L’eterno insegnamento della Bhagavad–gita, quale “Canzone di Dio” – Michele Perrotta
Introduzione alla Bhakti
Il termine Bhakti indica presso le tradizioni religiose dell’India l’aspetto devozionale della fede in una o più divinità personali con cui il Bhakta si relaziona nel proprio intimo attraverso varie pratiche: servizio di devozione, canto, meditazione, offerta del cibo, il lavaggio delle statue che rappresentano le divinità, etc., etc.. Questo modo di servire il Signore è tipico della corrente Bhagavata in cui è collocato il Vaishnavismo o Vishnuismo. Il termine Vaishnava si riferisce a un devoto di Vishnu (Viṣṇu), la Suprema Personalità di Dio. I seguaci di questa disciplina, detti viṣhṇuiti o vaiṣṇava, considerano Viṣṇu o Krishna, a seconda della tradizione, Dio, il Signore Supremo, il principio animatore di ogni essere vivente a cui tutti gli altri Deva (gli esseri celesti) sono sottomessi. Egli ha la funzione primaria di “conservare” e “sostenere” la Tradizione. La via della Bhakti praticata dai devoti vaishnava insegna sostanzialmente come amare Dio, la Persona Suprema, secondo un’antica tradizione ultra millenaria dettata da un sistema personalista. Purtroppo oggigiorno gli insegnamenti sacri più genuini arrivano all’uomo secolarizzato come acqua sulla roccia, ovvero restano in superficie senza entrare mai in profondità. Compito nostro è quello di aprirci nuovamente a questi insegnamenti, spalancando il cuore a Dio. Aprendo in sostanza le porte all’Amore. La Bhakti, se adattata giustamente al nostro percorso spirituale, esclude totalmente il moralismo e l’attenzione per il proprio ego, inteso come un forte attaccamento che riconduce tutto a se stessi e che muta i sentimenti in attaccamenti egocentrici, narcisisti e totalmente fuorvianti. Il troppo amore per sé stessi, oltre all’isolamento e all’indifferenza verso il nostro prossimo, conduce all’egocentrismo o all’egoismo. E per queste vie, come abbiamo già accennato nel corso della nostra introduzione al testo, nessuno potrà mai avvicinarsi a Dio. La Bhakti trascende ogni forma di dogmatismo religioso ed insegna, nell’atto pratico, come dare e ricevere il vero Amore, quella forza cosmica che è alla base della via mistica; questo è l’aspetto vitale di ciò che noi indichiamo col termine “Divino Amore”, lo stesso che, secondo determinati processi esoterici, unisce a “nozze” le anime individuali con Dio. Nel Vaishnavismo congiunge, in egual misura, le Gopī (“pastorelle”) con SriKrishna. La Bhakti è sostanzialmente l’“Amore dei santi”, un amore che dona pace e armonia. Tutto questo non è semplice sentimentalismo, ma pura “scienza dello spirito”. I libri che tratteremo nel corso di quest’opera per essere compresi nel migliore dei modi devono, a nostro avviso, essere interpretati secondo la corrente Bhagavata (personalista), ovvero secondo quella tradizione che li ha concepiti – così come viene testimoniato e tramandato dal Vaishnavismo.
La Bhagavad-Gita, redatta da Vyāsadeva, l’Avatāra che compilò tutte le scritture vediche, è il dialogo tra SriKrishna, il Signore Supremo, e Arjuna, Suo devoto, discepolo e intimo amico. Questo libro, e questo ci teniamo sempre a sottolinearlo, è un testo di una bellezza inaudita, più unica che rara, a cui siamo particolarmente affezionati. Conosciuta anche con il nome di Gītopaniṣad, la Bhagavad Gita è composta da settecento versi (Shloka o Śloka) e suddivisa in diciotto canti (Skandha), ed è uno dei libri che all’interno del Mahābhārata costituiscono il Bhīṣma Parva.La Bhagavad Gita è il nettare di tutto il Mahābhārata, fu enunciato da Vishnu, di cui SriKrishna (Kṛṣṇa) è il Vishnu originale (“visnu-vaktrādvinihsitam”),il qualeespose questo sublime Canto direttamente dalla propria bocca. E’ un insegnamento sacro che espone le conoscenze fisiche e metafisiche dell’intero universo. La Bhagavad Gita, oltre ad essere poesia pura che dona immagini bellissime nell’interiorità di chi la legge, presenta sostanzialmente la scienza trascendentale della saggezza vedica per la realizzazione spirituale e si presume che fu scritta cinquemila anni fa, ovvero nel periodo in cui Krishna discese nel nostro mondo. Questo scritto favorisce l’elevazione del pensiero; l’insegnamento conclusivo di questo straordinario testo è la Bhakti, la via devozionale che conduce ogni anima individuale alla riscoperta dell’eterna relazione d’amore con il Signore Supremo.In questo luminosissimo racconto Arjuna rappresenta il puro devoto e l’eterno amico di Dio; è colui che cade in una profondissima crisi esistenziale perché costretto ad affrontare nel campo di battaglia di Kuruksetra i suoi più cari amici ed alcuni membri della sua stessa famiglia. Il destino di Arjuna è tuttavia già scritto: egli sarà obbligato ad affrontare ancor prima della guerra vera e propria un’altra battaglia: una difficilissima e cruente lotta interiore che avviene nel suo cuore per ritrovare la pienezza dell’essere.
«“ Nell’altro campo, Krishna e Arjuna, il piedi su un grande carro trainato da cavalli bianchi, fanno risuonare le loro conchiglie trascendentali ”».
(Bhagavad Gita Cap.1 verso 14)
«“Arjuna disse: “Mio caro Krishna, vedendo parenti e amici schierati davanti a me in tale spirito bellicoso, sento le membra tremare e la bocca inaridirsi.Tutto il mio corpo rabbrividisce, i miei capelli si rizzano, l’arco Gandiva mi scivola dalla mano e la mia pelle brucia ”».
