Mithra e la misteriosofia romana della Luce – Luca Valentini
Orfeo e l’Orfismo – Luigi Angelino
Qualsiasi trattazione su Orfeo e sulla tradizione ispirata al suo personaggio potrebbe sembrare superflua e pleonastica. Eppure si tratta di uno dei miti più fortunati dell’intera storia letteraria ed artistica, destinato a sopravvivere attraverso i secoli per la profondità dei suoi molteplici significati intrinseci che ne rendono il messaggio spirituale diacronico e metastorico. Chi era in realtà Orfeo? Una figura inventata od un personaggio in carne ed ossa mitizzato? Non lo sapremo mai con certezza. Ed è questo uno dei suoi aspetti più affascinanti. Orfeo è definito come un poeta ed un cantore, vissuto prima di Omero ed, analogamente a questi, non si può sostenere nulla di certo in merito alla sua esistenza. La leggenda più nota e popolare racconta che Orfeo era figlio di Apollo e della musa Clio, così come è diffusa la variante, seconda la quale sarebbe stato figlio di Eagro e di Clio o anche di Calliope. L’immagine più emblematica di Orfeo è quella di un abile cantore che sapeva incantare con i suoi versi e con la sua musica donne, uomini ed animali. La sua melodia riusciva a penetrare perfino negli animi più insensibili e nei cuori più malvagi, incarnando una vasta e complessa simbologia di cui, in seguito, cercheremo di delineare le linee essenziali. Tra le peripezie di Orfeo, ben note sono le sue avventure al fianco di Giasone, l’eroe che concepì l’ambizione di impadronirsi del “Vello d’oro”, contribuendo al successo dell’impresa grazie al suo soave canto che riuscì a prevalere sull’insidiosa melodia delle Sirene, capace di solito di far naufragare i più arditi marinai. Ma, come avremo modo di approfondire, la vicenda a cui è maggiormente legata la figura del mitico cantore, nonché di tutti i movimenti misterici derivati dal suo mito, è sicuramente la discesa da vivo nel regno dei morti, mosso dall’immenso amore per la sposa Euridice strappata alla vita terrena.
Come abbiamo anticipato, l’origine del mito di Orfeo è avvolto dal mistero. In linea generale, si indica il frammento 25 di Ibico, un lirico vissuto verso la metà del sesto secolo a.C. a Rhegion, l’odierna Reggio Calabria, come il primo riferimento esplicito al cantore (1). In tale passo, la figura di Orfeo è descritta già come famosa ed ampiamente diffusa. Secondo antiche fonti, Orfeo sarebbe nato a Lebetra, in Tracia, corrispondente grosso modo all’attuale Grecia nord-orientale, al sud della Bulgaria ed alla Turchia europea. In tale zona geografica, considerata “sacra” dalla liturgia ellenica, come avrebbe testimoniato Erodoto, si sarebbe praticata un’intensa attività sciamanica, fondata su presunti collegamenti tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Questi particolari “medium”, se vogliamo adoperare un linguaggio di tipo moderno, avrebbero sviluppato la capacità di esercitate poteri magici, influenzando i fenomeni naturali e provocando una sorta di “trance” mediante la melodia musicale. Orfeo, pertanto, può essere inquadrato in un’antica tradizione di “psychagogia”, ovvero di un modo di concepire la musica esteso anche alla dimensione dei defunti. La maggior parte degli esegeti colloca Orfeo nell’ambito della generazione precedente a quella che partecipò alla guerra di Troia. Un’ulteriore versione della narrazione vuole che Orfeo sia stato il sesto discendente di Atlante, dovendosi, per questo, collocare nell’undicesima generazione prima della guerra di Troia. E’ superfluo ricordare che si tratta di configurazioni temporali prive di qualsiasi riscontro storiografico, ma ricche di semantica simbologia iconografica e didascalica (2).
