contatto con la natura fa di Zapffe un visionario ed in qualche modo qualcuno che aveva anticipato la crisi non solo della nostra Kultur ma anche del nostro Umwelt. La denatalità dei paesi europei, la crisi dell’amore e dell’esistenza fra i sessi e nelle relazioni date dal tardo capitalismo ed anche dalla nascente virtualità e la catastrofe ecologica sono temi scottanti che non potranno risolti stando dentro la volgarità o la moralizzazione degli idoli delle parole dati dal tardo capitalismo ma superando le contraddizioni di tale sovrastruttura e soprattutto andando oltre il mero piccolo uomo partorito dalla pseudo-civilizzazione attuale per superare e superarsi e forse vedremo che Zapffe davanti ad un ruscello di montagna aveva ragione od aveva torto.
Note:
1 Tutte le informazioni qui presenti sulla vita e l’opera di PETER WESSEL ZAPFFE sono citate dal sito Internet Open Air Philosophy che si è occupato della sua Opera anche se marginalmente. https://openairphilosophy.org/wp- content/uploads/2019/06/OAP_Zapffe_Biography.pdf, Open Air Philosophy – Zapffe Biography. (consultato 30 giugno 2024).
2 “A proposito dei precedenti”.
3 Recentissimamente tradotto in inglese con il titolo PETER W. ZAPFFE, On the tragic, Peter Lang Verlag, New York, Berlino, Bruxelles, Chennai, Losanna, Oxford, 2024. (non si conoscono altre traduzioni in lingue diverse dal norvegese attualmente reperibili).
4 “Gioie difficili”.
5 Citato come genere Cervus – vecchia nomenclatura scientifica – da parte di ZAPFFE (Le Dernier Messie, Infra, cit. p.16).
6 Cfr. PETER WESSEL ZAPFFE, Le Dernier Messie [L’ultimo messia], Allia, Parigi, 2023 cit. pp. 15-16. Di tale testo come tutti quelli di ZAPFFE non esistono recenti traduzioni o non esistono traduzioni; in lingua italiana sono ancora inesistenti. Per comparazione con l’edizione francese citata si è confrontato una edizione elettronica presente liberamente in Internet. https://laformadelgregge.blogspot.com/2018/12/lultimo-messia-di-peter-wessel-zapffe.html ,”La forma del gregge Blogspot.com” datato Dicembre 2018, (consultato in data 01.07.2024).
7 Cfr. Ivi p. 14.
8 Cfr. Ivi pp. 18-20.
9 Cfr. Ivi. pp. 20-28.
10 Cfr. Ivi. cit. p. 18 (utilizza terminologie simili anche per definire l’isolamento sopracitato) e cfr. in particolare pp. 28- 34.
11 Cfr. Ivi cit. p. 29.
12 Ivi. p. 34.
13 Cfr. Ivi pp. 34-36.
14 Fuga che verrà definita anche nelle conclusioni in relazione alla popolarità che durante il suo periodo storico stava prendendo piede del comunismo e della psicanalisi cui ZAPPFE scrive: “Gli strumenti di aggrappamento non sono in buona forma – tutti i sistemi tradizionali, collettivi di aggrappamento oggi sono punteggiati da critiche, così l’ansia, il disgusto, la confusione, la disperazione penetrano attraverso le fessure (“scheletri nell’armadio”). Comunismo e psicoanalisi, pur molto diversi tra loro, sono entrambi tentativi (perché anche il comunismo ha un riflesso spirituale) di rinnovare la vecchia strategia di fuga; applicando, rispettivamente, la violenza e l’astuzia per rendere gli umani biologicamente idonei alla vita intrappolando il loro surplus critico di cognizione”. Cfr. Ivi. pp.40-41.
15 Ivi. cit. pp. 40 e 43.
16 Ivi. cit. p. 10.
17 THOMAS LIGOTTI, La cospirazione contro la razza umana, Il Saggiatore, Milano, 2016 cit. pp. 43-44.
18 PETER W. ZAPPFE ed EINAR K. AAS., Vett og uvett stubber fra Troms og Nordl [Saggi e sprovveduti di Troms e Nordl], Pax, Oslo, 2015.
19 https://www.olsholt.no/works/wtemp.php?page=zapffe Tutte le informazioni su tale opera dal norvegese norreno in tale indirizzo Internet Oslsholt.no (consultato in data 02.07.2024).
20 PETER W. ZAPPFE, The Road [La strada], versione elettronica in inglese edita da Openairphilosophy.org https://openairphilosophy.org/wp-content/uploads/2019/06/OAP_Zapffe_The_Road.pdf (consultato in data 30 giugno 2024).
