Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Le vie dello Sciamanesimo – Umberto Bianchi
Un fenomeno complesso, quello dello Sciamanesimo. Presente in tutte, o quasi, le aree del mondo ove ancora sussistano delle comunità tribali, non ancora inserite in un più ampio e complesso ambito statuale, ma non per questo meno “civili” o comunque, foriere di aspetti quanto mai inusuali e complessi. Cominciamo con il dire che quella dello sciamano è una figura che, con sin troppa facilità, viene confusa con quella del vero e proprio mago, quest’ultimo portatore di un bagaglio sapienziale frutto di un graduale apprendistato e percorso iniziatico. Cosa la quale, invece, nella figura dello sciamanoè quasi per nulla riscontrabile, essendo questa figura il frutto di una “chiamata” da parte degli spiriti elementali e delle varie forze del numinoso con cui egli si trovi ad agire.
Secondo poi, contrariamente al mago che, sovente, fa parte di una vera e propria casta a sé, spesso a pieno titolo inserita nelle classi sacerdotali o in vere e propri sodalizi sapienziali, lo sciamano è pari grado con gli altri membri della propria comunità di riferimento dai quali, anzi, è molto spesso ritenuto un “folle” un “toccato”, un elemento fuori dal contesto sociale, al contempo oggetto di quella forma di rispetto, che assume la valenza di un vero e proprio “tabù” di intoccabilità. Quella dello sciamano è, dunque, figura riscontrabile in tutte le aree del mondo ed in tutte le epoche. Sciamano, pertanto, è colui che, dotato di particolari poteri, conferiti dalla “chiamata” di cui sopra, interagisce con le forze numinose al fine di guarire un male che affligge il singolo ( uno stato patologico, fisico o spirituale) o la comunità (una carestia, una pestilenza o altri consimili eventi avversi), uscendo con la propria anima dal corpo, per recarsi laddove risiedono le entità numinose, sia nelle dimensioni celesti, che in quelle infere.
Nel far questo, sovente lo sciamano si trasforma egli stesso o è guidato da un animale-totem, simbolo della comunità di appartenenza. Presso molte tribù amerinde dell’America centro meridionale, tale animale è rappresentato dal giaguaro. Presso gli antichi Germani e le popolazioni scandinave, i mitici “Berserker” si identificavano con il lupo. Allo stesso modo in Papua Nuova Guinea e nell’Africa centro settentrionale (Niger, etc.), tale ruolo è assurto dal coccodrillo. Mentre dalle tribù dell’area uro-altaica e siberiana, spesso tale ruolo è ricoperto dall’alce o dal cervo. Questi sono solo alcuni della miriade di esempi e degli esemplari di animale, con i quali sovente gli sciamani e le relative comunità di appartenenza, si identificano. Quello dello sciamanesimo, è un fenomeno che ha interessato un po’ tutti gli studi antropologici dell’ultimo secolo e mezzo e che, solo marginalmente e da parte di alcuni studiosi di settore, ha riguardato il mondo classico. Questo, probabilmente, a causa di un’impostazione data agli studi di filologia classica da parte di una nutrita schiera di autori che, sovente, hanno risentito dell’influenza degli studi del Winckelmann, portatori di un’idea algida e quasi “marmorea” del mondo classico.
Sarà con Nietzsche e con gli scritti di Rohde e di Bachofen che, la dualità Apollo-Dioniso e il conseguente inserimento di un’anima irrazionale della cultura ellenica, andrà facendosi strada negli studi filologici. Il tutto, sempre però mantenendosi nei binari di una visione che non contemplava il fenomeno dello sciamanesimo. Sicuramente gli studi dei vari Spieth, Usener e Cassirer sulla particolare natura della “religio” romana, spesso paragonata ad una forma di polidemonismo sulla falsariga del fenomeno dei “mana” polinesiani, accanto a tutti quegli studi imperniati su un criterio “diffusinista” e/o comparativo dell’antropologia, volti ad applicare anche all’algido e civilizzato mondo classico quegli stessi criteri applicati alle varie realtà tribali, hanno contribuito, non poco, al dibattito sulle influenze dello sciamanesimo nel mondo classico.
