Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
La sirenetta di Andersen – Luigi Angelino
Come tutte le fiabe, anche la “Sirenetta” del danese Andersen implica significati metaforici e simbolici che trascendono l’intreccio narrativo apparente. La “sirenetta”, il cui titolo originale in lingua danese è “Den lille Havfrue”, fu pubblicata per la prima volta nel 1837 nella “Raccolta di fiabe” di Hans Christian Andersen (1). Prima di analizzarne i contenuti, ritengo opportuno ripercorrere i punti salienti della trama. La protagonista del racconto, appunto la “sirenetta”, conduce la propria esistenza sul fondo del mare, con suo padre il Re degli abissi marini, rimasto vedovo e cinque sorelle maggiori di indole più bellicosa. Come previsto da una consuetudine delle sirene nordiche, all’ibrida fanciulla, nel giorno del compimento dei quindici anni, viene consentito di nuotare fino alla superficie del mare, allo scopo di poter osservare “il mondo di sopra”. Per la ragazza si tratta del coronamento di un sogno a lungo tempo coltivato. Nel corso dell’emersione verso la luce, la sirenetta si imbatte in un’imbarcazione guidata da un bellissimo principe, di cui si innamora perdutamente. La nave, però, è colpita da una tremenda tempesta, ma la fanciulla riesce a salvare l’amato e a condurlo su una spiaggia in prossimità di un tempio. Il principe non si rende conto della persona che l’ha tratto in salvo, in quanto perde conoscenza a causa dell’impatto dovuto al naufragio. Tornata alla sua vita normale, la sirenetta passa il tempo a pensare al principe, fantasticando, ma pur consapevole dell’impossibilità di coronare il proprio sogno d’amore. Il suo desiderio è quello di diventare simile ad un essere umano e di oltrepassare il triste destino della sua specie, condannata a trasformarsi in schiuma marina, diventando un’unica cosa con l’ambiente circostante. Nel ripensare alle possibile soluzioni, la fanciulla decide di chiedere consiglio alla “strega del mare” che le prepara una bevanda capace di farle apparire le gambe, a similitudine degli umani. La trasformazione, tuttavia, ha un caro prezzo: la sirenetta dovrà in cambio rinunciare alla propria voce melodiosa. A ciò si aggiunge un ulteriore incantesimo che rappresenta un duro sacrificio, poiché per la fanciulla camminare sarà come essere trafitta da coltelli acuminati e non potrà mai tornare ad essere una sirena. Qualora il principe si innamori di lei, la sirenetta potrà ottenere un’anima eterna come gli umani, rimanendo per sempre con lui durante la vita terrena, altrimenti se sposerà un’altra, ella sarà destinata a morire di crepacuore e a trasformarsi in schiuma del mare. Dopo aver bevuto la pozione, la sirenetta sale in superficie e riesce ad incontrare il principe.
Questi, pur essendo attratto dalla sua bellezza, non riesce ad innamorarsene, in quanto alla fanciulla manca il dono della parola. Fatalità vuole che durante un viaggio in un regno vicino, il principe incontri una bella ragazza che erroneamente riconosce come colei che l’aveva salvato sulla spiaggia, forse sopraggiunta dopo che aveva ripreso conoscenza. Il principe se ne innamora e decide di convolare a nozze, anche per adempiere ai propri doveri regali. Quando la sirenetta apprende la notizia, scoppia in un pianto disperato e le sue sorelle cercano di consolarla. Per rimediare al precedente incantesimo, riescono ad ottenere dalla strega del mare un pugnale magico, in cambio dei loro bellissimi capelli. Con questo pugnale, la sventurata fanciulla, per ritornare ad essere una sirena, dovrebbe uccidere il principe, bagnando i propri piedi con il suo sangue, prima del sorgere del sole. Ma lei rifiuta di attuare il piano orchestrato dalle sorelle, perché ama troppo il principe. Per questo motivo, getta il pugnale nell’acqua ed, al sorgere del sole, è ormai in procinto di dissolversi in schiuma marina. Per sua immensa bontà, però, viene risparmiata e la sirenetta non muore alla maniera della sua specie, diventando “una figlia dell’aria”, ossia un essere invisibile, ma reale, con il meritato premio di ottenere un’anima eterna e di volare in paradiso dopo trecento anni di buone azioni. Il finale poetico e struggente, concepito anche per coinvolgere i lettori più piccoli, prevede che per ogni bambino buono che la fanciulla riuscirà ad individuare ed al quale sorriderà, le verrà condonato un anno di attesa; all’opposto, per ogni bambino cattivo, piangerà e le verrà aggiunto un giorno di prova per ogni lacrima versata.
