Lucio Battisti e la Tradizione in un saggio di Marco Rossi – Giovanni Sessa
Marco Rossi è noto quale attento studioso del pensiero di Tradizione. La sua ultima fatica, da poco nelle librerie per i tipi di Cinabro Edizioni ha, quale proprio centro di interesse, tanto la musica, quanto i testi delle canzoni di Lucio Battisti. Non sia tratto in inganno il lettore! Anche in questo caso Rossi si occupa di Tradizione e di Vie iniziatiche, in quanto ritiene che le suggestioni musicali e poetiche del duo Battisti-Mogol, testimonino un bisogno esistenziale e spirituale di realizzazione. Ci riferiamo al volume, Volando intorno alla Tradizione. Lucio battisti fra musica ed esoterismo (pp. 117, euro 16,00). Il libro è impreziosito dall’introduzione di Francesco Tricarico e dalla nota di Mario Bortoluzzi, punto di riferimento della “musica alternativa” nel nostro paese. Il testo è chiuso, inoltre, da un’intervista all’autore di Stefano Mecenate. L’idea guida del volume risulta tanto più straordinaria, se si tiene conto del clima culturale degli anni Settanta in Italia, frangente storico durante il quale Battisti realizzò i suoi pezzi migliori. Allora l’ “intellettualmente corretto” esercitava già la propria egemonia culturale e la musica, anche quella leggera, risentì pesantemente di tale situazione. A riguardo, si pensi al fenomeno dei cantautori politicizzati, naturalmente “a sinistra”.
Nella prima parte del volume, Rossi analizza i testi e le musiche prodotti da Battisti-Mogol nel quinquennio tra il 1970 e il 1975. L’incipit di tale percorso va individuato in, Emozioni, del 1970. In essa: «I versi […] disegnano uno stato psicologico di forte squilibrio, dove una sensibilità alta e nobile avverte che il senso profondo dell’esistenza sta sfuggendo» (p. 22). Non è la trascrizione di una crisi sentimentale, propria di tutti gli adolescenti, ma di qualcosa di molto più profondo, una crisi indotta dalla presa d’atto dell’io narrante che: «non si riconosce più intimamente nei valori della propria epoca» (p. 23). Chi ascolta, non vivendo il tormento interiore del protagonista, non può capire e riduce quanto sente a mera emozione: «Capire tu non puoi/tu chiamale se vuoi/emozioni» (p. 25). Rossi ritiene che, mentre il protagonista sta sperimentando, dentro di sé, la morte dell’uomo vecchio e si protende verso il risveglio, verso una condizione di natura iniziatica, chi ascolta vive ancora nell’illusione dell’io e non può, pertanto, conoscere il Sé. Tale contesto esistenziale è esplicitato nella composizione, L’aquila, del 1971. Qui l’indifferenza del mondo è imputata allo spirito della contemporaneità che: «da troppo tempo ormai apre le braccia a nessuno» (p.28), ha perso il contatto con il Sacro, in passato garantito da mito, simboli e riti, e vive in un mondo del tutto secolarizzato. Per questo, gli uomini che ancora conservino in sé, sia pure residualmente, una sensibilità di natura spirituale sono costretti, drammaticamente, a chiedersi: «se io vivo» (p. 30).
Nel testo, la donna invita l’uomo a bearsi del loro amore ma questi, che ha natura d’aquila, è sospinto oltre da un eros dal tratto assoluto, che nessuna donna può colmare. L’aquila, simbolo tradizionale, indica la volontà di integrazione nella realtà uranica e rappresenta il vertice: «della gerarchia spirituale nei cieli e nella politica» (p. 32). Nel brano che dà il titolo, nel 1972, al 33 giri, Umanamente uomo: il sogno, l’atmosfera musicale non si riferisce solo a una via di fuga dal presente ma induce l’aspettativa per un’imminente apertura estatica. Il testo evidenzia, inoltre, la contrapposizione, essenziale nella visione del mondo del duo Battisti-Mogol, della “città-modernità”, luogo di alienazione, alla “campagna-tradizione”: «unico possibile rifugio dell’uomo» (p. 35). Per non dire di, Il leone la gallina. Il primo simbolo del maschile, la seconda del femminile, archetipi e potenze della Natura. L’uomo deve potenziarsi al fine di: «affrontare adeguatamente la manifestazione terrena della Grande Dea, Astarte, Afrodite» (p. 39). Qui si paleserebbe, a dire di Rossi, il tema dell’eternità della Zoé, dell’eternità della natura dionisiaca, oltre la dimensione individuale degli enti di natura. In, La luce del’est, poi: «La ballata tradizionale acquista un pathos struggente e solare a un tempo, capace di stravolgere in mito la banalità più quotidiana» (p. 42), mentre ne, Il mio canto libero, l’amore tra un uomo e una donna: «è visto nel suo aspetto trasfigurante, nella sua prodigiosa possibilità di fornire all’essere umano un vero e proprio “shock addizionale”» (p. 43), secondo le indicazioni proprie della scuola di Gurdjieff.
L’amore, quello cantato dalla poesia cortese, può renderci liberi, perfino dalla soverchiante necessità naturale, ma la libertà deve essere voluta, perseguita. Contenuti non dissimili connotano il 33 giri, Il nostro caro angelo: «Torna […] il richiamo della terra, dell’orto e soprattutto la consapevolezza “ciclica” che la vita è “andata e ritorno”» (p. 55). In, Anima latina, del 1975, gli autori indicano la purezza barbarica della vita, che oltre la miseria materiale delle favelas, può essere d’aiuto per rintracciare il significato, riposto e ritornate, dell’esistenza.
Il successivo percorso artistico di Battisti, dal 1976 al 1994, è connotato dalla fine del sodalizio con Mogol. I testi delle sue canzoni, dal 1982, vennero composti da Velezia (pseudonimo della moglie) e poi da Pasquale Panella. Con Velezia: «siamo già nel relativismo soggettivo più assoluto […] mentre […] con Panella […] tutto si razionalizza nella distruzione tardo-dadaista di ogni significato e di ogni comunicabilità» (p. 101). Il percorso di Battisti si configura, chiosa Rossi, come inverso a quello di Julius Evola. Questi mosse dall’ “arte astratta” alla Tradizione, il cantautore passò, al contrario, dai riferimenti iniziatici al dadaismo. In ogni caso, le canzoni di Battisti, fortemente innovative rispetto alle consuetudini compositive della musica leggera italiana, trascrissero un mondo davvero altro, se messo a raffronto con quello descritto dai cantatori allora à la page.
Giovanni Sessa