Paralleli tra la dottrina induistica del Tripurārahasya e alcune facoltà di Gustavo A. Rol – Piervittorio Formichetti
In lingua sanscrita, Tripurārahasya Jñānakhanda significa Sezione sulla Gnosi del Segreto della Dea Tripurā, titolo della sezione centrale di un testo più ampio appartenente al complesso ambito filosofico-religioso dello gnosticismo indiano, un’opera che per essere riassunta e commentata necessiterebbe di un saggio a parte scritto da persone maggiormente esperte di questo argomento. Il significato più fondato del nome della Dea Tripurā pare essere quello filosofico-religioso: «Dea che precede i Tre», «Dea precedente ai Tre», ossia la Coscienza divina che pervade di se stessa l’universo fin dal principio di tutte le epoche, quindi precede la Trimurti, la manifestazione delle tre forme supreme del Divino: Brahma il Creatore, Vishnu il Sostentatore, Shiva il Distruttore. Indeterminabile è ad oggi il periodo di composizione del Segreto della Dea Tripurā: si oscilla addirittura tra i secoli X e XVII della nostra cronologia, mediamente nel secolo XIII, cioè entro due secoli dopo l’anno Mille. L’origine dell’opera, in India, è leggendaria: il saggio asceta Dattatreya avrebbe composto un’opera in 18˙000 versi complessivi, che poi Sumedha Hāritayāna, discepolo di un allievo di Dattatreya, avrebbe ridotto a circa 12˙000, ripartiti in tre sezioni:
I – La magnificazione (māhātmya) della Dea;
II – La conoscenza (jñāna, in greco gnosis) salvifica, legata al culto;
III – La condotta rituale (caryā), sezione che è andata perduta.
La sezione centrale del Tripurārahasya riguarda dunque la conoscenza (gnosi) della reale natura dell’essere umano e della «Dea precedente ai Tre»; lungo il testo, suddiviso in 22 adhyāya («letture») e sovente caratterizzato da narrazioni e racconti racconti a cornice o a scatole cinesi – nei quali l’autore o un personaggio narra la vicenda di se stesso o di altri personaggi che a loro volta, ad un certo punto, iniziano a raccontare la vicenda di uno o più terzi – si trovano riferimenti e allusioni alle dottrine induistiche, che possono presentare alcuni elementi in comune con le esperienze o con il pensiero del noto «maestro spirituale» Gustavo Adolfo Rol (che conosceva certamente qualcosa dell’Induismo e del Buddhismo), e contribuire a spiegare qualche aspetto delle une e dell’altro [1]. Nella settima Lettura del Segreto della Dea Tripurā, ad esempio, s’incontra la nozione di prārabdha, «azione intrapresa» o «azione in corso» nonostante sia cessato il gesto fisico di chi la attua, connessa quindi al concetto di karma o karman. In nota, il curatore e traduttore dell’edizione italiana dell’opera, Alberto Pelissero, spiega:
“È qui la chiave del karman: l’azione non si concepisce come esaurita dal suo compimento. Una volta eseguita, l’azione si trasforma in una memoria indelebile, un’entità talmente sottile da essere invisibile (adṛṣṭa) e nel contempo un che di nuovo, che non c’era prima (apūrva). Questo misterioso quid è destinato ad accontentarsi di un’esistenza larvale sotto forma di impregnazione subconscia, una sorta di impressione latente che non raggiunge mai il livello della coscienza (simile all’impercettibile traccia di profumo che un’essenza lascia in un vaso, ormai vuoto, che l’ha contenuta), finché giunge il tempo della sua maturazione (vipāka). E solo allora il ciclo dell’azione potrà compiersi, e verrà in essere il frutto (phala) dell’atto compiuto [2]”.
Sembrano esservi dei punti in comune tra queste impronte invisibili delle azioni di ciascuno, e gli elementi costitutivi dello «spirito intelligente» del quale parlò sovente Gustavo Rol. Lo «spirito intelligente», spiegava egli, non è l’anima – soffio divino che alla morte si libera del corpo e torna a Dio – ma quel qualcosa di particolare che rimane sulla Terra, come una fotocopia della scheda segnaletica personale, comprendente funzioni e pensiero, dell’individuo. Questo «spirito intelligente» può essere ancora operante dopo la morte della persona. Sovente a me è accaduto di venire in rapporto con «spiriti intelligenti» di persone viventi [3]. Lo «spirito intelligente» e il karma presuppongono entrambi che le tracce della mentalità, della personalità, dei vissuti e delle azioni di ogni persona, sia vivente sia defunta, restino presenti su un piano metafisico, e potenzialmente operanti in quanto residui di esistenze reali. Esso è quindi un insieme organizzato di tracce immateriali individuali, inconscio nei viventi, extra-conscio nei defunti, dai quali si è, per così dire, staccato, e sussiste indipendentemente dalla loro persona (sebbene ne sia un prodotto), finché non è captato da qualcuno che, maggiormente dotato di facoltà paranormali, può conoscerne certi tratti essenziali ed eventualmente riprodurli nel presente.
