Óðinn furor lucens: l’ascesa e la morte di un Dio – Giovanna Bruno
Ab imis fundamenta
All’alba dei tempi vi era il nulla, un immenso vuoto chiamato Ginnungagap, letteralmente “Varco spalancato”, così come descritto nella Völuspá1:
3 Al principio era il tempo, Ymir vi dimorava.
Non c’era sabbia né mare né gelide onde.
Non c’era terra né cielo in alto:
un vuoto si spalancava e in nessun luogo erba”.
Il Ginnungagap era esposto a nord ai gelidi venti provenienti dal Nilfheim (nilf- = nebbia, dal protogermanico nibulō; –heim= casa, dal protogermanico haimaz), bagnato dalle piogge e incrostato dalla brina depositata dagli undici fiumi dell’Élvágar; il lato meridionale era, invece, illuminato dai bagliori e dalle scintille provenienti da Múspellheim (muspell- = variamente interpretato dai filologi, sembra comunque derivare dal latino mundus con caduta della nasale “n” in analogia con gli infissi dei tempi del presente; -heim= casa). Allorché il vento caldo sciolse la brina, dalle gocce viventi prese vita Ymir, un Uomo capostipite della razza dei jötnar (Giganti della Brina). Questi nacque insieme ad una mucca, Auðhumla, dalle cui mammelle scorrevano quattro fiumi di latte, col quale si nutriva il gigante; quando la mucca leccò il sale che incrostava le pietre ghiacciate prese forma, in tre giorni, un Uomo dal nome Búri, il cui figlio Borr prese in moglie la gigantessa Bestla, i quali ebbero tre figli: Oðin, Vili e Vé. L’atto della creazione del mondo fu progettato proprio dai tre esseri divini, i quali posero al centro della Voragine Cosmica il corpo di Ymir, dopo averlo sventrato, plasmando il cielo, i primi uomini e i vari Modi; a tal proposito il Grimnir o Grimnismál2 dice:
40 Dalla carne di Ymir fu la terra formata, dal sangue i mari, montagne dalle ossa, alberi dai capelli
e dal cranio il cielo.
41Con le sue ciglia fecero gli dèi gentili
Miðgarðr per i figli degli uomini; e dal suo cervello
furono le impetuose nuvole tutte create.
Una visione indubbiamente cruenta che, tuttavia, ci consente di identificare Oðinn come dio primordiale, padre di tutti gli dèi, e “tutore” degli Uomini: sposo di Jörð prima e di Frigg poi, i suoi figli divino sono Þórr, Baldr, Höðr. Con i suoi fratelli, invece, dà vita ai nani e crea i primi Uomini, Askr ed Embla, così come è detto nella Völuspá:
17 Finalmente tre vennero da quella stirpe,
potenti e belli, æsir, a casa.
Trovarono in terra, senza forze,
Askr ed Embla, privi di destino.
Come ogni divinità,poi, Oðinn ha degli animali prediletti: il suo destriero con otto zampe, Sleipnir (<< Colui che scivola>>, simbolo della velocità), a galoppo del quale egli vaga per i modi; due corvi, Huggin e Muggin (<< Pensiero>> e << Memoria>>), che sussurrano alle sue orecchie le cose che vedono o odono; due lupi, Freki e Gri (l’Avido e il Divoratore), che nutre col cibo che sta sul suo tavolo. Si dice, infatti, che Odino non abbia bisogno alcuno di nutrirsi: il vino è per lui tanto cibo quanto bevanda. Così è detto nel Gylfaginning, 383:
Geri e Freki
li sazia, avvezzo alla guerra, Herjafǫðr glorioso.
Ma di solo vino
in armi splendente, Óðinn vive per sempre
Conoscenze riguardo il dio le attingiamo anche da fonti latine, prima fra tutte Tacito nell’opera
De origine et situ Germanorum I, 9:
deorum maxime Mercurium colunt, cui ceteris diebus humanis quoque hostiis litare fas habent.
Il dio che Tacito chiama col nome latino Mercurius è colui che in protogermanico è detto Wōðanaz, termine composto da Wōð- col significato di “ebbrezza, eccitazione, furore” e il suffisso –na, il quale, se segue un nome collettivo, indica il capo il reggente, la guida; risulta più chiaro se si guarda al latino, ove il suffisso di comando è una forma ricostruita –no, per esempio in dominus e tribunus, derivanti rispettivamente da domus e tribuus e, perciò, significano <<colui che guida la casa>> e <<colui che guida la tribù>>. Ciò detto, possiamo asserire che Wōðanaz sia <<colui che guida il wōðaz, l’ebbrezza >>; da tale nome derivano, poi, le sue varianti: Wōdan/Wōtan nell’antico alto tedesco; la forma norrena sarebbe passata attraverso un protonordico Wōðin- , con la semiconsonante /w/ caduta , poi, dinnanzi alla vocale /o:/. Di qui le varie forme nelle lingue scandinave norrene, Óðinn in islandese, Odin in danese e norvegese, Oden in svedese4. La notizia fornitaci da Tacito è assai importante, poiché documenta la permanenza di questo dio nel pantheon germanico ancora nel I sec. d. C.; tuttavia, il quadro della religione germanica che i Romani presentano è, in verità, più rude di quanto la stessa religione tracci. Le iscrizioni epigrafiche, in cui è possibile applicare l’ interpretatio Romana, non rivelano molto: considerando alcune testimonianze, in ordine cronologico, esse si limitano a un certo numero di laconiche e ostiche iscrizioni runiche. Dal territorio degli Alemanni, per esempio, proviene la cosiddetta Fibula di Nordendolf (località della Bavaria), in cui si fa riferimento a Wōdan, Donar e qualche altra divinità (forse Loki): Logaþore Wodan Wigiþonarr(?); K. Düwel interpreta Logaþore come <<mago/stregone>>e traduce <<Wodan e Donar sono stregoni>>. Le ultime iscrizioni runiche che, in ordine cronologico, contengono il nome di Odino sono le tavolette di Bryggen (località presso Bergen, Norvegia): ritrovate nel 1955, sono circa seicentosettanta tavolette in legno incise in runico, la maggioranza appartenenti al XIV sec. d. C.; dunque, tale tipo di scrittura perdura anche in età cristiana, almeno in Norvegia. Il contenuto varia dai nomi alle indicazioni di proprietà, fino ad arrivare a brevi invocazioni cristiane; tra queste ultime, però, compaiono i nomi di Þórr e Óðinn :
Heil sé þúok í hugun góðun Þórr þik þiggi, Óðinn þig eigi.
