La radice dei numeri sacri – I parte – Giovanna Bruno
Numero, dal sanscrito namati (cioè “essere assegnato, ente che distribuisce, che regola”), correlato al verbo greco νέμω , ovvero “distribuisco, regolo”, che a sua volta è legato al termine greco νόμος = disposizione, legge; in latino è “numerus” = numero, ma anche ordine, misura, ritmo e “nemus” piantagione, filare. Questa etimologia suggerisce che il concetto di numero è strettamente legato all’organizzazione e alla proporzione e, contemporaneamente, riporta alla mente la radici indoeuropee in nasale, in particolare il sanscrito namati suddetto ha la stessa radice sscr. nā́man-, la cui radice i.e. è il neutro *h₁nómn̥ «nome» (gr. ὄνομα, lat. Nōmen)1. In effetti non è un’associazione del tutto errata, poiché il numero in matematica è innanzitutto un’associazione di insiemi; e tuttavia anche in grammatica ragioniamo per insiemi: verbi, aggettivi, sostantivi etc.; ciò per poter meglio organizzare i pensieri. D’altronde le categorie2 aristoteliche definiscono κατηγορεῖν la funzione di attribuire un predicato a un soggetto: κατηγορούμενον rappresenta il predicato in generale, mentre κατηγορίαι, in senso specifico, sono le classi supreme di ogni possibile predicato. Queste categorie, secondo gli elenchi più completi, sono dieci3:
- Sostanza o essenza, cioè l’essenza di un oggetto; è la categoria fondamentale (esempio: “uomo” è una sostanza)
- Qualità, cioè caratteristiche o attributi di un oggetto (“bianco” è una qualità);
- Quantità;
- Relazione, tra gli oggetti (esempio: padre è una relazione rispetto ad un altro sost.);
- Azione o agire;
- Passione o patire;
- Quando o tempo, il momento in cui l’oggetto si trova ad occupare un luogo/ svolgere un’azione etc.;
- Dove o luogo, posizione spaziale occupata dall’oggetto;
- Avere;
- Giacere, la condizione dell’oggetto (esempio: star seduto).
Tuttavia, le categorie non si unificano logicamente, ma si collegano realmente negli enti concreti; e, così, ogni categoria corrisponde a una parte del discorso in cui rappresentiamo il reale: alla sostanza corrisponde il nome o il sostantivo, mentre alla quantità, qualità o relazione corrispondono gli aggettivi quantitativi e qualificativi. L’idea che le categorie siano una sorta di classificazione delle parti del discorso è stata avanzata da F. A. Trendelenburg4, ma va notato che Aristotele stesso non distinse chiaramente tra il discorso apofantico e quello semantico.
Situazione non dissimile a quella del ragionamento matematico: in entrambi i casi, infatti, la categorizzazione d’insieme è avanzata secondo un’organizzazione delle coppie o comunque in base ad una relazione d’associazione per cui elementi appartengono allo stesso insieme, da cui si creano connessioni; ad esempio, sfogliando il vocabolario risulta chiaro che i termini sono in relazione tra loro poiché sistemati in ordine alfabetico, e così avremo la parola “casa” connessa a parole come “casacca” o “casale”, ma anche a parole come “zuava” per il principio prima enunciato. Ciò vale per qualsiasi ordine di insiemi: se consideriamo, infatti, una classe composta da venti alunni, potrà essere ordinata secondo l’alfabeto, secondo l’altezza degli alunni etc., in tal modo, creando insiemi, essi saranno in relazione gli uni con gli altri in rapporto a chi lo precede. La stessa classe sarà in rapporto più o meno ampio con l’intero istituto, volendo dividere quest’ultimo in ciò che si identificano come sezioni, ciascuna delle quali contiene (essendo un insieme) più sotto insiemi in base all’anno frequentato (primo anno, secondo anno e così via)5. Tale divisione in matematica è definita ordinamento, ovverosia l’individuazione delle proprietà che caratterizzano una relazione d’ordine, la quale può essere anti-simmetrica (non esistono collegamenti biunivoci tra gli elementi. Ad esempio, la relazione “è maggiore o uguale a” tra numeri.) o transitiva (se A è fratello di B e B è fratello di C, allora A è fratello di C); di tale ragionamento ci si avvale per l’esempio del vocabolario, secondo il quale ciascuna parola è in rapporto con quella precedente; se una parola (o comunque un elemento) precede necessariamente l’altra allora si avrà una relazione totale. Tuttavia, un insieme non è di già un ordinamento, poiché quando si attua un’organizzazione implicitamente si accetta anche il suo inverso6; in un insieme, allora, esistono diversi tipi di relazione:
- Equivalenza (pur se non vale per tutte le relazioni), caratterizzata da proprietà riflessiva (ogni elemento è un punto di partenza e arrivo), transitiva e simmetrica (ogni freccia possiede due punte, cioè la relazione è a b);
- Inclusione, è una relazione discendente caratterizzata da anti-simmetria e transitività
Ancora, i numeri naturali, interi a partire dallo 0, seguono, dunque, un ordinamento crescente: seguendo l’ordine alfabetico 10, 2, 6, 4 etc., seguendo l’ordine 2, 4 , 6, 10 etc.
