Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
La Sophia di Partenope e il tempio ermetico di Raimondo di Sangro – Luca Valentini
A Napoli , dove l’Arte e l’Ermetismo sono dimore filosofali da secoli e nei secoli
“Vir mirus ad omnia natus quaecumque auderet“[1]
Ogni forma tradizionale od esoterica è sovente associata ad un simbolo, ad un monumento o ad un’opera d’arte che, seppur nella sinteticità della propria espressione, abbia la capacità evocativa di riaffermare l’archetipo spirituale a cui la data espressione sapienziale si riferisce. Come la piana di Giza o il Tempio di Luxor per la tradizione egizia, come il bosco di Eleusi per la misteriosofia ellenica o l’aedes di Vesta per la religiosità romana, similmente, la celebre Cappella di San Severo a Napoli, ove è ubicato la magnificenza dell’opera scultorea del Cristo Velato, è l’espressione artistica di una precisa corrente iniziatica e, nello specifico, della Scuola Napoletana, un insegnamento di natura magico-trasmutatoria, che dai primordi dell’antica Naepolis, pitagorica, nilense e greco-romana, tramite un fiume carsico che ha interessato personaggi come Giambattista Della Porta, Tommaso Campanella e Giordano, fino a giungere ai rappresentati più noti dell’ermetismo italico dell’800 e del ‘ 900, quali furono Giustiniano Lebano e Giuliano Kremmerz.
Figura autorevole di tale filiazione fu, nel XVIII secolo, il Principe Raimondo di Sangro di San Severo, esponente di spicco delle obbedienze di frangia ed egizie del secolo, in cui era occultata l’antica sapienza ermetica, che consentiva la palingenesi dell’umano caduco negli antichi Numi Vetusti della Tradizione Patria. Di tale Conoscenza, il Tempio voluto da Don Raimondo è l’esplicitazione tramite le forme assunto dal marmo di un preciso percorso realizzativo che un attento operatore ermetico può ritrovare visitando ciò che gli eredi del Principe hanno intitolato il “Tempio della Pietà”, uno scrigno esoterico, come Notre Dame de Paris, nel cuore di Napoli, omphalos della Tradizione d’Occidente. Infatti, nel cuore dell’antica colonia di Alessandrini, che si insediarono nel golfo e che furono i portatori dell’Antica Sapienza del Dio Nilo e della Dea Iside, della quale fu costruito un tempio, quale testimonianza della persistenza dei Misteri isiaci ed osiridei in terra italica. Come per le cattedrali gotiche, la scienza ieratica dei costruttori, ha consentito di costruire il Tempio nella localizzazione più arcana dell’antica santuario dedicato alla Dea Egizia, Centro nodale e di potenza di linee precise di emanazione della spiritualità misterico-teurgica:
«Questo Sole del nuovo secolo, spirante felicità dei popoli nella ragione della umana solidarietà per la conquista della pace e del benessere sociale per la sola pratica del bene e della verità, è di sopra tutte le forme politiche temporali delle chiese e delle sette, e spanderà i suoi raggi vivificanti dall’Oriente Egizio – cioè dal Fiume Sacro o Nilo delle regioni misteriose»[2].
Nell’antica Neapolis, infatti, convivevano una forte componente egizia, la tradizione iniziatica pitagorica nel quartiere di Forcella ed una fortissima presenza di seguaci del rito misterico di Mithra. Le testimonianze in tal senso sono molteplici. Se nella vicina Pompei sono ancora oggi fortissime le vestigia della diffusione del culto isiaco, a Napoli restano ancora un’iscrizione votiva dedicata alla dea (II secolo a.C.), una statua e il ricordo di un tempietto costruito dai devoti di Iside nella “Regio Nilensis”: in città celebre è ancora oggi “Piazzetta Nilo”, denominato anche “Largo Corpo di Napoli”[3]. Storicamente, dall’area portuale di Pozzuoli, oltre al culto isiaco, si diffuse nell’intera regione vesuviana anche il culto della versione alessandrina di Osiride, cioè Serapide, a seguito anche di un insediamento, presso il Decumano inferiore, tra Piazza San Domenico Maggiore e Largo Corpo di Napoli, di una colonia di mercanti e marinai egiziani provenienti da Alessandria d’Egitto. Tale comunità – le cui colonie venivano chiamate dai napoletani “nilesi”- prese dimora nell’area della città greca, appunto la“Regio Nilensis” e aveva un proprio “cardo” chiamato “Vicus Alexandrinus” (l’attuale Via Nilo). Anche l’arte monumentale esplicita la sua derivazione egizia, se è vero che a Napoli si ritrovano due chiese dedicate a Santa Maria Egiziaca, situate una a Forcella (o chiesa di Santa Maria Egiziaca all’Olmo), chiesa monumentale e gioiello del barocco napoletano, l’altra presso la collina di Pizzofalcone da cui prende il nome (chiesa di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone).