Salute a te e buoni pensieri, che Þórr ti riceva, e Óðinn ti possieda.
Tavoletta di Bryggen B380
Le testimonianze medievali, invece, danno l’impressione di un politeismo complesso. Sempre al periodo cristiano appartengono manoscritti nei quali appaiono il nome di Odino e degli dèi a lui associati. Un esempio potrebbe essere costituito dalla Cronaca anglosassone , nella quale compare il nome di Wōden come antenato mitico della genealogia dei primi sovrani germani di Britannia, raccolta negli annali in Old English e redatta in un arco di tempo che va dall’890 al 1154 circa. Altro esempio potrebbe essere il Guatrek saga , contenuto nelle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus (fine XII sec. d. C.)4 . Nella saga si narra di un re vichingo, Vikarr, che prega Odino affinché conceda di mutare il vento a favore delle sue navi per portare a termine la spedizione armata nell’Hordaland (contea norvegese); tramite divinazione si apprende che come ricompensa il dio richiede un sacrificio umano, scelto “tirando a sorte” (il termine norreno è hlutfalli , cioè “a rapporto”). L’indoeuropeista spagnolo F. Villar ne “Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa” osserva che5 :
- Il nome della divinità germanica deriva dalla stessa radice indoeuropea dyēus da cui si ricava Zeus (Ζεύς πάτερ ) e Iovis (genitivo; la forma arcaica è Diovis), ed è, perciò, Tiwaz6;
- La sua forza è simbolicamente rappresentata da una lancia, nella tradizione apparteneva a Týr, dio della guerra e datore di vittorie, una sorta di Mars
Se, allora, in base all’interpretatio Romana , il dio della guerra è paragonabile a Marte, Donnerstag, che con Iuppiter identifica il dio sud-germanico Donar , è il dio del tuono e del fulmine e coincide con Iuppiter Tonans. Va considerato, però, che Donar (ant. Alto ted.) è figlio di Wodan ed è meglio conosciuto come Þórr, personificazione del tuono; ciò è confermato a livello linguistico, poiché la parola che traduce tuono in tedesco è donner, in inglese è thunder (il nome in ant. inglese è þūnor). In merito a ciò, allora, sembra giusto osservare che le caratteristiche divine si trovano in Ζεύς – Iuppiter del mondo classico si diversificano in due divinità differenti nella religione germanica. Per Tacito Odino è alla stregua del dio latino Mercurio, corrispondente al greco Hermes , dio psicopompo, guida delle anime, che secondo Platone7 sarebbe interprete, ladro e ingannatore nei discorsi in quanto esperto nell’uso della parola. Ciò è reso evidente dalla già citata opera di Snorri Sturluson, il Gylfaginning8, ove si narra di Gylfi, re di <<quelle terre che chiamano Svezia>> (p. 3), del quale si racconta che si dirige dagli Asi, cioè gli dèi, che tali non appaiono al viandante in merito ad un inganno, e cerca di sembrare altro da sé, per cui si fa chiamare Gangleri; questi due sono appellativi di Oðinn, come i nomi che identificano gli Asi con cui Gangleri intrattiene una discussione circa il dio in questione. Da qui possiamo capire che Oðinn è dio viandante, il quale, indossando un cappellaccio in testa e un mantello sulle spalle, a volte reggendosi alla sua lancia come ad un bastone, cammina per le vie del mondo8. Onde per cui egli è detto Vegtamr (viandante); ma è anche identificato come dio-sapiente e dio-mago. Nel Gylfaginning, capitolo 2, infatti, è detto:
Re Gylfi è un uomo saggio ed è esperto di magia. Egli si meravigliò di quanto il popolo degli Asi fosse sapiente e capace (…). Ed Egli meditò se questo potesse derivare dalla loro propria natura oppure dalla potenza degli dèi cui essi sacrificavano. Si mise in cammino verso Asgard e viaggiò in incognito e prese l’aspetto di un vecchio e in tal modo si celò.
Tra l’altro, è interessante osservare come è presente la radice óðr,, cioè poesia, nel nome del dio; è, dunque, il dio della poesia, tanto che, si dice, egli parla sempre in versi e che abbia gettato alcune gocce di idromele, bevanda sacra agli dèi, sulla terra così che gli uomini potessero cantare. Ma come e quando ha acquisito tali funzioni? Dalle fonti a nostra disposizione è chiaro sia stato un processo durato molti anni, solo dopo molti viaggi e molti incontri fino a giungere a quell’ Axis Mundi, a cui, come la strofe 19 della Völuspá riporta, egli fu appeso per ottenere la sapienza del mondo:
19 Ask veitk standa, heitir Yggdrasill hár baðmr, ausinn
hvíta auri;
þaðan koma dǫggvar þærs í dala falla; stendr æ of grænn Urðar brunni.
