Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Lo sguardo palpitante: desiderio, creazione, alchimia, in Evola e altri – Vitaldo Conte (*)
“Quando vedi l’occhio, vedi qualcosa uscirne. Vedi lo sguardo dell’occhio” (Ludwig Wittgenstein)[1]
Il fluido alchemico dello sguardo amante, leggendo Julius Evola
Il fondo dell’eros è costituito da un fattore magnetico. Questo determina una polarità essenziale, generatrice di uno speciale stato di ebbrezza e di esaltazione con corrispondente spostamento del livello ordinario della coscienza. Julius Evola attraversa questo percorso alchemico nel suo libro Metafisica del sesso (1958)[2]. Come lo stesso scrive, il principio magnetico può attivarsi attraverso lo sguardo con il suo fascinum: termine usato, anticamente ma anche oggi, per indicare una specie d’incantamento e di sortilegio che vi transita. Lo stato fluidifico, la forza tsing dell’insegnamento cinese, si accende inizialmente attraverso lo sguardo, passando poi a pervadere il sangue. A partire da qual momento l’amante porta, in un certo senso, nel proprio sangue l’amante e viceversa, incurante della distanza che eventualmente può separarli. Il processo, nella lingua universale degli amanti, vive in: «Ti ho nel sangue». Si sigilla così l’immagine dell’altro “verso” gli strati superiori, nel grande occhio spirituale e nell’anima. L’amore a primo sguardo, come colpo di folgore, ha un andamento a corto circuito. Questa possibilità può prodursi anche inaspettatamente in un fuggevole incontro, nell’avventura di una notte con una donna sconosciuta e magari con una prostituta che non si rivedrà più, secondo un miracolo che può non ripetersi per tutta la vita, nonostante rapporti d’amore con altre donne. Evola dipinge, negli anni 1960-70, alcuni “nudi di donna”. Questi possono essere “letti” come manifesti visivi delle peculiarità del femminile nell’esperienza della Metafisica del sesso, in cui l’energia alchemica attraversa lo sguardo con il suo fluido. Gli occhi de La genitrice dell’universo sono circondati da due globi cerulei (l’azzurro delle acque è trasceso in quello del cielo), all’interno di un grande sconfinante triangolo bianco, che si amplifica da quello ricavato dalle linee del pube. Le acque sono un simbolo dell’archetipo femminile dai molteplici significati: la vita indifferenziata, anteriore alla forma, non ancora fissata. Gli occhi del Nudo alchemico emergono dal volto, delineati di nero, per fissare l’altrui oltre. Lo sguardo del Nudo di donna (afroditico) è costituito dalla malia abissale di un occhio stilizzato, che guarda obliquamente l’altro. Questi nudi dipinti esprimono archetipi e simbologie erotiche, costituenti il mondo alchemico del femminile che si anima negli “sguardi” della magia sexualis.
Lo sguardo come creazione di desiderio e di segreto
Si dice spesso che gli occhi siano lo specchio dell’anima. La difficoltà di leggere questo specchio può essere proprio nel suo “accesso” visivo, in quanto ciò che noi crediamo, oggettivo e reale, nella fruizione di un’immagine, è talvolta determinato dalle proiezioni con cui vogliamo o desideriamo vedere qualcosa nel momento. Penso che debba essere ricercata una lettura plurisensoriale dello sguardo, in quanto spesso la sua pregnanza e il suo palpito oltrepassano gli stessi occhi: come accade in molteplici “rappresentazioni” espresse in un quadro o in una esistenza fotografica. L’essere, per comprendere il segreto e il perturbante di uno sguardo, gli “costruisce”, talvolta, una figura attorno affinché possa esprimerli: “quest’ultima deve (…) organizzarsi attorno al suo sguardo – attorno alla sua visione o alla sua veggenza” (Jean-Luc Nancy). La malia di uno sguardo, con i suoi desideri e segreti, può catturare gli occhi di un altro, magari inseguendolo oltre il visibile: nella mente, nell’immaginario, nel sogno. Il pittore, che è “per natura dotato di un occhio superiore alla norma, è anche colui che, più dei suoi simili, si sente esposto alla minaccia dell’accecamento e della castrazione” (Jean Clair). Lo sguardo può rivelare, in un attimo, un segreto. Il suo palpito non è soltanto fisico, in quanto, pur fuoriuscendo dagli occhi, vuole espandersi verso un oltre. Questo, invece di guardare, nota Roland Barthes a proposito dello sguardo fotografico, “non guarda nulla; trattiene dentro di sé il suo amore e la sua paura: ecco, lo Sguardo è questo. (…) al tempo stesso effetto di verità ed effetto di follia. (…) chiunque guardi dritto negli occhi è pazzo”[3]. Questo sguardo fissa impalpabile l’esterno, per un attimo, per esprimere la propria inaccessibile essenza, fluttuante fra dimensioni estreme di ricerca: “Dipingerò i tuoi occhi, soltanto quando avrò conosciuto la tua anima” (Amedeo Modigliani).