21 SILVANO ZUCAL, Filosofia della nascita, Morcelliana, Brescia, 2017 cfr. in particolar modo il capitolo II e III nonché sempre SILVANO ZUCAL, Storia della filosofia della nascita. I. Dai Greci a Nietzsche, Morcelliana, Brescia, 2024 cit. pp. 55-170 e ss.
22 Su Kierkegaard e Schopenhauer di interessante consulta si veda anche ZUCAL, Filosofia della nascita, Ivi. cit. pp. 48-56.
23 DAVID BENATAR, La difficile condizione umana. Una guida disincantata alle maggiori domande esistenziali, Giannini, Napoli, 2020.
24 Introduzione di LUCA LO SAPIO, La condizione umana. Uno sguardo preliminare a BENATAR, Ibid. cit. p. 11 25 Cfr. DAVID BENATAR, Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo, Carbonio, Milano, 2018 cit. pp. 126-127 e ss.
26 RENÉ GUÉNON, La crisi del mondo moderno, Arkots – Giovanni Oggero Editore, S.I., 1991 cit. p.100.
27 JULIUS EVOLA, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 2010 cit. p. 207.
Opere (Non esistono traduzioni dirette in italiano ma solo in inglese od in francese):
- Le Dernier Messie [L’ultimo messia], Allia, Parigi, 2023 (edizione francese citata nel testo).
- Om det tragiske (en. On the tragic), Oslo 1941 og (traduzione anglofona 2024).
- Vett og Stubber fra Troms og Nordland (en. Wits and witless, Trondheim 1942).
- Den fortapte sønn, En dramatisk gjenfortælling (en. The lost son), Oslo 1951.
- Indføring i litterær dramaturgi (en. Introduction to literary dramaturgy), Oslo
- Den logiske sandkasse (en. The logical sandpit), Oslo
- Essays og epistler,
- Barske gleder,
- Lyksalig pinsefest (en. Blissful Pentecost), Oslo
- Hos doktor Wangel (en. With Wangel), by Ib Henriksen (pseudonym.), Oslo 1974. Play.
- Rikets hemmelighet (en. The secret of the kingdom), Oslo,
- Hvordan jeg blev så flink, 1986.
Bibliografia:
- FLØYSTAD, P.W. Zapffe, Oslo 1969
PETER WESSEL ZAPFFE, Le Dernier Messie [L’ultimo messia], Allia, Parigi, 2023
PETER W. ZAPFFE, On the tragic, Peter Lang Verlag, New York, Berlino, Bruxelles, Chennai, Losanna, Oxford, 2024
PETER W. ZAPPFE, The Road [La strada], versione elettronica in inglese edita da Openairphilosophy.org https://openairphilosophy.org/wp-content/uploads/2019/06/OAP_Zapffe_The_Road.pdf (consultato in data 30 giugno 2024).
PETER W. ZAPPFE ed EINAR K. AAS., Vett og uvett stubber fra Troms og Nordl [Saggi e sprovveduti di Troms e Nordl], Pax, Oslo, 2015.
PETER W. ZAPFFE, Vett og Uvett, in 1 https://www.olsholt.no/works/wtemp.php?page=zapffe Tutte le informazioni su tale opera dal norvegese norreno in tale indirizzo Internet Oslsholt.no (consultato in data 02.07.2024).
- FLØYSTAD og P. FR. CHRISTIANSEN, Dikt og drama, [Poesie e drammi], Oslo, 1970 THOMAS LIGOTTI, La cospirazione contro la razza umana, Il Saggiatore, Milano, 2016 JULIUS EVOLA, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 2010
DAVID BENATAR, La difficile condizione umana. Una guida disincantata alle maggiori domande esistenziali, Giannini, Napoli, 2020.
DAVID BENATAR, Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo, Carbonio, Milano, 2018 RENÉ GUÉNON, La crisi del mondo moderno, Arkots – Giovanni Oggero Editore, S.I., 1991 SILVANO ZUCAL, Filosofia della nascita, Morcelliana, Brescia, 2017
SILVANO ZUCAL, Storia della filosofia della nascita. I. Dai Greci a Nietzsche, Morcelliana, Brescia, 2024
Peter Wessel Zapffe – The Humorous Pessimist (Documentario su Zapffe su YouTube con intervista consultato in data 02.07.2024 all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=u4m6vvaY-Wo)
Vita e opere di Peter Wessel Zapffe in https://openairphilosophy.org/wp- content/uploads/2019/06/OAP_Zapffe_Biography.pdf, Open Air Philosophy – Zapffe Biography. (consultato 30 giugno 2024).
Pietro Missiaggia