So che un frassino s’erge chiamato Yggdrasill, alto albero asperso
di bianca argilla.
Di là viene la rugiada che cade nella valle, si erge
Ecco, dunque, l’Axis Mundi ergersi dalle profondità di un’area acquatica (brunnr), la fonte di Urðr, una delle tre Norne; nella strofe 20 della Völuspá si dice, infatti, che dalla fonte vengano tre fanciulle, Urdr, Verðandi e Skuld, le quali hanno stabilito l’ “ør-lög” (dove ør corrisponde al ted. ur, lög al lat. lex), cioè la legge primordiale e il destino degli uomini tramite l’incisione su materiale ligneo, quasi paragonabile alle latine sortes o i greci κληρος , su cui vi sono scritte le rune.
Pur paragonando le Norne germaniche alle Parche latine o alle Moire greche per il loro ruolo destinale, non è stato possibile scorgere alcun legame linguistico9 : mentre Skuld ha a che fare con il futuro, le altre due derivano il proprio nome dal verbo verða, la cui radice indoeuropea wert- ha dato in latino vērto , dal significato di “volgere, girare”; lo sviluppo che ha portato a modificare il significato in “divenire” è avvenuto perché il movimento inerente allo status ontologico di una certa realtà esprime il cambiamento irreversibile di essa, il che implica un prius e un postea temporale. Nell’etimologia italiana c’è “divenire” che deriva dal latino tardo “de- venīre” e dal suo frequentativo “de- vent- āre”10 , indicando che un soggetto ha modo d’essere precedente, rappresentato dal “de-”, che passa ad uno nuovo. Poiché, come rivelano gli studi condotti dal linguista M. De Martino, Verðandi è il part. pres. e Urðr il part. pass. del medesimo verbo, possiamo concludere che rappresentano il passato (Urðr = divenimmo), il presente (Verðandi = essente) ed il futuro (Skuld= ciò che deve essere); ci viene fatto notare, sempre in Arcana Verba vol. 2, che è possibile accostare sul piano linguistico e delle funzioni la strofe 19 della Völuspá con l’inno orfico alle Moire LIX, 1-5, in cui sono descritte le acque sotterranee in modo analogo a quelle dell’Yggdrasill:
Μοῖραι ἀπειρέσιοι, Νυκτὸς φίλα τέκνα μελαίνης, κλῦτέ μου εὐχομένου, πολυώνυμοι, αἵτ’ ἐπὶ λίμνης οὐρανίας, ἵνα λευκὸν ὕδωρ νυχίας ὑπὸ θέρμης ῥήγνυται ἐν σκιερῶι λιπαρῶι μυχῶι εὐλίθου ἄντρου, ναίουσαι πεπότησθε βροτῶν ἐπ’ ἀπείρονα γαῖαν·
Moire infinite, care figlie della Notte nera,
ascoltate me che prego, o venerate, voi che abitando presso il lago celeste, dove l’acqua candida per il calore notturno
scaturisce nell’ombroso fondo lucente dell’antro di belle pietre,
volate sulla terra infinita dei mortali
Innanzi tutto sœ del poema norreno corrisponde al greco λίμνης; ancora, la “bianca acqua”, dove assieme alle sue sorelle abita Lachesi, la Moira del passato, corrisponde alla “hvíta auri”, ovvero all’argilla bianca della Fonte di Urðr. L’Yggdrasill ha qualità di essere bianco grazie alle acque sotto le sue radici che lo nutrono, mantenendolo in vita; è da questo fulgore che assume la sanctitas ed è considerato Axis Mundi; di qui l’interpretazione di S. Sturluson nel Gylfaginning (16e, 16f) circa la strofe 19:
Quell’acqua è così sacra che tutte le cose che giungono là alla fonte diventando bianche come quella membrana che si chiama skjall, la quale si trova sotto il guscio dell’uovo.
Le tre Nornir irrorano l’albero con l’acqua del pozzo, dunque, mediante l’impasto del skjall, membrana testacea dell’uovo; la rugiada bianca da tale albero, appartenente alla famiglia della Quercus , cade sulla terra ed è chiamata hunangfall cioè “caduta (fall) di miele (hunang; in inglese è honey, in ted. honig)”, bianco e dolce, di cui si cibano le api. Una situazione ben nota al mondo classico: nell’inno omerico ad Hermes, Apollo narra al neonato Hermes come le tre sorelle, vergini dee, dalle rapide ali (tre api?), che dimorano nella gola del Parnaso, gli abbiano insegnato come divinare quando lui ancora fanciullo si dedicava agli armenti; le tre dee, volando da una parte all’altra, si nutrono col miele, e su ogni cosa danno profezie veritiere. E, dopo aver mangiato il biondo miele, sono prese dall’ispirazione e acconsentono benevolmente a rivelare la verità; ma se sono private del dolce cibo degli dèi, allora mentono e turbinano confusamente11; ciò è testimoniato anche da Virgilio, il quale nelle Georgiche IV12 definisce il miele “celeste dono”; possiamo, allora, dedurre che l’ hunangfall sia l’aqua vitae, la cui dolcezza è legata alla divinazione, per cui è sacralizzante. Pertanto, le Norne sono una parte di tradizione indoeuropea, trovandosi anche nella religione indiana, come ci mostra M. De Martino nel secondo volume di “Arcana verba”, e in quella germanica; ed è ancora Snorri nel Gylfaginning, al cap. 15, a darne conferma:
Molti meravigliosi posti si trovano in cielo e ciascuno è sotto la protezione divina. Là, sotto al frassino, davanti alla fonte, si trova una bellissima sala. Da essa vengono tre fanciulle che si chiamano Urðr, Verðandi e Skuld. Queste fanciulle assegnano la vita agli uomini e noi le chiamiamo Nornir. Esistono però altre nornir, le quali giungono presso ogni bambino che nasce per stabilirne la vita e queste sono di discendenza divina; altre sono della stirpe degli álfar, e altre ancora sono della stirpe dei dvergar, così come qui si dice:
Di molte origini
ti dico sono le Nornir e non di stirpe comune. Alcune dagli Æsir, alcune dagli Álfar,
alcune figlie di Dvalinn
Quindi parlò Gangleri: “Se le Nornir governano le fortune degli uomini, allora esse le dividono troppo inegualmente,(…)” . Disse Hár: “Le Nornir benevole, di buona stirpe, donano una buona vita. Ma quegli uomini a cui tocca la malasorte, lo devono alle Nornir malvagie”.