Nella Lettura undicesima del Segreto si legge:
«… un muro può costituire un ostacolo per gli uomini comuni, ma non per gli asceti e per i genii sotterranei; un tempo o uno spazio che sembrano immensi a un uomo, sono insignificanti per un asceta o per un dio» [4]. Nella nota al riguardo (n. 108) il curatore commenta: «La credenza che i praticanti dello yoga siano dotati di poteri sovrannaturali, che comprendono ad esempio la capacità di passare attraverso corpi solidi, è attestata nel commento di Vyāsa (ad Yogasūtra 3.45)».
Gustavo Rol, in qualche occasione, seppe oltrepassare pareti o porte (ma soprattutto far attraversare barriere di questo tipo a oggetti solidi), ad esempio entrando in casa del famoso esoterista Elemire Zolla: «Un giorno Rol si presentò a casa mia. Si aprì la porta, e c’era il vuoto: quell’ometto calvo era già in salotto. Un piccolo saggio della sua abilità» [5], e nel caso dell’incidente automobilistico evitato il 27 giugno 1987, raccontato dalla sua amica Maria Luisa Giordano [6]. In quest’ultimo caso, l’unica spiegazione alternativa possibile a una smaterializzazione fulminea e di brevissima durata dell’altra automobile (e quindi del suo conducente e dei suoi eventuali passeggeri!), sarebbe quella di una smaterializzazione altrettanto rapida dell’auto dei coniugi Giordano, e quindi di loro due, ai quali la facoltà di oltrepassare le barriere solide si sarebbe estesa eccezionalmente da Rol stesso (raggi luminosi dalle sue mani), senza la sua volontà (agitazione di Rol nel guardarsi le mani). Inoltre, almeno in un’occasione, Rol ricollegò esplicitamente le proprie facoltà paranormali non alla magia ma proprio allo yoga, relativamente alle possibilità di ingrandire e rimpicciolire il proprio corpo (quest’ultima è menzionata anche nello stesso Segreto della Dea Tripurā). Ricorda la scrittrice Giuditta Dembech:
“Un pomeriggio mi trovavo a casa sua, da lui c’erano due ragazze di cui non ricordo il nome. […] Le ragazze avevano una microscopica Fiat Cinquecento, lui era alto un metro e novanta; ridendo, obiettarono che in quattro saremmo stati molto stretti. Da parte mia rinunciai al passaggio. Non cosi Rol: «Di cosa vi preoccupate? Io posso diventare grande o anche piccolissimo! Non ci credete? Ecco qua…». Eravamo in piedi all’ingresso, pronte per uscire, si infilò i pollici sotto alle bretelle elastiche e le tirò estendendole verso l’esterno. Un gesto normalissimo e un po’ gigione, ma… Sotto ai nostri occhi divertiti tutto il suo torace si era… espanso, gonfiato a dismisura… Estese le bretelle verso l’alto ed ecco che si era allungato anche in altezza oltre che in larghezza! Era diventato enorme […] Toccava quasi il soffitto, dovevamo alzare la testa per guardarlo!… «Eh, che ne dice? Ma posso anche diventare piccolo piccolo…». Sempre ridendo, lasciò andare con uno schiocco le bretelle elastiche sul torace, e lo vedemmo come “sgonfiarsi”, si ritirò tutto su se stesso, come se si fosse accartocciato, divenne piccolo e magro […] Giusto il tempo di farci un’altra risata divertita e, non saprei dire come, era tornato normale… Ma la cosa che oggi ritengo più incredibile è che noi tre, anziché rimanere esterrefatte, magari anche impressionate, ridevamo, come fossimo al circo… Ridevamo noi ragazze, ma lui era più divertito di noi… «Avete visto? Questa non è magia, questo è yoga». Dunque, ho visto molte persone fare Yoga, ho conosciuto anche insegnanti indiani, ma non ho mai visto nessuno fare una cosa simile… [7]”.
