L’aurora degli Dèi: l’epifania di Giuliano Augusto – Luigi Mancuso
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L’aurora degli Dèi: l’epifania di Giuliano Augusto – Luigi Mancuso
In una fase di quella che si potrebbe definire “età assiale della storia”, le varie tradizioni dei paesi di tutto il mondo, a partire VI secolo a.C., iniziano a subire un periodo di profondo decadimento entrando in quella che è l’ultima fase del Kali-Yuga (1). Per far fronte a questa ondata travolgente, emergono in maniera quasi provvidenziale delle figure atte a ripristinare e conservare la religiosità dei rispettivi popoli. Se per esempio l’India ebbe il principe di Siddharta, ovvero il Buddha, e la Persia Zoroastro, per il mondo romano non ci fu un solo “salvatore”, ma una intera aristocrazia guerriera che si erse contro la monarchia etrusca dei Tarquini per dare inizio alla Res Publica. I motivi che portarono alla sollevazione dell’aristocrazia romana contro un popolo, quello etrusco, che pure aveva dato il suo contributo nella nascita di Roma, vanno rintracciate nella simbologia della Triade Capitolina. Essa, infatti, andava a sostituire la Triade arcaica di stampo indoeuropeo, dove Giunone e Minerva presero il posto di Marte e di Quirino. Solo Giove restava inamovibile sul trono degli Dèi. Questa scelta aveva anche delle speciali connotazioni politiche atte a simboleggiare l’instaurazione di una monarchia non più elettiva, ma ereditaria, trasmettendo il potere regale dal re (Giove) al suo erede (Minerva) (2). Secoli dopo, la minaccia del cristianesimo, che portava con sé non solo una visione del divino totalmente differente e contraria al rapporto con le divinità che era proprio dell’uomo greco-romano, ma anche una concezione del potere per successione diretta che ricorda molto quella etrusca-ellenico-asiatica dei Tarquini e che ai tempi fu avversata proprio perché contraria ai costumi Romani. Contro questa minaccia si batté Diocleziano Augusto al fine di preservare la Tetrarchia, che si era posta come forma di governo l’obiettivo di ritornare al sistema della scelta del migliore a guida dell’Ecumene. Le persecuzioni contro i cristiani da parte di Diocleziano vanno quindi inquadrate in quest’ottica di preservare le tradizioni patrie contro un culto straniero e orientale.
Dopo l’ascesa di Costantino, quell’autentico rivoluzionario che finì con lo scardinare l’antica concezione del potere regale e imperiale tipica degli Antiqui Mores, quale difensore di quella Roma pagana fece il suo ingresso il giovane Imperatore Flavio Claudio Giuliano. In questa sede non può essere ricordata per intero la sua biografia, né le scelte che portarono l’Augusto ad abbandonare il cristianesimo che aveva fatto la fortuna politica di suo zio Costantino, ma quello che conta fu il suo tentativo rettificare e restaurare il paganesimo greco-romano sotto il segno del Sol Invictus. Contrariamente a ciò che viene narrato da una certa vulgata, la lotta e l’ideale di Giuliano che lo spinsero contro il cristianesimo furono caratterizzati dalla certezza di possedere quel sentire tipico dei capi e dei grandi uomini che tessono e plasmano con le loro azioni il corso della storia, questo grande condottiero è <<afferrato prima degli altri profondamente e quasi passionalmente, dal significato di ciò che avviene e di ciò che per sua iniziativa può avvenire – fissa a sé stesso in piena autonomia la legge dell’azione, scegliendo tra le diverse vie – quando ancora gli altri sono sperduti nel buio o barcollanti nella confusione – quella che vuol essere seguita, quella che fatalmente, ove egli stesso non voglia fallire, deve essere seguita.>>(3).
