Le piante magiche: sul valore simbolico-ermetico del mondo vegetale – Giovanni Sessa
Il mondo vegetale, fin dagli albori dell’umanità, ha avuto un ruolo centrale nell’immaginario umano, così come nelle pratiche cultuali e nelle mitologie. Gli alti colonnati delle cattedrali gotiche ebbero quale modello di riferimento, il fusto degli alberi delle foreste dei paesi del Nord d’Europa. A ricordarci come ai culti vegetali fosse da sempre associato l’iter alchemico, mirato a recuperare all’uomo la partecipazione al principio, all’origine, e come, il mondo tradizionale abbia guardato alle piante al fine di estrarre da esse un fondamento spirituale dalle valenze medico-curative e spagiriche, è una recente pubblicazione di Maria Teresa Burrascano, Le piante magiche, comparsa nelle librerie per l’editore Stamperia del Valentino (per ordini: 081/5787569, pp. 61, euro 10,00). Il volume è impreziosito da schede figurative, tratte da erbari medievali, e da un saggio introduttivo di Luca Valentini, mirato a contestualizzare le valenze magico-ermetiche della viriditas.
In illo tempore, chiosa il prefatore: «Ogni manifestazione naturale […] era considerata come manifestazione delle varie divinità» (p. 6). Si riteneva che Terra e Cielo fossero manifestazioni del Sacro, interconnesse tra loro. In tale visione delle cose, così come nel pensiero ermetico, consustanziale ad essa, l’Uno lo si pensava nei molti, al di là di qualsivoglia dualismo. L’albero era, in tale contesto spirituale, simbolo ed evidenza del legame che unisce l’Alto e il Basso, axis mundi. Per questo, si riteneva che, potestates di diversa natura, “animassero” la vegetazione. Tale sacralizzazione del regno vegetale si fonda su una distinzione essenziale, che ritiene in sé diversi il simbolismo della pianta da quello dei fiori e della fioritura. Mentre l’Albero indica la forza del principio nella sua dimensione statica: «il processo che vede il seme immergersi nella Terra per poi rialzarsi e germogliare è la forza nella sua dimensione dinamica», simbolizzante il solve et coagula proprio della via ermetica, atta a reintegrare l’umano nell’origine.
A ciò allude, lo ricorda Valentini, il capitolo “Il campo e il seme” de, La tradizione ermetica, di Evola. Non è casuale che nell’Induismo l’Albero del Mondo abbia le radici in cielo e i rami in terra, a indicare la forza dall’alto del principio che, l’uomo dell’Età ultima, deve ritrovare: «una meta eroica che vede, miticamente, vincitori e vinti» (p. 8) sulla propria strada. Romolo e Remo, nella tradizione romana vengono allattati dalla lupa sotto il ficus Ruminalis. I due gemelli: «possiamo rappresentarceli come un vincitore e come un vinto di tale conquista spirituale» (p. 9). Presso lo stesso popolo, il pino e l’abete, simbolizzavano l’Albero della vita che, in occasione del solstizio invernale, rifioriva, per il periodico ritorno della luce. Le sue infiorescenze erano candele, lumi e strenne per bambini. Nel bosco sacro a Diana che attorniava il lago di Nemi, si svolgeva la contesa rituale tra il Rex Nemorensis e colui che voleva sfidarlo. Questi avrebbe dovuto preliminarmente cogliere un ramo di vischio da una quercia sacra a Giove che, anche in questo racconto, è simbolo della potestas divina. Il processo di realizzazione è analogicamente presente nel movimento che vede erbe, piante e fiori ascendere verso la luce solare: «La rosa ha la stessa funzione simbolica della coppa del Santo Graal, emblema del cuore umano che germoglia e rinasce» (p. 12).
Il ciclo delle stagioni ha un significato iniziatico, in quanto le fasi del ciclo calendariale sono analoghe, vera e propria rappresentazione, delle quattro fasi dell’Opera alchemica. Quindi, se l’intera Natura è animata, i frutti di Madre Terra possono avere una precisa valenza terapeutica. Le piante officinali contengono il parcelsiano Arcanum: «una sostanza fissa, immortale e in qualche modo incorporea, che cambia, restaura e conserva i corpi» (p. 18). Il volume, Le Piante magiche, di Borrascano è, pertanto, un breve trattatello di Alchimia vegetale. Il suo incipit è dedicato alla mandragora, pianta le cui radici si credeva avessero fattezze umane e potevano essere utilizzate in riti magici di disparata natura: «Gli stregoni con questa pianta, introdotta negli alimenti e nelle bevande, causavano nei loro pazienti l’imbecillità» (pp. 28-29). Isterici ed epilettici venivano trattati con estratti di belladonna: «i pazienti venivano presi dall’ebbrezza e dall’estasi ed erano servili alla volontà di chi somministrava il medicamento» (p. 32).
Durante i sabba, gli sati allucinatori erano indotti dal giusquiamo, ipnotico e narcotico. Lo stramonio fu utilizzato dalla maga Circe al fine di trasformare i compagni di Ulisse in maiali. Plinio attribuisce a questa pianta: «la virtù di rallegrare, di dissipare la tristezza» (p. 39). Al contrario, il colchione veniva usato per suscitare, in chi lo assumeva, un terrore paralizzante. Queste alcune delle piante magiche di cui sapientemente dice Burrascano. In fondo: «In ogni tempo il genio umano ha cercato di sollevare il velo misterioso che cela l’avvenire e che nasconde le leggi della vita umana e quelle dell’universo» (p. 61). Per questo, conoscere le piante officinali e il valore simbolico della viriditas, ha un suo senso anche nell’età dell’Impianto, realizzato dalla tecno-scienza.
Giovanni Sessa