Nello specifico, storicamente la struttura deriva da una cappella inserita in un palazzo nel largo di San Domenico Maggiore ed entrata nei possedimenti dei Torremaggiore – De Sangro nel XVI secolo[4], ma solo intorno al 1735, con la partecipazione di diversi artisti, il Principe diede inizio alla ristrutturazione del Tempio, sublimando l’antico utilizzo religioso della vetusta cappella della Pietella e consacrando l’opera alla di Hermes. Come testimonia Sigfrido E. F. Höbel, uno dei maggiori studiosi della cultura esoterica napoletana[5], l’incontro di Don Raimondo nel 1750 con lo scultore veneto Antonio Corradini, risultò essere fondamentale per donare all’opera una valenza “filosofica”, autore anche del progetto del Cristo Velato – di seguito alla sua morte realizzato dal napoletano Sanmartino -, il cui lavoro fu perpetuato dall’artista genovese Francesco Queirolo.
L’artifex rappresentava, a Napoli ed in piena modernità, ancora un unicum nella sua funzione di manipolatore della materia inerme, di rappresentatore della Natura e del Mondo, di narratore delle passioni, delle lotte e dei superamenti dell’uomo…Ars sine scientia nihil! In merito al Tempio della Pietà, l’Artista indirizzato dall’Iniziato ha saputo esprimere il senso simbolico ed ieratico delle manifestazioni del Sacro e della religione popolare, di come esse rappresentino, per l’Uomo, i supporti sulla via d’ascensione al Cielo, di come egli stesso sia stato, non un semplice rappresentatore, ma un realizzatore nel Mondo di realtà conquistate in sé:
«Solo così di può comprendere come, in certe organizzazioni iniziatiche del Medioevo quale i “Fedeli d’Amore”, le sette “arti liberali” siano state messe in corrispondenza con i “cieli”, ossia con stati essi stessi identificati con i diversi gradi dell’iniziazione…una trasposizione che desse loro un reale valore esoterico»[6].
Si esplicita l’estrema importanza ricoperta dalle molteplici riproduzioni scultore – non solo quella nota del Cristo Velato – nell’architettura sacra della Cappella, autentica dimora di Numi Vetusti, presenti nelle statue del culto, e non come semplici luoghi di riunione dei credenti per le pratiche liturgiche comuni, ma quali centri vitali della fides di un nodo importantissimo del Sacro, quello napoletano della Tradizione d’Occidente. Chi si avvicinava, inoltre, al sacrario con la dovuta consapevolezza può attuare realmente un sacrificio o partecipare personalmente ad un atto rituale, quale atto di rinnovamento della propria purità interiore. Si determina, infatti, un’identità tra uomo, tempio e Deità, e come nell’uomo, la misura delle cui membra è condizionata da regole interne, così le membrature del tempio crescono gradatamente secondo proporzioni determinate. Si rivela la potenza autarchica della struttura, condizionata non dalla figura umana, ma da leggi immanenti: le decorazioni, gli enigmatici ornamenti, le fiorenti volute non sono ornamenti morti, ma espressioni mediatrici di tutto l’edificio, quasi a rafforzare il “kosmos del tempio”, cioè l’ordine interno e la decorazione esterna.
Exotericamente, pertanto, vi è un Tempio materiale, ove si conducono i fedeli in preghiera o gli ignari turisti, ed esotericamente vi un Tempio spirituale, in cui l’oggetto della contemplazione dello sguardo divino è il cuore dell’uomo, rappresentato dal Cristo Velato, quale rappresentazione del corpo di trasmutazione, occultato. Ecco l’aspetto essenziale della costruzione e dell’opera dell’artifex, la trasmutazione del Deus absconditus in Deus revelatus., cioè il concepimento della riedificazione del Tempio spirituale nella propria interiorità. Bisogna intendere l’Opera come un centro, che racchiude, avvolge e contiene ogni cosa, similmente al nostro cuore, che è il centro ove convergono tutte le facoltà animiche e spirituali dell’uomo: così il Tempio di Don Raimondo è un’immagine del Tempio esistente a livello più profondo o superiore. Emerge con forza la necessità di un’adeguata dignificazione, di un reale mutamento ontologico che deve attuarsi in chi ”costruisce e conquista l’Opera” e in chi la contempla, affinché possa risorgere il Sole spirituale ed il Tempio interiore possa essere nuovamente edificato, acquisendo quella potestas clavium, che sola ha la capacità di aprire la Porta che conduce alla Civitas Dei. L’etimologia del latino templum[7], d’altronde, denota, più che un luogo di presenza, un luogo di visione, cioè un mezzo per la contemplazione del Divino: la visione d’insieme, anche delle misteriose macchine anatomiche del Principe (in cui si rivela una conoscenza medica fuori dal comune per quell’epoca), denota un inequivocabile segno di sacralità, status di conoscenza effettiva, quale realizzazione effettiva di Iside ridestata. Infine, sinteticamente, il complesso monumentale presenta dieci simboliche stazioni di meditazione, ad avvalorare la tesi che si possa visitare la struttura come l’inizio e lo svolgimento di un vero e proprio cammino iniziatico, ciò che sempre Höbel ha definito “La Decade delle virtù”[8], quale rivoluzione pitagorica del Principio che tramite il Dieci riafferma la valenza dell’Uno che prende coscienza di se stesso, come espresso dal simbolismo del triangolo equilatero o dalle dieci emanazioni delle Sephiroth dell’Albero Cabalistico:
«Denario sacro delle virtù intrinseche e delle potenze divine»[9].