La ricerca dello sguardo alchemico attraverso il trucco[4]
La ricerca di un’arte alchemica dello sguardo è congenita nell’essere umano, sin dall’antichità. Il trucco era praticato in tutta l’area della Mesopotamia e del Mediterraneo, come dimostrano le statuette dei Sumeri, scoperte nella città di Ur con gli occhi decisamente segnati di nero. Questa esigenza raggiunse un sicuro vertice con gli Egizi, che avevano “riconosciuto” l’occhio bistrato come simbolo religioso, ricorrente in molteplici opere d’arte. Questo era considerato un occhio-luce purificatore, emanante fluidi magnetici e alchemici. Il trucco serviva anche per scopi spirituali, in quanto gli occhi erano considerati espressione dell’anima: tanto da essere posti come “attrazione” sui sarcofagi. Questi erano spesso decorati con il disegno di un occhio allungato, ritenendo che ciò permettesse al trapassato (oltre che proteggerlo) di farlo continuare a palpitare con le immagini del mondo visibile. Questi sguardi di-segnati possono, come nota Michel Foucault, “far entrare il corpo in comunicazione con poteri segreti e forze invisibili. La maschera, il segno tatuato, il trucco depositano sul corpo tutto un linguaggio, un linguaggio enigmatico, cifrato, segreto, sacro che chiama su questo stesso corpo la violenza del dio, la potenza sorda del sacro o la vivacità del desiderio”[5].
Lo sguardo come perturbante di creazione
L’occhio, come simbolo di rivelazione e di lettura onnipotente, è presente in numerose religioni. Presso popoli primitivi l’occhio dei nemici uccisi, luogo della potenza vitale, era un cibo riservato al capo. Uno sguardo può continuare a rimanere “tatuato” nel tempo, dentro di noi, attraverso la sua figura, fuggevole e pregnante nello stesso tempo. Questa può essere compresa nell’attimo del suo passaggio: funzionale a un uso, ma può incarnare anche il perturbante di un desiderio e di una emozione fuori-limite, per il “delimitato” mondo dei confini conosciuti o prestabiliti. L’occhio, presentato in molte opere di artisti, ha un valore magico. Tutta l’arte può divenire uno sguardo velato e una visione perturbante, attraversando gli occhi del suo creatore, che è portato a scrutare l’inesprimibile, i segreti nella realtà. L’opera d’arte può guardarci però, come una presenza nascosta, divenendo presenza nel momento in cui avvertiamo che ci insegue, venendoci incontro come una “sindrome di Stendhal”, che coinvolge intensamente lo sguardo dell’altro: tanto da “entrarvi” irresistibilmente dentro… Anche lo sguardo del pittore, nel ritrarre un corpo o una parte di esso, può creare sensazioni che attraversano l’intimo e l’irrazionalità del modello, che può sentirsi penetrare da quello sguardo, fino a sentire minacciati i suoi stessi segreti. Gabriele d’Annunzio, ne Il piacere, descrive le sensazioni provate da una modella con le sue belle mani in mostra. Apparivano nervose, agitate da una vibrazione impercettibile, continua, che lo sguardo del pittore animava, come se volesse arrivare alle profondità del suo essere. Talvolta il fremito diveniva così forte e visibile, che, se osservato con intensità, induceva la mano a ritirarsi istintivamente come per pudore. Se il pittore guardava la fanciulla lungamente, senza disegnare, ella aveva l’impressione che questo si nutrisse, tramite le pupille, di qualcosa di lei o che l’accarezzasse con tocco più delicato del velluto. Il pittore René Magritte è, tra gli artisti surrealisti, uno dei più inquietanti. Scuote la coscienza attraverso choc visivi, che vogliono indurre l’altro ad arrivare all’essenza misteriosa delle cose. Uno dei suoi procedimenti, per giungere a questa rappresentazione, era quello di coprire il volto dei personaggi ritratti, cancellandone l’identità: agli sguardi sovrappone fiori, mele o colombe. Il tema del volto, coperto da un panno, compare più volte nei suoi lavori: come se volesse riattraversare l’episodio del ritrovamento di un corpo: quello della madre suicida, rinvenuto in un fiume, con il volto coperto da una camicia da notte. Ne Gli amanti (1928) copre il bacio delle figure con due lenzuoli bianchi, sulla loro testa, che si modellano con le pieghe dell’interna pulsione. La sensazione che ne deriva è di dolce malinconia, per la crudeltà imposta ai due amanti, a cui è negato il contatto e lo sguardo. Magritte fa diventare lo specchio un occhio, l’occhio uno specchio.