(Bhagavad Gita Cap.1 verso 28-29)
All’inizio della Gita, come possiamo eccepire da questi versetti appena riportati, la crisi che vive il guerriero Arjuna è centrale nel racconto. Da ciò che leggiamo sembrano esserci tutti i sintomi che portano ad una profonda depressione e ad una patologia psicosomatica del protagonista: la bocca priva di saliva, i brividi in tutto il corpo, le forze fisiche e mentali che vengono meno, etc.,etc.. Se la mente soffre, anche il corpo sta male. L’insegnamento e la forza interiore che possiamo trarre da questo antico ed immortale testo sacro è utilissimo più di qualsiasi altra forma di lettura. Oggi più che mai. Il dialogo tra SriKrishna ed Arjuna ci fa capire, infatti, man mano che entra nel vivo, come paradossalmente l’essere in sè cresca maggiormente quando è sotto pressione, o quando vive estremi periodi di crisi o di profondo disagio. Queste crisi esistenziali sono per l’anima condizionata(l’anima incarnata) momenti di grande opportunità, sono prove (tappe iniziatiche) fondamentali per conquistare la crescita interiore. Purtroppo oggigiorno, e questo vale soprattutto per l’uomo occidentale, l’essere umano tende ad andare a cercare vari sostegni da dottori, piuttosto che dagli psicologi, in sostanza va alla ricerca di qualche “aiutino” cadendo in tal modo, senza accorgersene, nella bocca dello “squalo”: trappole psicologiche, spesso dettate dalle assunzioni chimiche di farmaci o, peggio ancora, di psicofarmaci, che nulla hanno a che vedere con il ritorno della perfetta armonia tra il nostro vero sé e tutto ciò che ci circonda. L’uomo oggigiorno, purtroppo, tende spesso e volentieri a praticare la via più semplice, quella sintetica, fittizia,cheper certi versi è ancor più destabilizzante, senza mai far tesoro di quei momenti difficili che paradossalmente aiutanoa far accrescere la nostra coscienza in questa “valle di lacrime” che è l’esistenza terrena. Proprio come nel caso di Arjuna. Le crisi sono vere e proprie opportunità per l’anima condizionata. Questo ci insegna in maniera inequivocabile la Bhagavad-gita.
Tornando al quadro esposto nel primo capitolo, come abbiamo già ricordato, Krishna si offrì di partecipare alla battaglia rispettando in tal modo il volere dei Kaurava, gli avversari dei Pandava, ai quali, ricordiamo, fornì il Suo intero esercito. Krishna, fingendo di essere un uomo comune, decise tuttavia di non voler combattere in prima persona ma di agire come consigliere dei Pandava nel carro di Arjuna, ed è proprio in questo contesto che egli divulgherà il messaggio eterno ed immortale, l’insegnamento per tutta l’umanità che prende il nome di Bhagavad-gita. L’eroe di questo poema, il grande arciere Arjuna, ignorava che il suo auriga (cocchiere) altri non era che Dio, la Persona Suprema, il quale gli offrì nel bel mezzo della battaglia la sintesi di tutta la conoscenza vedica e lo convinse, per il suo dovere religioso e per onorare il Guna della Virtù (Sattva-guna, qualità di Vishnu), ad agire in quella cruenta guerra per ristabilire il bene dell’umanità e di tutto il cosmo. Tutto ciò, come si evince da questo magnifico testo, avvenne non tanto per esaltare l’ego ed il valore del principe guerriero Arjuna, bensì per far vivere eternamente questi atti(sacrifici) comeun’offerta al SignoreSupremo. Attraverso questa offerta Arjuna, il guerriero “rinato”, sarà ricordato in eterno come simbolo per tutti coloro che sono costretti ad affrontare le insidie e le trappole che si presentano puntualmente nel corso della nostra vita. Se Arjuna non avesse combattuto avrebbe consegnato il regno, e di conseguenza il mondo intero, nelle mani diuomini con un basso livello di coscienza, avversi ad ogni forma di benevolenza – a persone ottenebrate. Questo straordinario libro ci insegna inoltre che solo dalla non azione all’azione le crisi esistenziali possono essere vinte. La Bhagavad-gita mostra, infatti, la via dell’azione e non quella dell’inerzia o della passività. Questa funzione è alla base di tutti gli insegnamenti spirituali genuini: tutte le crisi, e con esse anche gli ostacoli, possono essere combattuti e vinti mediante la nostra parte più nobile, l’anima, la quale, una volta risvegliata dall’illusione (Maya), tende a superarsi e a relazionarsi con Dio senza aver più alcun timore di niente. Per quanto ci sentiamo soli, non saremo mai realmente soli!
«“ Se invece rifiuti il tuo dovere che consiste nel combattere certamente peccherai per aver mancato al tuo dovere e perderai così la tua fama di guerriero. Gli uomini parleranno per sempre della tua infamia, e per una persona degna di rispetto il disonore è peggiore della morte ”».
(Bhagavad Gita Cap.2 verso 33-34)
«“ Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o guadagno, vittoria o sconfitta – così facendo non incorrerai mai nel peccato ”».
(Bhagavad Gita Cap.2 verso 38)
« “… I Dubbi che sono sorti nel tuo cuore a causa dell’ignoranza devono dunque essere troncati con l’arma della conoscenza. Armato di Yoga, o Bharata, Alzati e Combatti”».
(Bhagavad Gita Cap. 4 verso 42)
Lo Yoga indicato nel versetto 42 del quarto capitolo della Bhagavad-gita appena riportato, e che esamineremo dettagliatamente più avanti, è chiamato Sanatana-yoga. Questa tipologia di Yoga, che illustra la funzione eterna dell’essere vivente, comprende due forme di sacrificio: l’abbandono dei beni materiali e la ricerca del sé; si tratta di una profonda attività completamente spirituale che innalza il sé rettificandolo e rendendolo in comunione con l’Assoluto. Alla base di questi insegnamenti vi sarebbe la comune credenza che un vero spiritualista debba riuscire a non sentirsi mai “arrivato” realizzando, infine, di essere sempre in una condizione di “divenire”. Il puro devoto, con la mente sempre rivolta a Dio, deve aspirare alla trasformazione del sé volta all’elevazione spirituale. Questo è lo Yoga perfetto! Un vero vaishnava, così come lo era Arjuna, è colui che dedica la propria vita a Krishna; è un puro spiritualista che segue i precetti delle Scritture attraverso le opere e che si differenzia in tutto e per tutto dal Karmī, cioè dall’uomo materialista, colui che con le proprie azioni cerca solo di appagare i sensi attraverso il piacere.
STRUTTURA DELLA BHAGAVAD GITA
Quando si legge la Bhagavad Gita si ha come l’impressione di essere anche noi sul campo di battaglia di Kurukshetra ad ascoltare gli insegnamenti di Krishna. Qui, mentre immaginiamo nella nostra mente gli eserciti schierati pronti alla guerra, i nostri pensieri iniziano a relazionarsi con qualcosa che va ben al di là delle nostre semplici abitudini. Questo insegnamento eterno è diretto a tutte le anime spirituali condizionate dall’esistenza materiale. Queste sono parole divine che seducono le anime dei giusti,le stesse che propongono una via d’uscita a tutte quelle persone che in cuor loro vogliono far ritorno a Dio.
