L’Equinozio di Autunno nel Calendario Romano – Paolo Galiano
IL DUPLICE CALENDARIO DI ROMA
Il rapporto tra il Calendario di Roma ed i quattro punti cardinali dell’anno, Equinozi e Solstizi, non è chiaro perché, a differenza di altre civiltà tradizionali (si pensi al Giappone che celebra ancora oggi Solstizi ed Equinozi come festività), il Romano non dà un significato specifico a questi momenti dell’anno, non esiste un Dio o una Dèa che abbia il ruolo esplicito di divinità dell’una o dell’altra stagione.
È l’insieme del mese che consente di trovare il sapiente rapporto tra feste calendariali e cardine dell’anno, come si è visto nei precedenti articoli sull’Equinozio di Primavera e il Solstizio d’Estate. Il discorso si fa ancora più complicato nel parlare dell’Equinozio d’Autunno, e questo per due motivi: Giove, signore indiscusso del mese, è solo dal tempo dei Tarquini che assume il ruolo di primo tra gli Dèi, quindi le feste in suo onore sono da considerarsi tardive rispetto al Calendario romano arcaico, ma, e questo complica ulteriormente il problema, è lo stesso Settembre ad essere stato introdotto tardivamente nel Calendario.
È noto lo sviluppo del Calendario di Roma da una più antica forma in dieci mesi ad una successiva in dodici, chiamate rispettivamente “anno romuleo” e “anno numano”, ma più correttamente “anno della prima” e “della seconda età regia”. In realtà si dovrebbe parlare di tre forme di Calendario: del periodo preurbano (risalente alla fondazione della prima comunità del Germalus: periodo laziale IIA2) (1), del periodo protourbano (fondazione del cosiddetto “secondo Septimontium”: periodo laziale IIB2-III B) e del periodo dei Re di Roma, a sua volta distinguibile in un Calendario risalente al tempo dei primi Re e nella successiva variazione apportata dagli usurpatori Etruschi. Non possiamo certamente approfondire questo argomento in un articolo, per cui ne faremo una breve esposizione (2).
Per quanto possa sembrare strano al modo di pensare moderno, riteniamo sia possibile che a partire dal periodo preurbano, intendendo con questo nome la fase archeologicamente identificabile con l’organizzazione dei primi pagi nel territorio che sarà Roma, potessero esistere non in sequenza ma contemporaneamente un anno di dieci mesi ed uno di dodici, il secondo di tipo lunisolare, con il quale si cercava di far quadrare 12 cicli lunari sinodici (3) di 29,5 giorni medi (29,5 x 12 = 354) con i 365 giorni di durata dell’anno solare mediante l’introduzione periodica di un mese intercalare, il primo invece, a nostro parere, di tipo né lunare né solare ma sacrale. Questo anno di dieci mesi è quello al quale si riferiscono i nomi delle feste arcaiche scritte in lettere di maggiori dimensioni sui calendari che ci sono pervenuti (4) (per altro il più antico, i Fasti Antiatini veteres, risale al 60 a. C., ben distante da un proto-Calendario del periodo preurbano e protourbano). Un esempio relativamente recente della coesistenza di un duplice calcolo calendariale, l’uno sacro e l’altro civile, lo troviamo dall’altra parte dell’Atlantico nella civiltà degli Aztechi, ancora ambedue in uso al momento dell’arrivo degli invasori spagnoli.
Sarebbe tutta da approfondire, ma non è qui possibile uno studio del genere, l’ipotesi dell’esistenza di un Calendario sacrale, il quale potrebbe essere costituito dalle celebrazioni degli Dèi più antichi di Roma che forse potrebbero identificarsi con le divinità familiari delle gentes che comporranno in seguito il Senato di Roma (la più antica capanna del Germalus, IX secolo a. C., presenta due differenti luoghi di culto accanto alla capanna principale, identificati da Carandini con quelli di Marte e di Ops, forse le divinità della gens del “capo” della comunità preromana).