Il mito di Orfeo, come detto in precedenza, è soprattutto legato alla sua tragica vicenda amorosa con la driade Euridice, sua sposa. Nelle Georgiche, Virgilio riporta che Aristeo, uno dei tantissimi figli di Apollo, si invaghì perdutamente della fanciulla che, tuttavia, non corrispondeva i suoi stessi sentimenti di passione (3). Nonostante ciò, Aristeo continuava con insistenza ad avvicinarsi a lei, fino ad un evento che si dimostrò fatale. Euridice, per sfuggire alle lusinghe dell’uomo, posò il piede su un serpente, che la morse provocandone la morte. Orfeo non seppe rassegnarsi alla morte dell’amata sposa e, distrutto dal dolore, scese negli inferi con l’intenzione di riportarla nel mondo dei vivi. Il coraggioso cantore dovette affrontare tanti ostacoli, per poter raggiungere quel luogo oscuro. Dapprima fu fermato da Caronte, ma con la sua musica riuscì ad incantare il traghettatore infernale, impresa che gli sorrise anche quando fu la volta di incontrare il terribile Cerbero, guardiano dell’Ade. Le prove diventarono ancora più difficili, man mano che avanzava nel mondo dei morti. Orfeo raggiunse il luogo dove era imprigionato Issione, condannato da Zeus ad essere legato ad una ruota destinata a girare all’infinito, come severa punizione per aver desiderato di unirsi con Era. Orfeo si lasciò commuovere dalle suppliche dello sventurato e, grazie al potere della sua melodia, riuscì momentaneamente a fermare la ruota delle torture. Il sollievo per Issione non durò a lungo, in quanto appena il visitatore smise di suonare la musica, la ruota riprese a girare nel suo moto infinito. Di seguito, Orfeo si avvicinò alla prigione del malvagio semidio Tantalo, resosi responsabile dell’uccisione del figlio Pelope, allo scopo di dare la sua carne in pasto agli dèì. Tantalo, inoltre, aveva compiuto un gravissimo sacrilegio agli occhi degli dèi, rubando l’Ambrosia, il loro cibo prelibato, per nutrire gli esseri umani. L’empio semidio era stato condannato a rimanere legato ad un albero colmo di frutti, immerso nell’acqua fino all’altezza del mento. Il supplizio consisteva nel fatto che ogniqualvolta provasse a bere, il livello dell’acqua si abbassava, mentre quando cercava di arrivare ai frutti, i rami si alzavano. Come aveva fatto prima Issione, anche Tantalo chiese l’aiuto di Orfeo, supplicandolo di far fermare i rami e l’acqua con la melodia della sua lira. Il cantore si adoperò anche in quest’occasione, ma avvenne che lo stesso Tantalo rimase immobilizzato ed il suo supplizio continuò imperterrito, in quanto, comunque, non riuscì a dissetarsi e a sfamarsi. Superata la prigione di Tantalo, Orfeo scese attraverso una scalinata composta da 1000 gradini, un numero simbolico per indicare l’incommensurabilità dell’ignoto. La scalinata lo condusse nelle profondità del regno dell’oscurità, suscitando lo stupore e la meraviglia delle creature degli inferi, che potremmo considerare una sorta di dèmoni, seppure non nella concezione religiosa e spirituale diffusasi nell’età moderna. Orfeo riuscì a raggiungere il centro del mondo dei defunti, entrando nella cosiddetta “sala del trono” dove si trovò al cospetto di Ade e di Persefone. Si tratta del momento cruciale della visita del magico cantore, così come narrato poeticamente nel decimo libro delle Metamorfosi di Ovidio (4).