Giuliano attinge di nuovo a quella fonte del Sapere che risiede nel passato arcaico di Roma e della stessa Illiria, terra di origine di Aureliano Augusto e della famiglia di Costantino e Giuliano stesso. Il conservatorismo di Giuliano si legava, piuttosto che sul ricordo sterile del passato, su valori universali e per questo sempre eterni. Una forma mentis tutta romana perché i Quiriti, nel corso della loro lunghissima storia, non si sono mai sentiti vincolati da una concezione puramente teorica e pur rimanendo sempre fedeli a quell’ideale che aveva come fine il portare nel mondo l’ordine e la giustizia, non hanno mai smesso di cercare nuovi modi per poter realizzarlo (4). Si ha come una sorta di continuità con quell’ethos guerriero che attraversa come un fiume carsico la vita di Aureliano, di Diocleziano e dello stesso Giuliano e che vede proprio negli imperatori illirici che portano i nomi degli Aurelii e dei Claudii, questi ultimi discendenti di Hercules, l’ultima apparizione dei maiores che avevano reso grande Roma con le loro gesta. Non a torto Evola affermava che solare <<fu l’ultima professione romana di fede, in quanto l’ultimo esponente dell’antica tradizione romana, Giuliano Imperatore, ricondusse appunto alla solarità quale forza spirituale irradiante dal “sovramondo” la sua dinastia, la sua nascita e la dignità regale.>> (5). Il culto del Sole a Roma era di origine antichissima, tanto da essere identificato come Sol Indiges, ovvero il Sole Antenato che potrebbe corrispondere all’Auselius (Aurelius=Aureo) dei Sabini e a questo Nume a Lavinio furono dedicati dodici altari allineati in senso nord-sud e volti a est (6). Proprio a Lavinio la gens Aurelia fu la prima a occuparsi del culto del Sol Indiges e il nome di questo clan risalirebbe a Sol=Ausel (7) e secondo la tradizione trasmessaci dall’erudito Varrone, il culto del Sole fu introdotto nell’Urbe dai Sabini di Tito Tazio (8). È poi cosa nota che il culto del Sol Indiges venne celebrato proprio sul colle Quirinale. Non è affatto insolito, quindi, che un uomo come Aureliano, che aveva lo stesso nome di quella antica gens, ebbe la consapevolezza di riallacciarsi a una tradizione italica edificando sul Quirinale il Tempio al Sol Invictus. Ma non è tutto, perché fin dal passato arcaico di Roma il Dio Giano presenta delle caratteristiche che lo accomunano al Sole quale Fuoco cosmico generatore di vita. Così, nel versus Ianuli, Giano viene cantato nelle preghiere dei Salii:
<<Cantatelo il Padre degli Dèi,
supplicate il Dio degli Dèi.
Oh, Sole, sorgi al mondo!
Alla porta del cielo, o tu che apri!
Sei il gentile portiere,
Sei il buon Ianes
Sei il benefico generatore.>>(9)
Il rapporto che intercorre tra Giano e il Sole viene ulteriormente evidenziato dal fatto che Giano divide a metà l’anno, con i suoi agoni che vengono celebrati il 9 di gennaio proprio poco tempo dopo che il 25 dicembre si era festeggiato il Natale del Sol Invictus. La simbologia sacra che permea il Trionfo di Aureliano è ricolma di simboli solari che ricalano la tradizione illirica della sua patria originaria, ma che però vengono sapientemente uniti a quella latina e romana. Durante il Trionfo di Aureliano venne trainato infatti il carro del re dei Goti, Cniva, da dei cervi, gli animali furono poi offerti a Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio. Secondo Altheim la simbologia del carro trainato dai cervi richiama anche quella delle rocce graffite della Scandinavia e i reperti dell’età del bronzo del Nord Europa, dove è frequente la presenza di un cervo che traina il disco solare (10). A mio parere non sarebbe peregrino affermare che Aureliano avesse messo in pratica un rituale ancestrale della sua terra, a testimoniare che le tradizioni pagane dell’Ecumene greco-romano fossero tutt’altro che morenti di fronte all’avanzata del cristianesimo. Giove ha quindi tutta serie di simboli che lo avvicinano molto al Sole, basti pensare alla quadriga su cui viaggiavano i generali romani vittoriosi per incarnare in maniera manifesta la presenza del Dio Ottimo e Massimo. La quadriga è probabile che fosse sia il simbolo di Giove, che della regalità trionfale, <<un’antica quadriga di origine etrusca conservata in un tempio capitolino era considerata dai Romani come pegno della loro prosperità futura.>> (11). Proprio la ruota del carro solare è uno dei simboli che più si adatta a Giove quale legislatore e Padre degli Dèi, proprio perché Giove, come il Sole, occupa il posto al centro della ruota da cui si dipanano tutti i suoi raggi e le sue molteplici manifestazioni.
