L’arazzo di Bayeux: un documento storico attendibile – Luigi Angelino
L’arazzo di Bayeux è uno dei principali capolavori artistici d’oltralpe, conosciuto anche con il nome di “arazzo della regina Matilde” ed ancora prima indicato con il suggestivo appellativo di “Telle du Conquest” o con l’espressione latina di “Tapete Baiocense”. Dal punto di vista tecnico, l’opera, contrariamente a quanto si creda nella cultura di massa, non costituisce un vero e proprio arazzo, ma una sorta di “tessuto ricamato”, la cui realizzazione presenta un’origine alquanto controversa e misteriosa, non potendosi stabilire con certezza se sia stata compiuta in Normandia o in territorio inglese (1). Per quanto riguarda l’epoca storica di riferimento, gli studiosi sono concordi nel ritenere che il cosiddetto arazzo di Bayeux sia stato ultimato nella seconda metà dell’undicesimo secolo, descrivendo momenti apicali relativi alla conquista normanna dell’Inghilterra, che ebbe come evento culminante la battaglia di Hastings combattuta nel 1066. Per l’altissimo valore documentale e storico delle notizie fornite sulla Normandia e sull’Inghilterra dell’ XI secolo, l’arazzo nel 2007 è stato inserito dall’Unesco nel “Registro della memoria del mondo” (2).
Se analizziamo la struttura dell’opera, essa risulta costituita da nove “pezze” di lino, raggiungendo una lunghezza complessiva di 68,30 metri. Le singole pezze non sono omogenee: si parte dalla più piccola che misura 2,43 metri, per arrivare alla più grande che ne misura 13,90. La larghezza, invece, si mantiene simmetricamente costante sui 50 metri. Gli studi hanno dimostrato che il ricamo fu realizzato con filo di lana, in ben nove tinte naturali. Fino agli ultimi anni del XVIII secolo, l’arazzo era custodito nella cattedrale della città di Bayeux, situata nel dipartimento del Calvados nella regione storica della Normandia, mentre al giorno d’oggi può essere ammirato dai numerosi visitatori nel “Centre Guillame-le-Conquerant” (Centro Guglielmo, il Conquistatore), ubicato nella stessa località (3). Lo scenario grafico dell’arazzo è imponente ed impressionante, considerando che le varie azioni sono rappresentate in sequenza con l’apparizione di ben 126 personaggi. Per la particolare versione grafica adoperata, alcuni critici hanno voluto vedere nella straordinaria opera alcuni spunti tecnici che anticipano di molti secoli il moderno stile fumettistico. Come era consuetudine consolidata nelle espressioni artistiche del Medioevo, ogni scena risulta arricchita da una sintetica didascalia in lingua latina, anche se si sostiene che la parte finale sia andata perduta, dove probabilmente era disegnata la trionfante incoronazione del condottiero vincitore, cioè Guglielmo I. I personaggi che si distinguono, come detto in precedenza, sono 126, ma alcuni si ripetono più volte, per cui, contando le figure con precisione chirurgica, si ottiene un totale di 626 raffigurazioni umane, a cui si aggiungono 202 tra cavalli e muli, 505 animali di altro genere, 49 alberi e 37 edifici. E’ superfluo sottolineare come il conteggio sia tutt’altro che facile e molti esperti giurano che risulta differente ogni volta che si ricomincia daccapo l’attività di numerazione.
Come abbiamo già accennato, ogni singolo elemento contribuisce affinché l’arazzo si imponga come inestimabile testimonianza storica del periodo convulso ed oscuro di riferimento, quando ancora non era stata sviluppata alcuna sensibilità storiografica. Vi sono incise informazioni così importanti che sono servite agli storici per poter completare il quadro generale di importanti ricostruzioni sugli usi e sui costumi dell’epoca. Ad esempio, alcune immagini ci consentono di arrivare alla conclusione che le imbarcazioni vichinghe fossero sospinte da un tipo particolare di vela, oppure che le armi adoperate dalle due parti in conflitto fossero ugualmente di fabbricazione scandinava. Ed, inoltre, rileva il fatto che, per la prima volta nella storia, almeno per quanto sia stato fino ad ora accertato, appaia l’uso delle “insegne” messe in campo dai due schieramenti contendenti, allo scopo di poter distinguere, con maggiore chiarezza, chi fossero gli amici e chi i nemici. Negli scontri frontali, infatti, capitava sovente che, nella concitazione del confronto, si eliminassero i compagni del proprio schieramento (4).