Ebbene, spicca il carattere di regalità; il luogo dove esse abitano è situato accanto alle acque sacre; tutto ciò ci porta a considerare il loro ruolo coincidente con la “prima funzione indoeuropea” duméziliana, cioè quella della sovranità magico-giuridica. Ordunque, quanto detto fino ad ora serve per introdurci al modo in cui Óðinn diviene δαιμονιζόμενος, ovverosia posseduto da un demone come dimostrato con ōðr(=canto, poesia), che è un derivato storico (poiché sia Wōdan che l’antico inglese Þōden derivano dalla forma ricostruita del protogermanico Wōð(7i)naz, connesso a wōþūz cioè “furor poeticus”); mentre il termine norreno ha dato l’antico alto tedesco wut, “furore sacro”, e l’antico inglese ; derivano entrambi dalla radice i.e. h2wē-, il cui valore semantico è “poeta/profeta”. Il suo tratto precipuo è la folgore, come per Zeus e Iuppiter, e anche per la divinità preindoeuropea. I termini Ζεὺς e Dyauṣ Pitā (divinità vedica) e Dies/Iū(-piter) rimandano ad una forma ricostruita i.e. Dyēws , connessa alla radice verbale di hx, che denota la proprietà fisica della luminosità13. Se essa non è considerata come fenomeno naturale appartenente al Sole, è, però, stimato come attributo del cielo diurno; le stesse attribuzioni nelle varie lingue i.e. designanti tale fenomeno mostrano come esso sia legato all’effetto luminoso: inglese “light- ning”, ossia “luc-ente”. La dicotomia acqua-fulmine, allora, rappresenta metaforicamente la regalità (prima funzione i.e. secondo Dumézil), ma proprio l’elemento della folgore combacia con la seconda funzione duméziliana, ossia quella guerriera; lo stesso Dumézil riteneva che le prime due funzioni, tra le tre appartenenti alla fase i.e.(di cui la terza, lo ricordiamo, è quella dei produttori), fossero prerogative del sovrano14. Nondimeno, la figura di Odino si è sviluppata: il germanista olandese Karl N. H. Petersen riteneva che il dio fosse una figura inizialmente estranea al pantheon germanico; l’idea era che venisse da sud e che avesse una posizione mediocre, come semplice divinità dei morti; è alquanto probabile che abbia affrontato una “scalata sociale”. La tradizione nordica propone un palo/albero dai tratti destinali, ove il dio si è impiccato. Nell’ Hávamál (Il discorso di Hár), nella parte denominata Rúnatal, è detto15:
138 Lo so io, fui appeso
al tronco sferzato dal vento per nove intere notti, ferito di lancia
e consegnato a Óðinn, io stesso a me stesso, su quell’albero
che nessuno sa
dove dalle radici s’innalzi.
139 Con pane non mi saziarono né con corni [mi dissetarono]. Guardai in basso,
feci salire le rune, chiamandole lo feci, e caddi di là.
È l’Yggradrasill, caro ad Odino tanto quanto la quercus di Dodona a Zeus: “cavallo (drasill) del terribile (ygg)”, dove cavallo è metafora per patibolo, su cui egli si autoinfligge un colpo con una lancia. Ygg , come accezione primaria ha dall’i.e. gaboh(o)lo , da cui il termine gallo-latino gabalus, mentre “terribile” propriamente è ullr , altro epiteto designante Odino; ma ygg risulta essere legato al sostantivo, e qui più propriamente si potrebbe tradurre come “terrore”. L’autoriferimento ha il valore magico della pseudo-morte iniziatica: donando sé stesso a sé medesimo ha offerto un sacrificio necessario per far sì che le rune entrassero nell’armamentario del dio; inoltre, così agendo si è allineato con il “patibolo” stesso dal punto di vista geometrico-spaziale, quasi divenisse addirittura Axis Mundi.