Quindi, come giustamente fa notare il De Francisci, fin dai tempi arcaici di Roma tutti gli Dèi, anche se sarebbe più corretto parlare di numina, non sono nient’altro che emanazioni della Divinità sovrana di Roma, ovvero Divus Pater Iupiter, che sotto varie forme si rivela e misteriosamente domina e penetra la vita degli uomini e della natura (12). Quindi Giove possedeva fin dai primordi delle caratteristiche che lo rendono molto simile all’Uno. Un legame quello tra Giove-Zeus e il Sole che non sfuggiva certo a Giuliano Augusto e che doveva essere ancora vivo non solo a Roma, ma anche nelle altre province, perché, come lo stesso Imperatore scrive: <<…noi dobbiamo ammettere una comune o piuttosto una unica dominazione di Helios e di Zeus tra gli dèi dotati d’intelletto. Per questo possiamo rifarci alla testimonianza dei sacerdoti di Cipro, i quali fanno vedere altari comuni ad Helios ed a Zeus…>> (13) . Se poi scendiamo ancora di più in profondità nella logica dell’uomo antico, notiamo come il Sole fosse il Tredicesimo Nume di Roma in una forma potremmo dire occulta, quale asse attorno cui ruotano i Dodici Grandi Dèi dell’Olimpo, questo fu ben compreso dagli iniziati romani che vollero distinguere Apollo dal Sole, proprio per dare a quest’ultimo un’essenziale funzione unitiva (14). Ennio ci riporta poi come fu il Sole a dare la regalità a Romolo, poiché: << […] il sole è diventato più pallido e si è ritirato nelle regioni inferiori della notte. Ma presto, fulminata dai raggi, una luce abbagliante balenò di nuovo; dalle profondità del cielo, un uccello, il più splendido che sia mai stato, volò altissimo, a sinistra, proprio nel momento stesso in cui riapparve il sole dorato. È allora che scendono dai cieli, figure della divinità, tre gruppi di quattro uccelli, e la disposizione che adottano rivela un destino straordinario e meraviglioso. Romolo capisce in quel momento che un tale presagio gli assicura personalmente la sovranità regale, il possesso del trono e della terra.>> (15). Quindi, il Tredicesimo Dio di Roma è in verità anche l’Uno, come era chiaro anche allo stesso Aureliano quando promosse il culto del Dio Sole Invitto come culto ufficiale e universale nel 274 d.C. <<Sole era anche stimato come il tredicesimo dio tra i dodici dei.>> (16).
Sono da considerarsi erronee o quanto meno viziate da una visione cristiana quelle scuole di pensiero che sostenevano l’idea che Giuliano volesse riformare la religiosità greco-romana in una sorta di “chiesa pagana”, oppure imporre una qualche forma di “monoteismo solare”, poiché l’idea politica e religiosa che animava Giuliano era quella di attuare un accentramento della gerarchia sacerdotale che trova, non a caso, la sua origine in Aureliano con la sua riorganizzazione del collegio pontificale. Inserendosi dunque nel solco di questa tradizione, Giuliano volle sostituire la moltitudine non coordinata di culti civici in un paganesimo che fosse espressione, a livello metafisico-teologico, dell’unità e dell’onnicomprensività dell’orbis romanus (17). Giuliano, in qualità di pontifex maximus, era conscio di quale fosse il glorioso passato di Roma e voleva farne parte. L’Augusto si sentiva continuatore di quei maiores che avevano dato la vita per Roma, ma l’ammirazione per il passato dell’Urbe non ha niente a che vedere con un qualche gusto puramente antiquario, ma, come già detto, salda consapevolezza del ruolo del principe come conservator orbis. In una sua opera, Contro il cinico Eraclio, Giuliano narra di una sua esperienza mistica, che sia reale o meno, come dice lo stesso Imperatore, ha poca importanza:<<Non saprei dire se questa sia una favola o un racconto vero.>> (18). Importante in quest’opera di Giuliano è il compito che Zeus gli affida per riformare l’Impero sconvolto dai disordini dei cristiani che avevano abbandonato il culto degli Dèi immortali. La volontà da parte dell’Augusto di ricevere una vera e propria investitura divina dal Padre degli Dèi richiama da una parte il tentativo di Diocleziano di restaurare e proteggere la religione capitolina ponendosi sotto la protezione di Giove (19) e dall’altra richiamava l’investitura dei Re del Lazio che salivano sul Campidoglio per avere da Giove stesso il potere di governare e dei generali romani come Scipione l’Africano, il quale era solito consigliarsi con il Dio, sul finire della notte, per sapere quale fosse il bene della Res Publica (20). Quindi, la montagna vista da Giuliano nella sua visione poteva essere la forma ipercosmica del mons capitolino (21). Ricevendo l’investitura da Zeus e accompagnato da Helios, l’Augusto era pronto per la sua lotta per la salvezza dei costumi di Roma: <<Va dunque, ornato di quest’armatura per tutta la terra, per tutto il mare, costantemente ossequioso alle nostre leggi e nessuno mai né degli uomini, né delle donne, né dei famigliari, né degli estranei ti persuada a dimenticare i nostri precetti. Finché ti atterrai ad essi, sarai gradito a noi e degno, oggetto di rispetto per i buoni che ci servono e di terrore per i malvagi e per gli empi. Sappi che il corpo mortale ti fu dato perché tu possa compiere questa missione. Per riguardo ai tuoi antenati noi desideriamo purificare la casa dei tuoi padri. Ricordati dunque che hai un’anima immortale che da noi discende e che, se tu ci seguirai, sarai un dio e con noi contemplerai il nostro padre.>> (22).
Allo stesso modo si può notare come Enea e Giuliano, se noi riusciamo a penetrare il profondo simbolismo dell’Eneide, mostrano una certa somiglianza. Anche se forse sarebbe più corretto affermare che Giuliano riesce a adottare le virtù e gli insegnamenti che Virgilio ci ha trasmesso nella sua Eneide. Non si tratta solo della pietas che Giuliano seppe incarnare, ma mi riferisco soprattutto alla volontà di Giuliano di essersi saputo uniformare alla eliomorfosi che porterà l’Eroe dardanide a diventare Nume Invincibile e a essere identificato nel Sol Indiges dopo la sua morte. Enea, attraverso le innumerevoli traversie che affronta nell’opera virgiliana, si dimostrerà degno di incarnare l’archetipo della regalità solare, facitore del proprio destino aprirà una nuova era per l’Italia proprio da Lavinio, culto che fu preposto posso alla sua memoria quale Re diventato Nume solare. <<La perfetta conformità alla Legge divina, vale a dire la pietas che egli ha mostrato, gli ha conferito la signoria di quella Legge, l’immortalità solare, la natura del Tredicesimo e dell’Uno.>>(23) . Sia Enea che Giuliano incarnano il più fulgido esempio della regalità nel senso tradizionale del termine, perché nel mondo antico non era sufficiente per essere Re avere delle ottime capacità amministrative ed essere carismatico. Il Re, per essere tale, deve prima di tutto incarnare <<quella vita che è “di là dalla vita”>> (24), perché <<Il fondamento primo dell’autorità e del diritto dei re e dei capi, ciò per cui essi venivano obbediti, temuti e venerati, nel mondo della Tradizione era essenzialmente questa loro qualità trascendente e non soltanto umana, considerata non come vuoto modo di dire ma come una possente e temibile realtà. […] Nella Tradizione la regalità è stata spesso associata al simbolo solare. Si riconobbe al re la stessa “gloria” e “vittoria” propria al sole e alla luce -simboli della natura superiore- in trionfo ogni mattina sulle tenebre.>>(25) .
