Nosferatu – Luigi Angelino
Il primo gennaio è uscito nelle sale cinematografiche italiane il film “Nosferatu”, diretto da Robert Eggers, rimaneggiato remake della pellicola “espressionista e muta”, Nosferatu il vampiro del 1922, a cui sono seguiti, nel corso del tempo, vari riadattamenti. La produzione ha reclutato un cast di tutto rilievo, tra cui spiccano in particolare: Bill Skarsgard nei panni del vampiro Conte Orlok, Lily Rose Depp, la giovane fanciulla di cui si invaghisce il nobile mostro, Nicholas Hult, il suo tormentato marito, Willem Dafoe che interpreta un luminare della psichiatria. Ed è proprio nei meandri dei labirinti dell’animo umano che si muove la vicenda abilmente costruita da Eggers, sempre in sospeso tra fantasia e realtà, tra tormenti prettamente umani ed eventi soprannaturali, dove l’ombra del vampiro sembra assumere consistenza soprattutto nella mente confusa ed alterata della coppia perseguitata. Le riprese del film sono state condotte per la maggior parte nei Barrandow Studios di Praga, città peraltro legata ad una secolare tradizione esoterica, a cui si aggiungono location di grande suggestione, come il “Castello dei Corvino” in Transilvania (Romania) (1), alcuni scenari della città di Rozmital pod Tremsinem in Repubblica Ceca (2) e di Lubeck in Germania (3). La storia, oltre che in Transilvania, si ambienta proprio in Germania, in una città immaginaria chiamata Wysborg, nell’anno 1838. L’inserimento della presenza del mare, nonché di alcune immagini della città di Lubecca, centro principale della “Lega Anseatica” per lungo tempo, suggeriscono l’intento dei produttori di creare l’idea di una vivace quanto austera città commerciale nell’Europa settentrionale della prima metà del diciannovesimo secolo. Come emergerà in numerosi dialoghi, il periodo storico fa da sfondo all’intero intreccio narrativo, senza però mai appesantirne il fulcro della trama. Si intuisce, nel confronto intellettuale, il tramonto degli ideali del periodo illuminista, della cieca fiducia nella “dea ragione” ed una riscoperta consapevole dei valori della metafisica sviluppata nel tardo Medioevo e nel Primo Umanesimo.
A questo punto riportiamo di seguito i punti salienti della trama, ma come di consueto cercheremo di non “spoilerare” troppo. Nel prologo si assiste ad uno strano contatto onirico-psicologico tra la giovane Ellen, che cerca sollievo da uno stato di profonda solitudine, rivolgendo il suo interesse ad un misterioso individuo immaginario, che evoca come “angelo o demone”. Poi la vicenda entra nel vivo: siamo nel 1838 a Wyborg, in Germania, dove vivono due coniugi che aspirano a migliorare la propria situazione finanziaria. Per questo motivo, il marito accetta l’incarico da parte del suo datore di lavoro, il signor Knock, di recarsi in Transilvania dal nobile conte Orlok, per trattare l’acquisto di un’antica dimora signorile ormai ridotta ad un ammasso di ruderi nella stessa città di Wyborg. Il nobile, che vive in un castello sperduto tra i Carpazi, promette di pagare un’ingente somma di denaro per realizzare il suo progetto di trasferirsi in Germania. Il giovane Thomas, tuttavia, non sa che il suo datore di lavoro ha stipulato una specie di patto occulto con lo strano conte. E così, dopo aver affidato la moglie alle cure di una coppia di amici benestanti, il giovane parte alla volta dei Carpazi, affidandosi alla solerzia di un cavallo ben equipaggiato. Sulla strada per arrivare al castello, assiste ad inquietanti rituali messi in atto dalla popolazione locale che, prima di derubarlo, lo avverte dei pericoli che corre in quella terra sinistra. La notte successiva, Thomas arriva al castello e viene accolto dal conte in un’atmosfera cupa e gelida. Il padrone di casa ha fretta di concludere il contratto e pone a Thomas maligne domande individuali, scandagliando i suoi pensieri più intimi e appropriandosi anche di un medaglione di sua moglie, quale esplicito pegno della propria ossessione da tempo alimentata. Nelle scene seguenti, la pellicola segue un clichè abbastanza classico nel repertorio riguardante la figura di Nosferatu: bevute di sangue, scoperta del vampiro nella bara, inseguimento di cani, provvidenziale salvataggio in un monastero. Nel frattempo in patria, la moglie Ellen soffre di sonnambulismo e le convulsioni, di cui soffre fin dall’adolescenza, peggiorano sempre di più. Il suo medico di fiducia, allora, decide di consultare il proprio mentore, un brillante scienziato svizzero, emarginato dalla comunità scientifica, per il fatto che ha dedicato gran parte della sua vita a studiare l’occulto. Thomas, intanto, dopo esser stato assistito da alcune monache, riesce a ritornare a casa, mentre il vampiro raggiunge la Germania settentrionale, viaggiando per mare in una bara piena di terra del suo Paese ed infestata da una miriade di topi che porteranno la peste per le strade di Wyborg. Nella fase finale, che non riveliamo, si assiste ad un crescendo di tensione e di orrore che troverà una soluzione originale, terribile, ma perfino struggente.