E pertanto, la civile ed aulica Grecia ed il suo raziocinante bagaglio filosofico, avrebbero finito con l’affondare le proprie radici, nelle più pregnanti espressioni di quello sciamanesimo, la cui provenienza è identificata nella grande area euro-asiatica che, nei millenni passati, vide vivere molto vicine, sia le tribù dell’ecumene indoeuropea (greco-doriche, latine celtiche, indo iraniche, etc.), in una zona compresa tra l’Est del Mar Nero ed il Nord Ovest del Caspio e le più settentrionali tribù uralo-altaiche e paleo siberiane. Punto di contatto tra queste, tra l’altro, le vestigia della cultura scitico-turanica dei Kurgan, sulla quale la studiosa Marja Gimbutas, ha appuntato la propria attenzione. A far da filtro, in epoca più tarda, tra il mondo mediterraneo e le realtà tribali del nord est dell’Eurasia, la Tracia, da cui si dice provenisse il culto di Dioniso e lo stesso Orfismo. A farsi portavoce di questa impostazione tutta una serie di studiosi, quali Erwin Rohde, Mircea Eliade, Ioan Petru Culianu, Eric Dodds, Chadwick, Giorgio Colli, Angelo Tonelli, solo per citare i più famosi. Il Dodds, in particolare, ci offre un’analisi molto dettagliata dei passaggi che, all’insegna di un sentire irrazionale, avrebbero portato alla nascita della filosofia greca. Dalla omerica ed iper arcaica “società della vergogna”, fondata su valori puramente guerrieri, imperniati sull’onore ed il rispetto elevati a sentimento comunitario, si sarebbe passati ad una “società della colpa”, imperniata su una visione introspettiva e pertanto tendente a sottolineare le responsabilità individuali, precedentemente spostate sul diretto intervento degli Dei nelle umane vicende ed estese all’intera “gens” del singolo.
A sovrastare questo scenario, l’idea di “miasma” ed impurità, generati dalle colpe dei singoli che, andavano assolutamente lavate con una purificatoria “katarsis”. E, per tornare al discorso iniziale, la via maestra per la “katarsis” era rappresentata dalla purificazione dell’anima, da conseguirsi proprio attraverso il distacco di questa dal corpo fisico, così come preconizzato nelle tecniche sciamaniche. A corredo di questa visione, il fatto che coloro che, della filosofia ellenica furono i precursori, ovverosia gli Epimenide, i Ferecide, gli Onomacrito, gli Abaris, gli Aristea ed altri, erano tutte figure che agivano, parlavano e scrivevano a guisa di veri e propri sciamani. Gli stessi Pitagora, Eraclito e Parmenide, a detta del Dodds, si pongono in questa scia, influenzando la stessa narrazione platonica. Le stesse figure divine di Apollo e Dioniso, dal Rohde e da Eliade, sulla falsariga di quanto scritto da Nietzsche, intese quali opposte polarità nel manifestarsi nella realtà, sono dal Dodds concepite quali entità numinose complementari. Un primo dubbio, che può sorgere dalla lettura del testo di Dodds ( ma anche di altri simili autori…) sta proprio nel voler applicare un criterio “diffusionista”, all’intera questione.
Forme di sapere quali lo strutturalismo antropologico o la psicanalisi (specialmente junghiana, sic!), hanno da sempre sottolineato l’innatismo di certe espressioni culturali, a detta di taluni dovuta a meccanismi evolutivi delle società umane, a detta di altri, invece, all’influenza diretta di vere e proprie ”costellazioni” psichiche, sedimentate negli strati più profondi ed inconsci dell’animo umano (archetipi..).
Tutto a discapito della narrazione del Dodds, inoltre, il voler pedissequamente applicare alla civiltà classica ed in particolare alla grecità, le categorie del pensiero moderno, impregnate di quello spirito illuminista che, poco o nulla, ha a che vedere con l’Ellade. Il parlare di “puritanesimo ellenico” a proposito delle tecniche ascetiche prospettate da Empedocle di Siracusa, al fine di operare la tanto agognata “katarsis”, come parlare di “illuminismo greco” a proposito dello spirito razionale che avrebbe pervaso la filosofia greca, ci pare cosa alquanto impropria e fuorviante.
Se di paragoni e parallelismi, se ne possono semmai fare, la Grecia antica ci dovrebbe riportare alla antica civiltà Hindu, (di cui noi oggi percepiamo solo qualche misera vestigia spirituale…sic!) che contemplava al proprio interno, sia le più estreme forme di ascesi, che l’esaltazione dell’Eros come manifestazione del divino (così come ad oggi, visibile nelle sculture dei templi di Kajuraho o nelle prescrizioni del Tantra Yoga o Via della Mano Sinistra, sic!) che, la riflessione filosofica delle Upanishad, accanto alle forme di devozionimso popolare, tutte sulla scia delle varie narrazioni mitiche di testi come il Rg Veda. Allo stesso modo, la civiltà ellenica vide convivere al proprio interno, diverse modalità di intendere il rapporto con l’Essere intero. La ritualità dettata dai miti ancestrali, sia nelle sue espressioni più essoteriche, di massa ,che in quelle più iniziatiche, quali quelle dei Misteri di Eleusi o del Dionisismo, conviveva con le elaborazioni razionali della filosofia. Ma anche qui, c’è da operare una doverosa distinzione. La nascita della filosofia avviene all’insegna di una trasposizione di alcuni motivi mitologici1), eretti a coordinate del pensiero ed espressi in un linguaggio poetico, ancora legato ad una modalità estatica di espressione del pensiero, ovverosia , direttamente frutto di ispirazione divina.
Su questa modalità di pensiero va inserendosi quel Logos/Ragione, all’insegna del quale, il linguaggio poetico verrà gradualmente sostituito. Ma, si badi bene, il Logos per la maggior parte dei filosofi greci, ha una valenza esoterica: esso costituisce l’oscura “ratio” che determina l’accader delle cose ed il prefigurarsi della realtà intera. Pertanto possiamo parlare di una filosofia per lo più intesa qual metafisica del Logos, così come avviene con Platone, Aristotele e con quegli stessi filosofi pre socratici, sin troppo frettolosamente definiti quali “naturalisti”, da una lettura all’insegna di un ottuso materialismo scientista. La ricerca di una “substantia universalis” quale acqua, aria, fuoco o “apeiron/infinito” (Anassimandro) o la combinazione delle quattro (Empedocle), non deve trarre in inganno.
Essa deve, in verità, essere intesa quale vera e propria metafora alchemica, in grado di rivestire il principio del Logos di un abito simbolico. Quanto detto, a dimostrazione che, comunque la si voglia vedere, l’intero ambito culturale ellenico e tutti i protagonisti sinora citati, rimane profondamente agganciato al politeismo, qui inteso non solo come espressione di fideismo, ma come vera e propria forma mentis di apertura al molteplice, nelle sue infinite manifestazioni. E, può apparire paradossale, ma proprio la democratica “polis” ateniese, fu inflessibile nel condannare a morte ed a ostracizzare tutti coloro che osarono mettere in discussione il suo assetto religioso politeista. Democrito, con la sua idea di divinità costituite da pallini atomici, come i relativismi sofistici di un Protagora, non senza dimenticare la condanna a morte di Socrate, stanno lì a dimostrare con quanta intensità, fosse sentita la “religio” civica politeista.
Quello stesso politeismo, che va facendosi espressione di quell’ideale di perfezione, dietro al quale sovrintende il Logos, così come si può ravvisare nella statuaria di un Fidia, di un Policleto o di uno Skopas. Esso sottende all’aspirazione ad una riforma religiosa, così come auspicato da Platone, almeno per quel che riguarda una rilettura ed una rielaborazione dei miti in chiave educativa, al pari alla tendenza a sostituire la poesia, quale veicolo di trasmissione ed interpretazione della realtà, con il Logos. Il tutto però, dovrebbe essere inquadrato in un più generale contesto epocale, rappresentato dall’avvento di quella che il filosofo Karl Jaspers definisce quale “Età Assiale dell’umanità”, ovverosia il passaggio da un’età in cui la mente umana era direttamente connessa con l’Essere intero e nella quale la lettura della realtà veniva effettuata in chiave unicamente mitopoietica, veicolata dalla “mania” o ispirazione divina, ad un’altra in cui tale lettura veniva effettuata “sub specie interioritatis”, spesso tramite l’ausilio e l’indirizzo di una guida umana, rappresentata da figure profetiche (Buddha e Mahavira in India, Lu Tzu in Cina, Isaia tra gli israeliti, Pitagora, Parmenide ed altri in Grecia…), con il supporto della riflessione razionale.
Questo perché, durante i secoli, quella osmosi dell’animo umano con la Totalità sarebbe andata via via esaurendosi, in virtù di un vero e proprio “principium individuationis” che, a detta della lectio heideggeriana, avrebbe sì portato “progresso” all’umanità intera, ma anche, per converso, ad una graduale perdita della capacità di percepire nell’immediato, il senso della realtà intera. Quelle stesse misteriosofie (eleusina, dionisiaca,orfica, etc.) inizialmente coniugate all’insegna di uno spirito comunitario, civico, che permeava di sé, la religiosità dell’intero mondo classico verranno, durante l’Ellenismo, affiancate da altre misteriosofie, a loro volta slegate da quello spirito e volte ad una forma di introspettiva “consolatio animae”, (culto di Iside, Mithra, Juppiter Dolichenus, etc.).