La Bhagavad-gita è strutturata nel seguente modo:
Capitolo 1 – Sul campo di battaglia di Kuruksetra – Lo sconforto di Arjuna:
La Bhagavad-gita inizia con il dialogo tra il re Dhṛtarāṣṭra, cieco dalla nascita, e Sanjaya, discepolo di Vyāsa. Quest’ultimo, ci dice il Mahābhārata, ha la speciale facoltà di vedere cosa accade nel campo di battaglia di Kuruksetra senza spostarsi dal palazzo reale dove si trova in presenza del re. Dhṛtarāṣṭra, sebbene i suoi figli ed i figli di Pandu appartengano alla stessa famiglia, si preoccupa solo dei Kaurava, escludendo in tal senso i Pandava dall’eredità di famiglia, causa principale di questa gigantesca battaglia. Questa lotta, è sempre bene ricordarlo, non è una guerra ordinaria, non è da considerarsi come le guerre che sono avvenute o che avvengono nel mondo oggigiorno. Sin dal primo capitolo il re assume in maniera netta una posizione avversa ai figli di Pandu e lascia intendere che abbraccia senza riserve la causa di suo figlio, il malvagio Duryodhana. Nel capitolo in questione vengono presentati tutti i guerrieri di fama, tra essi, schierato nelle fila dei Kaurava, è presente anche il potente Bhīṣma:
«“ Dhritarastra disse: O Sanjaya, che cosa hanno fatto i miei figli e i figli di Pandu dopo essersi riuniti nel luogo santo di Kuruksetra, pronti ad attaccar battaglia?
“Sanjaya disse: O re, dopo aver osservato l’esercito dei figli di Pandu schierato in ordine di combattimento, il re Duryodhana si avvicina al suo maestro e gli rivolge le seguenti parole. “Osserva, o maestro il potente esercito dei figli di Pandu, disposto in modo così strategico dal tuo intelligente allievo, il figlio di Drupada. “Vedi questi valorosi arcieri, che in combattimento eguagliano Bhima e Arjuna? E quanti grandi guerrieri, come Yuyudhana, Virata e Drupada! “Drstaketu, Cekitana, Kasiraja, Purujit, Kuntibhoja e Saibya e tanti altri ancora, tutti grandi guerrieri, eroici e potenti! “Guarda il grande Yudhamanyu, il potentissimo Uttamauja, il figlio di Subhadra e i figli di Draupadi. Sono tutti valorosi combattenti sul carro.
“Ci sono guerrieri famosi per aver riportato, come te, la vittoria in tutti i loro combattimenti: Bhisma, Karna, Krpa, Asvatthama, Vikarna e Bhurisrava, il figlio di Somadatta”
“E ancora numerosi altri eroi sono pronti a sacrificare le loro vite per me. Sono tutti bene armati, tutti maestri nell’arte militare. “Non si possono misurare le nostre forze, protette perfettamente dall’anziano Bhisma; mentre le forze dei Pandava, protette con cura da Bhima, sono limitate. “Ora tutti voi, dai vostri rispettivi posti di combattimento, date tutto il vostro aiuto al grande patriarca Bhisma.” In quel momento Bhisma, il grande e valoroso patriarca della dinastia Kuru, nonno dei combattenti, soffia con forza nella sua conchiglia che risuona come il ruggito di un leone allietando il cuore di Duryodhana”. Allora le conchiglie, i flicorni, i corni, le trombe e i tamburi si mettono a risuonare e l’insieme delle loro vibrazioni provoca un suono tumultuoso. Nell’altro campo, in piedi sul loro maestoso carro attaccato a cavalli bianchi, Krishna e Arjuna soffiano nelle loro conchiglie trascendentali ”».
(Bhagavad Gita Cap.1 verso 1-14)
Sul campo di battaglia sono dunque schierati tutti gli eserciti pronti alla guerra. Arjuna, uomo retto, leale, e sensibile ai valori, vede i suoi parenti, i suoi maestri, e persino i suoi amici tra le file dell’esercito opposto pronti a tutto. Sopraffatto dall’angoscia, dal dolore e dalla compassione, sente venir meno la forza, e confuso cade nello sconforto. Arjuna sta pensando addirittura di rinunciare a combattere:
«“O re, in quel momento, seduto sul suo carro, il cui stendardo porta l’emblema di Hanuman, Arjuna il figlio di Pandu, afferra l’arco, pronto a scoccare le frecce, gli occhi fissi sui figli di Dhritarastra. Poi si rivolge a Hrisikesa [Krishna]. Arjuna disse: O infallibile, Ti prego, conduci il mio carro trai due eserciti affinché possa vedere chi è presente sul campo, chi desidera combattere, chi dovrò affrontare nel corso della battaglia imminente. Lasciami vedere coloro che sono venuti qui a combattere nella speranza di far piacere al figlio malvagio di Dhritarastra.
Sanjaya disse: O discendente di Bharata, SriKrishna ha ascoltato la richiesta di Arjuna e conduce lo splendido carro tra i due eserciti. Davanti a Bhisma, a Drona e a tutti i principi di questa mondo, Hrisikesa il Signore, dice ad Arjuna: “Guarda dunque, o Partha, tutti i Kuru sono riuniti qui”. Arjuna vede allora nei due campi i padri, i nonni, i maestri, gli zii materni, i fratelli, i figli, i nipoti e gli amici, e con loro, il suocero e tutti quelli che gli avevano mostrato tanta benevolenza. Vedendo davanti a sé tutti coloro a cui è unito da legami d’amicizia o di parentela, Arjuna, il figlio di Kunti, è preso da una grande compassione e si rivolge al Signore. Arjuna disse: Caro Krishna, nel vedere i miei amici e parenti schierati davanti a me con spirito bellicoso, sento le mie membra tremare e la mia bocca seccarsi. Tutto il mio corpo rabbrividisce e i miei capelli si rizzano. Il mio arco, Gandiva, mi scivola dalle mani e la pelle mi brucia. O uccisore del demone Kesi, non posso più restare qui. Non sono più padrone di me, e la mia mente si smarrisce. Prevedo solo avvenimenti funesti. Non vedo che cosa possa portare di buono l’uccisione dei miei parenti in questa battaglia; mio caro Krishna, non potrei neppure desiderare un’eventuale vittoria, il regno o la felicità.
