La vita ai tempi eroici di Persia – Filippo Mercuri
La lettura che Italo Pizzi (Parma 1849 – Torino 1920) [1] tenne presso il Circolo Filologico di Firenze la sera del 26 gennaio 1885 [2] costituisce ancora oggi un testo incredibilmente affascinante per coloro che si dedicano agli studi storici, perché permette di rendersi conto della parentela che lega l’Europa all’Iran e apprezzare quella ricca eredità ideale che l’Antica Persia ci ha trasmesso, un’eredità «talvolta così radicata nel nostro costume di vita che non ce ne accorgiamo neppure, dato anche il fatto che frequentemente ci è giunta tramite culture intermedie o modelli occidentalizzati da secoli» [3], che trova la sua espressione più alta nel Libro dei Re di Hakīm Abū l-Qāsim Ferdowsī Tūsī, vissuto a cavallo tra il X e l’XI secolo [4]. L’epica di Ferdowsī abbraccia un periodo di storia leggendaria di circa duemila anni, dalle origini dell’Iran fino alla conquista araba del paese, e trasporta il lettore in un mondo senza tempo popolato da re, eroi e principesse che si trovano a fronteggiare le oscure forze della natura e che trascorrono la propria esistenza in un universo strabordante di miti e leggende ancestrali, intessuto di magia e di incantesimi, e intriso di quei colori e profumi tipici del Vicino Oriente.
Si ritiene dunque di estremo interesse l’idea dello storico dell’antichità Nicola Bizzi – agli studi storici e orientali si è dedicato anche chi scrive –, di aver conferito una veste digitale a questo testo e di averlo arricchito con due bellissime miniature persiane [5]. Italo Pizzi, docente di Persiano e di Filologia Indo-Iranica all’Università di Torino e vice bibliotecario della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, rileva nella sua dissertazione il fascino che i poeti, grazie ai loro preziosi racconti, suscitano in colui che si appresta a studiare le civiltà antiche nelle loro fasi più remote: «i poeti infatti ci trasportano veramente in quelle età che descrivono con tanta maestria e in esse ci fanno vivere, e chi legge quei loro canti, sente che ne spira un’aura vitale che l’invade e l’accende» [6]; «Ci sia adunque permesso di tratteggiar qui brevemente la vita degli eroi di Persia e mostrarla qual è, quale dovette essere anche con tutto ciò che vi poté aggiungere la fantasia dei poeti. Che se, anche per brevi cenni, potremo noi farci un’idea lontana di quello che veramente era cotesta vita, oltre al valore storico di ciò che troveremo, e ciò si dica nel senso che di sopra abbiamo dichiarato, avremo anche il non lieve vantaggio di aver come vissuto per alcun tempo in quelle età primitive e poetiche tanto differenti da questa nostra, molto prosaica in verità» [7].
L’epopea persiana, viene ritenuta dal Pizzi quella «che più di tutte può servire allo scopo» [8]: la vita dell’eroe indiano «è troppo involta in quell’aura sacerdotale che è il genuino segno di tutto ciò che ci viene dall’India antica» [9]; l’eroe dell’Edda – il testo della mitologia norrena – «risente troppo del mitico e perciò dell’incerto e del nebuloso, o ha costumi troppo ferini e sanguinari per poter essere messo avanti come il vero modello dell’eroe» [10]; l’eroe del Kalevala – il poema nazionale finlandese – «è troppo casalingo e troppo schiavo delle sue arti magiche ch’egli mette in opera in ogni momento per essere chiamato un vero e bello eroe» [11]; l’eroe greco «è litigioso, e per essere litigioso perde il vero fine per cui cinge le armi, come quando Achille e Agamennone per poco non si accapigliano nel consesso dei Greci e per poco non mandano a male tutta quanta l’impresa di Troia» [12]. L’eroe persiano, invece, «sa sacrificare sé stesso e sa far tacere l’amor proprio per la causa comune, combatte con le armi e con il valore e non con la magia, sa colpire e spegnere l’avversario, ma sa anche perdonare e non ama le carneficine degli eroi dell’Edda e dei Nibelungen [13], sa essere devoto a Dio, senza essere investito di un’aura sacerdotale come gli eroi dell’India e sa dominare e signoreggiare le forze repugnanti della natura senza esserne egli stesso signoreggiato, come piccola parte assorbita nel gran moto della vita universale» [14].
La lettura prosegue dunque con il descrivere i costumi e i momenti più importanti nelle vite degli eroi di Ferdowsī. Primo tra tutti è l’annuncio della nascita del futuro eroe ai parenti lontani. I genitori potevano far realizzare un fantoccino, in tutto e per tutto simile al bambino, che veniva vestito di elmo, spada e clava. Il fantoccino, a cui venivano dipinte le guance, veniva collocato su un cavalluccio e veniva infine spedito. Un altro sistema, molto grazioso, che il poeta ha riportato indietro a quei tempi dove la scrittura non era ancora conosciuta, consisteva nell’inviare una lettera che il padre o la madre scrivevano di proprio pugno e che riportava l’impronta della manina del nuovo nato.
Seguono l’imposizione del nome – interessante a tal proposito è la storia di Salm (viltà), Tûr (inconsideratezza) ed Erag’ (valore), i tre figli del re Frêdûn – ; l’educazione del futuro eroe – risulta particolarmente affascinante apprendere come il re Khusrev, dopo essere stato educato dai pastori, sarebbe stato capace di fabbricare da sé spada, arco e frecce, e sarebbe infine divenuto “quel Chosroe che fece tremar sul suo trono di Costantinopoli Giustiniano, accogliendo alla sua mensa ospitale in Ctesifonte i filosofi greci che l’imperatore aveva discacciati, e che fece tradurre Platone e Aristotele e altri filosofi” [15] – ; la presentazione del giovane alla corte e il riconoscimento di lui da parte del padre.
Il giovane avrebbe dovuto altresì scegliere il proprio destriero, che lo avrebbe accompagnato per tutta vita fino al punto di piangerne la morte, così come fecero Xanto e Balìo, i cavalli di Achille, e quelli di Ràma nei poemi indiani. Altro momento fondamentale era la scelta della sposa e il superamento da parte dell’eroe di tutte le prove necessarie a cui veniva sottoposto per conto di un’assemblea di saggi e sacerdoti o direttamente dal padre della sposa, affinché, con un lieto fine, potesse essere celebrata la cerimonia nuziale in tutta la sua preziosità e sontuosità.
(Italo Pizzi)
Gli eroi dovevano impegnarsi nella caccia e nella guerra, le due attività nelle quali eccelleva Rustem in virtù del suo temperamento, che lo portava a condurre una vita solitaria nel suo castello. Seguivano la morte in battaglia dell’eroe, non prima che questi fosse riuscito ad inferire colpi prodigiosi al nemico con le sue armi ed essersi cimentato nella lotta corpo a corpo con quest’ultimo, e la cerimonia della sepoltura, semplice e grandiosa. Il cadavere dell’eroe, dopo essere stato lavato con acqua di rose, vestito di eleganti abiti in tessuto cinese e cinto con le sue armi, veniva collocato all’interno del mausoleo che veniva elevato appositamente per esso e posto a sedere su un trono di quercia con una corona sul capo. Il viso del defunto veniva così voltato verso Oriente affinché quest’ultimo potesse attendere l’apparire del sole e, con il suo rinnovarsi, il rinnovarsi della propria vita. «L’uso antichissimo è sparso per tutto il mondo antico e trovasi che anche nelle vaste necropoli di Menfi in Egitto e in quelle preistoriche l’estinto è sempre volto ad oriente e, come dice l’Alighieri, Con ardente affetto il sole aspetta, / Fiso guardando, pur che l’alba nasca [16]. Così l’ultima e più bella speranza, quella del ritornare alla dolce vita che l’uomo sempre abbandona con dolore, allietava l’eroe morente e confortava i suoi cari superstiti, fatti certi per essa di rivederlo ancora in un giorno e più bello e più sereno» [17].
Note:
- Claudio Mutti, Un orientalista dimenticato: Italo Pizzi, in «Africana. Rivista di Studi Extraeuropei», 17 (2011), pp. 103-110.
- Italo Pizzi, La Vita ai Tempi Eroici di Persia, Ufficio della Rassegna Nazionale, Firenze 1885.
- Pio Filippani-Ronconi, Il senso morale della regalità iranica e i suoi rapporti con le istituzioni dell’Occidente, Centro Culturale Italo-iraniano, Roma 1977, pp. 1-2.
- Firdusi, Il Libro dei Re. Poema epico persiano, recato in versi italiani da Italo Pizzi, 8 voll., Unione Tipografica Editrice, Torino 1886-1889. La versione in endecasillabi sciolti del Pizzi costituisce ancora oggi l’unica edizione integrale italiana dello Shāhnāmeh, un poema in distici (mutaqârib) la cui lunghezza supera quella di Iliade e Odissea messe assieme.
- Italo Pizzi, La Vita ai Tempi Eroici di Persia. Viaggio nella magia dell’epica persiana. Con introduzione di Nicola Bizzi, Edizioni Aurora Boreale, Prato 2023.
- Ivi, p. 9.
- Ivi, p. 12.
- Ivi, p. 11.
- Ibidem. Confronta con: Italo Pizzi, Le novelle indiane di Vishnusarma (Panciatantra). Tradotte dal sanscrito, Unione Tipografico-Editrice, Torino 1896; Id., Le sentenze di Bhartrihari, tradotte dal sanscrito, Tipografia e Libreria Salesiana, Torino 1899; Id., L’avventura di Visvamitra. Episodio del poema indiano il Ramayana. Tradotto dal sanscrito, «Acropoli», 4 (1911), pp. 334-352.
- Ibidem. Confronta con: Italo Pizzi, Il Canto di Atli nell’Edda, tradotto in versi, Ferrari, Parma 1876.
- Ibidem. Confronta con: Italo Pizzi, Antologia epica tratta dalle principali epopee nazionali ad uso delle scuole, Loescher, Torino 1877, pp. 314-352.
- Ibidem.
- Si veda Italo Pizzi, I Nibelunghi. Poema epico germanico. Traduzione in versi italiani, 2 voll., Hoepli, Milano 1889-1890.
- Italo Pizzi, La Vita ai Tempi Eroici di Persia. Viaggio nella magia dell’epica persiana, cit., pp. 11-12.
- Italo Pizzi, Storia della letteratura greca ad uso delle scuole, Clausen, Torino 1897, p. 284.
Sul tema si veda inoltre Priscian, Answers to King Khosroes of Persia (Ancient Commentators on Aristotle, 104), Bloomsbury, London – Oxford – New York – New Delhi – Sydney 2016 e la nostra recensione di questo testo pubblicata su «Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici», n. 3/2024.
- Dante Alighieri, Paradiso XXIII, 8-9.
- Italo Pizzi, La Vita ai Tempi Eroici di Persia. Viaggio nella magia dell’epica persiana, cit., pp. 35-36.
Filippo Mercuri