Ciò che qui interessa è la sicura esistenza di due calendari distinti, in cui quello di dodici mesi sembra abbia sostituito quello di dieci portando nell’uso corrente due mesi, per l’appunto Settembre e Novembre, i quali potrebbero essere considerati due mesi extra-calendariali aventi solo scopo lavorativo e non sacrale (si tratta dei periodi in cui l’attività dell’uomo si incentra sulle operazioni lunghe e faticose della vendemmia e della semina dei campi prima della stasi invernale).
Di certo Settembre, e quindi l’Equinozio d’Autunno, cade in apparenza al di fuori del Calendario arcaico, in quanto Giove, il Dio che si celebra in questo mese, è solo a partire dal tempo dei Tarquini che prende la supremazia sul pantheon di Roma con l’introduzione della nuova triade Giove-Giunone-Minerva che sostituì l’originaria Giove-Marte-Quirino (5). Ma si potrebbe anche pensare che in origine la divinità correlata all’Equinozio fosse una di quelle celebrate nell’arcaico Ottobre, e in tal caso ipotizziamo che si trattasse di Marte a cui erano dedicati i Meditrinalia, la cerimonia con cui il Flamen Martialis offriva a Marte il primo vino dopo la vendemmia. Notiamo infatti che delle tre (o quattro? 6) feste del vino le altre sono celebrate in onore della coppia Giove-Venere e solo questa appartiene a Marte, per eccellenza il Dio protettore di Roma, genitore dei Gemelli fondatori dell’Urbe, ma anche venerato nell’arcaico Carmen Saliare come Dio del cielo e della tempesta, caratteri che di solito si attribuiscono a Giove (7).
Basiamoci quindi sul Settembre del Calendario dell’età dei Tarquini per fare alcune considerazioni.
SETTEMBRE, INIZIO DELL’OSCURITÀ
L’Equinozio d’Autunno è un momento particolare dal punto di vista astronomico per il nostro pianeta e, per l’analogia tra macrocosmo e microcosmo, per l’individuo: astronomicamente segna il punto di passaggio al periodo di maggiore oscurità, si passa dalla luminosità che è andata in crescendo dalla Primavera all’Estate all’oscurità che aumenta fino a raggiungere il suo culmine nel Solstizio d’Inverno; a questo momento astronomico corrispondono nel mondo antico sul piano delle attività umane attività agricolo-pastorali di “riposo”, quali il ritorno delle mandrie dai pascoli d’altura a quelli della pianura presso i ricoveri che ospiteranno il bestiame durante il freddo invernale, e due fondamentali operazioni agricole, la semina del grano e la vendemmia dell’uva, cioè due eventi che comportano il “passaggio al buio” dell’uva, che nei tini deve fermentare per trasformarsi in vino da gustare a Primavera, e del seme, che nella terra “muore” per generare una nuova vita.
Anche per il singolo inizia in questo periodo una fase di “passaggio al buio” che prelude al “ritorno al centro” nella re-instaurazione dell’Età dell’Oro nei Saturnalia di Dicembre, in cui ad un’interiorizzazione della propria trasformazione seguirà, con l’aiuto del Sole che a Dicembre vincerà sulle Tenebre, la rinascita di Primavera.
Non è un caso che per i Greci l’Equinozio d’Autunno coincidesse con i Grandi Misteri di Eleusi, in cui veniva realizzato lo stato di myste che aveva avuto il suo avvio nei Piccoli Misteri dell’Equinozio di Primavera. “È questo il momento per l’essere umano di ‘raccogliere’ ciò che si è realizzato nel semestre primaverile ed estivo e ‘seminare’ quello che dovrà essere attuato nel prossimo periodo” (8).
A Roma il mese di Settembre esprime questi significati incentrandosi sul Dio supremo dal periodo degli ultimi Re, Giove come Juppiter Optimus et Maximus a sottolinearne la qualifica di sommo tra gli Dèi (9): egli è in pratica l’unica divinità celebrata nel mese equinoziale, affiancato da Ops Consivia, l’“Abbondanza” (che però è riportata solo in alcuni calendari), la quale è la personificazione della Fonte da cui discende sugli uomini il Potere derivante da Giove, e pertanto è giusto che la sua festa possa ricorrere in questo mese.
