Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Pensare greco: sulle tracce dei filosofi di Sicilia – II parte – Giovanni Sessa
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L’impasse della Sapienza in Gorgia
Gorgia di Lentini, discepolo di Empedocle, fu introdotto dal maestro al pitagorismo e all’eleatismo. Fu, nel 427, ambasciatore ad Atene e, successivamente si recò in Tessaglia, ad Argo e Delfi. Si dice che in vita avesse accumulato grandi ricchezze e Platone lo ricorda quale maestro di retorica. La leggenda vuole che chiuse i suoi giorni alla veneranda età di 109 anni in Tessaglia. Sostenne che il segreto della sua longevità era da individuarsi nel non aver mai compiuto nulla per far piacere ad altri. Le sue opere sono connotate dall’uso delle “figure retoriche”, in particolare in Intorno al non ente o della natura e nell’Encomio di Elena. La filosofia di questo “Greco d’Occidente”, maturata in sequela del pensiero di Parmenide e Zenone, rappresenta il limite estremo della trasformazione della Sapienza misterica, così viva ancora in Empedocle, in filosofia, in dialettica. Il lógos enigmatico dell’origine, già trasformato in alternativa modale da Parmenide, perde la sua forza, si snatura.
Ciò ebbe conseguenze dirompenti: qualsiasi giudizio, nell’agone dialettico, poteva essere confutato. Nessuna proposizione indicava più qualcosa di reale, tutto era esposto alla non-esistenza, alla distruzione. Parmenide aveva trasformato il lógos indicibile, in parola, l’ “essere”, sul quale andava costruito il pensiero. Quello eleatico è, dirà Colli, l’ultimo tentativo di legare la dialettica all’esperienza del contatto, ma il “necessario” parmenideo si era fermato di fronte all’impossibile non-essere, consentendo la sola risposta affermativa: “è”. Zenone, al contrario, introdusse la negazione nel tessuto logico-dimostrativo, trasformando la dialettica da tecnica agonistica in teoria generale del lógos. Tale metodo arriva a provare che ogni oggetto espresso in giudizio è possibile e impossibile in uno. Le aporie zenoniane tendono a chiarire la valenza distruttiva della ragione. Proprio tale radicalizzazione della dialettica riesce, paradossalmente, a tutelare ancora la matrice divina della procedura dialettica stessa, in quanto mostra l’inconsistenza del fondamento del lógos meramente concettuale.
(Gorgia di Leontini – Siracusa)
Il processo di allontanamento dal contatto venne realizzato pienamente da Gorgia, che si lasciò alle spalle lo sfondo misterico della Sapienza. Gorgia rappresenta il momento culminate della maturazione della ratio greca, e al medesimo tempo, l’inizio della decadenza della dialettica che si trasforma in retorica. Gorgia è un sapiente che decreta la fine dell’età della Sapienza in quanto il linguaggio, fin dalla metà del V secolo a.C., entra nell’ambito pubblico adulterandosi. Il “cambio di cuore” dell’ascoltatore non si basò più sulla sola argomentazione deduttiva, ma fece ricorso a elementi emozionali. L’antica Persuasione divenne con-vincimento retorico, il sapere ebbe, in tal modo, a che fare con la potenza esercitata nella dimensione pubblica. Presto il discorso del retore troverà la propria codificazione nella scrittura, trascrizione e tradimento in uno della viva parola dell’origine. In essa il lógos oblierà la vissutezza testimoniata dai “filosofi sovrumani”. Quindi, due “Greci d’Occidente”, Empedocle e Gorgia, rappresentano due momenti focali della nascita della filosofia europea.
