Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
L’essenza iniziatica in Hegel secondo Giandomenico Casalino – Luca Valentini
“non si ha più coscienza di alcunchè
poiché non si possiede alcunchè di estraneo a sé stessi,
si è semplicemente sè stessi in quanto si è Lui!“(1)
Il semantema del sapere filosofico è intimamente antimoderno, esso si differenzia dall’astrattismo intellettuale del pensiero disarcionato dalla concretezza dell’Essere, per divenire conoscenza effettiva, solo ove un processo di liberazione sappia coniugare lo spirito universale alla consapevolezza interiore. In ciò la filosofia hegeliana assurge al rango non di teoresi ma di prassi, platonica, in una struttura sapienziale che ricostruisca ermetica l’identificazione tra pensiero primo e Dio primo, infrangendo il dualismo tanto religioso quanto scientista. Nella prospettiva di Hegel il sapere si configura essere riconoscibilità e philia del e con il Divino, ove la palingenesi si realizza allorquando il filosofo – sempre nell’accezione arcaica – sappia dimenticare la realtà psicologica cosciente per ricordarsi del daimon che alberga entro la propria personalità.
Su tale linea ermeneutica si pone il nuovo testo dell’amico Giandomenico Casalino, che per le meritorie Edizioni Arya di Genova, ha recentemente pubblicato “L’Essenza iniziatica del sapere in Hegel”, in cui il principio di identificazione ermetico diviene, platonicamente, lo svelamento di una realtà già preesistente all’uomo stesso ed alla sua esperienza transitoria e terrena. Il nocciolo fondante della tematizzazione si palesa in una fenomenologia non sensoria ma spirituale del mondo e oltre il mondo stesso, determinandosi la perdita di ciò che ci appartiene solo illusoriamente. Nell’opera ermeticamente filosofica di Hegel, secondo il Casalino, è doveroso rintracciare l’Io che smarrisce la propria coscienza per l’affermazione solitaria dell’Io stesso, in un circolo trasmutatorio grazie al quale il fondamento è in realtà non possederne uno, per un’identificazione diretta e totale, senza separazione alcuna:
“Solo Tu, giunto nei suoi pressi, vieni a conoscere che il Mondo è da sempre come lo è Ora, in questo Istante, vedi che lo siete (Tu e il Mondo) sempre stati e da sempre e per sempre” (2).
Ciò che è possibile inquadrare nell’ambito espressivo dell’anima cosciente si dipana in una prassi dialettica conciliativa che possa valorizzare il compimento della totalità originaria. Quando Hegel esprime il richiamo perentorio all’Assoluto
“Dell’Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto, o svolgimento di sè stesso “(3),
in profondità recupera la generazione polare e molteplice del Dio nel mondo, ove la dialettica si articola essere la manifestazione di una potestà trascendente che rimane in sé nonostante voglia, volontariamente, dispiegarsi lontana da sé. Per tale motivo, nell’opera dell’autore, si palesa l’inversione del pensiero analitico e della coscienza sensista. L’attimo della philia identificativa con il Dio si realizza essere l’attimo dell’estrema solitudine, ove neanche è la percezione di noi stessi potrà soccorrerci:
“scissione, emanazione, effusione, venir fuori, uscir fuori, prorompere sono tutte parole molto diffuse anche nei tempi moderni, ma che non dicono niente…Plotino non è dialettico, non sa uscire da se stesso, né ritornare in se stesso da se stesso come coscienza” (4).
L’intuizione di Casalino approfondisce l’essenzialità del pensiero originario rispetto alla coscienza, in cui la circolazione ermetica del sapere si polarizza ma non si dualizza nell’esperienza cosmica, permanendo nella sua radicale unità, tramite cui la speculazione hegeliano recupera anche il concetto stesso di “speculum”, inteso non come riflesso fenomenologico del trascendente, ma come riproposizione attiva dell’Intero nella molteplicità. In tale prospettiva, la rievocazione classica dell’ascesi filosofica si pone essere quale metodo catartico interiore capace di ricondurre l’uomo oltre la sua mera individuazione temporale e spaziale, nell’identificazione sacrale concepita quale omòiosis theò ovvero quale risultante platonica di ciò che l’autore spesso nei suoi scritti definisce il “Rito Filosofico Interiore”:
“è il riconoscimento della sua natura divina nell’uomo stesso che tale non è più, consistendo in ciò quanto nella Tradizione iniziatica è definito identificazione integrale”(5).