Secondo la maggior parte degli studiosi, le prime notizie riferite all’arazzo di Bayeux risalirebbero ai primi anni del dodicesimo secolo, quando il cronista Balderico di Bourgueil dedicò ad Adele di Normandia, figlia prediletta di Guglielmo il Conquistatore, un poemetto nel cui testo decantava un arazzo, descritto come intessuto in seta, oro ed argento che era stato elaborato per celebrare le gesta dei Normanni (5). Alcuni critici, però, hanno osservato come i materiali e le misure indicate nel poemetto non corrispondessero esattamente all’opera di cui ci stiamo occupando, mettendo in discussione finanche la reale esistenza della bella principessa, a cui era dedicato il componimento. A fronte di tale interpretazioni, altri ritengono che il cantore abbia tratto spunto, per la redazione del suo poema, in maniera diretta od indiretta, proprio dall’arazzo di Bayeux. Se, invece, si vuole fare riferimento a dati storici più attendibili, dobbiamo compiere un salto di quasi quattro secoli, arrivando al 1476, quando nell’inventario dei beni conservati nella cattedrale di Bayeux, compare anche l’arazzo, addirittura con l’importante annotazione che era esposto lungo il perimetro della navata dello stesso edificio religioso, per alcuni giorni nel corso della stagione estiva di ogni anno. Successivamente, l’arazzo con molta fortuna scampò ad alcuni devastanti saccheggi, come quello perpetrato dagli Ugonotti nel 1562. La fama dell’opera iniziò a diffondersi a livello internazionale alla fine del Seicento, quando alcuni eruditi, come Antoine Lancelot, cominciarono a comprenderne il pregevolissimo valore come documento storico.
A similitudine di quanto accadde per altri preziosi manufatti medievali d’oltralpe, come ad esempio l’arazzo dell’Apocalisse di Angers, a cui ho dedicato una monografia (6), l’opera di Bayeux rischiò di essere distrutta dalla furia della Rivoluzione Francese, venendo adoperata come copertura di un improvvisato locale dove si conservavano gli approvvigionamenti. Lo scempio fu evitato grazie all’intervento di un funzionario di polizia e poi affidato alla Commissione Nazionale per le Arti, che deliberò di conservarlo in un deposito ben custodito, allo scopo di evitare le dilaganti ed incomprensibili distruzioni del periodo del “Terrore”. Napoleone, poi, volle che l’arazzo fosse trasportato nella capitale francese per scopi soprattutto propagandistici, facendolo esporre nel Museo intitolato a sé stesso, chiamato appunto “Musèe Napoleon”. Si racconta che, preparandosi ad attaccare l’Inghilterra, un particolare abbia colpito l’ambizioso condottiero, cioè l’immagine dell’apparizione di un corpo celeste sulla città di Dover, molto simile alla cometa apparsa nel 1066, l’anno della famosa battaglia di Hastings. Come è noto, la coincidenza non portò per niente fortuna all’imperatore francese. L’opera d’arte tornò a Bayeux nel 1804 e nel corso dell’intero diciannovesimo secolo la sua fama crebbe notevolmente a livello internazionale, stimolando anche vivaci emulazioni, come quella concepita dalla ricca possidente inglese Elisabeth Wardie che finanziò la creazione di una copia delle stesse dimensioni, attualmente conservata nel Regno Unito presso il museo di Reading (7).