Cicerone nel De divinatione II, 41,85 sostiene che sulle sortes vi sarebbero stati <<inscritti segni di lettere antiche>>; quindi, è possibile che sia le rune dell’Hávamál sia quelle della Völuspá fossero grafemi di tradizione letteraria recente sovrapposti ad antichi segni con funzione diversa, atte alla divinazione; ruolo svolto in seguito dalle medesime rune (intese come materiali lignei). A questo punto potremmo legare Ζεὺς a Wōdan, la quercia di Dodona all’Yggdrasill; i κληροι di Dodona corrisponderebbero, pertanto, alle tavolette delle rune che salgono dalle radici del frassino sacro nel Pozzo di Urðr. L’Odino rinnovato, allora, siede ai piedi dell’albero della vita e qui dichiara <<Óðinn ora mi chiamo, Yggr un tempo nominato, chiamato Þundr ancor prima>>, marcando la scissione dell’originario dio del Fulmine indoeuropeo in una specializzazione di divinità maschili, in quanto è suo figlio Þórr a possedere sia il fulmine che la forza bellica necessaria per essere dio del Tuono. Dall’Yggdrasill, luogo in cui durante il periodo di morte apparente ottiene la Sapienza magica tramite nove magici canti, “rinato”, “cresce” in ottima salute dopo aver bevuto il mjoðr , cioè <<del prezioso idromele attinto da Óðrørir>> (Hávamál, 140); ancora una volta c’è il richiamo alla poesia: il nome stesso, infatti, significa “frenesia agitatrice”. Riferisce egli stesso di aver urlato affinché potesse prender possesso delle “rune chiare” (Rúnar … stafi), grandissime e potentissime, meritando l’appellativo di hroptr (da hrópan= gridare/chiamare ad alta voce). In quel mentre è preso da μανια/furor profeticus, del tutto opposto al metodo con cui si dice abbia intagliato e dipinto le rune, ovvero tacendo (þá hefir bazt, ef hann þegir).
<<Nam ek upp rúnar/æpandi nam>> (presi le rune/ gridando le presi; Hávamál, 139): il verbo norreno utilizzato, nima, è messo accanto all’avverbio upp e, quindi, significa “prendere su”; mentre æpandi è il part. pres. del verbo æpa= gridare con connotazione di stato d’animo sconvolto e quasi piangente16.
Il guardiano di quest’albero, poi, è Heimdallr ed è figlio primogenito di Odino; in realtà, tale nome non è che un’altra ipostasi del dio (come d’altro canto Thorr) e che Snorri identifica come hvíta auri. Non sembrerebbe, però, essere una coincidenza, poiché proprio il nome del guardiano va interpretato come Albero (-dallr) del Mondo (Heim-), anche se non lo si può definire in base ad una specifica appartenenza arborea (frassino o quercia?): l’albero è, dunque, al centro del mondo e lo tiene insieme nei suoi vari elementi, le sue radici si allungano sotto prati e montagne, sotto il Miðgarðr, affiorano nella terra dei giganti (Jötunheim), fino a giungere nelle tenebre più profonde di Hellheim, gli Inferi. Ecco perché è rinomato anche come Albero del Mondo! D’altro canto sembra che il latino Mundus abbia connessione strettissima con il sanscrito manthani, cioè “torce/ perfora”, e l’antico norreno mondull, ovvero “manico con cui si fa girare una macina di mulino”; il personaggio mitologico nordico Mundil-f’ øri, ossia “colui che fa girare il manico”, potrebbe essere il padre di Sol e Luna presenti nell’Edda poetica come gli astri misuratori del tempo e sarebbe la prova del concetto secondo cui l’Universo sarebbe a guisa di un mulinello vorticoso.
<<Per nove notti pendetti (nœtr allar níur)>>: il lasso temporale di nove giorni è sicuramente connesso con le tre Nornir, essendo nove multiplo di tre, come è dimostrato in Sólarljóð (1200 d. C.), poema norreno d’ispirazione cristiana con riferimenti alla mitologia nordica17: qui il protagonista sostiene di essersi seduto sul trono delle Norne per nove giorni , che sicuramente fa riferimento allo stesso momento prima esposto. Orbene, durante questo lasso di tempo Odino impara nove canti, detti galdar e in virtù di ciò lo stesso e tutti gli Æsir sono chiamati “fabbri dei canti”; alcuni dei suddetti canti li conosciamo, in quanto sono stati ascoltati quando Allföðr li rivelò a Loddfáfnir. Con tali incantesimi il Padre degli dèi sa legare gli animi e la volontà umane: può sedare rivolte, placare angoscia e tristezza; riesce a instillare odio nell’animo, arrecare dolori; può persino guarire da malattie. Codesta magia prende il nome di seðr, e per i maschi praticarla comporta atteggiamenti vergognosi tanto che è stata tramandata solo tra sacerdotesse. Inoltre, egli non può essere legato, conoscendo canti che possono sciogliere nodi; resuscita dalla terra i morti. In definitiva, si potrebbe dire che quella del dio costituisce una scalata al potere, durante cui sono previste morte e nascita iniziatiche con i conseguenti ostacoli da affrontare. Tale coma mantico è stato lo strumento non solo per ricevere il potere divinatorio, ma anche per la veggenza del futuro.
Mímisbrurnn
Sebbene sia stato compiuto un sacrificio, per l’ottenimento della sapienza, ciò non sembra esser sufficiente. Bisogna che beva dal nettare sacro per ricevere una sapienza del mondo completa, e ancora una volta l’acqua risulta essere l’elemento fondamentale:
Tutto io so, Odino,
dove tu nascondesti l’occhio nella famosa
Mímisbrunnr! – Mímir beve idromele ogni mattino
dal pegno pagato da Valfǫðr.
Che altro tu sai?»
[Edda poetica – Vǫluspá – Profezia della Veggente XXVII]
La vista di Allföðr, pur avendo entrambi gli occhi, è limitata. La tradizione racconta che in uno di questi nove mondi sorretti dall’Yggdrasill, quello dei giganti, vi sia situata una fonte dalla quale scaturisce un idromele estremamente prezioso: Mímisbrurnn, sorvegliato da un dio (o un gigante) della stirpe degli Æsir , Mímir, cioè Fonte della Memoria18.