Tutto ciò dimostra inesorabilmente come il costrutto hegeliano debba essere espunto dal linguaggio analitico della filosofia moderna, dell’umanizzazione e del disconoscimento di un piano ontologico differente, ove il Sacro, se percepito e non ragionato, può nuovamente palesarsi. Le tratturazione sistematiche del pensiero analitico si ritirano dinanzi alla conoscenza effettiva del mondo, che non ipotizza, ma afferma e procede per negazione del transitorio. Vi è, dal nostro punto di vista, il pieno superamento della rappresentazione formale, per un’accezione del sapere ove non si presentano due realtà noetica differenti – sarebbe un’aporia dal punto di vista logico – filosofico – ma la catartica espressione di una realtà che riconosce di non esser stata più radicalmente sé stessa. Come nelle istruzioni dell’alessandrino Ieracle (6), la coscienza diviene uno stato preliminare da abbandonare, tramite l’ascesi per il filosofo, tramite la purificazione per il teurgo, per favorire di un’ontologia che presupponga uno slancio verso l’abisso – altezza dell’Essere. Qui, l’Assoluto non concepisce se stesso come Divinità limitata e limitante, ma esprime la potestà splendente che determina una visione. Il Casalino dedica la sua Appendice, infatti, al tema della libera partecipazione al fine ultimo degli universali ovvero al proprio riconoscimento. La thèosis diviene, pertanto, al divinificazione di un sapere che si traduce in conoscenza concreta, filosofia della prassi che si esplicita quale fenomenologia dell’oggetto e non dell’assunto.
Come nell’esperienza estatica dei Misteri e come riporta l’autore nella sua Appendice, ripercorre quel processo di perfezionamento noetico, così come espresso anche da Plotino, che realizza il corpo luminoso che determina lo smarrimento volontario della propria coscienza ordinaria:
“Questa è la vita degli dei e degli uomini divini e beati; distacco dalle cose di quaggiù, vita che non si compiace più delle cose terrene, fuga di solo a solo” (7).
La disposizione di concetto espressa da Casalino rinverdisce l’assioma risolutorio del dualismo cristiano tra soggetto ed oggetto e tra conoscente e conosciuto, in cui la dimensione magico – esoterica di Hegel riattualizza non solo il lignaggio tedesco ed idealista di un Jacob Böhme, ma anche l’intera cultura classica e platonica espressa da Proclo. Il sapere hegeliano, così come espresso dal Casalino, esplicita una dimensione dello spirito che si pone ben al di là della conflittuale concezione filosofica della modernità, riaccendendo il faro della stretta attenzione sulla complessità della vita e del cosmo, ben distanziandosi dalla troppo umana semplicità alienante del presente.
Se da un punto di vista sapienziale, riteniamo che la valenza ieratica della filosofia antica, così come espressa da Plotino e riproposta da Hegel, possa risultare assolutamente basilare nella strutturazione di un viatico maieutico, ribadiamo come, dal nostro punto di vista – dissenziente rispetto a quello dell’autore – , essa debba comportare ed integrare ciò che uno Ierocle o un Giamblico concepivano essere una ieratikè teknè, una pratica rituale teurgica, quale incarnazione totalizzante del Dio nell’operatore richiamante.
Permane, però, in riferimento al testo in analisi, l’importanza di una profonda tematizzazione tradizionale che consente al Casalino di superare magistralmente la dialettica oppositiva entro cui molti commentatori restringono alla filosofia hegeliana, disvelando, al contrario, tutte le valenze ermetiche Hegel ha saputo inquadrare nella propria riflessione. La coscienza, in conclusione, nega sè stessa per la visione del non-essere, che non è vuoto, ma è pienezza inespressa del trascendente, dell’immanente e dell’indicibile:
“Pertanto qui osiamo tentare di ‘parlare’ di ciò di cui non si può dire niente! E ciò è l’Indicibile, essendo Nòesis (Visione, Intuizione); questa è l’essenza della divina follia, che è la vera mania platonica, procuratrice di beni agli uomini ed agli Stati!” (8).
Note:
1 – Giandomenico Casalino, L’Essenza iniziatica del sapere in Hegel, Edizioni Arya, Genova 2023, p. 55;
2 – Ivi, p. 28;
3 – Hegel, prefazione a Fenomenologia dello Spirito, trad. it. in Grande Antologia Filosofica, vol. XVIII, pag. 498, Milano, Marzorati, 1971;
4 – Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, in «Samtliche Werke», a cura di H. Glockner, Frommann, Stoccarda, 1959, pag. 67;
5 – Giandomenico Casalino, op. cit., p. 69;
6 – Ierocle di Alessandria, In Carmen Aureum, p. 117, 8-10: “E’ necessario rendere il corpo luminoso puro e immateriale, così da permettergli la comunione con i corpi eterei”;
7 – Plotino, Enneadi, VI, 9, 11;
8 – Giandomenico Casalino, op. cit., p. 71.
Luca Valentini