La presenza di Giove è così esclusivizzante che le Kalendae sono dedicate a Juppiter Tonans, unico esempio di Kalendae a lui riservate. In armonia con la presenza di Giove, non è un caso che Roma in Settembre celebrasse il giorno 20 il dies natalis di Romolo, il primo Re rappresentante in terra del suo Potere.
La celebrazione del Dio ha due momenti di particolare rilievo: i Ludi Magni o Romani, romanizzazione delle Feriae Latinae che venivano celebrate nello stesso mese in onore di Juppiter Latiaris, il Dio della Lega Latina che aveva sede nel santuario sul Monte Cavo (10), e il dies natalis del suo tempio sul Campidoglio, dedicato alla (nuova) triade Giove-Giunone-Minerva.
Un particolare aspetto di Settembre è dato dal suo essere un “mese di inizio”, analogo a Marzo, che come questo è un mese equinoziale. Si viene così a costituire un parallelo tra il Marte della Primavera, con cui si ha l’inizio dell’attività bellica e del ver sacrum che ampliava la potenza della città con l’invio de suoi giovani ad insediarsi in nuove terre, e il Giove dell’Autunno, tempo della pienezza del Potere che si avvia a ri-generarsi attraverso il passaggio all’Età dell’Oro del Saturno di Dicembre. L’ordinamento del mese di Settembre è però relativo ad un tempo storico, visto che si tratta di riti che possono esser fatti risalire all’epoca dei Tarquini, mentre quelli di Marzo, l’altro “mese di inizio”, ci rimandano ad un tempo mitico, il tempo dell’ancile di Marte caduto dal cielo che i Saliares, guerrieri sacri le cui cerimonie risalgono molto indietro nel tempo (11), portano nelle loro danze rituali.
Il carattere iniziale del mese è confermato da due cerimonie: l’infissione del clavus annalis nel giorno delle Eidus per segnare l’inizio di un nuovo anno (12) e l’entrata in carica dei Consoli, rappresentanti in terra di Giove, fissata anch’essa nello stesso giorno (poi spostato al 14 Marzo in coincidenza degli Equirria e più tardi al primo di Gennaio). Notiamo per inciso che, mentre i Consoli costituiscono una carica di età repubblicana, quindi relativamente recente, e perciò hanno un “inizio”, il Rex-Sacerdos del periodo arcaico invece non conosce “inizio di potere”, ma solo “rinnovamento di potere”, come sembra di poter riconoscere nel Regifugium di fine Febbraio, mese catartico, e forse nell’Armilustrium di Ottobre.
Il giorno successivo alle Eidus, nel quale cade il rito dell’Equorum Probatio, è dedicato agli Equites, i Cavalieri di Roma, il cui ruolo particolare in rapporto ai due Equinozi nel Calendario di Roma richiede un discorso a sé stante.
GIOVE, IL DIO DEI SUMMA
Il Dio supremo della Triade Capitolina ha le sue origini nel comune retaggio indoeuropeo dei Latini: definito come il Dio dei summa (13), a lui sono proprie le “sommità”, tutto ciò che è “al di sopra” (mentre di Giano sono i prima, gli inizi di tutto), in quanto egli è il Cielo nel suo aspetto luminoso, che sovrasta tutto il creato e da cui tutto viene agli uomini, i quali mediante il rituale dell’augurium, con il quale si cercano i signa esprimenti la volontà divina, possono conoscerne la volontà.
I diversi appellativi con i quali Giove era invocato, e che costituiscono una sorta di “specializzazioni” dell’area di competenza del Dio, talvolta possono far smarrire il senso più profondo di questa divinità, così essenziale nell’àmbito della religiosità romana.
Il nome stesso di Giove, Juppiter, esprime la sua qualificazione come “cielo luminoso”: “Infatti una volta egli era chiamato Diovis e Diespiter, cioè Dies Pater [Padre Giorno], da cui quelli che ne discendono son detti Dèi, e così dius [Dio] e divum [cielo], da cui l’espressione sub divo [sotto il cielo] e Dius Fidius [il Dio della fides]” (14). La radice *Diou– è di provenienza indoeuropea e dà in vedico Dyáuh e in greco Zεύς; dal punto di vista fonetico è immediato l’accostamento tra il vedico Dyáuh pitā ed il latino Diespiter, col significato in entrambe le lingue di “Padre Cielo”. Ricordiamo che Diespiter è anche il nome della divinità sotterranea identificata con Plutone, sposo di Proserpina, la cui più importante celebrazione si teneva nei riti notturni del Tarentum, ma la spiegazione di questa apparente contraddizione nella coesistenza di un Dio di eguale nome celeste e tellurico ci porterebbe troppo lontano (potremmo dire per semplicità che “come è in alto, così è in basso”).
Il “cielo” non è, o meglio non è solamente, quello atmosferico ma, come scrive Macrobio (15) parlando di Giano in quanto Principio della manifestazione, è l’Ente che tutto avvolge, permea e sostiene: “Colui che plasma e governa ogni cosa unì circondandole con il cielo l’essenza dell’acqua e della terra, pesante e tendente a scendere in basso, e quella del fuoco e dell’aria, leggera e tendente a sfuggire verso l’alto: l’immane forza del cielo tenne legate le due forze contrastanti” (16).
Il “Cielo”, visto sotto questo aspetto, rappresenta la forza ordinatrice che regge, consolida e stabilisce i principii, i quattro Elementi, dei quali la realtà fisica è composta, ne regola le relazioni e le proporzioni e fa sì che la realtà sia ciò che è, e non altrimenti.
Tale azione di “ordinatore” e di “reggitore delle cose” di Giove-Cielo si riflette sul piano umano in termini di giustizia, intesa non come l’aderenza alle leggi che regolano la convivenza civile e la struttura di una società umana, bensì come armonia cosmica, uno stato di equilibrio dove ogni cosa sta al suo giusto posto, a somiglianza della funzione svolta dall’egiziana Ma’at. In questo senso Giove viene invocato quale testimone dei patti e dei trattati con altri popoli, come previsto nei riti dei Sacerdotes Fetiales (17), nei quali era contemplato l’uso della selce, simbolo della folgore divina di Giove, e dello scettro, attributo della regalità proprio al Dio.
A questa funzione sul piano cosmico corrisponde sul piano della realtà fisica la manifestazione di Giove secondo due modalità ben precise: un’azione premonitoria per mezzo dei signa ex caelo di cui gli Àuguri gli interpreti, e un intervento di tipo magico sugli eventi umani.
I signa ex caelo venivano interpretati dagli Àuguri come espressione del volere degli Dèi: nulla può essere intrapreso sia nella vita pubblica che privata che non sia sotto “buoni auspici”, cioè secondo il volere degli Dèi, ma alla loro volontà a sua volta l’uomo può rispondere accettando o meno i signa, perché “i segni annunciano ciò che avverrà, se non si prendono provvedimenti” (18), e questo perché il Romano conosce quello che noi chiameremmo “il libero arbitrio” ed ignora il concetto greco di Ananke, il Fato a cui per i Greci gli stessi Dèi si sottomettono, concezione che prenderà piede solo verso la fine della Repubblica, quando la corruzione causata dal pensiero greco sarà ormai inarrestabile a causa della decadenza del mos maiorum, quando il “prendere gli auspici” non era mera superstizione, come comunemente si crede, ma un preciso atto con cui l’uomo entrava nella sfera del Divino per conoscere direttamente il “programma” degli Dèi.
L’uomo ha quindi la possibilità di non accettare il volere divino, ma sa che contravvenendo alla disposizione degli Dèi incorre in un pericolo, ed infatti sono diversi gli esempi che possiamo trovare nella storia di Roma di inosservanza degli auspicia conclusisi in modo tragico.