A questo punto va considerata la ripartizione in classe, laddove classe è una generica collezione di oggetti che possono essere univocamente identificati tramite una proprietà comune ; tutti gli insiemi sono classi, ma non vale viceversa: le classi che non sono insiemi sono dette classi proprie. Si spiegherà meglio quanto affermato: se A = casa, B= giardino e C = cucina, A e C sono due classi di uno stesso insieme, ma B è una classe propria. Si consideri, allora, la ripartizioni in classi, poiché vi è la relazione di equivalenza che con quella d’ordine crea una struttura d’incisione organizzata e si lavora per coppie di numeri, secondo le operazioni:
7+5=12
3+6=9
Il che equivale a dire che esiste una corrispondenza tra coppie di numeri e di insiemi di numeri
Coppia (3,6) numero 9
(7,5) 12
Ciò porta all’enunciato matematico secondo cui dato un insieme I, un predicato (e dunque, espressione che rappresenta una proprietà o una relazione relativa a uno o più oggetti) individua un elemento di (I). Un predicato è, quindi, una funzione o una proprietà che assegna un valore di verità (vero o falso) a ciascun elemento dell’insieme. Ad esempio, se consideriamo l’insieme dei numeri interi positivi (I = {1, 2, 3,}), possiamo definire il predicato P(x) come “x è pari”. Il sottoinsieme di (I) che soddisfa il predicato (P) è l’insieme dei numeri pari: ({2, 4, 6,}) 7. Un enunciato che potremmo traslare nel seguente modo legandolo alla linguistica: il predicato, essendo in linguistica un elemento della frase o una frase elementare che può costituire insieme al soggetto una frase completa, fornisce al soggetto stesso il significato logico della sua esistenza nella frase; esso è principalmente un sintagma composto da un verbo o un verbo servile unito a un aggettivo o a un avverbio; nella grammatica generativa, il predicato è l’intero sintagma verbale che segue il soggetto. Ad esempio, nella frase “il padre legge il giornale”, il predicato è costituito da “legge il giornale”. Quindi, in breve, il predicato in linguistica definisce meglio il soggetto e può esprimere una relazione tra soggetto e oggetto (predicato verbale) o una qualità o stato relativo al soggetto (predicato nominale)8.
Noam Chomsky rende chiaro il significato di lingua naturale (lingua madre) sottolineando come essa sia un punto di contatto con quella artificiale (cioè quella codificata del calcolatore, ovvero il nostro computer), poiché entrambe obbediscono a delle regole che organizzano il pensiero; e, dunque, matematica, linguistica e informatica sono unite dalla cosiddetta grammatica generativa.
Filosofia della matematica
La filosofia della matematica procede per analisi che conducono ad una crescente astrazione al fine di spiegare (e non ricercare!) i concetti e i principi generali <<nei cui termini il punto di partenza può essere definito o dedotto>> e i geometri dell’antica Grecia agivano in questo esatto modo. Russell ci fa notare che, pur se esistono termini che non ammettono definizione, essendo le capacità umane limitate, ci deve essere comunque un inizio di queste definizioni con termini non definiti ma non per sempre indefiniti e tutta la matematica può essere definita sui numeri naturali (sui quali vanno, cioè, traslate le proposizioni grammaticali) in modo da dedurre le proposizioni dalle proprietà dei numeri naturai e Pitagora credeva fermamente in ciò: egli scoprì l’incommensurabilità del lato del quadrato e della sua diagonale:
Se lato=1 allora diagonale=
cioè l’irrazionalità del rapporto √2, fu ritenuta dapprima una scandalosa eccezione9; questo secondo la logica matematica, che Peano spiega in maniera molto più semplificata sostenendo che vi siano tre idee primitive dell’aritmetica: 0, un numero, il successore. Ora il successore di 0 è 1 (il cui successore è 2 etc.); numero è la classe di numeri naturali, ciascuno dei quali ha uno e un solo numero come successore; un numero n sarà n+0= n mentre n+(n+1) il successore. Così, i tre primitivi si prestano ad un numero infinito di differenti interpretazioni, laddove numero è una classe con delle proprietà che nessun altro essere nell’Universo possiede, in virtù di quelle relazioni di cui prima. Ciò vale per qualsivoglia relazione: la relazione padre-figli, per esempio, è un rapporto 1-molti, mentre quello figli-padre è molti-1, primogenito-padre è 1-1; così se n è un numero qualsiasi allora la relazione tra n e n+1 è 1-1. Da cui si deduce che due classi si dicono simili se esiste una relazione 1-1; le classi dei termini che stanno in una certa relazione con altri è detta “dominio” (es. padre-figli) e l’altra classe è dominio inverso (cioè ha minor dominio come nella relazione figli-padre) e da cui si forma un “campo”10.
0 è la classe il cui membro è classe nulla, mentre il successore del numero di termini della classe α e il numero di termini della classe costituita da α insieme con x, dove x è un termine qualsiasi non appartenente ad α. In senso più ampio, α e x sono aggettivi, sostantivi, verbi e ogni entità che può essere oggetto di pensiero; un termine, allora, avrà tutte le proprietà assegnate ad una sostanza o sostantivo e, in particolare, sarà una identità numerica uguale a se stessa e diversa dalle identità altre; esso è immutabile e indistruttibile11. Ora è d’obbligo la distinzione tra due tipi di termini:
- Cose, che hanno un nome proprio e vengono indicate con altre parole;
- Concetti, che possono essere verbi (e, dunque, creare relazioni) o aggettivi (che sono i concetti-classe o meglio predicati)
Sono, dunque, distinguibili uno o più modi del soggetto in un’asserzione, così come Aristotele sosteneva riguardo una o più categorie dell’Essere (che è soggetto dell’esistenza) il quale è in relazione col suo predicato e tale relazione, come abbiamo visto, è esplicitata dal concetto verbo (unica proprietà universale):
A è maggiore di B
Dove A è soggetto, è esprime la relazione, è maggiore di B è l’asserzione e maggiore di è il concetto-classe.
Socrate è umano
È non esprime relazione, poiché umano è il predicato, denota il soggetto Socrate
Cesare morì è una proposizione
Abbiamo quindi messo in collegamento matematica e linguistica, matematica e grammatica, mostrando che l’Universo è relegato a numero12. E tuttavia ancora non abbiamo stabilito come e quando il numero venga considerato sacro. Ciò che proveremo a fare di seguito.