Nella quattordicesima Lettura del Segreto si afferma:
“La tela dell’immanifesto [cioè di quello che in Occidente si chiamerebbe l’Essere sotteso al Divenire], poi, non è fatta di altro che di Coscienza. E dunque coloro che sono dediti all’ascesi sono in grado di recarsi in regioni lontanissime difficili da raggiungere, in un istante, e di percepirvi ogni cosa direttamente [letteralmente: «come sul palmo della mano»]» [8].
Probabilmente qui s’intende dire che l’asceta, in questi casi, può spostarsi senza il proprio corpo, cioè soltanto con la coscienza, o con lo spirito; analogamente, Gustavo Rol fu protagonista di atti di conoscenza a distanza e di spostamento di sé senza il corpo, talvolta per effetto di facoltà di bilocazione [9]. Nella sedicesima Lettura [10] si legge: «In realtà, la pura e semplice assenza di riflessione consapevole non è che incentramento dell’attenzione». In nota a piè di pagina n. 192, il curatore spiega che si tratta del «caso dell’incentramento dell’attenzione (samādhi) artificialmente suscitato, che trova il suo fondamento nella concentrazione consapevole dell’attenzione». Nel caso di Rol, lo stato di attenzione incentrata (samādhi) sarebbe suscitato artificialmente mediante le procedure definibili – con un aggettivo forse non del tutto adeguato – magiche, riferite da diversi suoi ospiti e testimoni: la ripetizione della frase «je suis le numéro cinq» (io sono il numero cinque), la visualizzazione mentale del colore verde, l’intonazione delle parole hamma-hamma, e probabilmente alcune altre. E poco più in seguito, ai paragrafi 92-93: «Nell’incentramento dell’attenzione […] a manifestarsi è la pura coscienza, che assume le sembianze dell’Assoluto. Essa, per così dire, divora lo spazio e il tempo, annichilisce la manifestazione del non-essere [cioè del Divenire, in termini occidentali]». Anche la facoltà conoscitiva di Gustavo Rol in alcuni suoi «esperimenti» superava i limiti di tempo e di spazio, proprio perché egli, per così dire, sospendeva momentaneamente la coscienza razionale di sé (la quale da questo punto di vista appartiene al Divenire), per lasciare spazio alla Coscienza assoluta (vale a dire all’Essere, in termini teistici, a Dio) che operava attraverso la sua, divenuta temporaneamente «coscienza sublime».
La diciassettesima lettura [11] continua la riflessione sull’incentramento dell’attenzione: da alcuni paragrafi emerge che il «samādhi furtivo» (nel senso di fugace), o incentramento dell’attenzione «istantaneo», può essere suscitato da quello che Sigmund Freud chiamava «il perturbante»: nel testo indiano si dirà che esso può essere indotto da emozioni-shock come l’innamoramento o lo spavento, ad esempio di chi s’imbatte improvvisamente in una tigre. Dunque il «samādhi fugace» può avere una concausa estetica: da questo punto di vista, che coinvolge l’estetica, si può forse capire meglio perché Rol fosse sovente molto attento all’aspetto armonico della collocazione degli invitati intorno al suo tavolo per gli «esperimenti di «coscienza sublime». Si potrebbe quindi dire che una delle basi dell’avviamento alla possibilità del samādhi per la sua stessa coscienza era l’armonia visiva, la composizione armonica delle forme (in questo caso anche “forme umane”): qualcosa di ben lontano dall’essere soltanto una questione di eleganza; sembra piuttosto che Rol, che era pittore, si comportasse esattamente come se stesse organizzando davanti a sé gli elementi di una composizione la quale, per risultare “degna” di essere resa efficacemente nel dipinto, doveva suscitare un certo effetto estetico di armonia. Dalla nota 260 del curatore a un paragrafo della ventesima Lettura [12] apprendiamo che «“Fulgido aspetto” rende [nel testo tradotto] imperfettamente pratibhā, che indica propriamente un lampo di luce rivelatrice, suscettibile di recare con sé una conoscenza non mediata, extrasensoriale, intuitiva. [Il] concetto di pratibhā [è quindi] non troppo lontano dall’idea di “intuizione”…». Sia l’evento psichico descritto, sia la parola intuizione, erano molto sovente presenti rispettivamente nella vita e nei discorsi di Gustavo Rol, il quale, quando era soggetto a momenti non programmati di «coscienza sublime», aveva appunto dei lampi di conoscenza non mediata, delle “super-intuizioni” che coglievano nel segno, che gli permettevano di conoscere particolari della vita privata, passata o presente, di persone a lui totalmente sconosciute. Nella stessa ventesima Lettura, ai paragrafi 108-109 si legge:
“...solo quando si giunge a percepire il Sé come isolato, sostanziato di pura coscienza e come entità che rende manifesti il corpo e via dicendo, tutti i dubbi vengono meno. I saggi dicono che questa è la vera perfezione, non così le altre cosiddette perfezioni particolari [siddhi] che consistono nel potere di muoversi a piacimento in ogni mezzo continuo, nel divenire piccoli a piacere, e simili. […] Le facoltà sovranormali sono tutte poste lungo il cammino che conduce a tale conoscenza [cioè alla conoscenza del proprio Sé divino, che nella prospettiva gnostica del Tripurārahasya è un tutt’uno con l’Assoluto / Essere / Dio], però costituiscono un ostacolo nei confronti del suo attingimento. A che scopo [se non a quello di servirsene nell’evoluzione ascetico-gnostica] dirigere i propri sforzi verso questi poteri in tutto simili ai trucchi da baraccone di un illusionista? [13]”.
E nella nota al riguardo (n. 276), il curatore aggiunge:
«Per questi poteri paranormali (siddhi, letteralmente «perfezioni»), appannaggio dell’asceta a un certo punto del suo cammino spirituale, che costituiscono un ostacolo sulla via di un un ulteriore progresso, si vedano gli Yogasūtra (3.16-51)».
Anche in questo caso si possono notare abbastanza corrispondenze con le azioni e il pensiero di Gustavo Rol. Della possibilità di diventare piccoli a volontà si è già detto precedentemente, anticipando quest’ultimo brano del Segreto [14]. La facoltà di muoversi a piacere in ogni mezzo continuo indica forse la possibilità di muoversi all’interno o sulla superficie di sostanze materiali più o meno consistenti senza essere vincolato dalle loro proprietà; a questo proposito si può ricordare ad esempio che Rol, in compagnia di Vittorio Gassman e di Federico Fellini, affermò indirettamente di poter uscire da un condominio camminando sulla parete esterna (accettando poi di non farlo, probabilmente per non scioccare troppa gente) [15]; inoltre, da una testimonianza recente pare che Rol sia stato visto addirittura camminare sull’acqua di un laghetto del parco torinese del Valentino [16]. Nel Tripurārahasya Jñānakhanda si sottolinea che l’aspetto spettacolare delle siddhi è significativo, ma non è che una tappa di un percorso di comprensione (ed eventualmente di ascesi) della dimensione trascendente e metafisica; la differenza tra la prospettiva di Rol e quella gnostica induistica è che quest’ultima – come del resto accade in generale nella filosofia religiosa indiana, nei confronti di ogni manifestazione fenomenica della realtà, inclusa la stessa vita umana – tende a svalutare l’importanza delle siddhi, mentre Rol, europeo e cristiano, ne evidenziava il valore di segni capaci di suscitare un interesse per la dimensione trascendente, grazie alla quale i suoi esperimenti erano possibili per lui ed esperibili da parte dei testimoni: al medico e parapsicologo Massimo Inardi, Rol aveva dichiarato: «I miei sono esperimenti elementari, ma servono a stabilire che, essendo parte di Dio, noi abbiamo poteri immensi sulla materia, alla quale, se sappiamo farlo o lo facciamo nell’ambito dell’ordine morale, siamo in grado di comandare qualunque cosa» [17]; nel 1965 disse a Dino Buzzati: «Tutto quello che io sono e che io faccio viene di là (e indicava il cielo), noi tutti siamo una parte di Dio… E a chi mi domanda perché faccio certi esperimenti rispondo: li faccio proprio a confermare la presenza di Dio» [18]; pochi mesi prima di morire, aveva dichiarato al noto giornalista cattolico Vittorio Messori che «le capacità che solo Dio gli aveva dato le utilizzava per confondere gli atei, far riflettere gli agnostici, confermare i cristiani» [19] (ma si può essere certi che, pur dicendo «cristiani», non escludesse affatto i credenti in altre religioni).