E’ doveroso precisare che la produzione odierna sul famoso vampiro della Transilvania, è profondamente diversa sia dalla pellicola di Murnau del 1922, sia dal capolavoro creato da Herzog nel 1979. E’ molto lontana anche dalle velleità romantiche e decadenti del Dracula di Francis Ford Coppola del 1992, liberamente ispirato al fortunato romanzo di fine Ottocento scritto da Bram Stoker (4). Robert Eggers, invece, dipinge una sequenza di eventi quasi “pittorica” che, attraverso immagini di fenomeni suggestivi, porta inevitabilmente lo spettatore sulla strada della paura. Il regista sembra voler tornare sull’affascinante ed inquietante miscela tra horror e sesso, come già aveva sperimentato, circa dieci anni prima, con il film “The Witch”(5). In tale storia, la giovane protagonista, umiliata dalla società bigotta del tempo, è privata della propria adolescenza e destinata a diventare “una strega” nell’oscurità del bosco. In “Nosferatu”, la figura di Ellen appare in un certo senso l’evoluzione della “strega”, che nella prima gioventù “conosce” carnalmente il Vampiro e poi lo conserva in segreto nella sua psiche tormentata. La ragazza deve affrontare in maniera “diretta” il mostro, per sconfiggerlo e condurlo all’alba liberatoria che sarà capace di annientarlo e di riportarlo nell’abisso della perdizione. Il confronto tra la purezza della fanciulla e la “mostruosità” dell’uomo ricorda, sotto alcuni aspetti, la fiaba della Bella e la Bestia.
L’atmosfera gotica e la scelta dei castelli nebbiosi della Boemia e della Transilvania, nonchè dei borghi marinari dell’Europa settentrionale, risultano ingredienti ben riusciti, unitamente alla ricchezza di dettagli storici e di dotte citazioni. Il vampiro descritto nel film è di certo una nuova invenzione: si aggira come fosse un’ombra, una creatura innaturale, sub-umana o inter-umana, dotato di baffi e privo dei consueti canini affilati. Eggers non fa sconti di “trucco” al mostro, come avevano spesso cercato di fare i suoi predecessori, quasi a rendere più “accettabile” la seduzione vampiresca, ma ritorna alle origini, riscoprendo le antiche ricostruzioni popolari che sfidano l’immaginazione più disgustosa ed aberrante. La natura di Nosferatu è putrida, cadaverica, già decomposta. Non si trasforma in un essere più gradevole, neanche di notte, in quanto la sua è una “non vita”. Egli è il “non morto”, come sembrerebbe suggerire appunto il suo nome e si esprime in “daco”(6), una lingua estintasi probabilmente nel VI o nel VII secolo. A tale proposito, molti esegeti ritengono l’etimologia del termine ancora incerta. Accanto alla comune accezione dalla lingua rumena (Nosferatu = mai spirato), alcuni studiosi ritengono plausibile un diretto collegamento con il termine “Nosfurat” dell’antico slavo, a sua volta derivante dalla parola greca “Nosophoros”(portatore di piaga), adattato col tempo in lingua rumena in “Nosferatu”(7). Il conte Orlok, con la sua ripugnante corte di topi portatori di peste, pare rievocare un antico flagello di portata biblica. Poiché la trama gioca molto sul contrasto tra realtà e finzione, tra ossessione psicologica e dimensione soprannaturale, lo spettatore ha come l’impressione di assistere ad un incubo, un terribile incubo che affiora soltanto negli animi devastati dei protagonisti. Il “Nosferatu” di Eggers si universalizza, diventando l’emblema del male che scende sulla terra e che predilige la zona del cuore per bere il sangue dalle sue vittime. Il vampiro porta con sè oscurità, distruzione e malattia, come la peste, simbolo della corruzione del corpo e dello spirito, che per tanti secoli aveva flagellato l’Europa. La sua abominevole presenza ci ricorda che in fondo il confine tra “il mondo di sopra” e quello di “sotto “ è molto labile, nonostante la razionalità e lo sviluppo tecnologico che contraddistinguono, quasi anestetizzandolo, l’uomo moderno.