O Govinda, a che servono tanti regni, a che serve la felicità, la vita stessa, quando coloro per cui desideriamo questi beni si trovano ora su questo campo di battaglia? O Madhusudana, guarda. Tutta la mia famiglia, padri, figli, nonni, zii materni, suoceri, nipoti, cognati e anche i miei maestri, tutti pronti a sacrificare la loro vita e le loro proprietà, sono schierati di fronte a me. Come potrei desiderare di ucciderli, pur sapendo che altrimenti ucciderebbero me? O sostegno di tutti gli esseri, non sono pronto a combattere contro di loro neanche in cambio dei tre mondi, che dire di questa terra! Che vantaggio avremo dall’uccisione dei figli di Dhritarastra?
Saremo sopraffatti dal peccato se uccidiamo i nostri aggressori. Non è degno di noi uccidere i nostri amici e i figli di Dhritarastra. Che cosa ci guadagneremo? O Krishna, marito della dea della fortuna, come potremo essere felici dopo aver ucciso i nostri stessi parenti?
O Janardana, se questi uomini accecati dalla cupidigia non vedono niente di male nel distruggere la loro famiglia e nel lottare contro i loro amici, perché noi, che vediamo il peccato, dovremmo agire allo stesso modo? Con la distruzione della dinastia crolla l’eterna tradizione familiare, e i discendenti della famiglia rimangono coinvolti in pratiche contrarie alla religione. Quando l’irreligione predomina in una famiglia, o Krishna, le donne si corrompono e dalla degradazione delle donne, o discendente di Vrsni, nasce una prole indesiderata. Con l’aumento di questa prole indesiderata si crea una vita d’inferno per la famiglia e per quelli che hanno distrutto le tradizioni familiari. In queste famiglie corrotte gli antenati si degradano perché non vengono più offerte loro le oblazioni d’acqua e di cibo. A causa degli errori di coloro che distruggono la tradizione familiare e danno vita a una prole indesiderata, tutti i progetti di vita in comune e le attività per il benessere della famiglia vanno in rovina.
O Krishna, sostegno del popolo, so da fonte autorizzata che coloro che distruggono le tradizioni familiari vivono per sempre all’inferno. Ahimè, non è strano che ci apprestiamo ora a commettere crimini così gravi, spinti dal desiderio di godere del piacere della sovranità? Preferirei morire per mano dei figli di Dhritarastra, disarmato e senza opporre resistenza, piuttosto che lottare contro di loro.
Sañjaya disse: Dopo aver così parlato sul campo di battaglia, Arjuna lascia cadere l’arco e le frecce e si siede sul carro con la mente sconvolta dal dolore”».
(Bhagavad Gita Cap.1 verso 20-46)
Capitolo 2 – Il Sāṃkhya Yoga – sintesi del contenuto della Bhagavad-gita:
Janardana (SriKrishna), vedendo lo sconforto del Suo caro amico, inizia il Suo insegnamento spiegando ad Arjuna la fondamentale distinzione tra il corpo materiale, destinato a perire, e l’anima spirituale, eterna ed immortale. Govinda illustra eloquentemente la trasmigrazione delle anime, la natura del servizio disinteressato al Signore Supremo e le caratteristiche che possiede una persona spiritualmente realizzata:
«“ Sanjaya disse: Vedendo Arjuna pieno di compassione e molto triste, con le lacrime agli occhi, MadhusudanaKrishna Si rivolge a lui. La Persona Suprema (Bhagavān) disse: Mio caro Arjuna, come hai potuto lasciarti prendere da una tale debolezza? Non è affatto degna di un uomo che conosce i veri valori della vita. In questo modo non si raggiungono i pianeti superiori ma si guadagna l’infamia. O figlio di Pritha, non cedere a una debolezza così umiliante. Non ti si addice. Lascia questa meschina debolezza di cuore e alzati, o vincitore dei nemici.
Arjuna disse: O uccisore di Madhu, come potrei nel corso della battaglia respingere con le mie frecce uomini come Bhisma e Drona, degni della mia venerazione? Meglio vivere mendicando che vivere al prezzo della vita di grandi anime che sono i miei maestri. Anche se sono avidi, sono ancora i nostri superiori. Se li uccidiamo, la nostra vittoria sarà macchiata di sangue.
Non so se é più giusto vincerli o esserne vinti. Ecco i figli di Dhritarastra, schierati davanti a noi su questo campo di battaglia: la loro morte ci toglierebbe la gioia di vivere. Ora sono confuso, non so più qual è il mio dovere e ho perso la calma a causa di una debolezza meschina. In questa condizione Ti chiedo di dirmi chiaramente ciò che è meglio per me. Ora sono Tuo discepolo e un’anima sottomessa a Te. Istruisci, Ti prego. Non vedo ciò che potrebbe allontanare il dolore che mi opprime. Non potrò eliminarlo neanche se come un dio del cielo regnassi quaggiù su un regno senza uguali.
Sanjaya disse: Avendo così parlato, Arjuna, vincitore dei nemici, dice a Krishna,Govinda: “Non combatterò”; poi tace. O discendente di Bharata,Krishna, tra i due eserciti, sorridendo Si rivolge all’infelice Arjuna. Il Signore Beato, disse: Sebbene tu dica sagge parole, ti affliggi senza ragione. Il saggio non si lamenta né per i vivi né per i morti. Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo, Io, tu e tutti questi re, e mai nessuno di noi cesserà di esistere. Come l’anima incarnata passa, in questo corpo, dall’infanzia alla giovinezza e poi alla vecchiaia, così l’anima passa in un altro corpo all’istante della morte. L’anima realizzata non è turbata da questo cambiamento.
O figlio di Kunti, la comparsa non permanente della gioia e del dolore, e la loro scomparsa nel corso de tempo, sono simili all’alternarsi dell’inverno e dell’estate. Gioia e dolore sono dovuti alla percezione dei sensi, o discendente di Bharata, e si deve imparare a tollerarli senza esserne disturbati. O migliore tra gli uomini [Arjuna], chi non è distratto né delle gioie né dai dolori, ma rimane sereno e risoluto in ogni circostanza, è degno della liberazione. Coloro che vedono la verità hanno dedotto l’eternità del reale [l’anima] e la temporaneità dell’illusorio [ il corpo materiale] dallo studio delle loro rispettive nature. Sappi che non può essere annientato ciò che pervade il corpo. Nulla può distruggere l’anima eterna. L’anima è indistruttibile, eterna e senza dimensioni; soltanto i corpi materiali che assume sono soggetti alla distruzione. Perciò, o discendente di Bharata, combatti. Ignorante è colui che crede che l’anima può uccidere o essere uccisa; il saggio sa che l’anima non uccide né muore. Per l’anima non c’è né la nascita né la morte. Esiste e non smette mai di esistere. Non nasce, non muore, è eterna, originale, non ebbe mai inizio e non avrà mai fine. Non muore quando il corpo muore. O Prtha, una persona che sa che l’anima è indistruttibile, non-nata, eterna e immutabile, come può uccidere o far uccidere? Come una persona indossa vestiti nuovi e lascia quelli usati, così l’anima si riveste di nuovi corpi materiali abbandonando quelli vecchi e inutili ”».