In Giuliano si ebbe l’ultimo tentativo di fermare le forze caotiche del culto asiatico dei galilei, facendo rivivere per pochi anni il sogno di una nuova Aurora degli Dèi nel tempo del decadimento dettato dalle forze travolgenti del Kali-Yuga. Narra una tradizione che dal corpo esanime di Giuliano gli astanti videro uscire due anime: la sua e quella di Alessandro Magno, che simili a due palle di fuoco salirono in alto nel cielo per confondersi nel firmamento. Giuliano e Alessandro erano quindi mossi dallo stesso principio e dalla stessa forza, una simbologia che si trova anche nella tradizione islamica per indicare il “Possessore delle due corna” (Dhū l-Qarnayn), il soggiogatore delle forze potatrici del caos di Gog e Magog. Il titolo di Possessore delle due corna viene utilizzato anche per indicare il “Possessore delle due età” e quindi Giuliano potrebbe aver incarnato un nuovo Alessandro Magno facendolo rivivere nuovamente in un secondo ciclo storico (26). Se Enea ha gettato le basi per dare inizio alla storia di Roma e se Romolo ha fondato l’Urbe, Giuliano cercò di rifondare nello spirito la città che non vide mai e che sempre ammirò, per fare in modo che il passato degli antenati non venisse mai dimenticato. Con Giuliano si ha quindi l’ultima Epifania degli Eroi del mondo classico, principe giusto ed equilibrato che, pur avendo saputo da una profezia di morire in giovane età, fece di tutto per adempiere alla missione sacra che gli Dèi gli avevano affidato per poi abbandonare le sue spoglie mortali durante la campagna di Persia e ritornare all’Uno. Se Enea fu Sol Indiges, Giuliano fu Sole Invitto.
Note:
1 – R. Guénon, Autorità spirituale e potere temporale, Rusconi Editore 1972, p. 21.
2 – G. Battista Pighi, La preghiera romana, Edizioni Victrix 2009, p. 34.
3 – P. De Francisci, Spirito della civiltà romana, L’Arco e la Corte 2019, p. 30.
4 – Ibidem, p. 48
5 – J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma 1969, p. 25.
6 – C. Rutilio, Pax Deorum: La Religione Prisca di Roma, Edzioni Arktos 2013, p. 105.
7 – G. Muscolino, Il Sole di Porfirio: Opera politica e religiosa nella Roma imperiale del III secolo, Edizioni Ester 2021, p. 22-23.
8 – Varrone, Ling., Lat., V, 74.
9 – G. Battista Pighi, La preghiera romana, p. 38.
10 – F. Altheim, Deus Invictus: Le religioni e la fine del mondo antico, Edizioni Mediterranee, Roma 2007, p. 133-134.
11 – J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, p. 169.
12 – P. De Francisci, Spirito della civiltà romana, p. 60.
13 – Giuliano, Inno ad Helios Re, 135 d.
14 – Y. Albert Dauge, Virgilio e la Luce Divina di Roma: esoterismo e iniziazione nell’opera virgiliana, Edizioni Victrix 2021, p. 86.
15 – Ibidem, p.85; Ann. I, 93-100: ed. E.H. Warmington (<<The Loeb Classical Library>>, Remains Old Latin, vol. I, p. 30): interea sol albus recessit in infera noctis. / Exin candida se radis dedit icta foras lux; / 95 et simul ex alto longe pulcherruma praepes / laeua uolauit auis, simul aureus exoritur sol. / Cedunt de caelo ter quattuor corpora sancta / auium, praepetibus sese pulchrisque locis dant. / Conspicit inde sibi data Romulus esse propritim / auspicio regni stabilita scamna solumque.
16 – M. Kahlos, Vettio Agorio Pretestato: una vita senatoriale nella transizione, Edizioni Victrix, Forlì 2010, p. 67.
17 – Giuliano Imperatore, Lettere e discorsi, Bompiani 2022, dal saggio introduttivo di Maria Carmen De Vita, p. CCXCV.
18 – Giuliano, Contro il cinico Eraclio, 234 c.
19 – Uno dei titoli di Diocleziano fu proprio Iovius, per indicare il legame con il suo Nume.
20 – A. Mastrocinque, in Pignora amicitiae: Scritti di storia antica e di storiografia offerti da Mario Mazza I, Bonanno Editore 2009, p. 366.
21 – Ibidem, p. 366.
22 – Giuliano, Contro il cinico Eraclio, 234 b-c.
23 – Y. Albert Dauge, Virgilio e la Luce Divina di Roma: esoterismo e iniziazione nell’opera virgiliana, p. 93.
24 – J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, p. 23.
25 – Ibidem, p. 24-25.
26 – Giuliano Augusto, Epistole, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1980, dall’introduzione di Claudio Mutti, p. 23.
Luigi Mancuso