Le radici del sacro.
Secondo Hegel esistono due origini della quantità:
- Unità esclusiva, che è in relazione con se stessa, esplicitata mediante astrazione, e in tal senso è una grandezza continua;
- Identificazione o uguaglianza con l’Unità esclusiva dell’Uno che è implicato in essa, costituendo una grandezza discreta.
Si può ben vedere che per Hegel grandezza e quantità hanno il medesimo significato di numero; molti termini in tal senso considerati appartengono ad una sola classe e, poiché ciascuno è solo un esemplare di concetto-classe, essi non sono distinguibili l’uno dall’altro e, perciò, è detta grandezza continua. Se, però, esiste tale pluralità, poiché vi sono differenti concetti-classe, la grandezza è discreta. Dopo aver menzionato il filosofo, Russell ci fa notare nella sua opera “I principi della matematica”13 che Poincarè, commentando Hegel, osserva come il continuo aritmetico sia concepito come suddetto, ovvero una collezione di individui sistemati in un certo ordine, pur se sono infiniti numeri, ma esterni l’un l’altro; non è, dunque, una concezione ordinaria, per il principio prima enunciato secondo cui in un ordinamento deve esistere almeno una relazione e, poiché sono tutti elementi/ individui estranei l’un l’altro, tra loro non può dirsi intercorra una qualsivoglia relazione; di conseguenza, vale quanto affermato. Allora, tornando ad Hegel di Poincarè, della formula si avrà “soltanto” che il continuo è l’Unità nella molteplicità (nella quale, per altro, l’Unità scompare).
Nel dialogo di Platone intitolato “Parmenide,”14 Parmenide e Zenone esplorano l’idea dell’unità e dell’essere. Stando al loro ragionamento, l’intera realtà costituisce un’unica entità immutabile e coerente; tale concetto si fonda sulla logica formale della non-contraddizione. Platone stesso sostiene la Teoria delle Idee (o Forme), secondo cui le Idee rappresentano l’essenza eterna e immutabile di ogni cosa; le molteplici manifestazioni sensibili sono solo riflessi imperfetti di queste Idee. Sappiamo, inoltre, che nel Neoplatonismo, Plotino integrò il pensiero platonico con elementi aristotelici e mistici, poiché credeva che l’Uno (l’Assoluto) fosse la fonte di tutto e che tutte le realtà discendessero da esso. L’Uno rappresenta, dunque, l’unità primordiale, mentre la molteplicità costituisce la sua manifestazione. Secondo Plotino, l’anima umana deve elevare la sua coscienza attraverso la contemplazione intellettuale per ritornare all’Uno. Questo processo di ascesa rappresenta il cammino verso l’unità15.
Ed è quanto il Sommo tra i poeti, Dante Alighieri, sembra mettere a punto nella “Divina Commedia”, opera nella quale l’ascesa verso l’Unità o Sommo Bene ( per dirla alla maniera platonica) e l’esperienza di esso sono profondamente legate alla conoscenza radicale del male, acquisita dal poeta durante la sua discesa nell’inferno (“discentio inferorum”). La conoscenza del bene e del male è inseparabile e si inserisce in una visione dell’uomo e della realtà che ha Dio come Principio al suo vertice. La conoscenza metafisica dell’origine ultima e fondamentale dell’essere umano, ovvero Dio-Sommo Bene, coincide con l’autoconoscenza dell’uomo. Nella Trinità di Dio, e specificamente nella persona del Figlio, l’uomo contempla il proprio archetipo originario.
Ordunque, qui è necessario introdurre due classi, una finita l’altra infinita: per tornare al numero- termine, esso è una classe definita da una “funzione proposizionale” che se è sempre falsa è chiamata 0 (si ricorderà che abbiamo detto che è classe nulla)16. I termini proposizione e “costituente di una proposizione” non sono, in realtà, definibili in maniera precisa, ma si può dire che φ(α) è una proposizione di cui α è la costituente della proposizione (un elemento che compone una proposizione o una frase. In linguistica, una costituente è una parte di una struttura sintattica più ampia, ad esempio, nella frase “Il gatto nero dorme sul tetto,” i costituenti includono “il gatto nero,” “dorme,” e “sul tetto.” ; ogni costituente ha un ruolo specifico nella struttura della frase); φ(x) , invece, è una proposizione di cui x è variabile (ovvero in matematica è un numero arbitrario, non completamente specificato o del tutto sconosciuto/ incognito, in linguistica è ogni elemento o punto del sistema linguistico che si presenti sotto forme o realizzazioni diverse l’una dall’altra, che ammetta cioè diversi valori) ed è, perciò, funzione proposizionale, per cui φ(x) è vera per alcuni elementi di x, è falsa per altri valori di x. Ora, se “n” è finito ed è diverso da n+1 anch’esso finito, esiste una progressione della quale n fa parte e che comincia con 1, ma non potrà esserci un rapporto 1-1 poiché prosegue, per cui la progressione è infinita; dunque, è evidente che la classe infinita esiste e lo stesso Platone nel “Parmenide2 ne dà prova. Se, infatti, diamo per certo che esista il numero 1, esso è e perciò ha l’Essere (da qui l’affermazione che l’Essere esiste); tuttavia, da ciò si verifica che 1 e Essere sono 2 e così via; allora 1 non è il numero dei numeri finiti, anche perché se il rapporto n-1 non è finito, ne consegue che esiste un numero infinito di idee e termini.
Meglio detto se colleghiamo quanto finora esposto:
consideriamo φ(α) = Dio è Sommo Bene
dove α sono “Dio” ed “è sommo bene”, quindi sono le costituenti della prop.
