Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Le radici spirituali dell’Europa: ROMANITÀ ED ELLENICITÀ – Giandomenico Casalino
Perché la filosofia, come “amore” per il Sapere, ricerca del Sapere, che ha per oggetto il Sapere che è il vedere il Dio (e l’essere visti) è nata in Grecia? Perché il Diritto, come Jus, formula, Rito, Ordine del mondo, che apre i varchi dello stesso perché vi entri il Sacro creandolo ed eternizza tale creazione, poiché essa è quanto più possibile simile al Cielo, è nato in Roma? Perché queste due Civiltà indoeuropee, espressione somma di tale spiritualità, hanno non solo fondato l’Europa ma lo hanno fatto sulla Tradizione rispettivamente filosofico-religiosa (Grecia) e giuridico-religiosa (Roma)? La ragione profonda di tale evento, necessario poiché epocale, risiede nell’essere il mondo indoeuropeo il sorgere dello Spirito!
Lo Spirito appare, nella sua potenza illuminante e discriminante, dall’Anima (che è il suo sonno…) dell’Asia, dal tramonto fisico del Sole in Occidente nasce il Sole spirituale; e lo Spirito è libertà, è la qualità essenziale dell’uomo indoeuropeo, ciò che lo fa essere uomo agonale, cioè Spirito che si afferma nella negazione-riconoscimento dell’Altro, nel confronto libero ed orgoglioso con il Mondo[1], nell’affermare la “propria” Idea del Mondo, che è dell’uomo nobile in quanto libero e libero in quanto migliore, valoroso, ma è vivente (Idea del Mondo) anche e soprattutto nella Comunità degli Uomini liberi che si confrontano e dialetticamente competono anche con gli Dei nell’esercitare la potenza della parola (parresia =libertà di dire tutto e franchezza nel dirlo, ciò risiede e trova la sua legittimità tanto nella libertas [Roma] quanto nella eleutheria [Grecia]); tale libertà consiste nell’agire e nel pensare, nel costruire e nel lottare, nell’opporsi al greve, pesante ed opprimente della vita come dell’umanità; e il concetto stesso della parresia presuppone l’esistenza della Comunità e quindi dei rapporti umani nella stessa; la finalità di tutto ciò è manifesta nella guerra per la difesa della dignità, della libertà di essere quello che l’uomo Romano e l’uomo Greco non vogliono e non possono non essere e che gli Dei hanno deciso che siano. Lo Spirito è tutto questo, ma è anche, e soprattutto, conoscere nel riconoscersi, nell’incontro-scontro, frutto della libera competizione tra Io e Mondo (che è guerra con le armi o con la retorica giudiziario-politica in Roma, con le stesse armi o con la dialettica filosofica, che è sfida totale in Grecia). Nella consapevolezza che i “due” poli sono Uno è il “momento” dello Spirito, che è relazione in quanto è Sapere poiché è sapersi, riconoscere in quanto riconoscersi nell’Altro cioè nel Mondo.
La conoscenza dell’Unità non è passiva, concessa, elargita dalla Divinità e non è coscienza dell’Unità in quanto annullamento e annichilimento dell’Io nel Divino, come “conquistata” consapevolezza della nientità dell’uomo e del Mondo, quasi come liberazione dall’illusione della realtà del Mondo, della vita e delle culture dello stesso; no! La conoscenza dei “due” in quanto Uno e quindi la conoscenza dell’Uno, nella spiritualità indoeuropea, è frutto, è premio, è serto di Vittoria, è esito della competizione, del confronto, della dialettica, della guerra, della battaglia politica, della potenza della retorica; dopo il periglioso percorso in cui l’Io si è confrontato con l’Altro (il Mondo, il Dio, l’Idea), l’Io conosce la Verità dell’Altro che è Egli stesso ed è la gioia del Pensiero e dell’Impero come Ordine giusto, nella consapevolezza dell’essere fratelli, camerati, della stessa razza degli Dei; l’Io non è più tale: è Noi, è divenuto identificazione totale non annullamento, Egli dice, dopo il percorso, la lotta, Io sono te! Questo è lo Spirito! Ecco la Grecia, il “suo” Sapere degli Dei è il Sapere del Mondo, ecco Roma, il “suo” Diritto degli Dei è il Diritto del Mondo e il loro Impero è il Mondo, che è il Pensiero e la Legge in quanto Cosmos, cioè Ordine divino.