Cicerone (19) afferma esplicitamente nel trattare delle azioni delegate agli Áuguri che vi sono antiche leggi, “non così antiquate come nelle vecchie XII tavole e nelle leggi sacrate, e pur tuttavia un po’ più arcaicizzanti, tali da assumere una maggiore autorità”, le quali stabiliscono che “gli Áuguri pubblici, interpreti di Giove Ottimo Massimo, prestino attenzione ai segni e agli auspici; vigilino sulla disciplina e sui sacerdoti; interroghino la volontà degli Dèi se sia il caso di piantare vigne o boschetti di salici, o nei confronti del benessere del popolo romano; comunichino il significato del volo degli uccelli a coloro che conducono una guerra o che governano il popolo, e che questi gli obbediscano; riescano a prevedere l’ira degli Dèi; se in determinate zone del cielo si osservano fulmini, agiscano per moderarne la violenza; consacrino e delimitino le città, i campi, i templi. Tutto ciò che l’Àugure abbia fissato che sia ingiusto, infausto, difettoso o funesto sia considerato inesistente, come se non fosse stato fatto; chi non obbedisce a questa disposizione, sia condannato a morte”.
Sottolineiamo i quattro aggettivi iniustus, nefastus, vitiosus, dirus usati non a caso da Cicerone: ingiusto, contrario allo Jus, nefasto, contrario al Fas, difettoso, incompleto nell’esecuzione del rito, funesto, che arreca eventi tremendi e spaventosi. I primi due aggettivi concernono il modo con cui gli Dèi regolano la vita dell’uomo, il terzo il rito con cui l’uomo si collega agli Dèi, il quarto il risultato dell’azione umana.
La seconda forma di intervento di Giove sulle azioni degli uomini consiste in un atto magico nel provocare determinati eventi destinati a mutare il corso della storia.
Ad esempio, Livio (20) racconta come, nel corso della battaglia contro i Sabini durante la guerra iniziata a seguito del ratto delle loro donne, i Romani erano stati messi in fuga, ma “Romolo, travolto egli pure dalla turba dei fuggiaschi, levando le armi al cielo: ‘O Giove,’− esclama − ‘sotto i tuoi auspici io ho gettato qui, sul Palatino, le prime fondamenta di questa città. I Sabini occupano ormai la rocca comprata col tradimento; di là essi tentano di raggiungere in armi questo punto, dopo aver superato la valle intermedia; ma tu, Padre degli Dèi e degli uomini, almeno da qui respingi i nemici: libera i Romani dal terrore e arresta questa fuga vergognosa’“. E così fu: i Romani si fermarono e lanciandosi contro i Sabini li sconfissero, e Romolo per esaudire il voto eresse il tempio di Juppiter Stator ad Portam Mugoniam, celebrato secondo il Calendario alle Eidus di Gennaio.
L’azione magica degli Dèi è presente in divinità delle altre popolazioni indoeuropee: in India Varuna non combatte contro i suoi avversari ma li “lega” con lacci invisibili che li costringono all’impotenza, e in modo analogo Ódhinn dispone di tutta una serie di poteri straordinari, principalmente la facoltà di accecare, stordire e paralizzare i suoi nemici. Come loro, così anche Giove lascia a Marte il compito della guerra: egli non combatte perché è il Sovrano-Mago e il Sovrano-Giurista, e sarà solo con l’avvento dell’Impero che il Dio “si evolve in senso nettamente militare: il suo corrispondente non è più il primo dei tre Flamines maggiori, il Dialis, ma l’Imperator trionfante” (21).
Se queste sono le funzioni di Giove, la sua connessione con l’Equinozio d’Autunno la possiamo riconoscere proprio nel suo aspetto di Dio “ordinatore” e “fondatore” della Legge, dello Jus: egli, attraverso la ripetizione della sua presenza nel mese a lui tutto dedicato, si pone all’inizio del periodo “oscuro” e “pericoloso” dell’anno, nel quale è necessaria l’affermazione di un potere superiore che possa mantenere lo stato di armonia e di equilibrio che le Tenebre potrebbero distruggere. Il Cielo, che per volontà della Forza che ha creato i molteplici stati dell’esistente avvolge e conserva il tutto secondo le parole di Macrobio, consente al Sole di attraversare il rischioso passaggio angusto del Solstizio d’Inverno, preservando e affermando la stabilità e l’ordine del Cosmo contro il Caos che lo minaccia.
Con una diversa prospettiva e un diverso linguaggio, potremmo ricordare che questo mese era considerato anche come il mese di Pomona (22), divinità antichissima la quale aveva un suo Flamen (il Flamen Pomonalis) e veniva venerata in un santuario cinto da un lucus, il Pomonal, situato sulla via Ostiense. Pomona, come indica il suo nome, è la Dèa dei pomi, “la Dèa che offre i pomi d’oro posti sotto la sua custodia all’Heroe che ha portato a termine l’Opera. Sono i pomi aurei del Giardino delle Esperidi, che la più antica tradizione nostra identifica con l’Italia stessa, i cui Fati è dato cogliere nel Latium, nelle cui ossa e viscere eternamente giace in stato liminale Saturno, Dio dell’Età dell’Oro” (23). L’accostamento fatto da “Rumon” sul piano ermetico-alchemico di Pomona con l’Equinozio di Settembre si conclude con queste parole: “La morte è alle porte, la maturazione sembra segnare il confine impalpabile tra un ciclo e un altro, l’Heroe coglie ed eleva i pomi al cielo. È il perfezionamento dell’Opera, la completa assunzione in cielo per atto di volontà assoluta dell’Ercole-Augusto che, cogliendo i frutti offertigli da Pomona, si indìa spandendo i suoi raggi benefici sulla terra nella veste definitiva di Apollo regnante”, il Sole che fra tre mesi rinascerà con rinnovata potenza dopo il Solstizio invernale.
Note:
1) La cronologia distingue i Periodi laziali in: IIA2 870-830 a.C., IIB1 830-800, IIB2 800-770, IIIA 770-750, IIIB 750-725;
2) L’argomento è stato estesamente trattato in GALIANO Il tempo di Roma, Roma 2013, e in parte ripreso e corretto per quanto concerne il “ciclo del vino” in Venere, la Grazia divina, Roma 2014,. Per quanto qui scriviamo, si vedano i lavori di CARANDINI La nascita di Roma – Dèi, Lari Eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino 1997 pp. 405-429, TORELLI Lavinio e Roma, riti iniziatici e matrimonio tra archeologia e storia, Roma 1984 pp. 75-116, idem La forza della tradizione, Milano 2011 Parte Prima passim, MAGINI Calendari e gravidanze di Roma arcaica: due tesi a confronto, Quaderni del Centro Warburg Italia, Università di Siena 2006-2007, lavori con cui le nostre conclusioni non sempre concordano;
3) Il mese sinodico è l’intervallo tra due fasi eguali e consecutive della Luna, indipendentemente dai rapporti con le stelle dello Zodiaco, che dà invece luogo al mese siderale di 27,3 giorni, computabile solo con un calcolo più complesso, come rileva Magini .
4) Le feste evidenziate nei calendari pervenutici sono (CARANDINI La nascita di Roma cit. pag. 420 e Addendum VII):
Marzo: Equirria, Liberalia, Agonalia, Quinquatrus, Tubilustrium, QRCF
Aprile: Fordicidia, Cerialia, Parilia, Vinalia Priora, Robigalia
Maggio: Lemuria, Agonalia, Tubilustrium, QRCF
Giugno: Vestalia, Matralia, QStDF
Quintile (poi Luglio): Poplifugia, Lucaria, Neptunalia, Furrinalia
Sestile (poi Agosto): Portunalia, Vinalia Rustica, Consualia, Volcanalia, Opiconsivia, Volturnalia
Settembre-Ottobre (poi Ottobre): Meditrinalia, Fontinalia, Armilustrium
Ottobre-Dicembre (poi Dicembre): Agonalia Indigeti, Consualia, Saturnalia, Opalia, Divalia, Larentalia
Novembre-Gennaio (poi Gennaio): Agonalia, Carmentalia
Dicembre-Febbraio (poi Febbraio): Lupercalia, Quirinalia, Feralia, Terminalia, Regifugium, Equirria.
Dallo sdoppiamento di Settembre-Ottobre e di Ottobre-Dicembre avrebbero avuto origine rispettivamente Settembre e Novembre, ambedue privi di feste arcaiche;
5) Come ha affermato DUMÈZIL nel suo Juppiter, Mars, Quirinus la triade Juppiter, Juno e Minerva era andata a sostituirsi alla più antica triade costituita da questi Dèi, nei quali si trovano quei caratteri di divinità della Prima, della Seconda e della Terza funzione che sono alla base della religione di tutti i popoli di matrice indoeuropea;
6) Sulle possibili quattro feste del vino nel Calendario romano rimandiamo a quanto scritto in GALIANO Venere, la Grazia divina cit. pp. 82-101, con particolare riguardo all’equivalenza tra il sangue ed il vino come offerta sacrificale suprema;
7) La supremazia di Marte potrebbe essere dimostrata che a lui venivano offerti in sacrificio arieti integri di una specie più nobile detti altilanei, mentre a Giove animali castrati e a Giano arieti integri ma ordinari (DUMÉZIL Jupiter Mars Quirinus Torino 1955 p. 380; per un esame più completo della figura di Marte rimandiamo a GALIANO Mars Pater, Roma 2014);
8) VIGNA I cicli naturali, Roma 2010 p. 86;
9) Il che, come si è detto, vale solo a partire dal periodo della dinastia etrusca, mentre altre divinità avevano tale ruolo nella religione arcaica di Roma, quali Giano, ma forse anche Vulcano, Marte e il poco conosciuto Vertumno, probabilmente il primitivo Dio del Trionfo venerato in Agosto;
10) Ricordiamo per inciso come il nome della cima del Colle Albano sia fatto derivare con una paraetimologia da caput bovum, il bove offerto al Dio;
11) Sui Sacerdotes Saliares e la loro origine arcaica rimandiamo ai lavori del DE FRANCISCI citati in Mars Pater cit;
12) Il rito consisteva nell’infissione rituale di un chiodo detto Clavus Annalis sulla parete che divideva nel tempio capitolino la cella di Giove da quella di Minerva, la Dèa della misura, in quanto essa, il cui nome potrebbe ricondursi a *men, radice di termini come mensura e mensis, era connessa all’invenzione del numero, alla divisione del tempo e al ricordo dei fatti avvenuti (anche Mnemosine deriva dalla stessa radice);
13) Come dice VARRONE in Agostino De civ Dei VII, 9: “Penes Iovem sunt summa, penes Janum prima”;
14) VARRONE De l . V, 66 ;
15) MACROBIO, Sat I, 9, 14, parlando di Giano quale origine della manifestazione cita le parole di Marco Valerio Messalla Rufo, Console nel 53 a.C. e Àugure per 55 anni, ricordato da GELLIO Noct Att XIII 15, 3 per un trattato De auspiciis, da cui è tratta la citazione di Macrobio, e da PLINIO Nat hist XXXV, 8 per un’opera De familiis sulle gentes di Roma;
16) Questo non va interpretato nel senso che Giove sia da considerarsi un Dio creatore: Roma non conosce miti della creazione, che forse sono adombrati (come sempre il Romano è alieno da considerazioni metafisiche e da elucubrazioni filosofiche more graeco) nelle divinità più antiche nella forma di una cosmogonia-teogonia storicizzate, come accenna CARANDINI La nascita di Roma cit. pag. 123;
17) Per i riti e le formule dei Fetiales vedi LIVIO Hist I, 24;
18) CICERONE De divin I, 29;
19) CICERONE De leg II, 8, 18 e 20–21;
20) LIVIO Hist I, 12;
21) DUMÉZIL Juppiter, Mars, Quirinus cit. pag. 218 ;
22) Come scriveva nel IV sec. d.C. il rètore Decimo Magno Ausonio nella IX delle sue Egloghe: “Autumnum, Pomona, tuum September opimat”;
23) “RUMON” Kalendarium, commento al mese di Settembre (testo non pubblicato). Come spiega in nota l’Autore “usiamo la dizione Heroe con chiaro riferimento alla nozione che del termine ebbe Cesare Della Riviera, autore del trattato ermetico Il mondo magico de gli Heroi (1605)”. Anche se non concordiamo con l’Autore sulla possibilità di un’interpretazione ermetica, ci è sembrato utile presentare al lettore una diversa concezione dell’evento equinoziale dal punto di vista di un altro Autore.
PAOLO GALIANO
(fonte: www.ereticamente.net)