A questa proposizione è possibile aggiungere una variabile
φ(x)=Dio è Sommo Bene e ha creato l’uomo a sua immagine
dove x= Uomo è la variabile, poiché Dio lo ha creato a sua immagine, ma ciò vale per alcuni elementi di x, per altri risulta falsa, tanto da spingere Dante Alighieri a menzionarli nell’Inferno.
Ora, se Dio è il Sommo Bene, è Uno da cui derivano le molteplici variabili “Uomo”, allora l’Uno non esiste come numero finito se ha senso nelle sue infinite relazioni; perciò prima si è detto che il rapporto padre-figli è 1-molti
Dunque, ciò che è Essenza dell’Uno è materia e la relazione che intercorre tra Materia ed Essenza è legata allo spazio e al tempo; l’unità materiale è un concetto-classe (così come già in precedenza asserito) applicabile a tutto ciò che ha come caratteristiche17:
- L’unità materiale semplice che occupa in qualsiasi momento un punto spaziale; 2 unità non possono occupare lo stesso punto nello stesso momento;
- Ogni unità persiste nel tempo e la sua posizione nello spazio è differente, nei momenti intermedi le posizioni sono tra una serie continua;
- Due unità materiali differiscono fra loro nella stessa maniera immediata di due colori e si accordano, così, il concetto generale di materia mentre la relazione tra loro e l’Unità materiale.
RICAPITOLANDO: Ogni termine è eterno e immutabile, come si è detto, e in relazione ad altri termini costituisce il predicato di un termine; da qui scaturisce il mutamento, dovuto al fatto che con certe parti di tempo ha una relazione che con altre parti non sembra intrattenere; esse possono, quindi, essere immutabili. La differenza tra ciò che esiste in un istante e ciò che esiste in un altro è dovuto alla relazione di termini differenti e, seppur un termine cessa di esistere, in tal modo non potrà mai cessare di Essere, poiché appartiene all’Unità. Ciò vuol dire che Dio, che è Uno, pur se cessa di esistere non potrà mai cessare di Essere poiché egli è nelle infinite variabili create che potranno avere relazioni tra loro, ma resta comunque il fatto che la relazione nello spazio e nel tempo della Materia con l’Unità è immutabile.
Tutte le cose che conosciamo hanno un numero18.
<<Tutte le cose che conosciamo hanno un numero>> è ciò che afferma Pitagora quando intuisce la relazione tra numero e musica; si attribuisce, infatti, al matematico greco la creazione del kanon, ovvero uno strumento musicale avente una sola corda e tramite il quale ha avviato il suo esperimento: le note che erano in armonia con la nota principale erano quelle prodotte dalla corda divisa in parti uguali. Dividendola, perciò, in due parti uguali la corda emetteva una nota più alta di un’ottava; dividendola in tre, una nota produceva un suono più alto di un quinto sopra l’ottava; in quattro, una nota risultava più alta di un quarto sopra l’ottava; e così si proseguiva dividendo via via la corda ottenendo una serie maggiore e/o minore in riferimento ai piccoli intervalli. Egli insieme ai discepoli constatò che in certi rapporti di lunghezza le corde producevano sempre l’ottava, la quinta e la quarta e ciò valeva a dire che vi era una regolarità nascosta, poiché pur comprendendola, non avendola creata loro non potevano cambiarla ma era una complessità della natura. Significa che nell’Universo c’è un ordine fatto di numeri e ciò lega i sensi umani e la razionalità e alla logica numerica; i numeri così hanno un potere, sono la chiave del vasto sapere: la conoscenza che potrebbe innalzare la propria anima a un livello più alto dell’immortalità fino ad unirsi col divino. Per cui 1, 2, 3, 4 sono numeri divini in quanto sono fondamentali per la musica ed essa è, come ben sappiamo, un elemento vitale che permeava tutti gli aspetti della vita quotidiana e spirituale nelle civiltà antiche (e si perpetua ancora oggi), costituendo un ponte tra ciò che è terreno e ciò che è divino19. La musica, tessuto connettivo delle antiche civiltà, ha risuonato attraverso le ere come l’espressione considerata un dono divino o un incantesimo della natura, era la voce dell’etereo e del divino; gli archeologi hanno disvelato il suo ruolo cruciale nelle culture tramite affreschi, graffiti, bassorilievi e antichi strumenti. Nell’Egitto dei faraoni, per esempio, la musica scandiva il ritmo di cerimonie, festività regali, processioni funebri e persino campi di battaglia. Un’orchestra di tamburi, liuti, flauti e arpe accompagnava ogni aspetto della vita. Analogamente, per Assiri, Babilonesi e Sumeri della Mesopotamia, la musica era il cuore pulsante delle celebrazioni e degli assalti bellici. Tra gli Ebrei, la musica si elevava a glorificazione divina, con salmi e strumenti quali flauti, trombe e cimbali a intonare la sacralità del culto. La Grecia, culla della teoria musicale, vide musicisti, poeti e matematici esplorare l’armonia delle sfere; lira e cetra erano le muse di spettacoli teatrali, in un connubio di melodia, danza e poesia.
Il matematico K. Ferguson nella sua opera “La musica di Pitagora”20 ci informa circa l’interesse di Aristotele nei confronti di Pitagora, tanto da condurre ricerche approfondite; così trovò un elenco di connessioni fra numeri e concetti astratti (tali connessioni sono 10 come 10 sono le categorie aristoteliche):
- Mente
- Opinioni
- Il numero del tutto
- Giustizia
- Matrimonio
- ?
- Tempo giusto/ Stagione giusta
- ?
