L’onniscienza nel fegato di Prometeo – Costanza Bondi
Se la storia del Προμηθεύς Promethéus «colui che riflette prima» è ai più nota, meno conosciuto invece è il significato dell’organo umano racchiuso nel racconto mitologico: il fegato. Come si sa, l’astuto e intelligente figlio del titano Giapeto e dell’oceanina Climene, rubò il fuoco agli dèi per donarlo all’uomo, in una metafora del progresso-ribellione che valse invece la punizione di Zeus nei confronti di entrambi: il vaso di Pandora che sparse sulla terra la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte, per il genere umano; il conseguente incatenamento di Prometeo nudo alla roccia con l’aquila Aithon, il cui mostruoso compito era quello di squarciargli il petto per divorarne il fegato ogni giorno, poiché di notte gli ricresceva. Il “potere che condanna l’impulso creativo” in una narrazione che ricorda quella del serpente dell’Eden, quando dette agli uomini il frutto proibito della conoscenza. In entrambe le storie il Dio supremo blocca la crescita degli uomini: la loro via verso l’alto (1).
Supplizio che, sempre secondo il mito, durò sinché Eracle non uccise il rapace, dopo 13 generazioni, scoccando una freccia. Innanzitutto, la roccia in quanto condizione stabile dell’umanità universale quando ancorata alla sola materialità: l’uomo che si occupa solo dei desideri mondani, agli stessi non può che rimanere ancorato(2). Ma perché proprio il fegato, organo studiato dettagliatamente, secondo le indicazioni accademiche, solo nel 1957 dal chirurgo francese Claude Quinaud, che ne descrisse i segmenti ghiandolari? Perché gli antichi sapevano già: questa come le tante altre cose della cultura ancestrale che ancor oggi si continuano a voler celare.
Il processo di crescita di tale organo inizia nell’embrione e continua nel proprio sviluppo per una quindicina di anni. Fonte di energia per il nostro organismo, la sua funzione strategica è fondamentale, poiché elimina le sostanze tossiche del corpo umano dopo averle metabolizzate, in più produce la bile per i processi digestivi. Ghiandola più grande del corpo umano, il suo nome in greco è ἧπαρ, -ατος = epar, epatos, da cui epatico nella nostra lingua, ma la sua diffusione in italiano deriva dall’aggettivo culinario latino ficatum, dall’origine di fegato con i fichi = iecur ficatum, che si rifà alla pratica di ingrassare o farcire il fegato d’oca con i fichi. Fino al momento in cui i sovraccarichi metabolici divengono inassimilabili, il fegato rimane resiliente, essendo uno degli organi più resistenti del corpo umano. L’avvoltoio rode il fegato perché non fa male… Prometeo portava all’umanità qualcosa che poteva impigliarla più profondamente nell’arimanico, se non si fosse potuta realizzare l’opposta azione equilibratrice (3).
Coinvolto in una infinità di processi corporei, il fegato quindi è molto versatile, tanto che influisce pure sulle condizioni oculari. Un organismo che svolge al meglio le proprie funzioni è quindi in grado di vedere in maniera ottimale (gli occhi si nutrono di sangue epatico). E l’occhio, si sa, è l’archetipo della riflessione con funzione visiva. La vista è, tra i cinque sensi, quello deputato alla percezione degli stimoli luminosi che, tramite gli occhi, vengono direttamente trasmessi ai centri nervosi, creando in tal modo le sensazioni visive. In senso lato, quindi, attraverso gli occhi l’essere umano guarda e si rispecchia, creando corrispondenza tra sé e il mondo che lo circonda. Tra i primi simboli apotropaici riferiti all’occhio che si ricordino, citiamo gli egizi e l’occhio di Horus, poi divenuto occhio di Ra e quindi simbolo del sole, nonché amuleto dipinto su case (per poter vedere l’arrivo di intrusi) e su sarcofaghi (per poter guardare nell’aldilà). Per i comuni mortali ancora in vita, era simbolo di potere e prosperità, salute e fortuna: oggi, è tuttora presente anche nel buddismo, nel Cao Dài vietnamita (Chiesa della Terza Rivelazione), nelle banconote da 1 $ statunitensi e in massoneria. (4).
Arriviamo così alla scienza dell’ottica, per la quale il termine “fuoco” da cui “focale” è il piano o il punto in cui singoli raggi fotonici formanti un fascio di radiazioni elettromagnetiche distinte, e giunte da un punto all’infinito, si incontrano e perciò si concentrano (5). A livello esoterico abbiamo l’occhio-fuoco quindi, in quanto onniscienza, legato all’organo che permette di mantenere il buon controllo e funzionamento di tutto l’organismo umano: il fegato. Fegato che, se da una parte smaltisce tutto quanto di tossico si ingerisce poiché agisce sul riequilibrio dell’eccesso, a livello psichico è ciò che custodisce l’anima spirituale, nella funzione che ci porta a poter distinguere ciò che è utile da ciò che è dannoso. Quella che nella medicina tradizionale cinese è la coscienza Hun, cioè la scintilla vitale insita in ogni uomo. Da qui il parallelismo tra la funzione materiale dell’organo e i compiti metaforici a livello spirituale nei processi di digestione e disintossicazione, metabolici, coagulanti e immunitari. Il fegato in quanto organo del Sé Superiore, sede delle emozioni, poiché organo Yin, rappresenta le sensazioni che concernono la parte profonda dell’essere (6).
L’uomo è in grado di recuperare in sé la visione simbolica, ovvero quell’aspetto dell’esperienza interiore che si pone oltre le apparenze frammentanti dell’io, perché come tratto psichico tendente alla totalità richiama più da vicino l’essenza dell’archetipo (7).
Prometeo, quindi, è la personificazione mitologica della facoltà umana di prendere coraggio (fegato) al di fuori dagli istinti, è lo spirito che travalica la materia tramite il dono del fuoco che “apre gli occhi” (onniscienza) per offrire all’umanità una propria evoluzione (crescita spirituale). Ecco perché l’aquila (coscienza) avrà il compito di rodere esattamente quest’organo e non un altro: è la coscienza lungimirante, per cui il fegato può trasmutare gli impulsi primordiali sino alla loro completa assimilazione. Non a caso Eracle arriverà dopo le 13 generazioni utili e necessarie affinché l’1 (Uno = origine di tutte le cose) si unisca al 3 (completezza e perfezione) formando il 13 = l’Alchimista = l’ineluttabilità del cambiamento, tramite la trasformazione che porta alla rinascita consapevole. Ancor più, in tale ottica di lettura, non è neanche un caso la pratica dell’aruspicina, cioè l’arte divinatoria etrusca che traeva la divinazione dal fegato dell’animale sacrificato, basata sulla stretta relazione tra micro e macro cosmo, di cui citiamo gli esempi a tutti noti del Fegato di Falerii e del Fegato di Piacenza: comunque, una epatoscopia diffusa già nell’antica Grecia, in Umbria e nell’antica Roma.
Rimane, all’attuale, l’espressione comune ci vuole fegato quando si debbano esprimere azioni di coraggio. E, come sempre, vox populi vox dèi: il fegato è infatti l’unico organo del corpo umano capace di rigenerarsi anche quando, dopo un intervento chirurgico, se ne sia resecata una parte. Al pari… di quanto avvenne nel mito di Prometeo!
Note:
1 – Sibaldi I., Il frutto proibito della conoscenza, Frassinelli 2000;
2 – Angelino L. Prometeo, il titano amico dell’umanità, EreticaMente 13 luglio 2021;
3 – Steiner R., Le manifestazioni del karma, Antroposofica Editrice 2009;
4 – Bondi C., Archetipi Alfabetici, segni e simboli svelati dalle lettere, XPublishing 2016;
5 – https://it.wikipedia.org/wiki/Fuoco_(ottica);
6 – Lasumira Puraluce https://naturapuraluce.it/;
7 – Frigoli D., Simboli del corpo: la “materia” si evolve nel fegato, aneb.it 13 gennaio 2020.
Costanza Bondi