Mithra e la misteriosofia romana della Luce – Luca Valentini
Mithra e la misteriosofia romana della Luce – Luca Valentini
“ è l’ascesa dell’Uomo – Dio nelle sfere celesti, nella gerarchia dei <<sette pianeti>> per cui tutta l’esteriorità delle cose di natura impallidisce, si estenua, si fa interiormente luminosa, arde infine” (1)
Lo studio e l’ermeneutica circa ciò che fu il Mithraismo romano concerne una serie differenziata di considerazioni rispetto a ciò che fu la sfera misterica nell’ambito della società e della religiosità nella Roma arcaica. Nel quadro di ciò che un Franz Altheim classificava come la potenza universale del Deus Sol Invictus (2), in cui gli adepti di Apollo e di Mithra, di Helios e dei Baalim siriaci si ritrovarono in un archetipo comune, limitare l’analisi nella semplice catalogazione dei Misteri di Mithra in ciò che la storia delle religioni, da Cumont in poi, ha determinato come l’invasione dei culti orientali nella sfera sacrale romana, risulta necessariamente essere un processo d’indagine al quanto superficiale, in quanto l’iniziazione al rito del Nume che nasce dalla Pietra (filosofica) e si ricongiunge nell’agape solare con le sfere dell’iperuranio (sesto grado di Heliodromos), presenta in sé, nella sua manifestazione romana, delle specificità molto particolari atte a far debitamente sospettare che il Dio altro non fosse che la rimanifestazione dell’arcaico Sol Indiges nella sua realizzazione prettamente marziale (3).
Sull’argomento, uno dei massimi studiosi italiani di culti gentilizi nella Roma arcaica e di culti misterici nel mondo greco – romano, Stefano Arcella, ha sapientemente coniugato le evidenze archeologiche e filologiche con l’interpretazione del metodo tradizionale, fino ad attualizzare la propria tematizzazione ricollegando l’ascesa della Luce mithriaca con l’ascesa dell’Io nell’ambito dell’insegnamento antroposofico del Pensiero Vivente. Preliminarmente, gli scritti di Arcella, ma anche le opere necessitanti in ambito di studio mithriaco come sono quelle di un Turcan o di un Vermaseren (4), è importante evidenziare come pongano in essere un parallelismo di rara profondità ontologica tra il culto di Phanes, nell’ambito dell’orfismo greco, ed appunto quello di Mithra nell’ambito della sua specificità romana, in cui comunemente emerge il dato dell’Ekfainò, di “colui che porta la luce” (5):
“…Phanes, il dio splendente che, sorgendo dall’uovo cosmico in fiamme (quindi un uovo in combustione, “sacrificato”) e separando le due metà dell’uovo, crea il cielo e la terra e regge il “mondo” in senso cosmico, così come Mithra, uccidendo il toro primordiale, dà vita e ordine all’universo” (6).
Un’altra sfera d’indagine molto interessante emerge nel testo di Arcella: il mithraismo romano, a differenza di quello tipicamente orientale ed iranico, spicca per i suoi forti connotati pitagorici e platonici, in cui l’intera koinè sapienziale d’Occidente, dai presocratici fino a Proclo e Damascio si ritrovano in una perfetta armonia noetica e trasfigurante. Come dimostra il mitreo Felicissimo di Ostia, l’ambito simbolico e pitagorico, così come espresso nel Timeo di Platone, nei riferimenti alle sfere planetarie, alla metempsicosi, alla gerarchizzazione settenaria del rito, così come i centri di vita, le sfere cosmiche e l’armonia musicale, risulta essere un dato di differenzzazione rispetto agli altri riti misterici giunti dall’Oriente nella Roma arcaica, tanto da far riprendere all’autore l’espressione, assolutamente pertinente, di “Mithra platonico”:
“si conferma la teoria dei Misteri di Mithra come una formazione misterica nuova ed originale, in cui elementi religiosi preesistenti sono ricollocati in una nuova trama di rapporti – costituiti dal retaggio greco filosofico e misteriosofico nonché da quello della cultura romana – ove ciascuno di essi assume nuovi significati e nuove funzioni” (7).
La disamina di Stefano Arcella, inoltre, risulta essere di ampio respiro nella sua efficace comparazione con altre forme tradizionali, anche volta a destrutturare alcuni luoghi comuni su ciò che fu il destino del culto di Mithra. Se è vero che molti connotati del rito siano stati assunti dal trionfante Cristianesimo (e non viceversa), l’animus profondo che rappresentava l’essenza dell’iniziazione mithriaca si differenziava enormemente dalla superstizione cristiana. Arcella specifica, citando Turcan, come nell’ambito della religione mitriaca fosse escluso il concetto di peccato (8), come, parimenti, specifica come la potenza salvifica del dio solare non rimandasse a qualche Giudizio Universale né a qualche fine dei tempi, accostando l’etica misterica più all’ascesi del Buddha o allo stoicismo romano più che al fideismo cristiano:
“il mondo è già salvo e l’uomo, per replicare tale rigenerazione, deve assumere il dio tauroctono come modello e rinnovare il sacrificio del toro nella sua interiorità” (9).