- Giustizia
- Perfetto
Analizziamo di seguito le associazioni numero-sost.:
- L’associazione 1 – Mente non poteva che essere più esatta, in quanto essa è il complesso delle possibilità e dei contenuti intellettuali e spirituali dell’individuo e 1 per i Greci non era un numero, avendo quest’ultimo termine il significato di “più di uno” come precedentemente dimostrato; per Aristotele è la Sostanza, che ha in sé tutte le cose;
- il numero più piccolo, invece, è quello il cui quadrato è numero 4, che è anch’esso un numero pari, assieme al quello che al quadrato dà 9, anch’esso dispari; i quadrati menzionati, 4 e 9, sono associati alla Giustizia poiché il 4 è l’equilibrio e l’ordine e il 9 numero perfetto, essendo la somma dei primi quattro numeri (1 + 2 + 3 + 4 = 10). La sua perfezione rifletteva l’armonia e la giustizia. D’altronde qualità (seconda categoria) e quantità (terza categoria) sono in relazione (quarta categoria) con la sostanza, poiché sono caratteristiche da essa possedute (nona categoria);
- il 5 è, poi, la somma dei numeri primi suddetti, ovverosia il numero pari 2, che è l’opinione ed è la somma di 1+1 (vedi su) e il numero dispari 3, che è il numero del tutto poiché è la somma di mente e opinione ovvero dell’insieme ragionato dei pensieri, ecco perché è associato al matrimonio, che include azioni da attuare o subire (quinta categoria);
- il 6 è 2 moltiplicato per 3, o comunque la somma di 3+3, e costituisce così L’armonia era un concetto centrale nella filosofia dei pitagorici, e la sua base era la commisurabilità. Vediamo come questi elementi si collegano:
- Commisurabilità e numero: i pitagorici osservarono che molti fenomeni naturali seguivano rapporti calcolabili. Ad esempio, le stagioni, l’incubazione degli animali e gli accordi musicali si verificavano in modo regolare. Questo li portò a credere che ci fosse una dipendenza numerica intrinseca in questi fenomeni.
- Principio illimitante e principio limitato: I pitagorici identificarono due principi fondamentali: l’illimitante e il limitato. Ogni numero risultava dalla sintesi di questi due principi. Ad esempio, il 6 derivava dalla combinazione di questi due principi.
- Struttura geometrica: I pitagorici concepivano i numeri come punti nello spazio. Associavano l’uno al punto, il due alla linea, il tre alla superficie e il quattro al solido. Questi elementi geometrici permettevano loro di costruire figure solide legate agli elementi naturali (come il cubo alla terra, la piramide al fuoco, ecc.).
- Il numero 7 è associato al tempo giusto (nelle categorie aristoteliche al 7 corrisponde il “quando”,), poiché per i Greci la vita procedeva per multipli di questo numero (/ i mesi di gestazione, 7 i denti che spuntavano in principio, 14 anni sono quelli dell’inizio della pubertà, 21 spunta la barba etc.)
- Il numero 8, che non sembra trovare una vera e propria associazione, ricrea dualità e armonia, essendo associato a coppie di opposti, come luce – tenebre, maschile – femminile; la dualità stessa era vista come parte integrante dell’universo e della natura. Tuttavia, nella numerologia pitagorica, l’8 rappresentava autorità, ambizione e il desiderio di conquista e vittoria, ma anche il processo Spirito-Materia, secondo cui simboleggiava anche il processo mediante il quale lo spirito discendeva nella materia e questa risaliva verso lo spirito (il “dove” aristotelico). Era, dunque, associato ai quadrati dello spirito e della materia.
- Il numero 10 è detto perfetto (condizione della Sostanza), derivante dalla somma dei primi quattro numeri: 1+2+3+4 , ovvero la tetraktys, costituiva una figura sacra, consistente in un triangolo equilatero con 10 punti disposti su quattro linee. Questa figura veniva utilizzata nei giuramenti pitagorici.
Quanto qui esposto, in verità, trova piena correlazione in campo norreno: Gianna Chiesa Isnardi nell’opera “I miti nordici”, difatti, nella parte seconda capitolo V21 ci mette a parte del fatto che il numero è una qualità di un Essere o comunque manifesta la sua relazione con l’Universo nel tempo e nello spazio; il tempo è scandito secondo una dualità di opposti luce-buio, bello-brutto etc., ed è antitesi necessaria rappresentata dal numero 2 (il capitolo comincia proprio col due, a riprova del fatto che come per i Greci, in ciascheduna popolazione di origine indoeuropea l’uno non è considerato un numero, né tantomeno numero finito!) per ricreare l’equilibrio, che in senso religioso viene espresso nelle coppie sacre Cielo-Terra, Askr-Embla che sono il primo uomo e la prima donna nella mitologia nordica esattamente come lo sono Adamo-Eva per il Cristianesimo; il numero 2 delinea anche una possessione certa come si vede nel mito delle due schiave, Fenja e Menja, che girano la molla del mulino del cielo(p.p. 322-327) : un re danese di nome Fróði possedeva un grande mulino chiamato Grótti, donatogli da Hengikjopt; tuttavia (la fonte principale è il poema Gróttasöngr o Canzone di Grótti di Snorri Sturluson), nessun uomo era abbastanza forte da usarlo. Fróði acquistò due schiave gigantesse, Fenja e Menja, e le mise al mulino. Chiese loro di macinare oro, pace e felicità per sé stesso, senza concedere loro riposo o sonno, tranne per il tempo di intonare una canzone. In risposta a questa crudeltà, Fenja e Menja cominciarono a cantare la “canzone di Grótti” (lo stesso poema Gróttasöngr). Durante il loro canto, crearono un’armata guidata da un Re del Mare di nome Mysing. Questi attaccò Fróði di notte e lo uccise, portando via un ricco bottino. Mysing acquistò il mulino Grótti con Fenja e Menja e chiese loro di produrre sale. Le gigantesse macinarono ancora, ma quando Mysing chiese se avevano abbastanza sale, continuarono a macinare. Le navi affondarono e si formò un gigantesco vortice (un maelstrom) che rese il mare salato. Da allora, il mare ha avuto il suo sapore salato, mentre noi possiamo asserire che ciò si è potuto realizzare grazie all’equilibrio di due, numero che risulta anche necessario affinché un essere si manifesti nella completezza del tre.