Giuntovi, Oðinn chiede a Mímir (il Rimembrante) di poter bere dalla fonte, poiché così avrebbe ottenuto ogni tipo di conoscenza, in cambio, però, di qualcosa di altrettanto prezioso. Egli decide di offrire un suo bulbo oculare che pone sul bordo della fonte; Mímir gli permette di attingere alla consapevolezza di tutto quel che concerne l’Yggdrasill ed è per questo conosciuto con l’epiteto Bileygr = il guercio (così come riportano Völuspá ,28 e Gylfaginnign,15d ). Si dice, inoltre, che abbia preso la testa di Mímir e portata con sé ad Asgard in funzione oracolare. Il dirigersi alla fonte, comunque, conferma quanto nel mondo classico già veniva definito “discensus ad inferos”, pur se non con le stesse modalità, poiché nel modo greco, per esempio, ci si calava nel puteus per poter cogliere le sortes; in questo caso, invece, si è solo calato verso la sapienza, in quanto le rune in precedenza sono giunte a lui rispondendo alla richiesta.
Dunque, l’idromele (dal greco ὕδωρ=acqua e μέλι = miele) gli permette di divenire un “posseduto”. In un’altra tradizione è anche detto che il Padre degli dèi ruba al gigante Surtr l’idromele, che rende poeta chiunque lo beve. Il che non è considerato lontano dalla stessa magia, perché tra le qualità di poeta, vate, profeta e mago non vi è una sostanziale differenza.
“Wōdan, id est furor”
Saxo Grammaticus nelle Gesta Danorum VI, 5,7, 4-7 racconta che Starkaðr, eroe guerriero, dopo una consultazione oracolare, offre ad Othinus il re norvegese Wicarus (ant. norreno Vikkar), impiccandolo con un laccio di vimini e finendolo a colpi di ferrum. Notevole è ancora una volta la presenza della componente regale: offerta umana è il sacrificio di un re ad un re. È possibile comprendere ciò alla luce di quanto Óðinn afferma nel momento in cui impicca il proprio corpo e si colpisce con la lancia, che tra l’altro è la sua Gungnir, ovvero quando proclama “suoi” gli uomini uccisi con le armi. È detto nell’Hávamál, nella parte chiamata Ynglinga saga. Egli è, perciò, Valföðr, “padre dei prescelti”, e Sigföðr, “padre delle vittorie”, e stabilisce chi vince e chi perde in battaglia: entrambi doni graditi ai guerrieri. L’infallibile lancia con cui viene sempre raffigurato è un dono dei nani, così come riportato sempre nell’Hávamál, e sulla punta vi sono incise le rune; con essa partecipa alla prima guerra del Mondo, quella tra Æsir e Vanir, due stirpi divine: racconta la völva (= veggente, da cui Völuspá) quattordici sono gli Æsir che abitano il mondo chiamato Ásaland o Ásgarðr , posto al centro del mondo, sulla cima delle montagne, alte tanto da toccare il cielo. Fortezza degli dèi, vi sono stati eretti splendidi edifici e magnifici templi; dei Vanir, invece, ben poco si conosce. Essi vivono nel Vanaheimr (La terra dei Vanir); sono un popolo soprannaturale, misterioso, esperto in pratiche magiche grazie alle quali sono in grado di vedere il futuro; sono gelosi della propria peculiarità. La prima guerra del Mondo, prosegue la völva , terminò con la riconciliazione delle due stirpi e il trasferimento di alcuni Vanir in Ásgarðr: Njörðr e i suoi figli, Freyr e Freya. Vi sono, poi, altre due dee, Valkyrjur (Valchirie), che servono nel Salone di Ásaland, il Valhöll, portando da bere agli Einherjar (Guerrieri unici, nel senso di eccellenti).
Essi sono la schiera di combattenti morti che Odino sceglie per partecipare all’eterno banchetto di Valhöll e che è destinata a combattere al fianco degli dèi nel giorno del Ragnarök, la battaglia finale tra gli Æsir e i Giganti (che ricorda la battaglia di Zeus contro i Titani. Riguardo al Salone, Snorri nel Gylfaginning 40, racconta che dinnanzi le sue porte vi sono una moltitudine di uomini, ma per quanto grande sia la folla, la carne del cinghiale Sæhrímniír non avrà mai fine: viene cotto ogni giorno e la sera ritorna integro. Coloro che accedono al Valhöll sono tutti quelli che hanno dimostrato le proprie virtù e per questo mantengono rango e ricchezze, specialmente se bruciati insieme ai loro tesori e alle armi. I re sono accolti con fasto maggiore, sempre secondo quanto riportato da Snorri nel Gylfaginning 41, di quanto non capiti ai comuni combattenti, mentre gli eroi più nobili e valorosi Odino li associa alla propria autorità, invitandoli a prendere tutte le decisioni insieme a lui. Gli infimi e i crudeli o vengono esclusi o finiscono per diventare servi degli Einherjar. Ogni mattina, poi, dopo che si sono vestiti, gli “Eccelsi” indossano le loro armature escono nel cortile, dove combattono e si uccidono gli uni con gli altri: questo è il loro modo di passare il tempo. Quando giunge l’ora del pranzo, si rialzano, guariti dalle loro ferite, facendo ritorno nella Sala e, riconciliati, siedono assieme a bere. In più, legati al culto di Odino sonono le congregazioni dei guerrieri estatici, gli úlfeðnar (lupi mannari) e i berserkir (vestiti d’orso), i quali prima della battaglia entrano in uno stato di furia, detto berserkangr , nella quale cominciano a ringhiare, mordere l’orlo degli scudi. Dopodiché si gettano urlando in battaglia, mulinando chi le spade e chi gli scudi, creando un vuoto tutto intorno, insensibili al dolore e alla fatica. Infine, crollano esausti19; nel Grímnismál, difatti, è detto:
Fimm húndruð dura ok um fjórom tøgom,
svá hygg ek at Vallhǫllo vera; átta hundruð einherja
ganga senn ór einom durom, þá er þeir fara at vitni at vega.