Lo sguardo palpitante fra assenza, follia, creazione, leggendo Georges Bataille e altri (attraversando un’intervista di Marco Fioramanti)[6]
Lo sguardo palpitante di una donna può insinuarsi in una creazione per esprimere un corpo tra assenza e follia visionaria, come quello di Georges Bataille nella sua Histoire de l’oeil… Conte: Una sera, guardando una cornice bianca appesa al muro (che non racchiudeva alcuna immagine), mi sembrò, all’improvviso, che incorniciasse lo sguardo di un’assenza. Quella che ognuno poteva incontrare come propria indicibile malia. In quel momento desiderai che nascondesse gli sguardi di Blanche, mia amante creativamente trasfigurata, mentre mi fissava con uno sguardo evanescente… In quella cornice bianca c’era il perturbante limite di un’ossessione fra arte e vita, nei cui sguardi si poteva incontrare una maschera dall’attrazione pericolosa. Pensai che poteva nascondere anche gli occhi di una Gorgone: come la Medusa con il suo sguardo pietrificante chiunque guardasse i suoi occhi di fuoco. Compresi allora che questa seduzione poteva costituire una minaccia, quella di guardare una malia estrema. Che è ricercata da un nostro demone interiore anche per mezzo dello sguardo di una donna che ci fissa… Questo sguardo l’ho ritrovato in quello di Simona, la protagonista della Storia dell’occhio di Bataille[7]. “Nella pianura di Katmandu, – scrive Alberto Moravia nella prefazione – nel Nepal, terra natale del Buddha, l’enorme occhio dipinto (…) ci guarda al di sopra dei boschi e delle coltivazioni con la stessa ossessiva fissità con la quale, nelle pagine di Bataille, ci sentiamo spiati, di tra le gambe della crudele e stravagante Simona, dall’occhio del morto”. L’occhio, che s’inserisce nella “vulva vellutata” di Simona, la sua eroina, è per eccellenza un occhio palpitante che “guarda” tra la peluria pubica, come tra le ciglia delle palpebre, – l’altro e l’oltre –, piangendo calde lacrime di orina. Quest’occhio, estratto dall’orbita oculare di un uomo assassinato, rassomiglia per il colore della pupilla a quello di un altro essere amato, morto suicida dopo un’orgia. I ricordi e le visioni di questo delirio erotico ricercano anche la penetrazione della realtà come interna mistica, scomponendo la morte in una propria palpitazione senza ritorno, senza fine:
“L’occhio, la carezza dell’occhio sulla pelle è di una dolcezza eccessiva” (Georges Bataille).
Quest’occhio, trasferito dalla cavità naturale a quella del sesso femminile, indica un trasferimento delle facoltà conoscitive della mente a quelle dell’istinto, dalla razionalità alla mistica. Da un interno del corpo aderisce a un altro interno. È uno sguardo che segna un limite puramente fisico, oltrepassante la semplice visione ottica. Un occhio fisso che guarda, enucleato come quello di Bataille, o invisibile nelle sue possibili e invisibili possibilità, può liberare il nostro “palpito di sguardi”. Magari fuoriuscendo dalla cornice di un quadro per incarnarsi in un occhio qualsiasi: quello che il desiderio vorrebbe incontrare nella malia di un incontro estremo.
- Il palpito di uno sguardo femminile può esprimere un incantamento al limite della maledizione, presente nell’arte come nell’esistenza quotidiana. Questa seduzione può portare a una perdita e alla follia desiderante…
Conte: Il palpito di questo sguardo non è puramente fisico, in quanto “fuoriesce” dagli stessi occhi per espandersi oltre… E’ un segno inquieto: “dinamica singolare per un segno: la sua forza lo deborda” (Roland Barthes). Questo sguardo fissa, per un attimo, impalpabile, per incarnare la propria inaccessibile essenza, fluttuante tra dimensioni estreme di possesso e perdita. Lo sguardo di Pentesilea, la vergine guerriera, regina delle Amazzoni, è descritta da Virgilio nell’Eneide, quando affronta in duello Achille. In un vaso attico del V secolo è raffigurato il momento in cui l’eroe acheo, trafiggendo con la lancia l’affascinante e mai violata nemica, ne incrocia l’ultimo sguardo che lo induce a innamorarsene. L’amazzone, cresciuta nel culto della superiorità femminile, s’incontra iniziaticamente con l’eroe semidio, simbolo dell’invincibilità. La regina, combattendo contro Achille, se ne innamora. Lo sguardo fa incontrare e fondere i due sguardi in una passione palpitante. Questa ha il suo estremo incontro nel già “lasciarsi” della morte con la coscienza del sacrificio del proprio amore.
È ugualmente perturbante lo sguardo descritto nel mito di Orfeo e di Euridice. I due sposi vengono separati dalla morte violenta di lei: ma lui scende fino nell’oltretomba per riprendersela. Orfeo cerca lo sguardo di lei, sulla soglia oscillante della morte, per ricondurla alla luce della vita, ma la curiosità lo induce a voltarsi in anticipo, infrangendo il patto che aveva stretto con Ade di non guardarla finché non fossero riemersi dalle tenebre. Orfeo lascia svanire nell’ombra il volto invisibile dell’amata, non avendo resistito a guardare la malia di quello sguardo inaccessibile:
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” scrive Cesare Pavese[8].
Uno sguardo rimane, talvolta, tatuato nel tempo, invisibilmente dentro di noi, per continuare a incarnare una palpitante essenza corporea. Può divenire anche indizio di un interiore turbamento, al limite della mistica desiderante, come lo è la raffigurazione degli occhi delle Vergini e delle Sante che inseguono con la loro visione: “Vedo ancora quegli occhi cavi, lunghi e stretti, con le palpebre abbassate di sotto, a cui guardano con uno sguardo affascinante, mite come quel d’una colomba, un po’ obliquo come quel d’una serpe” (Gabriele d’Annunzio)[9]. Le figure di Modigliani sono chiuse nel silenzio da una espressione interamente celata, dietro un volto che è simile a una maschera. Nei ritratti colpisce l’elemento dello sguardo delle sue donne, spesso privo di pupille. Questo sguardo ha una intensità malinconica che traspare dagli occhi profondi della persona ritratta, anche pieni d’azzurro, con un qualcosa di visionario. Le orbite vuote, le rade pupille fisse, lo sguardo cieco, diventano il segnale di questo confine che “fissa” la figurazione di Modigliani sul bilico tra maschera rituale e volto, tra effige e corpo reale. Lo sguardo dei suoi personaggi è un viaggio di richiami interiori. I grandi occhi di Jeanne Hebuterne, la donna che lo avrebbe seguito con dedizione assoluta fino alla morte, continuano a fissarlo attraverso i suoi lavori…I segreti di questo sguardo femminile, che continua a inseguire, sono presenti come inquietanti specchi nelle visioni dell’artista e dell’amante: “Ci sono certi sguardi di donna che l’uomo amante non scambierebbe con l’intero possesso del corpo di lei” (Gabriele d’Annunzio)[10].
Note:
(*) ll testo rilegge precedenti scritti dell’autore sullo “sguardo” con cui ha partecipato a diversi eventi, fra cui: L’occhio palpitante (seminario curato con Massimo Canevacci), Sala Congressi, Facoltà di Scienze della Comunicazione, Roma 12 aprile 2002; La forza dello sguardo (incontro), Sala Convegni di Palazzo Impellizzeri, Siracusa 27 febbraio 2005.
[1] L. Wittgenstein, Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi, Milano 1990.
[2] J. Evola, Metafisica del sesso, 1958; Ed. Mediterranee, Roma 1969.
[3] R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi Editore, Torino 2003.
[4] Il testo attraversa scritti dell’autore: Il Trucco e la Pelle della Beauty Art, in Arte e Bellezza, ‘Dionysos’ (Ed. Tabula fati) n. 9, 2020; Trucco: Arte e Bellezza (Antico Futuro), ‘EreticaMente’ (online), 29 maggio 2020.
[5] M. Foucault, Il corpo, luogo di utopia, Nottetempo, Roma 2008.
[6] Il testo riprende parte di L’Histoire de l’oeil et de Valentine, intervista a V. Conte di M. Fioramanti, in Negative girl (a cura di V. Bockris), Night Italia 8 (Roma New York), Edizioni Psychodream, Firenze 2013.
[7] G. Bataille, Simona (Histoire de l’oeil), 1928; Editrice L’Airone, Roma 1969.
[8] C. Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Einaudi Editore, Torino 1951.
[9] G. d’Annunzio, Il piacere, 1889.
[10] Ivi.
Vitaldo Conte