Le origini dell’arazzo, come anticipato in apertura, sono del tutto incerte, anche se si tende ad attribuirne la committenza all’arcivescovo Oddone di Bayeux che, in realtà, risulta il personaggio più celebrato, nell’economia iconografica dell’arazzo, dopo Guglielmo il Conquistatore. E’ importante sottolineare come soltanto poche delle numerose figure presenti sull’opera abbiano un nome preciso, o meglio corrispondano ad una figura storica certa: Harold Godwinson, Edoardo il Confessore, gli stessi Oddone e Guglielmo, l’enigmatica principessa Elfia, l’altera regina Editta, a cui si aggiungono nomi sconosciuti alle altre fonti medievali, come Wadard, Vital e Turold, per citarne alcuni. Secondo una parte di studiosi, l’arcivescovo Oddone, non citato da altre fonti come uno dei principali attori della battaglia di Hastings, avrebbe commissionato l’opera per rendere eroica la propria figura e destinarla ad adornare un lussuoso palazzo che possedeva a Roma ma che, poi, per motivi di opportunità politica, avrebbe deciso di lasciarla a Bayeux, forse a causa di pressioni ricevute da alcuni concittadini illustri. Oddone avrebbe affidato la fattura dell’opera ad artisti esperti e a ricamatrici che vi avrebbero lavorato nelle officine di Canterbury, presso l’abbazia dedicata a Sant’Agostino, presumibilmente negli anni ‘70 ed ‘80 dell’undicesimo secolo (8). Secondo altri storici, l’arazzo sarebbe stato, invece, commissionato dall’imperatrice Matilde e, seguendo quest’ultimo filone interpretativo, la sua realizzazione dovrebbe essere inquadrata negli ultimi anni del precitato secolo. In ogni caso, l’arazzo fu creato da mani così capaci che riuscirono ad inventare un modello di “punto” che ancora adesso, nella realizzazione dei manufatti, viene chiamato “punto di Bayeux”.
Come è stato già evidenziato, in linea generale, l’arazzo racconta l’invasione dell’Inghilterra da parte di Guglielmo e, secondo gli esperti, pur mostrando un chiaro intento celebrativo nei confronti dell’impresa dei Normanni, gli autori si mantengono su posizioni abbastanza eque e neutrali. Sembra quasi che gli ideatori di tale complessa opera d’arte abbiano perseguito l’obiettivo di stimolare una convivenza pacifica tra Normanni ed Anglosassoni, sottolineando anche le qualità positive di alcuni personaggi sconfitti come Harold ed il re Edoardo il Confessore. Se si segue questa chiave ermeneutica, l’arazzo può essere letto nell’ottica della volontà di avviare un processo di integrazione sociale nel regno anglo-normanno, in un periodo successivo all’entusiasmo della vittoria per i vincitori ed al trauma dell’invasione vissuto dai vinti. Nell’intreccio raffigurato trapela una malcelata sfiducia nei confronti del mondo aristocratico ed un forte sentimento di “pietas” senza distinzione rivolto ai caduti nel conflitto, a prescindere dallo schieramento di appartenenza (9).
Quando abbiamo fatto riferimento al periodo napoleonico, si è parlato della coincidenza notata dall’imperatore francese a proposito del corpo celeste raffigurato sull’arazzo, apparso appunto anche nella sua epoca. Nell’anno 1066, infatti, nei cieli inglesi brillò una grande scia luminosa di colore bianco-azzurrino. Questo evento, ricollegato dai posteri alla cometa di Halley, sarebbe stato ricordato come una triste premonizione. In quei tempi, non contaminati dall’inquinamento atmosferico e luminoso dei nostri giorni, la visibilità della cometa si stagliò come chiara ed intensamente limpida. E’ opportuno osservare che tutti i principali fenomeni naturali osservati nell’età antica ed in quella medievale hanno inciso in maniera profonda sulle credenze umane, ispirando visioni mistiche, spirituali e religiose di ogni tipo. Dal punto di vista simbolico, l’arazzo è ricco di segni mutuati dalla mitologia norrena, come lo stendardo del corvo sacro ad Odino che impugna uno dei cavalieri al seguito di Guglielmo il Conquistatore. In particolare, i popoli scandinavi credevano che i due corvi, chiamati Huginn e Muninn, portassero al loro padrone Odino notizie provenienti dal mondo degli umani. I due volatili, infatti, avevano il preciso compito di osservare tutto quello che avveniva sulla terra, rappresentando anche un importante legame con la dimensione sciamanica, in quanto a loro si riconosceva la straordinaria capacità di viaggiare tra i diversi regni di Yggrdrasil (10). I due corvi, insomma, incarnavano gli stessi eccezionali poteri che si attribuivano al padre degli dèi Odino, di poter uscire dal corpo e di intraprendere viaggi spirituali.