(Teatro greco a Siracusa)
Platone in Sicilia
Anche il fondatore della filosofia classica, Platone, ha vissuto una “fase siciliana”. Fondò l’Accademia ad Atene nel 388 o 387 a. C. dopo il suo primo soggiorno a Siracusa. Qui, chiamato alla corte di Dionigi il Vecchio, strinse amicizia con Dione, cognato del tiranno. Nel 367 Dionigi il Giovane divenne tiranno della città e Platone, convinto da Dione, intraprese il suo secondo viaggio verso la “Grecia d’Occidente”, al fine di influire sulle scelte politiche del nuovo governante. Il suo tentativo fallì e il filosofo fu addirittura imprigionato. Solo dopo molte rimostranze gli fu concesso di rientrare ad Atene. Nel 361 fu richiamato a Siracusa dallo stesso Dionigi. Platone tentò di riavvicinare Dione a Dionigi ma fu sospettato e poi accusato di complottare contro il tiranno. Fu salvato dall’intervento di Archita di Taranto e rientrò nella capitale dell’Attica. La filosofia platonica va letta quale grandioso terminale in cui confluirono le esperienze di pensiero fino ad allora sviluppate, nel quale si manifesta con forza teoretica inusitata il nuovo corso speculativo che l’Europa avrebbe intrapreso dopo di lui.
Il suo pensiero è una sorta di “Giano bifronte”, attraversato da misticismo e razionalità costruttiva. Il Platone mistico, e quindi empedocleo e dionisiaco, fa da contraltare, al Platone dialettico. Non è, pertanto, casuale che il grande Ateniese sia colui che indica il percorso della futura ratio, ma anche l’autore da cui è possibile trarre slancio anagogico ed epistrofico per recuperare l’origine. Nel suo sistema, a prevalere è, alla fine, la volontà di riordinare il mondo. Tale tensione lo indusse a subordinare lo slancio mistico all’impulso politico-scientifico. Nella subordinazione della cultura allo Stato, Egli obliò la lezione sapienziale. Stante, ancora una volta, la lezione di Colli, la sua idea è una sorta di simbolo divulgativo: «una presentazione retorica del “ciò che è” parmenideo, una sua frammentazione seducente»[1], in quanto Platone accentua rispetto all’Eleate la dimensione trascendente dell’idea, venendo meno alla visione della physis quale mixis, in cui essenza ed esistenza non sono mai dicotomicamente distinte.
(Platone)
Conclusioni
Queste brevi e rapsodiche note hanno il solo scopo di riportare l’attenzione sul pensiero di alcuni grandi “Greci d’Occidente” e sulla necessità, al fine si superare l’impasse in cui oggi si dibatte la filosofia, divisa dalla falsa e fuorviante contrapposizione tra analitici e continentali, di tornare a filosofare grecamente. Tornare alla physis implica un nuovo incontro con le potestates che animano il cosmo.
Florenskij non sosteneva forse che all’origine della filosofia greca fosse l’incontro con Poseidone, con la potenza delle acque? Riconquistare tale origine libera dall’asservimento agli idola del tempo presente è oggi compito imprescindibile del pensiero. Manlio Sgalambro, filosofo siciliano, ha scritto che il pensatore nella società iper-industriale e liquida, dove la potenza del filosofare appare tacitata, assume le fattezze di mistero, si mostra quale enigma esistenziale: «Egli è pacifico, con l’aria di un conciapelli in vacanza […] eppure i segreti del mondo passano dalle sue mani»[2]. Ebbene a questo custode di misteri e enigmi, nell’età della chiarezza epistemica, Sgalambro fornisce questo essenziale suggerimento: «Conosci dal tuo posto, continua. Inutile sognare altre condizioni o la migliore di tutte. Conosci dal tuo posto. Ce ne sarà uno migliore – ma questo è il tuo»[3]. Oggi, il “nostro posto” è Giardini Naxos, omphalos dal quale è possibile tornare a “pensare grecamente”, ponendosi all’ascolto dell’eco indomita della physis.
Note:
[1] G. Colli, Filosofia dell’espressione, Adelphi, Milano 1969, p. 211.
[2] M. Sgalambro, Anatol, Adelphi, Milano 1990, p. 9.
[3] Ivi, p. 13.
La relazione di Giovanni Sessa, Pensare greco. Sulle tracce dei filosofi di Sicilia, tenuta a Giardini Naxos il 15 giugno scorso durante l’evento “Primavere elleniche” organizzato da Fulvia Toscano.