Empedocle diceva:
Duplice cosa dirò: talvolta l’uno si accrebbe ad un unico essere
da molte cose, talvolta poi di nuovo ritornarono molte da un
unico essere.
Duplice è la genesi dei mortali, duplice è la morte:
l’una è generata e distrutta dalle unioni di tutte le cose,
l’altra, prodottasi, si dissipa quando di nuovo esse si separano.
E queste cose continuamente mutando non cessano mai,
una volta ricongiungendosi tutte nell’uno per l’Amicizia,[…] 22
Ritorna la dualità (d’altra parte 9 si ottiene anche dalla somma di 2 e 7) che implica un ritorno dell’uno inteso come insieme dopo una morte, dopo una κρισις qui con significato di separare23, come anche nel mito prima proposto; ma vuol dire anche scegliere: scelta compiuta dalle Valchirie quella di seguire il proprio destino, come Óðin che sceglie di sacrificare se stesso per ottenere la conoscenza del tutto e morendo tornare nello stato dell’unità per poi rinascere24. Ciò che Empedocle rappresenta nella ciclicità della vita (in cui vige la necessità della morte per rinascere avendo conoscenza e così via) è esattamente quanto nelle pagine precedenti dimostrato, ma è Friederich Nietzsche a sintetizzarlo in un periodo perfetto nel quale si esprime l’essenza della vita: l’eterno ritorno sfida la concezione lineare del tempo e la trascendenza; ogni momento dell’esistenza contiene in sé la totalità dell’essere e si ripete ciclicamente, eternamente. Questa circolarità (che, ricordiamo, nella tradizione gnostica è in qualche modo rappresentata dal serpente che morde la sua stessa coda, ed è considerato un simbolo di conoscenza) implica che il senso dell’Essere risiede internamente alla vita stessa, non al di fuori di essa. Ogni istante è un incontro di significato e presenza, e l’accettazione di questo ritorno perpetuo diventa un atto di elevazione per il Superuomo, che abbraccia la vita in tutta la sua complessità25.
Il numero tre, prosegue Isnardi, è la perfetta manifestazione dell’entità che si vede nella triplice manifestazione (all’antitesi Cielo – Terra si aggiunge la dimensione Inferno) di Odino, nelle tre Norne principali, in Fenrir terzo figlio malvagio di Loki che uccide con i due fratelli gli dèi e si ha la rinascita del mondo dopo la morte; con Ymir che viene ucciso da Odino assieme ai due fratelli, dal cui corpo gli dèi creano il mondo. Ogni rito per essere, poi, completo in maniera efficace dovrà essere ripetuto tre volte.
Il numero 4 ha il suo corrispettivo geometrico nel quadrato ed è il simbolo della manifestazione spaziale e dell’ordinamento della Materia, costituendo la direzione orizzontale del cosmo. Alle origini del mondo, infatti, furono stabiliti quattro punti cardinali al fine di fissare il cielo in terra e così nacquero i primi esseri della razza nanica: Norðri, Suðri, Austri, Vestri, posti ognuno in un angolo del mondo differente e sotto un canto diverso; possiamo allora capire perché il 4 rappresenti la materia, il suo ordinamento e il dominio su di essa, tanto che quattro sono i fiumi di latte che scorrono dalle mammelle della mucca primordiale.
Poiché al suo interno vi è la materia creata, esiste un ordine e, quindi, sono contenuti i numeri naturali, possiamo dire che esso sia un quadrato magico, laddove tale espressione è legata alla matrice quadrata di dimensione \(N \times N\) contenente numeri distinti, disposti in modo tale che la somma dei numeri presenti in ogni riga, colonna e diagonale dia sempre lo stesso risultato. Questo valore costante è noto come la costante di magia o soluzione del quadrato.
Di seguito un paio di esempi di un quadrato magico cinese:
Se il quadrato magico contiene i primi \(N2\) numeri naturali, allora è detto quadrato magico normale, come ad esempio, il quadrato magico di ordine 3 mostrato all’inizio è proprio un quadrato magico normale, contenente i numeri da 1 a 9. Successivamente all’avanzamento degli strumenti matematici a disposizione, poi, sono state trovate numerose proprietà e particolarità legate ai quadrati magici:
- A meno di considerare “uguali” i quadrati magici normali che sono ottenibili l’uno dall’altro tramite rotazioni e riflessioni (applicando cioè una relazione di equivalenza nell’insieme dei quadrati magici normali);
- L’elenco visto al punto precedente non è attualmente ampliabile: infatti, determinare quanti sono i quadrati magici di ordine 𝑛>6n>6 è ancora oggi un problema aperto, poichè non esiste un metodo che riesca a fornire esaustivamente tutti i quadrati magici di un dato ordine 𝑛n. Si stima, comunque, che il numero di quadrati magici di ordine 66 si aggiri intorno a 10191019.
- Per rimanere nell’ambito della cabala e della numerologia, è interessante notare che la somma dei numeri interni un quadrato magico normale di ordine 66 è pari a 666666, numero “diabolico” per eccellenza26.