A questo punto, Orfeo si esibì in un commovente discorso, descrivendo la forza del suo amore per la sfortunata fanciulla e l’impossibilità di dimenticare il loro indissolubile legame, promettendo ai sovrani degli inferi di riportare Euridice indietro nel momento in cui sarebbe sopraggiunta l’ora della sua morte. Le parole di Orfeo, che esprimevano tutto il suo straziante dolore per la perdita della giovane sposa, riuscirono a commuovere Ade e Persefone, impressionati anche dalla ferrea determinazione del cantore che, in attesa del loro verdetto, rimase immobile ed inflessibile. Il re e la regina dell’oscurità, tuttavia, posero un’importante condizione al rilascio della fanciulla: Orfeo avrebbe dovuto precederla lungo l’intero tragitto per raggiungere l’uscita dal mondo infernale, senza mai potersi voltare indietro. Purtroppo però, come in un destino già scritto, arrivato sulla soglia degli inferi, Orfeo non seppe resistere alla tentazione di voltarsi indietro, preoccupato che l’amata sposa non lo stesse più seguendo. L’incantesimo violato fece sì che Euridice fosse ricondotta prontamente nell’oltretomba. Il dolore del figlio di Apollo diventò allora ancora più disperato, avendo perso ormai qualsiasi altra speranza di riaverla con sé.
L’incontro con Ade e Persefone era forse da considerarsi l’ultima spiaggia per recuperare un amore impossibile da dimenticare? Orfeo, ritornando nella dimensione dei vivi, giurò che non avrebbe desiderato più nessuna donna, sublimando il proprio dolore con la sua straordinaria vena artistica che superava le apparenti possibilità dell’ingegno umano. Il cantore trascorse sette mesi o sette giorni, a seconda delle versioni, tra il pianto e la solitudine, incantando animali ed alberi, tenendosi lontano dalle donne che volevano unirsi con lui. Nel racconto virgiliano, Orfeo fu oggetto di particolare attenzione da parte delle donne dei Ciconi (5) che, non tollerando la sua fedeltà assoluta alla moglie defunta, nel corso di alcuni culti bacchici, lo avrebbero fatto a pezzi, spargendone i resti nei campi. Lo stesso racconto riporta che la testa e la sua lira (intelletto ed arte) furono gettate nel fiume Euros. Ma la storia non si fermò neanche dopo il macabro sacrificio, in quanto la testa di Orfeo si adagiò proprio sulla lira che galleggiava sull’acqua, continuando ad intonare una leggiadra melodia.
Il prodigio toccò le corde del cuore di Zeus che, dopo aver raccolto il prezioso strumento, lo innalzò verso il cielo, creando una strada di “stelle”, che al giorno d’oggi chiamiamo “costellazione”. Un’altra narrazione, quella delle Fabulae di Igino, attribuisce, invece, la lira raccolta da Zeus non ad Orfeo, ma ad Arione. L’anima di Orfeo, ormai libera dalla sofferenza del corpo, secondo Virgilio, sarebbe stata accolta nei “campi elisi”. Da quella appena descritta, si distingue la versione data da Ovidio, peraltro anticipata dal poeta ellenistico Fanocle (6), secondo la quale Orfeo sarebbe stato il fondatore dell’amore omoerotico, riversando la propria passione nei confronti di giovani del suo stesso sesso (7). In questo diverso scenario, Orfeo, facendosi desiderare anche dai mariti delle donne di Tracia, ne avrebbe suscitato l’ira e la gelosia. In soccorso delle donne trascurate, si sarebbero mosse le terribili Menadi(8) che avrebbero dilaniato l’uomo, dedicandosi anche a crudeli pratiche antropofagiche.
La tradizione classica legata al mito di Orfeo è variegata e ricca di simbologia esoterica, divenendo in epoca moderna la personificazione stessa della poesia lirica, dopo aver ispirato fior di musicisti e di letterati. Ovidio forse è stato colui che ha meglio interpretato il motivo “circolare” del mito di Orfeo, svelandone con semplicità e chiarezza il suo significato più naturale, unitamente a quello più angoscioso: la consapevolezza della realtà ineluttabile della morte. La speranza di riportare in vita Euridice appare solo effimera, in quanto il suo triste destino è ormai segnato. La commozione di Ade e di Persefone appare sincera, ma anche i sovrani del regno dell’oscurità devono inchinarsi al fato. In quest’ottica, la condizione del “non voltarsi indietro” assume i connotati di una triste predizione, il cui esito era stato già tracciato.