Cinquecento porte e ancora quaranta
credo vi siano nella Valhǫll.
Ottocento Einherjar
da ciascuna porta usciranno insieme quando andranno a battersi col lupo.
Vasto, dunque, è il Salone che splende grazie alla sua struttura: <<da lance sul tetto è sorretto, / da scudi il salone è coperto, / da corazze le panche sono tratte >>, ogni cosa risplende poiché d’oro20. Analizzando i termini usati per lancia e scudo, ovvero le due componenti fondamentali per i popoli guerrieri come quello germanico e quello romano, noteremo che ambedue le popolazioni sono in un certo senso vicine: il latino scūtum, in effetti, deriva da un skoitom, che ha connessioni con il celtico e lo slavo da cui il norreno skjöldr; lancia, invece, la lingua italiana lo fa derivare dal latino tardo lancĕa, di probabile origine gallica. Tuttavia, il norreno usa la parola Sköptom, sennonché non è possibile risalire ad una radice unica, in quanto è chiamata così solo nel Grímnismál. Tacito, al contrario, sostiene che framea sia il nome che i Germani le davano; ancora, in antico norreno geirr , dal proto-germanico gaizaz, da cui derivano la forma latina gaesum e quella greca γαῖσον adoperati dai Galli per identificare l’arma, tutti derivano dall’i.e. ghaisos. Per completare il quadro e dare una immagine più vivida della Valhöll, va sottolineato che nei Grímnismál riferisce dell’esistenza di una testa di lupo appesa all’entrata occidentale e un’aquila che si leva al di sopra (ritornano i tratti distintivi del dio). In verità, ciò che interessa maggiormente è che, un giorno tre galli cantano per annunziare che finalmente è giunto il giorno del giudizio. Ragnarök <<iniziò a poco a poco>>21: i campi pronti per il raccolto si ghiacciano, facendo indurire tutta la terra; l’aria diviene gelida, il cielo si oscura, costringendo gli Uomini ad accendere falò, mentre fuori i lupi ululano famelici e furiosi; ma l’inverno si prolunga e fa sì che gli Uomini diventino famelici e si sbranino tra loro. Ad Ásgarðr tutto prosegue come sempre, ma la terra ribolle e a Muspellheim informi creature ignee si aggirano per la zona; Loki raggiunge il luogo in cui Týr, dio della guerra, aveva incatenato, grazie ad un inganno, il lupo Fenrir, figlio di Loki, a costo della mano (così come è riportato da Snorri nell’ Edda poetica); nel Vǫluspá 46 si dice:
S’agitano i figli di Mímir; si compie il destino
al suono del possente Gjallarhorn.
Forte soffia Heimdallr,
il corno è nell’aria.
Discorre Óðinn
con la testa di Mímir
E prosegue sottolineando che tutto trema, persino l’albero di frassino, Yggdrasill; tutti gli dèi s’avvicinano al confine, anche Surtr, guardiano del Muspellheim, impugna la sua spada. Odin odal suo trono tutto ha veduto: <<levava la lancia Óðinn/ e la scagliava nella mischia>>, chiamando al suo fianco gli Einherjar, i quali, assieme agli Æsir, avanzano come berserker sulla piana della battaglia; frattanto il dio si scaglia contro Fenrir, affondando la sua lancia di frassino fra le mascelle del lupo, che, di contro lo azzanna: lo scuote, lo stritola e lo inghiottisce. Si unisce, così, Fenrir a sua sorella, la serpentessa che circonda il mondo, la quale è impegnata nella battaglia contro Þórr, ormai sfinito; eppure egli, dolorante, si lancia contro la serpentessa spaccandole il cranio con il martello che per lui avevano creato i nani, Mjöllnir. La serpentessa, cadendo, sputa veleno, il figlio di Odino fa solo nove passi per avvisare gli altri dèi che forse non tutto è perduto. Infine, il sole si oscura, la terra sprofonda nel mare.
È possibile che un dio muoia? La questione è assai controversa, soprattutto trattandosi di Odino. Per cominciare, dunque, bisognerà informarsi sul culto del dio: secondo alcuni studi, a partire da quelli condotti da A. Mercatante (mitologo inglese)22, sembra che il culto provenisse dalla Danimarca, da dove, durante il periodo delle migrazioni (dal IV sec. a. C), si propagò nella penisola scandinava, in massima parte in Svezia e in alcune parti della Norvegia. Essendo dio della guerra e della magia, era particolarmente caro ai guerrieri, mentre gli agricoltori preferivano l’ordine di Thor, a cui si affidavano per le buone messi, e a Freya per la fertilità. Il dio fu, così, particolarmente venerato in età vichinga, durante cui i giovani partivano per spedizioni alla conquista di terre più fertili. Null’altro si conosce, se non le notizie dateci da autori di epoca cristiana, come i già citati Snorri Sturluson e Saxo Grammaticus. Snorri, per esempio, pur se politeista, negli anni in cui scrisse l’Edda Poetica, visse una profonda crisi spirituale, essendo a contatto con il Cristianesimo, che, quando prese il sopravvento, sostituì del tutto la religione precedente, declassando a semplici racconti fantastici i miti politeisti. A questo punto si potrebbe asserire che, poiché non vennero più rispettati riti e rituali a lui dedicati, né tanto meno quelli relativi alle divinità adesso associate, in accordo con quanto sostenuto da M. Massenzio in Kurangara, una apocalisse australiana, la divinità in questione può essere ritenuta morta23.