Gli animali incisi sull’arazzo sono interpretati, in linea generale, seguendo i numerosi “Bestiari”, molto in voga in età medievale, mentre hanno destato maggiori perplessità le scene di nudo ed erotiche, molto spesso censurate dalla Chiesa di Roma in opere elaborate nello stesso periodo. Le precitate scene sono sette, di cui tre ritraggono insieme uomo e donna, a differenza delle restanti dove vi sono personaggi singoli ripresi in vari atteggiamenti. Alcuni osservatori nel campo della storia della sessualità, ritengono che i nudi tendano ad amplificare la virilità della scena principale che celebra la vittoria dei Normanni. Nell’opera si dà grande risalto all’abbigliamento dell’epoca ed alla rappresentazione delle opere architettoniche, come il castello di Hastings, la città di Arras e la celebre isola di Moint Saint Michel, al giorno d’oggi uno dei siti più visitati della Francia. Anche se quasi sicuramente l’arazzo è stato ricamato da donne, non vi sono riportati elementi propri dell’universo femminile. Le tre protagoniste del gentil sesso compaiono come figure collaterali in un conflitto di stampo patriarcale: Elfia, figlia di Guglielmo e promessa sposa di Aroldo, la regina Editta, moglie di Edoardo il Confessore ed infine una donna senza nome, che assurge quasi al ruolo emblematico di vittima inconsapevole della guerra (11).
Osservare, ammirare e studiare l’arazzo di Bayeux può costituire dunque un onirico ed interessante viaggio nel tempo. Quando ho avuto il piacere di visitare la pittoresca regione della Normandia, non ho potuto fare a meno di organizzare un’escursione nella ridente cittadina di Bayeux, allo scopo soprattutto di guardare da vicino il famoso e prezioso tessuto. Non posso negare che l’intera raffigurazione suscita una forte emozione, come se quasi magicamente quell’arazzo pulsasse di vita propria e tutti gli elementi disegnati rimanessero impressi fra le trame del tessuto per una sorta di incantesimo. Considerare l’arazzo come un inestimabile documento storico non è affatto un azzardo, come sostenuto da qualcuno, alla luce non solo della ricchezza delle informazioni che presenta, ma anche della relativa pregevole precisione delle stesse. In particolare, mi ha colpito la porzione di arazzo dove è evidenziata l’incoronazione di Aroldo con la grande spada, il globo e lo scettro, simboli del suo elevatissimo “status” regale. A sinistra è raffigurata l’aristocrazia militare, mentre alla destra del re si distingue l’arcivescovo di Canterbury adornato dei suoi paramenti sacri, a rappresentare il potere del clero, a cui si aggiungono cinque personaggi collocati all’esterno del palazzo a ricordare il resto della società. In una sola immagine, come se si trattasse di uno scatto fotografico, sembra che gli artisti abbiano in pieno centrato la probabile principale disposizione del committente, cioè quella di dare un volto significativo alle tre componenti fondamentali della struttura sociale del Medioevo (12). Si può concludere, affermando che nel caso dell’arazzo di Bayeux, l’arte si mette al servizio della storia, donando ai posteri un vero e proprio “documento” di uno dei periodi più misteriosi per lo sviluppo della civiltà umana e sul quale si nutrono ancora molti pregiudizi.
Note:
(1) Cfr. Luigi Provero, Dalla guerra alla pace. L’arazzo di Bayeux e la conquista normanna dell’Inghilterra (secolo XI), Firenze University Press, 2021;
(2) Il “Registro della memoria del mondo” è stato istituito nel 2004 e si inquadra nel più ampio “Programma della memoria del mondo” creato nel 1992;
(3) Il Centro “Guglielmo il Conquistatore” occupa l’antico seminario della città di Bayeux;
(4) Cfr. David M. Wilson, L’arazzo di Bayeux, Ed. Rizzoli, Milano 1985;
(5) Il corpus poetico di Balderico è formato da 256 poemetti;
(6) Cfr. Luigi Angelino, L’arazzo dell’Apocalisse di Angers, Cavinato editore international, Brescia 2020;
(7) Cfr. Carola Hicks, The Bayeux Tapestry: The Life Story of Masterpiece, Vintage Publishing, New York 2007;
(8) Cfr. Claudia Ryan, La ricamatrice di Bayeux, Nardini Edizioni, Firenze 2021;
(9) Cfr. Daniele Mancini Archeologia, Arazzo di Bayeux: Storia e Segreti, su https://www.danielemancini-archeologia.it, consultato il 14 ottobre 2024;
(10) Nella mitologia norrena si intende l’albero cosmico, la struttura portante dei nove mondi;
(11)Cfr. Le donne misteriose dell’arazzo di Bayeux su https://www.festivaldelmedioevo.it, consultato ul 16 ottobre 2024;
(12)Cfr. Andrea Cenerelli, Tutto l’arazzo di Bayeux, su https://www.academia.edu, consultato il 17 ottobre 2024.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana