L’esoterismo della Tradizione di Roma svelato dai simboli e dalla dottrina della Filosofia Ermetica – Giandomenico Casalino
Noi possiamo cogliere la dimensione profonda, sostanziale, in una parola l’ontologia del ciclo eroico-guerriero romano (come anche di quello ellenico) solo “guardandolo” dal punto di vista ermetico-alchemico. Se la Tradizione di Roma, infatti, si configura come Via Eroica al Sacro, al di là ed al di sopra della metafisica della storia e della relativa visione di carattere tradizionale, è necessario penetrare ancora di più in tale Realtà (che è poi la costante dell’Occidente, dell’Europa, cioè della razza dello spirito indoeuropea) per cercare di giungere al suo nocciolo esoterico, procedendo secondo le precise leggi che la Tradizione Ermetica stessa insegna per quanto riguarda proprio la Via Eroica al Sacro, cioè per quel tipo di realizzazione del Sé che qualifica il guerriero nel suo eroico tentativo di restaurare la Regalità Divina Primordiale.
Si riscontra, allora, sempre restando nella Visione, pertanto oggettiva, della Tradizione e delle sue norme, l’analogia tra la Via Romana al Sacro secondo il punto di vista metastorico della dottrina delle Età e del ciclo romano come eroico-uranio occidentale e la stessa realtà metafisica (cioè la medesima Via Romana al Sacro) secondo il punto di vista ancora più interno, cioè effettivamente esoterico, della dottrina e pratica ermetico-alchemica.
Si procede, quindi, per via analogica ed anagogica dove “tutto ciò che è in basso (la dimensione metastorica) è simile a tutto ciò che è in alto (la dimensione ermetico-alchemica) e viceversa”; sarebbe a dire che il Romano realizza il Sacro mediante la Via Eroica allo stesso, con un procedimento la cui dimensione, tecnica e significato è tempo di individuare, volgendo lo sguardo a quella che, Julius Evola definisce “variante eroica della Tradizione Primordiale”, cioè la Tradizione Ermetica, qualificata proprio dalla eroica ricostruzione dell’Oro.
Balza agli occhi, a questo punto, sia nella Romanità a livello storico-religioso nonché mitico (e quest’ultimo sappiamo essere in Roma al contempo storico) che nella stessa Tradizione Romana, secondo l’esoterismo ermetico-alchemico, la fondamentale ed indispensabile presenza, nell’iniziazione eroica, nel “senso sacro della guerra”, della qualificazione guerriera che, sola, permette tale “Via al Cielo”. Si tratta, in buona sostanza, dell’elemento Marte, sul quale è necessario pensare in modo organico e completo, cioè tradizionale. La qualità marziale deve essere pertanto esaminata sia come Astro (in Astrologia), come Nume (in Mitologia e nella generale Visione del Divino), che come Metallo (in Alchimia), penetrando così nella corrispondenza magica Astro-Dio-Metallo, la quale dimostra che la qualità Marte è UNA, vuoi che la si veda nelle viscere della Terra (Metallo), vuoi che la si veda nei Cieli (Astro), che nei centri corrispondenti nell’uomo stesso (quando, esotericamente, questi la realizza e la conosce come Nume). Attraverso Marte e per mezzo della Spirale di Stefanio, restando sempre nella dimensione ermetica della Romanità, si può e si deve pensare il Nume Venere in unione androginica con Marte stesso e solo tale percorso spirituale consente di affrontare e trattare la vexata quaestio del Nome segreto di Roma (cfr. G. Casalino, Il nome segreto di Roma. Metafisica della romanità, Roma 2003).
Per quanto concerne l’altro aspetto dell’Ascesi dell’Azione, tipica del Romano, cioè il Diritto, si deve innanzitutto partire dalla pacifica constatazione che, come in ogni sana tradizione, il Diritto Romano Arcaico è Diritto Divino. Anche qui, però, non ci si deve fermare a questo livello di natura storico-religiosa, ma, individuato il Rito giuridico-religioso come fondamento vero ed unico della Res Publica, è necessario cercare di specificare fenomenologicamente la natura del rapporto che vi è tra il Romano che procede con tale Rito e lo Invisibile; infatti il Romano crea il visibile per effetto della sua azione magica sull’Invisibile, pertanto è necessario individuare quale stato dello spirito qualifichi e distingua la razza di Roma nel realizzare il Fas, cioè, in termini esoterici, quale è la dottrina interna del Diritto Romano Arcaico, posseduta per carattere, non scritta, non parlata, naturale ed implicita nella secchezza del romano, nella sua essenziale “potenza” dello Spirito.
Giungiamo, così, a poter affermare che sia la Guerra Sacra (Mars) che il Diritto Divino (Fas, Juppiter) sono i due livelli (nell’uomo romano, antropologicamente parlando, sono sempre uno…), in cui si esplica l’Azione o meglio l’Ascesi dell’Azione, sarebbe a dire la Via Eroica, la cui sostanza si può trovare, come crediamo di aver dimostrato nei nostri libri, solo nella Tradizione Ermetica. Anzi, lungo questo percorso di pensiero come visione del cuore, si arriva a concludere che, dal momento che la Tradizione Ermetica si è chiamata Arte Regale, che essa ha scelto per Simbolo centrale quello solare e regale dell’Oro, il quale si riferisce alla Tradizione Primordiale, e che in essa, lungi dallo scoprire l’Oro si parla di fabbricarlo, essendo ciò un indice di quanto sia fondamentale e qualificante in questa Tradizione il momento dell’Azione, cioè eroico (nel significato di riconquista di ciò che si è perduto) e che, ancora, tale elemento eroico (Marte), finalizzato alla restaurazione dell’Oro (l’Impero Sacro, la Trascendenza immanente), si trova solo nella Romanità, come unica Via al Sacro della stessa e solo in essa con tutta la sua tecnica organicamente sviluppata; si giunge ad affermare, come si diceva, che fuori dalla Tradizione Classica e Romana non vi è Tradizione Ermetica!
Sarebbe a dire che, escludendo l’elemento eroico-guerriero, cioè uscendo dalla Tradizione di Roma, e più in generale dalla spiritualità attiva indoeuropea, viene a mancare quel “momento eroico” che, come si è affermato, qualifica la Tradizione Ermetica e la distingue dalle apparizioni sfaldate, misticheggianti, di essa. Apparizioni che, privando tale Tradizione del senso del compiuto, del definito, del perfetto ed indirizzando lo spirito verso l’indistinto, il privo di forma, lo conducono nel pieno della cultura dualistico-cristiana, che con la visione classica (platonico-plotiniana) della Trascendenza Immanente non solo non ha alcun nesso, ma ne è la decadente (non come negazione che sarebbe comunque sullo stesso piano di potenza…) “fase”, nel senso di regresso in un momento primitivo e rozzamente femminile dello spirito che, nella superiore conoscenza dell’Intero (che è il Vero, dice Hegel…), viene concretamente negato e superato insieme a tutte le sue forme, informi, di dionisiaci misticismi, estatismi e fughe dal mondo. Queste sono le fratture, le scissioni astratte, le separazioni, cioè la crisi (“spirito”-“materia”; “io”-“mondo”; “fede”-“conoscenza”; “soggetto”-“oggetto”) di ogni modernità, come categoria dello spirito.
Giandomenico Casalino