La predetta riflessione dell’autore, a tal punto, ci consente di riferirci all’ambito attualizzante dell’opera. Mithra, per Arcella, infatti, non è un semplice archetipo sacrale del passato, da ammirare, studiare ed analizzare, ma con nessuno addentellato con la pratica palingenetica attuale, al contrario. L’autore, vicino alla corrente iniziatica di Rudolf Steiner, nella sua versione italiana del Pensiero Vivente (la linea Colazza – Scaligero – Pio Flippani Ronconi), accomuna con serietà e competenza sia filosofica sia in ambito “tecnico – sapienziale” il culto del Nume eroico – solare alla Via Solare del XXI Secolo, quale esplicitazione della forza pensiero che, tramite le pratiche meditative impartite non solo da Steiner, ma anche da Colazza (Leo) nelle monografie del Gruppo di Ur e da Massimo Scaligero, possa e sappia ridestare la Natura Naturante dalla Natura Naturante e, pertanto, abbia la capacità di ridestare nella caverna platonica o dall’antro mithriaco del pensiero pensato il fuoco trasmutatorio del pensiero pensante, autonomo, dominante, magicamente libero. Il principio di forza numinosa, come specifica saggiamente, può essere attivato sia tramite la suddetta ascesi del pensiero sia tramite atti ed azioni di natura teurgica, come già espresso nel passato da sapienti come Proclo e Giamblico, ma con delle precondizioni indispensabili:
“Il rito è una connessione con la trascendenza attraverso azioni, “parole di potenza” e gesti ben precisi, secondo una antichissima Scienza che non lascia nulla al caso. Nelle condizioni generali dell’epoca attuale, un contatto esperienziale coi Numi senza un’opera preliminare e metodica di disciplina interiore individuale può risultare addirittura dannoso, perché il contatto con una Forza sovrasensibile senza una adeguata e preliminare purificazione e rettificazione individuale, può andare a nutrire Potenze naturali extracoscienti, irrazionali che possono prendere il sopravvento se non si è già ridestato e fortificato il Principio Solare nell’uomo” (10).
Le evidenze epigrafiche dei Misteri mitriaci nella seconda metà del IV secolo d.C., inoltre, e il rito interiore nella riforma spirituale di Zarathustra, anche alla luce degli insegnamenti accademici e sapienziali di Pio Filippani Ronconi rafforzano il convincimento di come la vivificazione del concetto di Tradizione, tramite cui si evoca e si rafforza delle civiltà antiche sempre il dato attinente all’Eternità, sia quello proprio allo Spirito che nel mitreo cardiaco di ogni uomo è alchimicamente occultato, e mai il dato storicistico, transuente che, seppur culturalmente interessante, non presenta una sua cogenza, cioè un’obbligatorietà, quella dell’attualità all’Io individuale, a cui ogni serio ricercatore deve necessariamente attenersi.
E per tale motivo che lo stesso Evola interpreta l’idea della scaturigine del Dio della Luce dalla oscura materialità sia in rapporto alla più arcana trasmutazione magica
“Pertanto all’espressione «Theòs ek pètras» nella tradizione magica si connette un secondo significato. Nel precipitarsi di ciò che è «luce celeste» nella prigione della tenebrosa «terra» non si ha soltanto un processo degradativo, negativo: un tale precipitarsi è anche un individuarsi, un attuarsi. L’organizzazione corporea è segno di un certo nucleo di potenza qualificata, e l’iniziazione magica non consiste nel disciogliere un tale nucleo nell’indistinta fluttuazione della vita universale, sibbene nel potenziarlo, nell’integrarlo, nel portarlo non indietro, ma innanzi. Per essa lo spirito non è un «altro», ma qualcosa di immanente, qualcosa che va tratto dal fondo della stessa concreta realtà umana (la «pietra») che non per grazia ma per natura è divina” (11)
sia alle origine stesse, misteriche e sacrali, della Tradizione di Roma
“Si può ricordare che i Romani posero ritualmente una pietra nera – lapis niger – all’inizio della via sacra. L’opera ermetica nei testi greci è chiamata talvolta <<mistero di Mithra>>, e Mithra fu concepito come un Dio , o Eroe, scaturito dalla pietra che soggiogherà il Sole.” (12).
Il Nume, pertanto, che sorge dalla pietra nel Solstizio d’Inverno a Primavera, all’Equinozio acquisisce la propria consapevolezza eroica, nel mese di Marte, nel punto cardinale dell’anno in cui la Luce riprende il sopravvento sulle Tenebre. La Forza Taurina è la rinascita dell’Ariete interiore, del gambo che vince la materialità della terra e aspira, dopo un cupo inverno, all’aria ed al Sole, proprio come l’Aquila, simbolo comune di Roma e di Mithra. In ciò, Mithra risulta essere intimamente, profondamente romano, perché prettamente esprimente una marzialità purificata, solare, equilibrata, concependo la Romanità nella sua vera essenzialità, cioè quale variante eroica della Tradizione Primordiale. Non è casuale, infatti, come nel terzo grado del rito iniziatico, che è quello del Miles (Soldato), simboleggiato dallo scorpione, si celebrasse, tramite la consacrazione a Mithra ed il rifiuto dell’incoronazione umana (“Mithra è la mia corona!”), l’ingresso dell’iniziato nella Milizia Celeste, coloro che combattono per il Fuoco e la Luce, avendo in Marte il proprio nume tutelare. E’ il Dio che esce armato dalla caverna platonica per combattere, con la lancia di Marte, per affrontare un cammino oscuro che non conosce, è l’elemento ferreo che si attiva, l’irrazionale che cerca di purificarsi, la forza guerriera cieca, istintiva, che intraprende la via per la propria purificazione (13).
Nei collegi ermetici della Tradizione Occidentale Mithra Petrogenito viene posto al centro dell’Antro Magico, rappresentando la Pietra dei Filosofi, che ogni iniziato ricerca dentro di sé, Mercurio, come Mikael, quali rappresentazioni dell’Arcangelo Solare, costituendo l’agente della trasformazione, che nell’utero dell’oscurità autunnale, come al centro della croce degli elementi, ritrova la Monade, quale Ignis Essentiae, fuoco dell’iniziazione e Oro incorruttibile (14). Parziali, infatti, risultano essere le interpretazioni che relegano la divinità di origine indo – iranica ad un’esclusiva funzione equinoziale ed è proprio Porfirio a chiarire come l’escatologia misterica, in realtà, inglobi un processo ciclico solare afferente sia agli equinozi che ai solstizi:
“Pertanto assegnarono come adatta a Mitra la sede agli equinozi; egli porta il pugnale di Ariete, segno di Ares, e cavalca il toro di Afrodite. Poiché Mitra, come il Toro, è demiurgo e padrone della generazione, è collocato nel cerchio equinoziale, avendo alla sua destra le regioni settentrionali, alla sua sinistra quelle meridionali, e a sud è collocato Cautes perché è caldo, a nord Cautopates per il fatto che il vento del nord è freddo” (15).
Note:
1 – Julius Evola, La via della realizzazione di sé secondo i Misteri di Mithra, Quaderni di Testi Evoliani n. 4, a cura della Fondazione Evola, Roma, p. 13-4;
2 – Franz Altheim, Il Dio Invitto, Feltrinelli, Milano 1960, p. 146;
3 – Stefano Arcella, Il dio splendente, Edizioni Arkeios, Roma 2019, p. 157, in cui si evidenzia come il culto solare a Roma avesse radici arcaiche, di carattere gentilizio e pre-civico “come nel caso della gens Aurelia e della gens Aelia, con correlativi divieti rituali inerenti all’uso dell’oro”.
4 – M. J. Vermaseren, Mithra, il dio dei Misteri”, Edizioni Ester, Torino 2017, ristampa dell’edizione francese del 1960;
5 – Stefano Arcella, op. cit., p. 131;
6 – Ivi, p. 133;
7 – Ivi, p. 145;
8 – Ivi, p. 166;
9 – Ivi, p. 167;
10 – Ivi, p. 227.
11 – Julius Evola, La via della realizzazione di sé secondo i Misteri di Mithra, op. cit. p. 7;
12 – Julius Evola, La tradizione ermetica, Edizioni Mediterranee, Roma 2006, nota 89, p. 53;
13 – Si approfondisca la nostra introduzione a Nino Burrascano, I Misteri di Mithra nell’antica Roma, Stamperia del Valentino, Napoli 2021, in cui abbiamo cercato di esplicitare come il riferimento alla nascita dalla Pietra è spiritualmente la connessione della liberazione di tale numenosità dalla sua momentanea, caduca ed umana condizione di grossolanità terrestre, rappresentando l’Ermete che cerca di sublimare il corpo saturnio e quello lunare, la Pietra essendo il simbolo più appropriato per rappresentare la corporeità e nessuna trasmutazione spirituale può prescindere dalla sua purificazione, dalla liberazione dello stesso dai vincoli dei sensi e del fenomenico (anche in Luca Valentini, La Pietra, il Silenzio, la Luce, Elixir n. 8, Edizioni Rebis, Viareggio 2009 , p. 103ss.);
14 – Julius Evola, La via della realizzazione di sé secondo i Misteri di Mithra, op. cit. p. 8;
15 – Porfirio, L’antro delle Ninfe, 24, Edizioni Adelphi, Milano 2006, p. 69 – 71.
Luca Valentini