Il numero 5 rappresenta l’armonia, poiché in sé ha la dualità sommata alla perfezione, perciò è completo, al quale aggiungendo uno avremo il suo successore, ovvero il numero 6, che è tre sommato a se stesso. Ma 5 sono anche le linee che tratteggiano la runa Berkana, la quale è simbolo di equilibrio; legata alla natura e al ciclo della vita, essa è, perciò, anche simbolo di Rinascita, Fertilità e Protezione; nell’antico alfabeto runico, la Berkana si ergeva come un ponte tra i vichinghi e la natura stessa. La sua forma richiama l’immagine di un albero o di una pianta in crescita, come se la runa stessa fosse radicata nella terra, pronta a germogliare. Questa forma evoca la vitalità e la rigenerazione, è strettamente associata alla dea della fertilità, Freyja, che con i suoi poteri rigenerativi, incarna la forza creatrice della natura. La runa, dunque, è un omaggio alla fecondità, alla maternità e alla crescita; è un richiamo alla magia della creazione, poiché rappresentava la protezione; dopo periodi difficili, la Berkana offre la promessa di un nuovo inizio23. La Runa Berkana, nel suo significato divinatorio, infatti, si erge come un simbolo di crescita, rinascita e rinnovamento. Al dritto, essa annuncia l’arrivo di nuove opportunità, la rigenerazione e la rinascita dopo un periodo di difficoltà. È un segno di speranza e nutrimento, in cui si possono coltivare relazioni positive e rafforzare la connessione con se stessi e con gli altri. È, quindi, un segno di speranza e guarigione interiore, offrendo la possibilità di un nuovo inizio e di una crescita personale significativa. Associato all’energia femminile, alla maternità e al potere rigenerativo della natura, l’amuleto di Berkana veniva indossato per attirare prosperità, fecondità e buona fortuna. Si credeva che proteggesse le donne durante la gravidanza e il parto, garantendo una crescita sana e vigorosa ai bambini. Inoltre, rappresentava la connessione con la Dea Madre e l’equilibrio tra le forze maschili e femminili. E ciò è esattamente quanto affermato nella definizione “pitagorica”.
In alchimia, la Quinta Essenza è l’essenza purissima, ottenuta dopo cinque distillazioni e rappresentava la forza vitale dei corpi e l’aspirazione all’eternità. Spesso associata all’etere, all’Akasha o all’Anima del Mondo, la Quinta Essenza è priva di spazio e tempo. Contiene la memoria universale, custodendo la saggezza di ogni cosa che ci circonda. Perché riportarsi all’alchimia? Semplicemente perché entrambi i concetti condividono il concetto di vuoto, non inteso come il nulla, ma come uno spazio fertile per la creazione e l’esistenza stessa, che, si ricorderà, è quanto rappresenta il numero 4, che nel sapere alchemico è legato ai quattro elementi naturali: la teoria dei quattro elementi è, in realtà, un concetto che risale all’antica Grecia e ha influenzato la filosofia, la scienza e l’alchimia. Secondo questa teoria, ogni sostanza esistente, sia nel microcosmo che nel macrocosmo, è costituita da una composizione di quattro elementi naturali:
- Fuoco: Rappresenta l’elemento purificatore e vivificatore. È associato al calore e all’energia vitale.
- Aria: Intangibile e vitale, l’aria è il respiro cosmico. Senza di essa, la vita non sarebbe possibile.
- Acqua: Fonte della vita, l’acqua scorre dai torrenti ai fiumi fino al mare, nutrendo e trasformando tutto ciò che incontra.
- Terra: Simboleggia la materia primordiale, solida e rigogliosa. Accoglie e nutre la vita.
Questi elementi possono essere intesi come stati di aggregazione della materia: fuoco (stato ardente), aria (stato gassoso), acqua (stato liquido) e terra (stato solido). Essi possono essere in accordo o in opposizione tra di loro, e le loro interazioni danno origine a tutti i fenomeni del cosmo, come la nascita, la morte e la trasformazione. Inoltre, questi elementi non sono solo parte della natura, ma rappresentano anche parti di noi stessi, della nostra personalità e delle nostre emozioni. Inoltre, al completamento del pentacolo si aggiunge un quinto elemento chiamato Quinta Essenza o Etere, che permea ogni cosa e forma ogni cosa, incorporando i quattro elementi tradizionali. L’etere rappresenta l’immortalità e l’intelletto, ed è associato alla pietra filosofale nell’alchimia. Essi sono, dunque, alla base dell’ordine delle cose e dell’organizzazione dell’universo (4+1=5), e la loro interazione crea un equilibrio cosmico che ha affascinato gli alchimisti e i filosofi per secoli27.
Il 6 è simbolo dell’equilibrio, poiché una perfezione fasta si somma a quella nefasta (d’altro canto tre divinità “buone” durante il Ragnarök si sono scontrate con tre divinità “malvage”), irrigidito e conchiuso in sé; spazio di tempo che dovrà trovare una soluzione e, perciò, attenderà l’unione di un altro elemento per formare il 7, che per Dante, e più in generale nella lettura cristiana, è simbolo di perfezione umana, intesa come riepilogo completo dell’uomo. Settanta è, difatti, il numero della vita perfetta: il poeta con la perifrasi <<Nel mezzo del cammin di nostra vita>> nel primo verso del poema indica i suoi trentacinque anni di età poiché essi costituiscono la metà dell’età perfetta. Tuttavia, 7 esprime il dubbio, l’inganno e la menzogna : 7 sono i giorni della durata del viaggio di Dante, nell’Aldilà; 7 sono i giorni della creazione della Terra; sette sono le cornici del Purgatorio. In senso negativo, 7 sono i vizi Capitali: Superbia, Avarizia, Lussuria, Gola, Invidia, Ira, Accidia.
