Lo spartito del diavolo ed il fenomeno del backmasking – Luigi Angelino
Lo spartito del diavolo non è il titolo di un horror-movie di serie b, ma il nome che si attribuisce ad una composizione musicale misteriosa disegnata sulle mura della Chiesa del Santissimo nome di Maria, meglio conosciuta come Madonna delle Vigne, situata nella provincia di Vercelli e, più precisamente, sulle colline tra Trino e Montarolo. Il singolare edificio di culto, quasi del tutto circondato da una fitta boscaglia, sembra apparire dal nulla davanti agli occhi dei visitatori, in un’area geografica notoriamente nebbiosa ed un tempo ancora di più disseminata di acquitrini e di paludi. Nonostante le modeste dimensioni, la Chiesa si impone per la sua originale pianta ottagonale, che già di per sé rappresenta un evidente simbolo esoterico, per lo straordinario significato numerologico dell’8, legato alla perfezione cosmica ed al concetto di infinito. Il sito sul quale sorge la chiesa può vantare più di nove secoli di storia, risalendo la sua fondazione al XII secolo, quando alcuni monaci cistercensi provenienti dalla Francia ottennero in concessione il territorio con l’obiettivo di bonificarlo e costituire ivi un comprensorio religioso, destinato ad acquisire il titolo di “abbazia”.
Come è noto, nell’arco dell’intero periodo storico, contrassegnato come medievale (1), questi luoghi furono centri nevralgici di conservazione e di divulgazione culturale, non solo di dottrine religiose, ma dei più disparati ambiti della conoscenza. Il terreno dove fu edificata l’abbazia, situato al limite del Bosco della Partecipanza, a circa 20 km ad ovest rispetto a Vercelli, fu donato ai monaci dal marchese Ranieri I del Monferrato del ramo dinastico degli Almerici (2). Di seguito, a causa di lotte interne e per motivi di successioni ereditarie, legate ai rapporti di vassallaggio, la proprietà dell’intera area finì con l’essere suddivisa tra più pretendenti ed il complesso abbaziale diventò possedimento del Duca Ferrari di Galliera, il quale si poteva fregiare del titolo di Principe, grazie ai legami con la Casa Savoia. Dalla prestigiosa attribuzione nobiliare, derivò il nome di Principato di Lucedio, che fu utilizzato per indicare l’intero territorio circostante, al giorno d’oggi convertito in azienda agricola. Anche la semantica di tale appellativo ci può offrire diverse chiavi di lettura: in apparenza sembrerebbe riferirsi a Dio ed essere, pertanto, inteso come Luce di Dio, ma in realtà, come vedremo in seguito potrebbe riferirsi a Lucifero, come portatore della vera luce e dispensatore della conoscenza, o almeno di una conoscenza alternativa. E’ giusto precisare che le leggende che animano questo luogo, forse in qualche modo favorite dalla profonda attività culturale condotta dai monaci, molto diversa dalla dottrina superficiale propinata al popolo analfabeta dalla Chiese dell’epoca, non ha nulla a che fare con le macabre storie di maldestri rituali satanici, più che altro svolti sotto forma di atti vandalici, che sarebbero stati perpetrati nel vicino cimitero di Darola.
Andando più nel particolare, la Chiesa della Madonna delle Vigne risale al diciassettesimo secolo, anche se per la precarietà della sue condizioni generali è stata oggetto di numerose manutenzioni fino al secolo scorso. Alla chiesa lavorarono gli architetti Antonio Bertola e Giovanni Battista Scapitta che realizzò la cupola, utilizzando come modello quella della basilica di Santa Caterina di Casale Monferrato. Anche se tenuta attualmente in uno stato di assoluto degrado, Santa Maria delle vigne rappresenta un ottimo esempio di barocco piemontese, con gli interni ancora adorni di pregevoli stucchi ed affreschi, tra cui spiccano le raffigurazioni scultoree dei cherubini, Nell’abside si nota una nicchia vuota, dove un tempo ci doveva essere una statua lignea della Madonna, in qualche modo legata ad una sorta di protezione delle vigne, spostata in qualche altro luogo di culto circa un secolo fa. Secondo alcuni documenti storici, la Madonna raffigurata nella statua portava fra le mani un grappolo d’uva naturale e non artificialmente scolpito, che variava a seconda delle stagioni del raccolto (3).
L’elemento più sorprendente della chiesa è proprio l’affresco sul quale si nota una sbiadita composizione musicale, chiamata lo spartito del diavolo. Quando si entra nel piccolo edificio di culto, voltandosi si nota l’affresco, ormai decisamente consunto sulla parete sopra l’ingresso e di fronte all’altare. La tradizione riporta che questo spartito avrebbe capacità soprannaturali, possedendo perfino la straordinaria capacità di imprigionare il diavolo in una cripta segreta situata sotto le fondamenta della chiesa. Il Maligno, tuttavia, avrebbe una speranza di essere liberato, qualora fosse rievocato da un audace musicista capace di eseguire il pentagramma musicale al contrario, cioè da destra verso sinistra. Al di là delle suggestioni, è stato osservato che l’interpretazione più verosimile è che nella chiesa, date le sue modeste dimensioni, non vi fosse spazio per ospitare un vero e proprio organo, ma soltanto una sorta di organetto meccanico, azionabile a manovella. Questi strumenti, già storicamente accertati nel Settecento, funzionavano girando la manovella in senso orario, mentre un fermo ne impediva l’andamento inverso. Un guasto del fermo avrebbe prodotto una melodia ruvida e dissonante, contraria a qualsiasi principio armonico e, per questo, in un certo senso definibile demoniaca. A suffragare questa ipotesi storica, gli osservatori hanno indicato la presenza nell’affresco di un oggetto che molto somiglia ad un tipo antico di manovella, disegnato nella parte destra rispetto al pentagramma (4).
Sul principato di Lucedio si raccontano numerose leggende, tra le quali la più popolare riguarda la presunta possessione demoniaca dei monaci che avrebbero praticato messe nere ed abusato sessualmente di giovani novizie, fino al momento in cui un potente esorcista non avrebbe catturato lo spirito maligno, relegandolo in una cripta segreta posta sotto la chiesa, in sintonia con quanto si narra in merito allo spartito. Le voci sui crimini dei monaci sarebbero arrivate anche al pontefice dell’epoca dei fatti (ultimo scorcio del Settecento), papa Pio VI, che avrebbe condannato i religiosi, dopo aver osservato direttamente le cosiddette colonne che piangono nella sala dove sarebbero stati perpetrati i rituali blasfemi (5). In realtà, il fenomeno aveva un’origine naturale: esso era causato dal fatto che l’abbazia sorgeva in una zona ricca di sorgenti d’acqua dolce che facilmente penetrava attraverso la porosità della pietra. La storia degli abusi orgiastici potrebbe essere vera, ma di certo non ispirata da Satana in persona, quanto dai desideri dei monaci costretti in isolamento in una comunità forse troppo ristretta.
Tornando al misterioso spartito, si racconta che un monaco-musicista avesse racchiuso in esso un grande potere. Analizzando lo schema musicale è, tuttavia, innegabile che esso presenti una struttura bifronte, potendo essere letto in entrambi i sensi. Inoltre, la presenza, al di sotto del pentagramma, di due fiere che tra i loro artigli si contendono il sigillo papale, può far pensare ad una certo atteggiamento polemico nei confronti della Chiesa di Roma. A ciò si aggiungono i risultati delle analisi compiute da alcuni esperti, secondo i quali le prime note riportate nello spartito erano di solito utilizzate per terminare una formula liturgica e non per iniziarla. Al di là delle congetture sulle leggende riguardanti il misterioso spartito del diavolo presente nell’altrettanto enigmatico principato di Lucedio, l’argomento ci offre importanti spunti per riflettere sul potere della musica in base alle modalità in cui viene elaborata ed adoperata nei confronti del pubblico. La musica può assolvere a molteplici funzioni, a seconda della sensibilità di ciascuno, sia tra profani che tra professionisti. In passato, soprattutto, la musica era un’espressione sonora del potere, in ambito civile, militare religioso. Nella storia europea, in particolare, in epoca carolingia, il canto cristiano diventa uno degli strumenti principali per favorire l’unificazione del Sacro Romano Impero, una tradizione che si svilupperà con i trobadours (6) dell’Occitania che renderanno la musica vera e propria emanazione della volontà dei signori del castello, come centro di governo del territorio.
Nel quindicesimo secolo, le Signorie si dotano della cosiddetta Cappella Alta (7), un’istituzione intesa come ostentata manifestazione di potere da parte dei regimi politici dell’epoca. Per scopi medesimi la Chiesa di Roma provvede a fondare le quattro cappelle basilicali, così come il famoso Concerto Palatino della basilica bolognese di San Petronio riesce a fare breccia in ogni settore della vita quotidiana della città emiliana. Bisogna arrivare al periodo del classicismo viennese, quando Haydin, Beethoven e Mozart rifiutano il rapporto di dipendenza con i relativi potenti mecenati. Da allora gli operatori musicali acquistano la dignità di “liberi musicisti” anche se si dovranno scontrare con un altro tipo di potere, tanto astratto quanto insidioso, quello del “mercato”. La musica liturgica e devozionale fa parte della tradizione di ogni sistema religioso. Le melodie cristiane attinsero al modello teorico offerto da quelle di origine greca, adattandole ovviamente alle esigenze della nuova dottrina. In età medievale, nacque il cosiddetto “canto gregoriano”, in maniera semplicistica attribuito all’unificazione liturgica a cura di papa Gregorio I, ma in realtà a compimento di un lungo processo di elaborazione iniziato sotto il pontificato di Stefano II nell’VIII secolo. Sotto il profilo prettamente musicologico, si osserva che il canto gregoriano si basa su scale che portano gli stessi nomi di quelle greche, i modi: dorico, frigio, lidio e mesolidio. La nomenclatura classica si inseriva nell’ampio progetto carolingio, sposato dalla Chiesa di Roma, di considerare la propria autorità in continuità con il mondo classico, dopo le devastazioni apportate dalle invasioni barbariche, anche se tecnicamente l’andamento delle note nel canto gregoriano si mostrava completamente diverso rispetto a quello di ellenica memoria (8).
Nel contesto liturgico cristiano, al Maligno si attribuisce una modalità espressiva contraria a quella divina ed una delle manifestazioni di possessione demoniaca sarebbe proprio la capacità di parlare al contrario. Nel corso dei secoli, numerosi canti liturgici, in particolare quelli gregoriani, sono stati adattati ai cosiddetti culti della mano sinistra. Uno dei brani più famosi, in epoca relativamente recente, è Ave Satani, il tema musicale del film Omen diretto da John Donner nel 1976 e premiato l’anno successivo con l’Oscar alla migliore colonna sonora. Il brano, composto da Jerry Goldsmith, fu concepito come una sorta di inno liturgico gregoriano rovesciato, in uno scenario simile ad una “messa nera”, con formule che capovolgevano il regolare significato dottrinario cristiano, come ad esempio al momento topico della consacrazione del corpo e del sangue di Cristo, trasformato in versus Christi (Anticristo) (9).
Al contrario di quanto comunemente si pensa, molto diversa è l’origine dei Carmina burana, che non nascono assolutamente come “canti demoniaci”, ma che assumono questa etichetta a causa di una distorta interpretazione popolare dei rispettivi contenuti dissacratori e critici nei confronti dei discutibili costumi della Chiesa medievale. L’espressione Carmina Burana fu coniata nel 1847 dall’esegeta Johann Andreas Schmeller, in occasione della prima pubblicazione del manoscritto da lui stesso scoperto nel convento bavarese di Benediktbeur,l’antica Bura (da cui il nome dei canti) Sancti Benedicti. Si trattava, infatti, di un corpus di testi poetici medievali composti tra l’XI ed il XII secolo, raccolti in un codice miniato del XIII secolo, attualmente custodito nella Bayerische Staatsbibliothe di Monaco di Baviera. Un’attenta analisi dei contenuti dei Carmina Burana evidenzia come gli autori non fossero neanche contrari alla Chiesa come istituzione di per sé, ma che intendessero attaccare soltanto i suoi esponenti corrotti e simoniaci (10).
Negli ultimi decenni si sono diffuse numerose correnti musicali che inneggiano a Satana o pretendono di farlo, molto spesso solo per motivi commerciali ed avvalendosi di strumenti scenografici alquanto confusi. Basti pensare al variegato panorama dei gruppi new gothic, metal, heavy metal, trash, death metal, black death metal, grindcore, punk, doom e così via. La simbologia usata è quella solita: si parte dal 666, senza alcuna oggettivizzazione storica o culturale, fino all’utilizzo di immagini che tendono a glorificare la morte e la distruzione, oppure a dissacrare in varie forme il Cristo crocifisso. Inoltre, vi sono gruppi che diffondono il rock satanico indiretto, con testi che, pur non inneggiando esplicitamente al Signore del male, incitano alla violenza, agli abusi ed al razzismo.
Ma vi è una forma di incisione musicale che ci ricorda ancora più da vicino lo spartito del diavolo: i brani musicali criptati. I testi di alcune canzoni, se ascoltati con determinate apparecchiature, o con programmi disponibili on-line, presentano un contenuto completamente diverso, con frequenti invocazioni a Satana. La tecnica usata, affinchè sia possibile questo prodigio, prende il nome di “backmasking” ed era utilizzata anche con i vecchi dischi in vinile. Come nelle leggenda dello spartito del diavolo, era facile far girare il disco al contrario per scoprire il messaggio celato. La scoperta di tale tecnica si attribuisce a Thomas Edison alla fine del diciannovesimo secolo e successivamente adoperata da maghi ed illusionisti per impressionare gli spettatori, creando effetti speciali con i fonografi. I primi artisti famosi che si avvalsero di questa tecnica furono i Beatles nel 1966 nell’Album Revolver (11), ma negli anni successivi ne hanno fatto ampio uso i Led Zeppelin (12), Michael Jackson e perfino Lady Gaga. Negli ultimi decenni del secolo scorso, le sette fondamentaliste cristiane statunitensi, a mio avviso più pericolose ed eversive dei gruppi che volevano criticare, gridarono allo scandalo, affermando che la tecnica del backmasking era utilizzata da gruppi musicali per scopi satanici ed arrivando ad elaborare proposte legislative per vietare tali possibilità di registrazione. Secondo i detrattori del backmasking, i messaggi mascherati potevano oltrepassare la mente conscia, penetrando nella mente inconscia, dove sarebbero stati accettati dall’ascoltatore in maniera inconsapevole, diventando strumento di un potere occulto subliminale. Per i più scettici, tuttavia, si tratterebbe di casi di pareidolia uditiva, cioè la tendenza della mente umana a dare un significato ad uno stimolo incerto, assecondando le proprie aspettative. Con la diffusione dei compact disco, a metà degli anni ’80 e negli anni ’90, è diventato più complesso ricercare messaggi subliminali, ascoltando i testi musicali al contrario, ma la problematica è riemersa in seguito, quando nei programmi di Microsoft Windows è stato sviluppato un sofisticato software di editing che consente l’inversione dell’audio con un semplice clic, come il popolare programma open source Audacity.
In sintesi, nel backmasking le parole nascoste risultano senza senso se ascoltate in avanti, ma riprodotte al contrario acquistano un significato compiuto. Rimanendo nel “campo diabolico”, dietro le quinte del famosissimo film del 1973 L’esorcista, la cui versione integrale è stata più volte rimaneggiata, si diffuse la voce che un nastro, contenente i rumori strazianti emessi dalla vittima posseduta, riportasse un chiaro messaggio, qualora riprodotto in senso inverso. Del resto le capacità di parlare al contrario e di esprimersi in lingue sconosciute sono caratteristiche che gli studiosi di demonologia riconoscono nei soggetti posseduti.
Per alcuni critici Satana non dovrebbe essere ricercato nella musica horror rock, così scenografica, grottesca ed esagerata, e nemmeno negli inni liturgici rovesciati, che assumono l’aspetto di parodie, o quanto meno di maldestre imitazioni dei rituali cristiani. La musica del diavolo, invece, andrebbe identificata con le plastiche melodie blues, dove più forti sono le pulsioni sessuali, quasi ritmiche ed ossessive come negli antichi culti dionisiaci. A questo punto, però, il diavolo ci farebbe meno paura, perdendo quella personificazione teista tradizionale, per incarnare le nostre aspirazioni ed i nostri desideri più nascosti. La misteriosa melodia dello spartito del diavolo, perciò, diventerebbe il simbolo diacronico dell’autocoscienza umana che non si arrende e non si ferma davanti a schemi precostituiti.
Note:
1 – L. Bavagnoli, Le leggende dell’abbazia di Lucedio, su L’imprevisto-il mensile del Vercellese, edizione giugno 2010;
2 – L. Ellena, Misteri, Edizioni Menhir, Vercelli 2008;
3 – AA.VV., L’abbazia di Lucedio e l’ordine cistercense nell’Italia nei secoli XII e XIII (Atti del terzo congresso storico vercellese, 24-26 ottobre 1997);
4 – S. Nuvolone, Il dono dell’acqua. Il mistero dell’abbazia di Lucedio, Editrice Tipografia Balma-Ronchetti, Torino 2010;
5 – nota nr. 3;
6 – Il termine viene reso nell’italiano corrente in trovatore, trovatori. L’appellativo indica i compositori ed esecutori musicali che adoperavano la lingua d’oc, parlata con alcune differenze regionali, nella Francia centro-meridionale al di sotto della Valle della Loira;
7 – La cosiddetta “Cappella alta” consentiva di legare le opere musicali ad una determinata istituzione, come una corte nobiliare, una cattedrale o un convento;
8 – A. Turco, Il canto gregoriano, Edizioni Torre d’Orfeo, Roma 1991;
9 – In latino medievale è utilizzato anche il sostantivo composto Antichristus;
10 – Una delle migliori traduzioni italiane dei Carmina burana è considerata quella curata da Edoardo Bianchini edita da Rizzoli nel 2003;
11 – Famosa è la frase Paul is dead che, secondo i complottisti fautori della morte di Paul McCartney nel 1966, a seguito di un incidente stradale, sarebbe disseminata in alcune canzoni dei Beatles;
12 – In particolare, secondo numerosi ascoltatori, la canzone Stairway to heaven nasconderebbe messaggi rovesciati di carattere satanico;
13 – Si tratta di un software molto diffuso nel campo dell’editing audio, dall’impostazione multitraccia e multipiattaforma, i cui diritti appartengono alla GNU (General Public License).
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense ed un master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nei primi mesi del 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 7 volumi (Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio). In precedenza con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; i thriller filosofici “La redenzione di Satana I-Apocatastasi” e “La redenzione di Satana II- Apostasia”; il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers” ; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”; una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Di recente è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.