A modo suo sparisce, dunque, dalle scene e rimane invisibile per più di un millennio, fino a quando, nel XIX sec., si assiste ad una sorta di revival del mito e del dio; basti pensare alla saga de “L’anello dei Nibelunghi” composta da R. Wagner, ispirata tra l’altro ad un poema epico medievale, il Waltharius24. Un secolo più tardi si diffuse, poi, l’Odinismo, una branca dell’Etenismo e che deve il suo nome al giornalista statunitense Orestes A. Brownson, che la definì tale nella Lettera ai protestanti scritta nel 1848. In seguito riutilizzato dal poeta australiano Alexander R. Mills, il quale affermò che la religione germanica pre- cristiana fosse un sentiero decisamente più “salutare” per i popoli di retaggio nord-europeo, contrariamente al Cristianesimo. L’esoterista tedesco Guido Von List, quando visitò la cripta della cattedrale di Santo Stefano (edificata su di un tempio pagano) nel 1862, a Vienna, si ripromise di edificare un nuovo tempio per Odino e fu il massimo esponente del misticismo germanico. Durante la fase nazista della Germania, infine, alcuni gruppi occultistici ripresero le dottrine teutoniche e ciò influenzò molto la società dell’epoca, dando vita al misticismo nazista, ovvero a quella dottrina che attribuisce in genere alla persona di A. Hitler e alla missione nazista un significato para-religioso. Parallelamente, nel 1930 Mills ordinò l’edificazione della chiesa Odinista, la cui dottrina teutonica venne presentata da un’opera dello stesso; ciò portò alla formazione, nel 1972, del Rito Odinico e la prima organizzazione europea fu fondata da John Yeowell in Inghilterra. Tale rito istituì centri minori in Germania e Australia nel 1995; in Amerina settentrionale nel 1997. Attualmente, l’odinismo è vasto e multiforme.
Note:
1 https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-1.Voluspa.html#2
2 https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-4.Grimnismal.html
3 S. STURLUSON, Edda poetica, Adelphi Milano 1975
4.S GRAMMATICUS, Gesta dei re e degli eroi danesi, a cura di L. Kock e M. A. Cipolla, Collana i millenni, Torino 1993
5 F. VILLAR, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa, Urbino 2014(ed. or. Los indoeuropeos y los orígenes de Europa. Lenguaje e historia, Madrid 1991), parte seconda, cap. secondo p.p. 139-148
6 Confrontando la morfologia di nove lingue indoeuropee, F. Villar in Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa (parte terza, cap. secondo, p.p. 2248-262) deduce che, per quel che concerne le consonanti, ne esistono tre serie: sonora (prima serie), sorda (seconda serie), sonora aspirata (terza serie). Qui si fa riferimento alla prima serie delle consonanti occlusive dentali: la dentale “d” indoeuropea in gotico come esito si una trasformazione morfologica dà “t”, mentre le altre otto lingue danno”d”.
7 Platone, Cratilo, 407e-408d. BURrizzoli , Milano 2008 (prima ed. 1993),p.p. 59-61
8 S. Sturluson Gylfaginning, pag. 6-7; ed. Adelphi
9 M. DE MARTINO,Arcana Verba, vol. 2, Bari 2015, p.p. 254-260.
10 Ibidem
11 C. PISANO, Hermes, lo scettro, l’ariete. Configurazioni mitiche della regalità nella Grecia antica,Napoli 201, p.p 24-28
12 VIRGILIO, Georgiche IV, 149-227, a cura di A. Branchesi, Milano 1999
13F. VILLAR, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa, Urbino 2014(ed. or. Los indoeuropeos y los orígenes de Europa. Lenguaje e historia, Madrid 1991,p.p139-148
14 G. DUMEZIL,L’ideologia tripartita degli indoeuropei, (ed. or. L’idéologie tripartite des Indo-Européens. Bruxelles, 1958),Rimini 2003p.p. 25-30
15 https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-2.Havamal.html#Rune
16 https://bifrost.it/GERMANI/Linguistica/Norreno.html
17Sólarljód. Il canto del sole. Un poema didattico visionario norreno del sec. XIII, a cura di A. Piccolini, Catania 2009.
18 Secondo lo studio condotto da F. Villar in Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa (parte terza, cap. secondo p.p. 224-280), il nome deriva da un ricostruito i. e. (s)me-me/or- e connesso a memor latino; il procedimento di trasformazione è simile a quello subito dal greco, che diventa Μνημοσύνη, da μνήμη; per cui Mímis-brurnn è versione nordica di Μνημοσύνη λíμην
19 Canti dell’Edda. La voce degli eroi nordici. Ediz. Critica, trad, a cura di Olga Gogala di Leesthal, (prima ed. Torino 1939)
20 Ibidem
21 A.S. BYATT,Ragnarok,il crepuscolo degli dèi,Trento 2013, p.87
22 A. MERCATANTE,Encyclopedia of world mythology and legend, New York 2004,p.p 729-231
23 M. Massenzio in Kurangara, una apocalisse australiana, Roma 1976, p.p 36-38
24 La Chanson de Walther (Walthari poesis);a cura di S. Albert,S. Menelgaldo,F. Mora; Universitè Stendhal,2008
Giovanna Bruno,
(Marcianise) docente di Lettere laureata in Filologia classica presso l’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” nel 2018 con una tesi in Storia delle Religioni.