Il personaggio del Conte Orlok si intreccia con quello di Vlad III di Valacchia, vissuto nel quindicesimo secolo che, secondo gli storici, sarebbe all’origine della leggenda di Dracula. Vlad, membro del casato dei Draculesti (8), sarebbe stato ricordato dai posteri appunto col patronimico “Dracula”(9), o con la terribile denominazione dell’ “Impalatore”, in quanto sembra che avesse il sanguinario vezzo di impalare, anche di persona, i propri nemici. Ma quali sono le effettive differenze tra Nosferatu e Dracula, in considerazione del fatto che gran parte della vicenda è pressoché identica in entrambi i filoni. Alla base vi è soprattutto una questione di “diritti d’autore”: Murnau, il regista del 1922, fu condannato a distruggere le copie del suo film, a seguito di una causa intentata dagli eredi di Bram Stoker. Un buon numero di personaggi si assomigliano molto: il conte Dracula diventa il conte Orlok, Jonathan Harker diventa Thomas Hutter, Von Helsing prende forma in von Franz, Mina viene trasfigurata in Ellen. Dracula, però, a differenza di Orlok, che può essere sconfitto soltanto se la donna che ama arrivi sinceramente a desiderare di unirsi con lui, può essere annientato in vari modi (impalamento, decapitazione, esposizione alla luce del sole). In linea generale, le leggende sui vampiri affondano antiche origini nel folclore dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, importate in Occidente in epoca tardo- medievale. Le figure di Dracula e di Nosferatu si basano su questo tipo di radici mitologiche, anche se con origini e raffigurazioni alquanto diverse. Il massimo della diffusione della credenza sull’esistenza dei vampiri si ebbe nell’Europa Orientale del XVIII secolo. Alcuni ritrovamenti archeologici rivelano che le tombe di numerosi defunti furono riaperte in questo periodo, perché sospettati di vampirismo. Iniziarono a dilagare consuetudini superstiziose, come il portare sempre con sé Bibbie o croci, bruciare il cadavere del presunto vampiro, oppure fissarlo alla tomba con un paletto o ancora conficcargli una falce alla gola per impedirgli di alzarsi (10). Gli esseri vampireschi di tale tradizione erano considerati disgustosi, putrefatti e puzzolenti e per questo erano odiati e temuti da tutti, perfino dai ceti sociali più bassi. Il conte Orlok, il “mai spirato”, sembra derivare dal sopracitato filone mitologico di carattere più popolare e tendente ad evocare le paure più ancestrali e gli istinti primordiali più animaleschi. La leggenda di Dracula, figura aristocratica, carismatica ed abile guerriero, riflette, invece, più le ansie sociali e religiose dell’Inghilterra vittoriana, magistralmente interpretate dalla penna di Bram Stoker. Il conte Dracula, un pericoloso nobile straniero, proveniente dall’est Europa, ben incarnava le preoccupazioni coloniali dell’Impero britannico. L’ulteriore evoluzione, o meglio involuzione, del personaggio di Dracula ha portato fino alla creazione di un nuovo stereotipo di vampiro in stile “new age”, belloccio e sensuale, che tanto ha ispirato una certa letteratura e cinematografia di serie b negli ultimi decenni. Mettendo i due vampiri a confronto, è difficile stabilire se sia più in sintonia con il cinema horror l’aspetto primitivo e ripugnante di Nosferatu o il fascino sofisticato e maligno di Dracula.
Nello specifico, il Nosferatu di Eggers sposta la dimensione vampiresca verso l’occulto, le arti alchemiche e cabalistiche, non limitandosi ad una rapida sintesi delle solite leggende, spesso monche e troppo intrise di folclore popolare per poter essere davvero spaventevoli. Nella pellicola abbondano simboli dell’occulto, come svastiche, croci maltesi, serpenti, draghi e teschi incisi su tutti i documenti, come sulla lettera inviata dal conte Orlok alla società immobiliare. In tale contesto, si muove perfettamente il luminare ripudiato dal mondo accademico a causa della sua febbrile ossessione per il mondo soprannaturale. Von Franz si chiede e ci fa chiedere se “il male nasce dentro di noi, o viene dall’aldilà”?. La vicenda di Nosferatu sembra orientata a voler dimostrare che il male nasca dentro di noi e che deve essere sempre combattuto, con tutte le armi a disposizione, lecite ed illecite. Infatti, von Franz non si cruccerà troppo dell’inganno che sarà costretto ad ordire per arrivare all’epico e risolutivo finale. L’ombra del vampiro si impone come la manifestazione di un fantasma interiore, del propagarsi del lato più oscuro dell’uomo, della sua parte malefica che incombe e che egli stesso teme. Il conte Orlok diventa, perciò, la personificazione di tutte le nostre paure, ergendosi non solo come minaccia fisica, ma soprattutto come continua erosione dell’equilibrio mentale e perfino dell’identità individuale.
Sotto il profilo della simbologia filosofica, il vampiro è legato sia alla vita che alla morte, come in un gioco di specchi. In apparenza questa creatura immaginaria sembrerebbe più legata alla vita che non alla morte, visto che pensa, agisce, parla e cammina, insomma può compiere tutte le normali azioni dei viventi, seppure lontano dalla luce del sole. L’idea che il vampiro sia ontologicamente intrecciato sia con la vita che con la morte ha sempre suscitato una fascinazione morbosa, sovvertendo l’antico culto dei defunti. Il vampiro, come lo zombie, da protettore diventa un maligno persecutore dei vivi, che ossessiona con sogni e visioni spaventose. I personaggi letterari e cinematografici di Dracula e di Nosferatu tentano di far rivivere un passato che non esiste più, in un circolo vizioso di continua frustrazione davanti all’impossibilità di poter “rivivere” davvero (11). Da questo punto di vista, il vampiro può essere considerato il simbolo di una struttura sociale ormai tramontata ed obsoleta che, tuttavia, persiste nell’influenzare in maniera negativa il presente ed il futuro. L’umana angoscia nei confronti della morte genera l’immagine di questo mostro, in cui vi è totale compenetrazione tra l’essere e il “non essere”, in una dialettica di stampo quasi “agostiniana”, dove il male viene visto come “allontanamento da Dio”, quindi dalla luce e che, in maniera laica, potremmo collocare agli antipodi della “perfetta armonia”. Il vampiro, infatti, può “vivere” soltanto nella profonda oscurità della notte e l’unica forma di redenzione, a cui può aspirare, è quella di conseguire il termine della “non vita”.
Ma il vampiro è anche l’emblema della miseria umana, poiché succhiando il sangue dei vivi, egli è un parassita, prende solo e non dà niente in cambio, ben incarnando quel lato predatorio che si nasconde in ognuno di noi. Alla sua povertà d’animo, si aggiunge un cronico stato di depressione: “vive” nella più buia solitudine con un fardello insopportabile, non curandosi minimamente dei problemi degli altri, ma è spinto soltanto dal proprio istinto egoista. Ne consegue una forma di cannibalismo molto più sottile rispetto a quella immaginata per gli zombie (12), di natura più fisica ed incontrollata. A suo modo, invece, il vampiro è selettivo, limitandosi al sangue, che fin dalle civiltà più antiche, è stato sempre visto come il fulcro della forza vitale, con un valore semantico addirittura superiore a quello sperimentato dalle stesse discipline scientifiche.
Temere Dracula o Nosferatu rappresenta di certo un atto di superstizione, una forma di terrore primordiale nei confronti di mostri dotati di straordinari poteri davanti ai quali l’uomo medio può soltanto soccombere. Ma la fortuna secolare delle leggende sui vampiri, fino ai recenti banali fenomeni “new age”, consiste proprio in questo, l’essere cioè molto simili all’uomo medio, nella sua miseria e nel suo “parassitismo” sociale ed individuale.
Note:
1 – Il castello “dei corvino”sorge presso la città rumena di Hunedoara, in Transilvania. Si pensa che sia stato il luogo dove Vlad l’Impalatore fu tenuto prigioniero da Mattia Corvino tra il 1462 ed il 1469;
2 – Città della Boemia centrale, che si trova nel distretto di Pribram;
3 – Lubecca è la seconda città del Land Schleswig-Holstein dopo Kiel. E’ situata sull’estuario del fiume Trave, a quindici chilometri di distanza dal Mar Baltico;
4 – Il romanzo fu pubblicato nel 1897;
5 – Il film è uscito nelle sale cinematografiche italiane nel 2015;
6 – Il daco, o “dacico”, era una lingua indoeuropea parlata dall’antico popolo dei Daci considerata, insieme al latino, il substrato principale della lingua rumena. Secondo alcuni studiosi, una sua diramazione sarebbe alla base della lingua albanese;
7 – Un ulteriore accezione collega “Nosferatu” al termine “Necuratu”che in lingua rumena serve ad identificare il diavolo;
8 – Matei Cazacu, traduttore M. Basile, Dracula. La vera storia di Vlad III l’Impalatore, Edizioni Mondadori, Milano 2006;
9 – Anche il termine Dracul, in lingua rumena, è adoperato per indicare il diavolo;
10 – Elisabetta Munerato e Luigi Angelino, Ritratti Mortali, Cavinato International editore, Brescia 2019;
11 – Mario Borzaghi, Il mito del vampiro. Da demone della morte nera a spettro della modernità, Edizioni Rubbettino, Catanzaro 2010;
12 – La mitologia legata allo zombie è profondamente diversa da quella del vampiro. Il termine “zombi”, anglicizzato in “zombie”, è di origine haitiana e deriva dalle tradizioni “vudù”, riferendosi ad uno spirito evocato, mediante rituali magici, che si incarna in un cadavere.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.