Curiosamente, infine, emerge che anche nel contesto indiano del Segreto della Dea Tripurā e nell’epoca della sua redazione (corrispondente grosso modo alla seconda metà del nostro Medioevo), evidentemente si poteva notare che alcune delle siddhi manifestate dagli asceti erano simili alle azioni degli illusionisti (somiglianza che nel caso di Gustavo Rol è rimarcata spesso e volentieri dagli scettici, tra cui alcuni illusionisti), ma senza che fossero tali. Le siddhi coesistevano dunque a fianco delle abilità degli illusionisti, ma gli iniziati indiani sapevano ben distinguere le une dalle altre. Ciò è molto interessante perché suggerisce che le azioni spettacolari di quegli antichi illusionisti, e quindi anche di quelli odierni, non siano puramente frutto della loro fantasia e della loro inventiva, bensì imitazioni, per mezzo di trucchi, delle manifestazioni soprannaturali degli asceti e probabilmente di altre possibilità più o meno effettive della «magia» non soltanto indiana. Da questo punto di vista, le divertenti performance degli illusionisti recherebbero in sé una certa eredità, molto ridimensionata dal tempo e dall’avvicendarsi dei contesti storici, di un antico patrimonio culturale, dottrinale e pratico, facente parte di una visione del mondo e dell’essere umano che non può continuare a essere etichettata come superata e inutile, prodotta da un’umanità culturalmente immatura in preda alle proprie fantasie e superstizioni.
Note:
1 – Nel Tripurārahasya Jñānakhanda ci sono anche alcune sporadiche ma interessanti analogie con alcuni elementi della Divina Commedia: di ciò, chi scrive si è occupato nel saggio Dante e l’Islam, l’Induismo e il Buddha: legami ipotetici e tracce nella Commedia, di prossima pubblicazione su “Riscontri-Rivista di cultura e attualità”, maggio-agosto 2022.
2 – Il segreto della Dea Tripurā, a cura di Alberto Pelissero, Torino, Ananke, 1995 p. 47, nota 52.
3 – Pier Lorenzo Rappelli, in AA.VV. Dibattito sui fenomeni provocati dal Dr. Rol, in “Metapsichica”, A.I.S.M., Milano, gen.-giu. 1970, p. 26 (cit. in Franco Rol, Il simbolismo di Rol, terza edizione-2012, p. 259).
4 – Il segreto della Dea Tripurā, cit., p. 84.
5 – Citato in Franco Rol, L’Uomo dell’Impossibile. Esperimenti, prodigi, miracoli di Gustavo Adolfo Rol, 2012, p. 260.
6 – Citato in F. Rol, L’Uomo dell’Impossibile, cit., pp. 260-261 (e in Piervittorio Formichetti, Gustavo Adolfo Rol – magia ed empatia, Pagine Filosofali, novembre 2021: https://www.paginefilosofali.it/gustavo-adolfo-rol-magia-ed-empatia-2-parte-piervittorio-formichetti/).
7 – Giuditta Dembech, Rol, il grande Precursore, Torino, L’Ariete, terza ed. 2013, pp. 150-151.
8 – Il segreto della Dea Tripurā, cit., p. 116.
9 – Cfr. F. Rol, L’Uomo dell’Impossibile, cit., soprattutto il cap. XXII.
10 – Il segreto della Dea Tripurā, cit., pp. 137-139.
11 – Ivi, p. 139.
12 – Ivi, p. 182.
13 – Ivi, p. 189.
14 – Non pochi episodi di «plasticità corporea» di Rol sono registrati in Franco Rol, L’Uomo dell’Impossibile, cit., cap. XXIII.
15 – Cfr. F. Rol, Il simbolismo di Rol, cit., pp. 56-57.
16 – Testimonianza di Lorenzo Pellegrino registrata sul canale Youtube di Franco Rol (https://www.youtube.com/watch?v=uWpgXHI6m4g).
17 – Citato in Massimo Inardi, Dimensioni sconosciute, Milano, SugarCo-Euroclub, 1977, p. 169.
18 – Citato in Dino Buzzati, Un pittore morto da 70 anni ha dipinto un paesaggio a Torino, “Corriere della Sera”, 11/08/1965, p. 3, poi in D. Buzzati, I misteri d’Italia, Milano, Mondadori, 2000, p. 49 e sgg..
19 – Citato in Maurizio Ternavasio, Gustavo Rol: la vita, l’uomo, il mistero, Torino, Lindau-L’età dell’Acquario, 2008, p. 176.
Piervittorio Formichetti