Analizzando la composizione dal punto di vista letterario, è necessario precisare che il titolo di lavorazione della fiaba era “Le figlie dell’aria”, in sintonia con l’epilogo della vicenda. Nell’idea complessiva del soggetto, sembra che l’autore avesse tratto ispirazione dal racconto “Undine” a firma di Friedrich de la Motte Fouque (2), in cui si narra di una ninfa acquatica che riesce ad ottenere l’anima dopo aver sposato un uomo. Andersen, tuttavia, optò per la scelta di un finale più mistico, considerando banale il percorso di conquista della maturazione spirituale, attraverso la semplice unione con un altro essere umano. I critici, tuttavia, concordano sul fatto che gran parte della simbologia della fiaba, sia legata soprattutto ad eventi specifici della vita dell’autore, come il rifiuto amoroso da parte del giovane Edvard Collin (3). Quando quest’ultimo decise di sposarsi, Andersen riversò tutta la sua malinconica delusione nella creazione di “Den Lille Havfrue”. Alcuni biografi spiegano la ricorrenza dei temi del “diverso” e del “doppio” nelle opere di Andersen, in relazione proprio alla sua presunta omosessualità (4). La descrizione dell’amore impossibile della sirenetta nei confronti del bel principe troverebbe una solida corrispondenza nella situazione di isolamento psicologico in cui l’autore si sentiva confinato, a causa delle sue inclinazioni. Dalla lettura di alcune lettere inviate all’amico Colin, dopo il suo matrimonio, emergerebbe l’impotenza di Andersen davanti ad un grande dolore, trasfigurato e sublimato nella struggente fiaba della Sirenetta. La lingua tagliata della fanciulla starebbe ad indicare la frustrazione di non poter esprimere la propria essenza liberamente, mentre la condizione a metà strada tra donna e pesce rappresenterebbe la condizione del “diverso”, di colui o di colei che non rientra negli schemi della società, ancora particolarmente rigidi nella metà del diciannovesimo secolo.
Al di là egli elementi contingenti che legano il testo della fiaba al suo autore, la “Sirenetta” è senza dubbio un’opera profondamente spirituale ed introspettiva. La spiritualità del racconto, che non indugia mai in lunghe digressioni liriche o in lamenti patetici, dall’inizio alla fine si incentra su un modo di comunicare molto spesso vituperato, o quanto meno sottovalutato: il silenzio. La tensione della giovane protagonista, piuttosto che rivelarsi attraverso fiumi di parole, si concentra soprattutto in quello che non dice. Il percorso che intraprende la creatura acquatica, di cui non si fa mai il nome (Ariel sarà una trovata cinematografica), è costellato dal dolore e dalla sofferenza, con il premio finale di giungere ad un superiore stato di esistenza, quello di “figlia dell’aria”, in stretta connessione con la dimensione divina.