La prima statua è quella dell’Amor Divino, in cui l’influenza archetipica ridesta l’uomo dalla propria materialità ed infonde in esso la forza con la quale il myste potrà di seguito riaccendere la propria scintilla divina. La seconda statua è quella dell’Educazione, in cui il percorso di palingenesi impone un processo di disciplina interiore, di comprensione delle dinamiche trasmutatorie in atto. La terza statua è Terza tappa: Il Dominio di se stessi, che rappresenta un uomo che cerca di tenere a bada un leone, come l’Io deve imporre la propria autorità sulla lunarità dell’ego. La quarta statua è quella della Sincerità, che testimonia l’esigenza di purificare la propria coscienza come un cristallo, limpida e senza inganni, senza menzogne primariamente verso se stessi. La quinta stazione di meditazione è quella del Disinganno o del Pescatore, in cui la rete simboleggia il crivello dei Numi che seleziona le anime dignificate e le separa da quelle che sono ancora subordinate alla voracità della sfera di Saturno. La sesta virtù è quella della Pudicizia ovvero Iside ricoperta di veli e rose, quale dominio della brama sessuale e della temperanza: è la catarsi necessitante dell’iniziazione ermetica[10]. La Soavità, altresì, è la settima virtù, in cui un puttino gioca con un pellicano, simbolo dell’abnegazione e del sacrificio indispensabile per il conseguimento della realizzazione alchimica. Lo Zelo è l’ottava virtù, in cui un Sapiente porta verso l’alto la lanterna della conoscenza, a tre becchi, quali effusione spirituali nei tre mondi del Cosmo. La nona statua è quella della Liberalità, un ermafrodito (oltre la dualità dei sessi e del mondo) presenta una ricca cornucopia, dell’abbondanza spirituale conseguita, con ai suoi piedi un’aquila, il rapace delle sfere uraniche e che unico può fissare il Sole. Ultima stazione, la decima, è quella del Decoro, nella cui rappresentazione un androgino si cinge i fianchi con pelle di leone, che, similmente al mito di Ercole, significa l’assunzione di una regalità iniziatica, di una padronanza solare e ieratica della propria personalità: è il conseguimento dell’Individuo Assoluto.
La nostra trattazione si conclude con un breve riferimento alla cavea sotterranea, nascosta nella Cappella gentilizia, nel quale si conservano i resti del Principe e della sua discendenza, quasi come caverna dei Mani della famiglia, che hanno conservato, protetto e trasmesso la Sophia pimandria di Partenope:
«E si comprenderà da tutti senza alcuna ombra di dubbio, che egli sia un di quei EROI, che la Natura di tanto in tanto si compiace di produrre per far pompa di una grandezza»[11]
Note:
[1] Raimondo de Sangro, Lettera Apologetica, Alóς Edizioni, Napoli, 2002, p. 181.
[2] G.Kremmerz, La Medicina Ermetica, Bollettino di istruzioni ai praticanti della FR+TM+DI MIRIAM, a cura di Vinci Verginelli, Convivio, Nardini Editore, Firenze 1989, p. 3ss.
[3] S.E.F. Höbel, Il Fiume Segreto, Stamperie del Valentino, Napoli 2004, p. 12
[4] Eduardo Nappi, Dai numeri la Verità (Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero), Edizioni, Napoli, 2010, p. 91ss.
[5] S. E. F. Höbel, La cappella filosofica del Principe di Sansevero, Stamperia del Valentino, Napoli, 2010, p. 137.
[6] R. Guénon, Le arti e la loro concezione tradizionale, , in Il Demiurgo e altri saggi, Edizioni Adelphi, Milano 2007, p.143-4.
[7] H. Corbin, L’Immagine del Tempio, Editore Boringhieri, Torino 1983, p. 151ss., in cui l’autore riporta, p.158, dei riferimenti di Plutarco e di Platone che riteniamo al quanto pertinenti e significativi:”Il mondo è un tempio santissimo…l’uomo vi penetra nel giorno della sua nascita e vi contempla…gli oggetti sensibili fabbricati dall’Intelletto Divino perché siano le copie degli intelligibili”.
[8] S. E. F. Höbel, La cappella…op. cit., p. 169ss.
[9] Cesare della Riviera, Il mondo magico de gli Heroi, Edizioni Arktos, Carmagnola 1978, p. 175.
[10] G. Kremmerz, Il Mondo Secreto, La Scienza dei Magi, vol. I, Edizioni Mediterranee, Roma 2003, p. 310: ”Nel positivo si ha la chiave di Iside o Immacolata Concezione. Nel passivo si ha la formula della corruzione della purità o Proserpina”.
[11] S. E. F. Höbel, La cappella…op. cit p. 129.
(tratto dalla rivista Diònysos, n. 8 – MMXX, speciale su Arte e Magia)
Luca Valentini