Nel periodo rinascimentale, grazie all’edizione del Poliziano, il significato del mito di Orfeo segue per lo più il filone ovidiano, mentre nel Novecento, autori come Rilke, Cocteau e Pavese ne offrono una lettura maggiormente “esistenziale”, incentrata sull’interpretazione del “respicere”, cioè sull’azione del voltarsi indietro. Violando l’unica condizione posta dai signori dell’oltretomba, Orfeo non avrebbe commesso un errore fatale e nemmeno un gesto di improvvisa follia, ma si sarebbe trattato di un gesto voluto in piena consapevolezza. Il magico cantore avrebbe preferito rinnovare la propria ispirazione poetica, piuttosto che avere Euridice accanto sé sino alla fine dei suoi giorni terreni. Voltandosi indietro e liberandosi della sposa, Orfeo avrebbe ritrovato sé stesso nel complesso cammino della vita, intraprendendo un nuovo percorso di elevazione artistica e spirituale che presuppone la solitudine e l’assoluta libertà. Ancora più cinica è l’interpretazione, secondo la quale Orfeo si sarebbe voltato indietro in maniera premeditata, con l’intenzione di acquisire gloria personale attraverso l’esibizione di un finto dolore, capace di esaltare al massimo le proprie qualità artistiche. Il “respicere” di Orfeo non può essere concepito neanche alla stregua di un semplice “ripensamento”, ma come vera e propria illuminazione capace di consentirgli un profondo viaggio introspettivo verso l’ignoto, cioè verso la parte più nascosta del proprio essere (9). Il non voltarsi indietro, inoltre, richiama l’episodio biblico a proposito della moglie di Lot, che fu trasformata in una statua di sale, proprio per il fatto di essersi voltata indietro. In tale vicenda, tuttavia, la trasformazione suonava come una punizione legata all’ingratitudine della donna per non essersi fidata della salvezza offerta da Dio (10).
Euridice, il cui nome può essere reso in italiano con l’espressione “grande giustizia”o “giustissima”, è il mezzo che riuscì a far scorgere in Orfeo, “colui che guarisce con la luce”, uno sprazzo di luce divina, la scintilla presente in ogni essere umano. Ma Euridice riaccese in Orfeo anche la reminiscenza divina di Eros, uno degli archetipi primordiali, insieme a Tanatos (11), più cari al pensiero orfico. Ed ispirandosi alla dicotomia semantica tra Tanatos ed Eros, Orfeo scese negli inferi per scoprire la sorte dell’amata Euridice, un viaggio indispensabile per poter diventare istitutore di misteri e portatore di luce. L’Ade si impone, pertanto, come luogo di purificazione, emblema delle profondità dell’animo umano, da cui partire per poter ascendere verso un più elevato grado di consapevolezza spirituale.
La lira, il sublime strumento adoperato da Orfeo, è l’emblema delle virtù di apollinea memoria, di equilibrio e di moderazione, a differenza del flauto, simbolo dionisiaco legato alle visioni estatiche ed alla celebrazione dei fenomeni naturali. Orfeo incarna la vera essenza dell’artista, anzi l’Arte stessa, che produce così tanta bellezza da poter raggiungere non solo i viventi, ma perfino i demoni e i defunti. Euridice è il prototipo dell’anima, di quella spiritualità di cui l’artista ama nutrirsi. Non appare casuale nemmeno la scelta dell’animale, colpevole della morte della fanciulla: il serpente. Il rettile strisciante, associato nell’antichità alla conoscenza ed alla saggezza, può avere un influsso malefico sul genere umano, quando cioè diventa simbolo dei sentimenti della superbia e della tracotanza, tanto da spingere alcune creature finite e limitate a credersi delle divinità. Molto noto è il racconto contenuto nel libro della Genesi, il primo dell’Antico Testamento biblico, in cui si narra della tentazione a mangiare del frutto dell’albero della conoscenza ad opera del serpente (12).
Il viaggio nell’Ade diventa, quindi, un’allegoria della scoperta dei più oscuri labirinti della mente umana, dove risiedono gli impulsi più terrificanti, come gli stessi personaggi di Tantalo ed Issione rappresentano. Il mito di Orfeo, però, vuole far comprendere che l’arte è in grado di vincere anche gli istinti più bassi dell’essere umano, attraverso un percorso di catarsi votato alla ricerca della consapevolezza interiore. Non può sfuggire il fatto che Orfeo sia l’eroe antico greco a spingersi più in basso, nell’ambito dell’immaginario infernale. Neanche il potentissimo Ercole era riuscito a raggiungere tali profondità. Quale potrebbe essere il significato di tale insegnamento? Probabilmente si spiega con la concezione, molto diffusa nella cultura classica, che l’arte, la musica e la poesia possano essere considerate attitudini molto più importanti di qualsiasi allenamento ad aumentare la prestanza fisica. Pochi miti racchiudono così numerose tematiche, tanto suggestive da ispirare molteplici e disparati autori delle epoche successive. Alcuni autori cristiani vollero vedere in Orfeo perfino una prefigurazione di Gesù Cristo, quale figura capace di sconfiggere le forze brutali della natura, personificate in Dioniso, una delle icone del mondo antico con più frequenza associate al Satana/Lucifero della mitologia cattolica.
L’Orfismo, quale movimento culturale originato dalla figura del mitico cantore, rientra senza dubbio nell’ambito della religiosità misterica. Uno dei punti cruciali della sua riflessione è l’inesorabile ciclo della vita e della morte, con la prospettiva della resurrezione. L’epilogo del mito, che vede la testa di Orfeo adagiata sulla lira che continua a cantare, nonostante l’orribile sventramento, non può che essere letto come un messaggio di speranza nella salvezza eterna. L’Orfismo si basa essenzialmente sul dualismo tra anima e corpo: in ogni individuo sarebbe presente un’anima preesistente alla nascita e destinata a sopravvivere anche dopo la morte fisica. Pertanto, separata dal corpo e libera di “agire” in più “dimensioni”, l’anima avrebbe la capacità di “reincanarsi”, non trovando limiti nella necessaria appartenenza ad un singolo corpo fisico, in parte come sostenuto anche nella teoria pitagorica della metempsicosi. La stessa visione, con determinate differenziazioni, è stata sviluppata anche dalle religioni e dalle filosofie orientali, mentre è stata sempre messa al bando dalle dottrine giudaico-cristiane, in considerazione della rispettiva concezione teologica ed antropologica che ritiene l’anima indissolubilmente associata ad un solo corpo. Tale visione risulta ancora più accentuata nella dottrina cristiana, secondo la quale sarebbe possibile perfino la “resurrezione dei corpi”. A similitudine dei culti misterici egizi, anche l’Orfismo sembra orientarsi verso una “valutazione” dell’anima dopo la morte, che può concludersi con un giudizio premiale o punitivo. Il “simbolismo delle lamine”(13), in particolare quella del cipresso bianco e della fonte di Lete (via di sinistra) da evitare e quella delle acque di Mnemosine (via di destra) da seguire costituisce una vera e propria guida del post-mortem, che rievoca le istruzioni contenute nel Libro egizio dei morti(14). Alcuni riferimenti alla dottrina orfica dell’anima si rinvengono nel Cratilo e nel Fedone di Platone (15), che ci offrono importanti spunti di riflessione: l’anima sarebbe rinchiusa nel corpo come in una tomba, al punto che la vita terrena dovrebbe essere considerata come una “morte” e la morte fisica, invece, come il principio della vera vita. Si tratta di idee che, alcuni secoli dopo, influenzeranno lo gnosticismo trasversale di tutte le religioni abramitiche, soprattutto del Cristianesimo, arrivando fino all’epoca medievale, recepite da gruppi organizzati e gerarchizzati come quello dei Catari (16). Secondo la visione orfica, la “vera vita” non si raggiungerebbe in maniera automatica con la morte fisica ma, come detto in precedenza, l’anima dovrebbe essere oggetto di valutazione premiale, a seconda dei suoi meriti e delle sue colpe potendosi, dopo un certo tempo, incarnare di nuovo. Il ciclo delle rinascite sarebbe destinato a cessare, conseguendo la liberazione finale, solo quando l’anima avrebbe raggiunto la totale purificazione mediante rituali di iniziazione e con rivelazioni di tipo teosofico.
L’Orfismo potrebbe essere derivato da una sorta di riforma interna al culto in onore di Dioniso, promosso da un gruppo che viveva una forte tensione etica e che auspicava un modello esistenziale ordinato e basato sugli ideali di armonia e di equilibrio spirituale. Sotto il profilo psico-analitico, la discesa agli inferi alla ricerca di Euridice potrebbe rappresentare una specie di desiderio di ritorno al seno materno, mentre lo squartamento ad opera delle donne indicherebbe una sorta di autorizzazione inconscia alla castrazione, come forma di sublimazione catartica. Ed è proprio grazie alla cosiddetta “catarsi orfica” che il cantore viene acclamato come il fondatore per eccellenza dei “riti misterici”, fama confermata dai suoi intimi legami sia con Apollo che con Dioniso. Come è ben noto, entrambe queste divinità esigevano processi di iniziazione misterica, sebbene associati a forze diverse e spesso contraddittorie. In questa duplice chiave di lettura, apollinea e dionisiaca, si colloca soprattutto la narrazione dello smembramento di Orfeo ad opera delle Menadi che, da un lato si riferisce alla sua profonda derivazione dal culto di Apollo, dall’altro sembra alludere alla pratica dello “sparagmos” dionisiaco in forma animale. La duplice appartenenza dell’Orfismo, allo stile apollineo ed a quello dionisiaco, secondo gli studiosi, sarebbe ancora più dimostrato dal mito dei Titani, una delle narrazioni più care agli ambienti orfici. Dioniso Zagreo (17), il gran cacciatore di anime, descritto come un ingenuo fanciullo, si divertiva nei campi con vari oggetti, peraltro diffusi nei rituali orfici, tra cui, in primis, uno specchio. I Titani cercavano in ogni modo di insidiarlo ed il giovinetto ogni volta mutava forma per sfuggire alle loro mire. I colossi, tuttavia, riuscirono a catturarlo quando Dioniso aveva assunto la forma di un toro, sbranandolo e divorandolo crudo. La dea Athena ne salvò solo il cuore e ne fece dono a Zeus che lo mastico’, generando da Semele (18) un nuovo Dioniso e compiendo, pertanto, un’opera di gloriosa resurrezione. Nello stesso tempo, i Titani furono colpiti da Zeus con le folgori e dalle loro ceneri ebbe origine il genere umano. A questo punto, non bisogna dimenticare che nelle ceneri dei Titani erano presenti anche i resti del primo Dioniso, tanto da poter dire che l’uomo stesso è originato da una commistione di natura titanica e di natura divina. I rituali iniziatici orfici sarebbero in grado di eliminare l’elemento titanico presente nell’uomo, esaltandone, invece, quello divino. Tuttavia, il cammino per ottenere la condizione dionisiaca non sarebbe costellato dalle ebbrezze tipiche dei rituali orgiastici, ma seguendo una ferrea e determinata disciplina in stile apollineo (19).
L’Orfismo è indubbiamente una dottrina del trascendente che affonda radici antichissime nella Grecia antica, ma con diverse ramificazioni in altri ambiti del pensiero occidentale. Nonostante la sua diffusione trasversale in molte culture, resta tuttora una dottrina poco conosciuta, relegata nella posizione di un “vecchio mito”, pur riconoscendo ad esso un alto valore didascalico. Se analizzato a fondo, invece, l’Orfismo offre importantissime figure mitopoietiche che sono alla base degli archetipi della cultura occidentale e che hanno influito sulle opere di illustrissimi autori come Virgilio, Dante, Milton, Rilke e tanti altri. Le rapsodie, note come “inni orfici” attribuite in maniera pseudo-epigrafica al mitico musico (già Aristotele ne metteva in discussione la veridicità), secondo i critici furono raccolte, rivisitate e rese sistematiche da autori cristiani della scuola alessandrina che, comunque, attinsero ad una remota tradizione liturgica e cultuale (20). I “canti” appaiono come strutture narrative “spezzate” che sembrano parlare alle forme più pure del pensiero, come archetipi del pensiero collettivo di tipo junghiano. In una lettura in chiave moderna del simbolismo orfico, secondo il quale la vita umana nel mondo è soltanto transeunte e funzionale a fortificare la nostra coscienza spirituale, non si può di certo applicare una negazione dei nostri doveri, alla maniera dei Catari, ma interpretarne gli insegnamenti profondi per unire gli sforzi di ciascuno verso un reale progresso di ordine sociale, politico ed economico.
Note:
1 – La traduzione letterale del frammento suona come: “Orfeo dal nome famoso”;
2 – Michele Barresi, Orfeo, Pitagora e Platone, Edizioni Tipheret, Rimini 2014;
3 – Teresa Mazza, Il nuovo Orfeo di Virgilio un mito riscritto, Palombi Editori, Roma 2009;
4 – Alessandra Romeo, Orfeo e Ovidio. La creazione di un nuovo epos, Edizioni Rubbettino, Catanzaro 2012;
5 – I Ciconi formavano una popolazione che viveva nel sud-est della Tracia, nella zona costiera bagnata dal Mar Egeo;
6 – Non si hanno notizie sicure sulla vita di Fanocle, vissuto probabilmente verso la metà del III secolo a .C. Compose una raccolta dal titolo “Erotes è Kaloi” (Gli amori o i belli), incentrata su presunti amori omosessuali di personaggi mitici;
7 – Danilo Laccetti, Orfeo sconsacrato. Viaggio nelle vite di Orfeo, Jauvence edizioni, Milano 2019;
8 – Le Menadi, chiamate anche Baccanti, Bassaridi o Tiadi, erano donne in preda alla frenesia estatica, invasate dal dio Dioniso;
9 – Marina di Simone, Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e di Euridice tra passato e presente, Edizioni Libri liberi, Firenze 2003;
10 – Genesi, 19,26. Il passo descrive come la donna si trasformò in una statua di sale, dopo essersi voltata a guardare Sodoma;
11 – Erasmo Silvio Storace, Eros e Thanatos, AlboVersorio edizioni, Milano 2015;
12 – Riccardo Alberto Quattrini, Il simbolismo, Il mito di Orfeo, su https://www.inchiostronero.it, consultato in data 07/11/2023;
13 – Fritz Graf- Sarah I. Johnston, traduzione di Pasquale Faccia, Orfeo e le lamine d’oro. Testi rituali per l’oltretomba, Edizioni Mediterranee, Roma 2015;
14 – La ricostruzione al momento più attendibile vuole che il testo sia stato usato dalla metà del XVI secolo fino al I a.C. circa;
15 – Nota nr. 2;
16 – Luigi Angelino, I Catari e la dottrina dualista, su https://www.paginefilosofali.it;
17 – La figura di Dioniso Zagreo è probabilmente di origine cretese; la divinità sarebbe nata dall’unione tra Zeus sotto forma di serpente e Persefone;
18 – Semele, figlia di Cadmo e di Armonia, ha origini tracio-frigie e sembrerebbe legata ad una tipologia di culto ctonio;
19 – Massimo Di Marco, Tra Apollo e Dioniso. Alle origini del mito di Orfeo, Edizioni Aracne, Roma 2019;
20 – Alcuni inni orfici avrebbero origine egiziana, mentre altri sarebbero nati in Asia Minore, dove il culto per Dioniso è rimasto molto fiorente fino ai primi secoli dell’era cristiana.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.