Le sirene, a partire dall’antichità, in particolare nei poemi omerici, come le muse e le sibille, hanno sempre costituito importanti simboli di misticismo e di chiaroveggenza. Il canto delle sirene era in grado di portare l’essere umano verso la dimensione della sfera divina. Inizialmente queste creature erano raffigurate con le sembianze di soggetti per metà donne e per metà uccelli. L’esempio più emblematico della presenza delle serene nell’immaginario culturale del mondo antico, la ritroviamo nel viaggio di Ulisse narrato nell’Odissea (5). Dal Medioevo in poi, la sirena assume una aspetto pisciforme, più legato all’elemento “acqua”, quindi all’inconscio ed all’introspezione, piuttosto che all’elemento “aria”, quale legame con la trascendenza divina. In Andersen, i due elementi (acqua/aria) sono magistralmente combinati, in quanto la protagonista della fiaba, pur avendo come habitat naturale l’ambiente marino, sublima la propria triste esistenza diventando nel finale una “figlia dell’aria” (6). Le caratteristiche principali della sirenetta creata dall’autore danese conservano una certa ambiguità anche nella sua iconografia mistico-religiosa, racchiudendo elementi paradigmatici sia della cultura classica che di quella cristiana. La fanciulla di Andersen, infatti, è sia simbolo di vita e di rigenerazione, così come erano considerate le sirene nel mondo antico, sia vittima della propria passione amorosa, mutuando alcuni elementi peculiari della morale sessuale cristiana, dalla quale riuscirà ad affrancarsi grazie alla miracolosa metamorfosi finale.
Nella cultura norrena, creature simili alle sirene erano le “Ondine”, considerate come le nove figlie del dio del mare Agir e di Ran (7). Queste creature erano immaginate spesso come soccorritrici dei naviganti, che cercavano di proteggere, oppure come abili amazzoni di delfini, che si dedicavano a canti e a danze, adagiate sugli scogli dei mari o sulle sponde dei fiumi. Le ondine furono elencate da Paracelso fra gli elementali dell’acqua nelle sue opere sull’alchimia (8). Secondo la tradizione, le Ondine erano prive di anima e, per questo motivo, non potevano essere ammesse in paradiso, ma potevano acquisirne una, solo riuscendo a sposare un uomo mortale. E’ evidente l’influenza del folclore nordico sul racconto di Andersen, che ha reso la creatura acquatica molto popolare nella letteratura romantica. Nella sua peculiare qualità di essere ibrido, la sirenetta diventa l’emblema di come la natura possa essere manipolata e straordinariamente imprevedibile e di come, nelle sue numerose versioni, sia in grado di recepire i più svariati significati di genere. Per metà donna e per metà pesce, quale essere inafferrabile, ci conduce verso il complesso rapporto tra l’inconscio e la coscienza, in una visione junghiana, in cui l’acqua è si un mezzo per poter ammirare la propria immagine riflessa, ma anche un portale dietro il quale si nasconde un gran numero di esseri misteriosi.
Nella versione cinematografica della Disney del 1989, oltre al consueto lieto fine, che prevede il felice matrimonio tra la sirenetta ed il principe, le differenze semantiche sono notevoli, rispetto alla versione originaria della fiaba scritta da Andersen. Si enfatizza maggiormente il concetto dell’emancipazione femminile e della ribellione alle rigide regole familiari e sociali, mentre l’aspirazione ad ottenere un’anima eterna, rimane soltanto sullo sfondo della vicenda. Nel mondo di Andersen, la sofferenza, sia in campo fisico che emozionale, rappresenta il sacrificio che deve essere compiuto dall’individuo per ricevere in cambio una ricompensa. Più quest’ultima è grande, più il sacrificio deve essere profondo: se si aspira ad una piena maturazione spirituale, in buona sostanza è necessario affrontare un percorso irto di ostacoli. Nella versione della Disney, l’intera storia risulta ridotta di spessore, allo scopo di semplificarla e di renderla più fruibile per un pubblico infantile. Sotto il profilo psicologico, la fanciulla disneyana è avventurosa, impulsiva, ingenua ed, a tratti, anche egoista, mentre il profilo tratteggiato da Andersen ci mostra una creatura più riflessiva, dai sentimenti più adulti e, complessivamente, con caratteristiche alquanto lontane dalle consuetudini di costume contemporanee. Inoltre, la commerciale sintesi statunitense inserisce la figura di Vanessa, totalmente assente nella versione originaria, quale elemento di disturbo che manipoli la volontà del principe, forse a voler, in qualche modo, giustificare la superficialità e la debolezza emotiva del giovane Eric.
La sirenetta è il simbolo indiscusso della città di Copenaghen, una statua di bronzo, alta 125 centimetri e del peso di circa 180 chili, adagiata su uno scoglio sul Mar Baltico che, pur non avendo un grande valore artistico, riesce a catalizzare la visita di migliaia di visitatori all’anno, affascinati dalla struggente fiaba di Andersen. La statua fu progettata da Carl Jacobsen, figlio del fondatore dell’industria della birra Carlsberg, proprio traendo ispirazione dal racconto di Andersen. La fanciulla di bronzo, melanconicamente rivolta al mare, fu completata dallo scultore danese Edvard Eriksen nel 1913, utilizzando come modella per il corpo la propria moglie e per il viso la ballerina di danza classica Eilen Price, che aveva rifiutato di posare nuda (9). Nel 2010, la statua della sirenetta fu trasferita, per un breve periodo, a Shangai, per rappresentare la Danimarca durante l’Expo organizzata nella metropoli asiatica. Durante i sei mesi di assenza, sul suo scoglio di “residenza”, fu collocato uno schermo per proiettare in diretta le immagini della stessa sirenetta provenienti dall’Asia. Purtroppo la statua è stata decapitata due volte ed, in varie occasioni, è stata ricoperta da pitture imbrattanti e colpita da atti vandalici. L’attuale testa è, infatti, un duplicato di quella originale, mai più ritrovata dopo essere stata trafugata per la prima volta. Vi è, però, un’altra leggenda che lega la figura della sirena alla città di Copenaghen. Si tratta di un racconto del folclore polacco, secondo il quale due sirene, che vivevano nel mar Baltico, avrebbero deciso di nuotare attraverso i flutti: una delle due avrebbe raggiunto Copenaghen, mentre l’altra, risalendo il fiume Vistola, si sarebbe fermata a Varsavia. Ancora oggi, al centro della Stary Rinek (Piazza Vecchia) della capitale polacca, si può ammirare la statua di una sirena leggendaria, Wasa, che avrebbe giurato di difendere la città ed i suoi abitanti (10).
Note:
(1) La traduzione del titolo in inglese suona come “The little mermaid”;
(2) Il racconto fu pubblicato in Germania nel 1811;
(3) Cfr. Rictor Norton, My dear boy: gay love letters through the centuries, Leyland Publications, San Francisco 1998;
(4) Cfr. Nathalie Ferlut, Andersen. Le ombre di un favoliere, Acmecomis edizioni, Ancona 2019;
(5) Cfr. Elisabetta Moro, Sirene. Il mistero del canto, Marsilio Editori, Venezia 2023;
(6) Le figlie dell’aria sono anche delle piante, appartenenti alla famiglia delle bromeliacee, che comprende circa 500 diverse varietà. Esse presentano una particolare caratteristica: si mantengono attraverso l’umidità atmosferica. Il nome scientifico è “tillandsia”;
(7)Nei racconti norreni, Ran, la sposa di Agir, trascina i naufraghi verso gli abissi marini con una grande rete;
(8)Il trattato in questione fu pubblicato postumo nel 1566, con il titolo: “Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris, et de caeteris spiritibus”;
(9) A onor del vero lo scultore danese ricorse all’aiuto di sua moglie anche nella realizzazione di altre opere;
(10) Secondo la tradizione popolare, la stessa etimologia del nome della capitale polacca, Varsavia, deriverebbe dall’unione del nome della sirena Wasa con il nome del pescatore Vas di cui si era innamorata.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.