(Bhagavad Gita Cap.2 verso 1-22)
«“ Tu conosci i tuoi doveri di ksatriya perciò dovresti sapere che non c’è migliore impegno per te che quello di combattere secondo i princìpi della religione (Dharma); non puoi esitare. O Prtha, felici sono gli ksatriya a cui si offre l’occasione di combattere, poiché si aprono per loro le porte dei pianeti celesti. Ma se rifiuti di combattere questa giusta battaglia, certamente peccherai per aver mancato al tuo dovere e perderai così la tua fama di guerriero. Gli uomini parleranno per sempre della tua infamia, e per chi ha conosciuto l’onore il disonore è peggiore della morte. I grandi generali che stimarono il tuo nome e la tua fama crederanno che solo per paura hai abbandonato il campo di battaglia e ti giudicheranno un codardo. I tuoi nemici parleranno male di te e derideranno il tuo coraggio. Cosa può esserci di più penoso per te? O figlio di Kunti, se muori combattendo raggiungerai i pianeti superiori, se vinci godrai del regno della Terra. Alzati dunque, e combatti con determinazione.
Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o guadagno, vittoria o sconfitta; così non incorrerai mai nel peccato. Finora ti ho descritto questa conoscenza col metodo analitico. Ascolta adesso mentre te la spiego col metodo dell’azione svolta con intelligenza senza attaccamento al risultato. Quando agirai con questa intelligenza potrai liberarti dai legami dell’azione. In questo sforzo non c’è perdita o diminuzione, e un piccolo passo su questa via ci protegge dalla paura più temibile. Chi si trova su questa via è risoluto nel suo sforzo e persegue un unico scopo. Invece, o figlio amato dei Kuru, l’intelligenza di chi non è risoluto si perde in molte diramazioni. Gli uomini di poca conoscenza si lasciano attrarre dal linguaggio fiorito del Veda, che insegnano le pratiche per raggiungere i pianeti celesti, ottenere una buona nascita, potere e altri benefici simili. Desiderando la gratificazione dei sensi e una vita opulenta, essi non vedono niente più in là. Nella mente di coloro che sono troppo attaccati al piacere dei sensi e alla ricchezza materiale, e sono sviati da questi desideri, la risoluta determinazione a servire il Signore Supremo con devozione non trova posto. O Arjuna, supera le tre influenze della natura materiale che costituiscono l’oggetto principale dei Veda. Liberati d ogni dualità, dall’ansia di guadagno e di sicurezza materiale e stabilisciti nel sé. Come una grande riserva d’acqua adempie a tutte le funzioni del pozzo, così colui che conosce il fine supremo dei Veda raccoglie tutti i benefici che i Veda procurano. Tu hai il diritto di compiere i tuoi doveri prescritti, ma non di godere dei frutti dell’azione. Non considerarti mai la causa dei risultati delle tue attività e non cercare mai di sfuggire al tuo dovere. Compi il tuo dovere con fermezza, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento. Questa equanimità si chiama yoga. O Dhananjaya, liberati da te tutte le attività interessate col servizio di devozione, e prendi rifugio in esso. “Avari” sono coloro che vogliono godere dei frutti del loro lavoro. L’uomo impegnato nel servizio devozionale si libera dalle conseguenze buone o cattive dell’azione in questa stessa vita. Sforzati dunque di apprendere lo yoga, l’arte dell’agire. Il saggio impegnato nel servizio devozionale al Signore rinuncia, in questo mondo, ai frutti delle sue azioni. Si libera così dal ciclo di nascite e morti e raggiunge il livello che è al di là di ogni sofferenza. Quando la tua intelligenza avrà superato la densa foresta dell’illusione, diventerai indifferente a tutto ciò che hai ascoltato e a tutto ciò che potrai ancora ascoltare. Quando la tua mente non sarà più distratta dal linguaggio fiorito dei Veda e rimarrà fissa nell’estasi della realizzazione spirituale, avrai raggiunto la coscienza divina.
Arjuna disse: O Krishna, quali sono i sintomi di una persona la cui coscienza è immersa nella Trascendenza? come parla e con quali parole? come si siede e come cammina?
Il Signore Beato disse: O Prtha, quando un uomo si libera da ogni tipo di desideri materiali generati dalla speculazione mentale e quando la sua mente trae soddisfazione solo dall’anima, significa che è situato nella pura coscienza trascendentale. Chi non è più turbato dalle tre forme di sofferenza né inebriato dalle gioie della vita, ed è libero dall’attaccamento, dalla paura e dalla collera, è considerato un saggio dalla mente ferma. Colui che non ha attaccamenti, che non si rallegra nella felicità e non si lamenta nel dolore, è fermamente situato nella conoscenza perfetta”».
(Bhagavad Gita Cap.2 verso 31-57)
«“…Dalla collera nasce la completa illusione, e dall’illusione la confusione della memoria. Quando la memoria è confusa l’intelligenza è perduta, e quando l’intelligenza è perduta l’uomo cade nuovamente nell’oceano dell’esistenza materiale. Ma colui che è libero da ogni attaccamento e avversione ed è capace di controllare i sensi osservando i princìpi regolatori della libertà riceve dal Signore la Sua piena misericordia. Per chi è situato nella coscienza divina le tre forme di sofferenza materiale non esistono più; in questo stato di felicità, presto la sua intelligenza diventa ferma.
Colui che non è in unione col Supremo non può avere né una mente controllata né un’intelligenza ferma, senza le quali non è possibile la pace. E come può esserci la felicità senza la pace?
Come un vento impetuoso spazza una barca sull’acqua, anche uno solo dei sensi su cui la mente si fissa può portare via l’intelligenza dell’uomo.
Perciò, o Arjuna dalle braccia potenti, chi distoglie i sensi dai loro oggetti possiede un’intelligenza ferma.