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La visione del mondo e quindi la spiritualità acosmica asiatica determinano e causano il rifiuto del Mondo ma ciò equivale al rifiuto del Tempo e dello Spazio che sono le modalità del Divenire, le circostanze in cui il Mondo appare. L’Asia se ha edificato Imperi e Civiltà, gli stessi sono fuori dal tempo nel senso che non c’è dialettica, non c’è movimento, non c’è libertà poiché non c’è Spirito, di conseguenza non vi sono vicende né cicli ma le “cadute” e le “rinascite” sono tanto diluite nello Spazio ed indeterminate nel Tempo che non appaiono e non si conoscono. Così il Rito stesso, nella cultura asiatica, non ha la finalità di creare qui il Sacro, l’Eterno, poiché il qui, secondo tale spiritualità, non esiste, ma ha la efficacia solo di far confluire questo Mondo, che è quasi “nulla”, nel vero Mondo che è il Divino Universale; il Rito non è pertanto “strumento” per agire nel Mondo ma lo è per fuggire dal Mondo. Così è per lo Spazio che non è sentito né conosciuto come realtà da creare (Roma) o ordinare (Grecia) né da misurare, poiché lo stesso non esiste per la coscienza asiatica… che è coscienza desertica dove lo Spazio ed il Tempo non sono percepiti e, per l’effetto, il Mondo è per quest’uomo un immenso deserto, come per le talassocrazie mercantili (Cartagine nell’antichità; Inghilterra e Stati Uniti nella modernità) è (il Mondo) un immenso mare senza limiti e confini. Tutt’altra anzi opposta è la spiritualità indoeuropea dove, poiché è assente ogni atteggiamento spirituale dualista o panteista, la stessa entra nel Mondo (anzi non ne è mai uscita, non avendo alcun significato spirituale tale concetto per la sua intrinseca impossibilità), per governare il divenire, per creare o ordinare secondo necessità sia il Tempo che lo Spazio come realtà mobili e mutevoli, specchi della Realtà immobile ed immutevole che però deve essere creata (Roma) o riconosciuta (Grecia) e rinnovata qui come forma intelligibile del Mondo stesso ed è il concetto di Trascendenza Immanente, ed è l’Impero come specchio dove si riflette sulla Terra l’Ordine dei Cieli; e qui sulla terra, mediante il Rito si crea anzi si ricrea, si rinnova l’Atto primordiale e archetipico con il quale la Divinità “ordinò” (e cioè ordina… sempre, ab aeterno…) il Mondo stesso come grande Dio, eterno vivente e perciò Animato.
Il Rito, pertanto, nel mondo indoeuropeo, Greco e Romano, non è “strumento” per “fuggire” dal Mondo, ma è l’Atto fondamentale, l’Azione principale per fondare la Civiltà come Città degli Dei e degli Uomini, insieme nel Mondo non solo in quanto Mondo ma in quanto Essere nel Divenire, Sacro nel (del) Mondo.
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Da ciò consegue la fondamentale forma mentis pluralista[2] della cultura indoeuropea che si manifesta in tutti i dominì: nella pluralità delle Forme del Divino (Grecità) che, comunque, non solo non escludono ma sono l’Unità della Molteplicità; nella pluralità delle Istituzioni che in equilibrio dinamico concretizzano e tutelano la dignitas e la libertas sia del civis che del Populus (Romanità); nella concezione tipicamente romana, di una civitas che non è “chiusa” cioè tribale ed egoistica ma nemmeno “aperta” (alla Popper) e quindi priva di fondamenti, Nomoi intranseunti ed indiscutibili; la civitas romana infatti è augēscens cioè si arricchisce, aumenta, si espande, accogliendo l’“estraneo”, ma espande, al contempo, se stessa, il suo messaggio, la sua cultura, i suoi fondamenti che, pluralisticamente non solo non cancellano i fondamenti delle culture altre che incontra ed accoglie, ma con esse è capace, “misteriosamente” e unicamente nella storia dell’umanità, di riconoscersi, in senso proprio hegeliano, cioè di riconoscere Se stessa nell’Altro, fondendosi con il “barbaro” che, divenendo Romano, trova nella libertà il punto di equilibrio e di dinamica polare tra la sua identità etnica e quella culturale e giuridica dell’Ecumene greco-romano che abbraccia riconoscendovisi e nella quale vive da cittadino e patriota, giungendo a difenderlo, nel momento della crisi epocale dello stesso, da autentico civis romanus. La forma mentis pluralista si ritrova nella contrapposizione e nel conflitto tra concezione monistica e assolutistica del potere politico (monarchia ellenistico-asiatica) e concezione organica, gerarchica e distribuita dell’Autorità nella cultura storica indoeuropea. Nella stessa tradizione filosofica tale visione del mondo si sviluppa da Eraclito sino a Hegel; essi non negano, infatti, la contraddizione, il conflitto, ma, anzi, Pòlemos è il padre e la madre di tutte le cose (Eraclito) ed Hegel riconosce esplicitamente che la cristallizzazione monistica e paralizzante dell’intelletto (astratto) si determina solo su di un “aspetto” della realtà che viene infatti astrattamente contrapposto ad un altro; la Ragione, invece, che, nel lessico hegeliano, è la speculazione pura ed è la visione iniziatico-teosofica simile a quella di Böhme, è lo sguardo totale e onnicomprensivo che vede il Tutto e non nega le “parti” che sono in conflitto, restano in conflitto e questa è la causa dell’essere del Tutto.
Infatti nella negazione di una parte, essa viene certamente superata ma viene, altresì e contestualmente, nella realtà logica unitaria (che riconosce, “assorbe” il principio di contraddizione e ne fa il “motore” del mondo…), riconosciuta e conservata nella Vita del Tutto; essa, la “parte”, è vista quale “momento”, “fase” del viaggio verso il Risultato che è l’Assoluto cioè l’Idea. Tale è la causa per cui la Visione del Mondo indoeuropea è unitaria, nel senso che è simile ad un archètipo in ogni sua storica fenomenologia, poiché è la sublimazione della libera personalità dello Spirito, anzi è lo Spirito stesso che si realizza, riconoscendosi, nella Libertà quale manifestazione della stessa.
Note:
[1] G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, Firenze 1960, vol. 1, p. 26: «… non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione, anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello Spirito […] questo soffermarsi è la magica forza che volge il negativo nell’Essere…».
[2] A. LO SCHIAVO, Il fondamento pluralista del pensiero greco, Napolii 2003; A.A.V.V., L’Uno e i molti, Milano 1990; M.ABATE, Il divino tra unità e molteplicità. Saggio sulla Teologia Platonica di Proclo, Alessandria 2008.
Giandomenico Casalino