A questo fenomeno, andrà via via affiancandosi quel processo di astrattizzazione del divino, frutto delle elaborazioni più spinte di Neoplatonismo e Gnosi. Lo sciamanesimo, di quella prima fase “sognante” ed ispirata dell’umanità, di cui abbiamo, or ora trattato, è l’espressione più evidente. Nel mondo classico essa ispirerà, sia la mantica oracolare della Pizia di Delfi (ispirata da Apollo…) e degli altri centri oracolari ellenici, che il complesso misteriosofico orfico-dionisiaco, in cui il mito dello “sparagmos”, (sacrificio tramite uccisione, squartamento ed ingestione delle carni del dio, sic!), si fa metafora di un rituale catartico che, attraverso l’inebriamento orgiastico attraverso danza e musica (motivo altresì riconducibile alla vicenda di Orfeo, sic!), si propone la catarsi ed il riequilibrio delle forze interiori, contaminate dall’impurità.
La figura di Dioniso, va pertanto, anch’essa assumendo valenze oracolari, divenendo un elemento contrapposto, ma complementare ad Apollo. Là dove questi primeggia, quale espressione di un sapere razionale, illuminato dalla luce del Logos solare, di cui le Muse sono le dirette divinità tutelari, Dioniso invece, si fa patrono di una forma di una inebriante estasi, in grado di innescare un processo di collettiva catarsi. Oltre alle più selvagge forme di estasi ed invasamentio collettivo, dato dal menadismo delle Baccanti, abbiamo le confraternite iniziatiche dei Corbanti, dei Dattili e dei Cureti. Come abbiamo già accennato, figure come Epimenide, Ferecide, Abaris ed Aristea, agiscono sotto la spinta di un’ispirazione sciamanica che fa dire o far loro cose fuori dall’ordinario. Ad essi vengono a più riprese, attribuite morti e contemporanee apparizioni in luoghi lontani, pluriennali periodi di sonno, allontanamenti di pestilenze ed altri simili prodigi, oltrechè un parlare ispirato dalla “mania” divina. Gli stessi Parmenide ed Eraclito, nei proemi ai propri scritti, si rivolgono al lettore in versi poetici, non senza dimenticare, una dedica agli dei.
Resta il fatto che, quella forma di ispirazione che proviene dai più profondi ed oscuri recessi dell’anima, in grado di dar luogo a veri e propri mondi in cui immergere la propria mente, quella forma di particolare ispirazione, non cesserà mai di esistere. Poesia,pittura, scultura e quant’altro sono frutto di un continuo getto ispirativo che, nella storia umana sembra mai conoscer tregua e di cui costituisce un irrinunciabile patrimonio costitutivo. Tale patrimonio, è oggi messo in pericolo dal sopravanzare di un modello di sviluppo, quello Tecno Economico, onnicomprensivo ed alienante qualunque tipo di differenza ed originale creatività.
Ma, a ricordarci che da tutto questo, esiste una insperata via d’uscita, è stato, con il suo esempio, proprio colui che nel 19° secolo, dopo duemila anni di saggistica filosofica condotta in prosa, ritornò a scrivere di filosofia in aforismi poetici: Friederich Nietzsche. La sua aspirazione a superare l’uomo, il suo grandioso tentativo letterario di dare coerenza al progetto di addivenire ad uno stato di “oltreuomo”, parte proprio all’insegna di un’irrazionale e pulsionale ispirazione, senza la quale l’uomo si ridurrebbe a poca cosa. Per questo, oggi più che mai, in questo momento storico così difficile, il richiamo all’ispirazione irrazionale fornitoci dalla pratica sciamanica, ben lungi dal costituire una semplice curiosità socio antropologica, rappresenta uno dei motivi di completamento e quadratura di quel Sè, senza il quale non ha alcun senso nessun progetto di rigenerazione umana, politica e sociale.
Nota:
1) Motivi quali quello rappresentato dalla vicenda di Prometeo, che dona la conoscenza all’umanità, o dal continuo peregrinare di Odisseo,simbolo dell’umana sete di conoscenza o, ancor più, dallo sforzo cognitivo nel cercare di risolvere l’enigma posto dalla Sfinge ai tebani e ad Edipo…
Bibliografia di riferimento:
- E.R. Dodds, I greci e l’irrazionale BUR, Milano 2009
- A. Tonelli Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica, Feltrinelli 2021
- Colli, La nascita della filosofia, Adelphi Edizioni
- Mircea Eliade Lo Sciamanisimo e le tecniche dell’Estasi, Edizioni Mediterranee
- U. Bianchi, Alle Origini della Globalizzazione, Nuove Idee
- W. Otto, Teofania, Adelphi Edizioni
- Bachofen, Le Madri e la virilità Olimpica, Edizioni Mediterranee
Umberto Bianchi