Quella che per tutti gli esseri è la notte è l’ora della veglia per l’uomo che ha il controllo di sé; quello che per tutti è il tempo della veglia è la notte per il saggio raccolto.
Come l’oceano resta immutato nonostante le acque che vi si gettano, così soltanto l’uomo che non è turbato dal fluire incessante dei desideri che entrano in lui come fiumi, può ottenere la pace, non l’uomo che lotta per appagarli. Soltanto colui che non è più attratto dai piaceri materiali ed è libero dai desideri, che ha lasciato ogni senso di possesso ed è senza falso ego può raggiungere la vera pace. Questa è la via della vita spirituale e divina, e dopo averla raggiunta l’uomo non è più confuso. Colui che intraprende questa via fosse anche in punto di morte, entra nel regno di Dio ”».
(Bhagavad Gita Cap.2 verso 63-72)
In sostanza Krishna sta dicendo ad Arjuna, e di conseguenza ad ognuno di noi che ascoltiamo il medesimo insegnamento, di liberare la mente dalle preoccupazioni, dalle abitudini, dalle paure e dalle illusioni di cui l’uomo è prigioniero, e di combattere non per la gloria e la fama, ma per onorare Dio e quei saldi princìpi di legalità che sono alla base degli insegnamenti tradizionali. E’ In questo modo che Arjuna potrà vivere per sempre in Lui attraverso questa offerta. Krishna fa intendere al suo più intimo devoto che in ballo c’è molto di più di un diverbio tra due nobili casate familiari in lotta tra loro per il potere terreno.
Capitolo 3 – Il karma-yoga:
In questo capitolo viene spiegato al confuso Arjuna come, agendo per il piacere del Signore Supremo e abbandonando gli atti egoistici, sia possibile svincolarsi dalle leggi del Karma (azione- reazione) ed ottenere la conoscenza trascendentale del sé e del Divino. Il Karma-yoga (altro nome delBhakti Yoga), ossia l’azione compiuta con piena conoscenza della relazione che ci unisce all’Assoluto, è una pratica destinata a coloro che, pur avendo ancora desideri materiali, cercano l’evoluzione spirituale: questa via mira a liberare l’anima condizionata da ogni contaminazione materiale attraverso delle purificazioni. La Bhagavad Gita ci spiega che questo Yoga è la via dell’azione mediante la coscienza spirituale per mezzo del totale abbandono al Signore Supremo:
«“Arjuna disse: O Janardana, o Kesava, perché mi inciti a questa orribile battaglia, se consideri l’intelligenza superiore all’azione interessata? La mia intelligenza è confusa dalle Tue istruzioni equivoche. Ti prego, indicami in modo definitivo la via migliore per me.
Il Signore Beato disse: O Arjuna senza peccato, come ho già spiegato, ci sono due tipi di uomini che cercano di realizzare la Verità Assoluta. Alcuni tentano di capirla con l’empirismo o ricerca filosofica, altri con attività devozionale. Non è semplicemente astenendosi dall’agire che ci si può liberare dalle conseguenze dell’azione; la rinuncia soltanto non è sufficiente per raggiungere la perfezione. Tutti gli uomini sono inevitabilmente costretti ad agire sotto le influenze della natura materiale; perciò nessuno può astenersi dall’agire, nemmeno per un istante. Colui che controlla i sensi, ma ha la mente ancora legata agli oggetti dei sensi, certamente s’illude ed è un simulatore. Invece, una persona sincera che cerca di controllare i sensi attraverso la mente e senza attaccamento s’impegna nel karma-yoga [nella coscienza di Krishna] è di gran lunga superiore. Compi il tuo dovere, perché l’azione è migliore dell’inazione. Senza agire l’uomo è incapace perfino di mantenere il proprio corpo. L’attività dev’essere compiuta come sacrificio a Visnu, altrimenti lega il suo autore a questo mondo materiale. Perciò, o figlio di Kunti, compi il tuo dovere al fine di soddisfare Visnu e sarai per sempre libero dai legami della materia.
All’inizio della creazione il Signore di tutte le creature generò uomini ed esseri celesti, insieme con i sacrifici a Visnu, e li benedisse dicendo: “Siate felici compiendo questi yajña [sacrifici], poiché essi vi porteranno tutto ciò che desiderate per vivere felicemente e raggiungere la liberazione”.
Gli esseri celesti, soddisfatti dai sacrifici, a loro volta vi soddisferanno, e da questo scambio nascerà la prosperità per tutti. Soddisfatti dal compimento dei yajña [sacrifici], gli esseri celesti, incaricati delle varie necessità della vita, provvedono a tutte le necessità dell’uomo. Ma colui che gode dei loro doni senza offrirli in cambio agli esseri celesti è certamente un ladro.
I devoti del Signore sono liberi da ogni peccato perché mangiano solo cibo offerto in sacrificio. Gli altri, che preparano i cibi solo per il proprio piacere, in verità mangiano solo peccati.I corpi di tutti gli esseri viventi si nutrono di alimenti che crescono con le piogge. E le piogge vengono grazie al yajña [sacrificio], e il yajña nasce dal compimento del dovere prescritto.I doveri prescritti sono stabiliti dai Veda, e i Veda sono direttamente emanati da Dio, la Persona Suprema.
Perciò la Trascendenza onnipresente si trova eternamente negli atti di sacrificio. Mio caro Arjuna, l’uomo che non compie i sacrifici prescritti dai Veda vive certamente nella peccato, poiché colui che vive solo per la soddisfazione dei sensi vive invano. Tuttavia colui che trae piacere nel se, che è illuminato nel se, che gioisce ed è soddisfatto solo nel sé, pienamente appagato, non ha più alcun dovere. L’uomo che ha realizzato la sua identità spirituale non ha interessi personali nell’adempiere i suoi doveri, né ha motivo di non compiere tali doveri. Inoltre non ha bisogno di dipendere da altri esseri viventi.Si deve agire per dovere, dunque, ed essere distaccati dai frutti delle azioni, perché agendo senza attaccamento si raggiunge il Supremo.”».
(Bhagavad Gita Cap.3 verso 1-19)
« “ … L’anima sviata dal falso ego crede di essere l’autrice delle proprie azioni, che in realtà sono compiute dalle tre influenze della natura materiale.O Arjuna dalla braccia potenti, colui che conosce la Verità Assoluta non si preoccupa dei sensi e della gratificazione dei sensi, perché sa qual è la differenza tra l’azione devozionale e l’azione interessata. Sviato dalle influenze della natura materiale, l’uomo ignorante s’impegna completamente nelle attività materiali, a cui rimane attaccato. Ma il saggio non deve turbarlo, sebbene queste attività siano inferiori per la mancanza di conoscenza di chi le compie.
Perciò, dedicando a Me tutte le tue attività e con la mente assorta in Me, combatti, o Arjuna, libero da ogni motivazione personale, dall’egoismo e dall’indolenza. Coloro che compiono il proprio dovere secondo le Mie istruzioni e seguono questo insegnamento con fede, e senza invidia, si liberano dai legami dell’azione interessata. Ma coloro che per invidia trascurano questi insegnamenti e non li praticano regolarmente sono considerati privi di conoscenza, illusi e destinati a fallire nel loro tentativo di raggiungere la perfezione.
Anche il saggio agisce secondo la propria natura, poiché è così per tutti gli esseri.
A che serve dunque reprimere questa natura?
Si devono seguire i princìpi che regolano i sensi e il loro contatto con gli oggetti dei sensi per non cadere sotto il controllo dell’attaccamento e dell’avversione, perché entrambi sono ostacoli sulla via della realizzazione spirituale.
È’ meglio compiere il proprio dovere, seppure in modo imperfetto, che compiere il dovere di un altro. È meglio fallire o morire compiendo il proprio dovere piuttosto che compiere il dovere di un altro, poiché seguire la via altrui è pericoloso.
Arjuna disse: O discendente di Vrsni, che cosa spinge l’uomo a peccare, anche contro il suo volere, come se vi fosse costretto?
Il Signore Beato disse: È lussuria soltanto, o Arjuna.
Nata dal contatto con l’influenza materiale della passione, poi trasformatasi in collera, è il nemico devastatore del mondo e la sorgente del peccato.
Come il fuoco è coperto dal fumo, lo specchio è coperto dalla polvere e l’embrione è coperto dall’utero, così l’essere vivente è coperto da differenti gradi di lussuria.
Così, o figlio di Kunti, la coscienza pura dell’uomo è coperta dalla lussuria, sua eterna nemica, insaziabile e bruciante come il fuoco. I sensi, la mente e l’intelligenza sono i luoghi in cui si annida la lussuria che oscura la vera conoscenza dell’essere vivente e lo confonde.
Perciò, o Arjuna, migliore dei Bharata, stronca subito questo grande simbolo del peccato [la lussuria], regolando i sensi. Annienta questo devastatore della conoscenza e della realizzazione spirituale.
I sensi attivi sono superiori alla materia inerte, ma superiore ai sensi è la mente, e superiore alla mente è l’intelligenza. Ancora più elevata dell’intelligenza è l’anima. Sapendo di essere trascendentale ai sensi, alla mente e all’intelligenza materiale, si deve rendere stabile la mente con un’intelligenza spirituale risoluta [la coscienza di Krishna] e così con la forza spirituale conquistare questo nemico insaziabile, la lussuria”».
(Bhagavad-gita Cap. 3 verso 27-43)
Capitolo 4 – La conoscenza trascendentale:
In questo capitolo Krishna offre ad Arjuna la conoscenza spirituale sulle questioni inerenti all’anima individuale, a Dio e alla loro reciproca relazione. Spiega in sostanza come la conoscenza celeste (Jñāna) abbia in realtà il potere di purificare e di liberare le anime incarnate. Tutte le anime condizionate (Nityabhadda) hanno un concetto errato del loro sè individuale. Questa falsa concezione, chiamata Ahankara, li spinge a ricercare l’appagamento dei sensi senza tener conto della propria natura, che rende di fatto impossibile tale soddisfazione. Questa conoscenza è il frutto maturo dell’azione devozionale disinteressata ed essa è il nettare stesso del Karma-yoga. La Persona Suprema spiega inoltre in questo capitolo le origini degli insegnamenti espressi nella Bhagavad Gita e rivela la finalità e il significato delle Sue discese nel mondo materiale sotto vari Avatāra. E’ qui che Krishna invita Arjuna a combattere per “sconfiggere il mondo”, inteso come quel sistema e/o trappola mortale per l’anima condizionata turbata dalla burrascosa esistenza terrena.In questo capitolo viene anche esposta la necessità di avvicinare in questo mondo un maestro realizzato (tipico insegnamento della tradizione indù). Data l’estrema importanza, il capitolo in questione sarà riportato integralmente:
«“ Il Signore Beato disse: Ho insegnato questa scienza immortale dello yoga a Vivasvan, il dio del sole, e Vivasvan l’ha insegnata a Manu, padre dell’umanità, e Manu a sua volta l’ha insegnata a Ikvaku. Questa scienza suprema fu trasmessa attraverso la successione di maestri e i re santi l’hanno ricevuta in questo modo. Ma col tempo la successione dei maestri si è interrotta e questa scienza così com’è sembra ora perduta. Oggi, t’insegno questa antichissima scienza della relazione col Supremo perché tu sei Mio devoto e Mio amico e puoi dunque capire il mistero trascendentale di questa scienza. Arjuna disse: Vivasvan, il dio del sole, è nato molto prima di Te; come concepire che sia stato Tu, in origine a dargli questa scienza? Il Signore Beato rispose: Entrambi, tu ed Io, abbiamo attraversato innumerevoli nascite. Io posso ricordarle tutte, ma tu no, o vincitore dei nemici. Anche se Io sono il non nato e il Mio corpo trascendentale non si deteriora mai, anche se sono il Signore di tutti gli esseri viventi, discendo in ogni era nella Mia forma originale e trascendentale.
Ogni volta che in qualche luogo dell’universo la religione (Dharma) declina e l’irreligione avanza (quando la Tradizione è in decadenza), o discendente di Bharata, Io vengo in persona. Discendo di era in era per liberare le persone pie, annientare i miscredenti e ristabilire i princìpi della religione. O Arjuna, colui che conosce la natura trascendentale della Mia apparizione e delle Mie attività non dovrà più rinascere nel mondo materiale quando lascia il corpo, ma raggiunge la Mia dimora eterna. Liberi dall’attaccamento, dalla paura e dalla collera, completamente assorti in Me e cercando rifugio in Me, numerosi sono coloro che in passato si purificarono imparando a conoscerMi, e tutti svilupparono così un trascendentale amore per Me.
Tutti seguono la Mia via in un modo o nell’altro, o figlio di Prtha, e come si abbandonano a Me in proporzione Io li ricompenso.
In questo mondo l’uomo aspira ai frutti dell’azione, e per questo adora gli esseri celesti. Certamente quaggiù raccoglie in breve tempo il frutto del suo lavoro.
Io ho creato le quattro divisioni della società secondo le tre influenze della natura materiale e le attività che esse impongono all’uomo. Ma sappi che sebbene Io le abbia create non agisco all’interno di esse perché sono immutabile.
L’azione non Mi contamina e Io non aspiro ai frutti dell’azione. Colui che conosce questa verità su di Me non s’impiglia, neppure lui nelle reazioni dell’attività interessata.
Tutte le anime liberate del passato hanno agito con questa conoscenza. Perciò compi il tuo dovere seguendo il loro esempio.
Anche l’uomo intelligente rimane perplesso quando si tratta di determinare ciò che è l’azione e ciò che è l’inazione. Ora t’insegnerò che cos’è l’azione e questa conoscenza ti libererà da ogni peccato.
La natura intricata dell’azione è molto difficile da capire; bisogna perciò distinguere bene tra l’azione, l’azione proibita e l’inazione.
Colui che vede l’inazione nell’azione e l’azione nell’inazione si distingue per la sua intelligenza, e sebbene impegnato in ogni sorta di attività si situa sul piano trascendentale.Colui che agisce libero da ogni desiderio di gratificazione dei sensi è considerato fermamente situato nella conoscenza. Di lui, i saggi affermano che il fuoco della conoscenza perfetta ha ridotto in cenere le conseguenze dei suoi atti.
Abbandonando ogni attaccamento al risultato dall’azione, sempre soddisfatto e indipendente, egli non compie azioni interessate, benché impegnato in ogni tipo di attività.Quest’uomo di conoscenza agisce con mente e intelligenza perfettamente controllate, rinuncia a ogni senso di possesso e agisce solo per provvedere ai suoi stretti bisogni vitali. Così facendo non è colpito dalle reazioni del peccato.Chi è soddisfatto di ciò che giunge spontaneamente, chi è libero dalla dualità e dall’invidia, ed è equanime nel successo e nel fallimento, benché agisca non rimane mai legato dalle sue attività.
Le azioni dell’uomo che non subisce le influenze della natura materiale ed è pienamente situato nella conoscenza trascendentale si fondono completamente nella Trascendenza.L’uomo pienamente assorto nella coscienza di Krishna è sicuro di raggiungere il regno spirituale, perché le sue azioni sono tutte spirituali: sia con la consumazione che con l’offerta esse partecipano dell’Assoluto. Alcuni yogi adorano perfettamente gli esseri celesti offrendo loro diversi sacrifici, altri offrono sacrifici nel fuoco del Brahman Supremo.
Alcuni sacrificano l’udito e gli altri sensi nel fuoco della mente controllata, altri sacrificano il sonno e gli altri oggetti dei sensi nel fuoco dei sensi.
Coloro che desiderano raggiungere la realizzazione spirituale controllando la mente e i sensi offrono in sacrificio, nel fuoco della mente controllata, le attività dei sensi e il soffio vitale.Seguendo rigidi voti, alcuni diventano illuminati dal sacrificio dei beni materiali, e altri dal compimento di severe austerità, dalla pratica dello yoga in otto fasi, o dallo studio dei Veda per acquisire la conoscenza trascendentale.
Alcuni, inoltre, cercano l’estasi nel controllo del respiro e si esercitano a fondere il soffio espirato nel soffio inspirato, e l’inverso; giungono così a sospendere ogni respirazione e a conoscere l’estasi. Altri ancora, limitando il nutrimento, sacrificano il soffio espirato in se stesso.
Coloro che conoscono lo scopo del sacrificio sono liberati dalle reazioni del peccato; avendo gustato il nettare dei frutti del sacrificio, raggiungono l’atmosfera suprema ed eterna.
O migliore della dinastia Kuru, senza sacrifici non si può vivere felici su questo pianeta o in questa vita; che dire della prossima?
Tutti questi sacrifici sono autorizzati dai Veda e sono concepiti secondo le diverse forme dell’azione. Sapendo questo otterrai la liberazione.
O vincitore del nemico, il sacrificio nella conoscenza è superiore al sacrificio dei beni materiali, poiché il sacrificio dell’azione culmina nella conoscenza trascendentale, o figlio di Prtha.
Cerca di conoscere la verità avvicinando un maestro spirituale, ponigli delle domande con sottomissione e servilo. L’anima realizzata può rivelarti la conoscenza perché ha visto la verità.
E quando avrai appreso la verità da un’anima realizzata non cadrai mai più nell’illusione perché capirai che tutti gli esseri sono parte del Supremo o, in altre parole, Mi appartengono.
Anche se tu fossi considerato il peggiore dei peccatori, una volta salito sul vascello della conoscenza trascendentale riuscirai a superare l’oceano della sofferenza. Simile al fuoco ardente che riduce il legno in cenere, o Arjuna, il fuoco della conoscenza riduce in cenere tutte le reazioni delle attività materiali.
In questo mondo, niente è così puro e sublime come la conoscenza trascendentale. Questa conoscenza è il frutto maturo di tutto il misticismo. Colui che è diventato maturo nella pratica del servizio di devozione gode in sé stesso di questa conoscenza nel corso del tempo.
L’uomo di fede, assorto nella conoscenza trascendentale e maestro dei sensi, conquista presto la suprema pace spirituale. Ma gli ignoranti e i miscredenti, che dubitano delle Scritture rivelate, non possono diventare coscienti di Dio. Per colui che dubita non c’è felicità né in questa vita né nella prossima.
L’uomo che agisce nel servizio devozionale rinunciando ai frutti dell’azione, e ha eliminato i dubbi con la conoscenza trascendentale, è fermamente stabilito nel sé, perciò non è legato dall’azione, o conquistatore delle ricchezze.
I dubbi che sono sorti nel tuo cuore a causa dell’ignoranza devono dunque essere troncati con l’arma della conoscenza. Armato dello yoga, o Bharata, alzati e combatti”».
(Bhagavad-gita Cap.4 verso 1-42)
Continua…
Michele Perrotta
(tratto dal saggio “Krishna e la metafisica del divino amore” , disponibile al seguente indirizzo:
https://www.amazon.it/Krishna-metafisica-del-divino-amore/dp/8827843159/ref=asc_df_8827843159/?tag=googshopit-21&linkCode=df0&hvadid=498945106212&hvpos=&hvnetw=g&hvrand=8973373236849030102&hvpone=&hvptwo=&hvqmt=&hvdev=c&hvdvcmdl=&hvlocint=&hvlocphy=1008311&hvtargid=pla-1348523388387&psc=1)