Il numero 7 è comunque la somma del numero del tutto, cioè 3, e il numero dell’ordine creato, ovvero il 4, per cui esprime la completezza, chiusa e temporanea. Ad esso, infatti, basta aggiungere 1 e si ottiene l’8, il quale, però, esprime un ciclo a cui è stato tolto un elemento o ancora non lo ha acquisito. Isnardi ci racconta del mito di Völundr e dei suoi fratelli28, nel quale si dice che questi presero in spasa tre Valchirie ed esse rimasero con i loro sposi per sette inverni; durante l’ottavo inverno, essi soffrirono di nostalgia e nel nono inverno esse volarono via per non tornare più. Nel poema eddico Völundarkviða (“carme di Völundr”) è detto, infatti, che Völundr, figlio del re dei Finnar, vive in Ulfdalir, le valli dei lupi, insieme ai suoi fratelli Egill e Slagfiðr. Un giorno, i tre giovani incontrano tre valchirie sulle rive di un lago e le portano a casa loro. Egill sceglie Ölrún, Slagfiðr prende Hlaðguðr svanhvít e Völundr si innamora di Hervör alvitr. Dopo nove inverni trascorsi insieme, le tre spose, trasformate in cigni, volano via per compiere il loro destino di valchirie. Egill e Slagfiðr partono in fretta per cercare le mogli, ma Völundr rimane in Ulfdalir sperando nel ritorno di Hervör alvitr. Per la sua amata, Völundr crea settecento anelli d’oro. Un giorno, tornando da una battuta di caccia, Völundr conta gli anelli e si accorge che ne manca uno. Crede che Hervör alvitr sia tornata a prenderlo. Mentre dorme, viene catturato dal crudele re Níðuðr, che aveva rubato l’anello. Níðuðr fa tagliare i tendini delle gambe di Völundr e lo relega su una piccola isola, obbligandolo a lavorare per lui senza possibilità di fuga. L’anello rubato viene dato alla figlia del re, Bodvilðr. I due figlioletti di Níðuðr visitano l’isola di Völundr per vedere i tesori della sua fucina. Völundr li avverte di tornare in segreto, ma quando ritornano, Völundr li decapita. Usa i loro teschi per creare coppe per il re, gli occhi per gioielli della regina e i denti per fare collane per Böðvildr. Böðvildr, la figlia di Níðuðr, visita la fucina per far riparare l’anello rotto. Völundr le offre una bevanda drogata e giace con lei, risultando in una gravidanza. Poi Völundr prende il volo e rivela a Níðuðr tutta la sua vendetta (l’uccisione dei figli e la violazione della principessa) e, fatto promettere al re che non farà del male a Böðvildr e al loro figlio, vola via29. Dunque, il settimo inverno il ciclo era compito ma aggiungendosi l’elemento nostalgia esso è diventato instabile; e, tuttavia, nel nono inverno si risolve la situazione. Ciò implica che il numero 9 sia il simbolo di una completezza che diventa dominio. Esso, difatti, si ottiene moltiplicando 3 per se stesso; qui, però, non è, come accade per il numero sei, fasto e nefasto, ma il dominio sulle tre dimensioni nei tre flussi temporali differenti, e cioè:
3×3=9
Cielo- Terra -Inferno x Passato-Presente-Futuro = Ritorno all’Unità
Si potrebbe affermare che le tre dimensioni spaziali (Cielo-Terra-Inferi) siano la rappresentazione delle tre dimensioni temporali, poiché è nel progredire di queste ultime che si giunge nelle tre dimensioni: <<Per nove notti pendetti (noetr allar níur)>>: il lasso temporale di nove giorni è sicuramente connesso con le tre Nornir, essendo nove multiplo di tre, come è dimostrato in Sólarljóð (1200 d. C.), poema norreno d’ispirazione cristiana con riferimenti alla mitologia nordica: qui il protagonista sostiene di essersi seduto sul trono delle Norne per nove giorni , che sicuramente fa riferimento allo stesso momento. Orbene, durante questo lasso di tempo Odino impara nove canti, detti galdar e in virtù di ciò lo stesso e tutti gli Æsir sono chiamati “fabbri dei canti”; con tali incantesimi il Padre degli dèi sa legare gli animi e la volontà umane. Inoltre, egli non può essere legato, conoscendo canti che possono sciogliere nodi; resuscita dalla terra i morti. In definitiva, si potrebbe dire che quella del dio costituisce una scalata al potere, durante cui sono previste morte e nascita iniziatiche con i conseguenti ostacoli da affrontare. Tale coma mantico è stato lo strumento non solo per ricevere il potere divinatorio, ma anche per la veggenza del futuro.
D’altra parte, la stessa “Divina Commedia” di Dante Alighieri, composta da “Inferno”, “Purgatorio” e “Paradiso”, può essere interpretata come una rappresentazione allegorica del passato, del presente e del futuro:
- Inferno (Passato): L’Inferno rappresenta il passato, un luogo di peccato e tormento dove le anime subiscono le conseguenze delle loro azioni terrene. Questo può essere visto come un simbolo del passato, un tempo che non può essere cambiato o corretto, e le cui azioni hanno effetti duraturi.
- Purgatorio (Presente): Il Purgatorio rappresenta il presente, un luogo di espiazione e purificazione. Le anime qui stanno lavorando attivamente per purificarsi dai loro peccati e avanzare verso il Paradiso. Questo può essere visto come un simbolo del presente, un tempo di cambiamento e crescita.
- Paradiso (Futuro): Il Paradiso rappresenta il futuro, un luogo di beatitudine e comunione con il Sommo Bene, la conoscenza del mondo. Questo può essere visto come un simbolo del futuro, un tempo di pace e contentezza che viene raggiunto attraverso il duro lavoro e la dedizione nel presente.
Inoltre, queste tre parti della “Divina Commedia” possono essere viste come rappresentazioni di stati dell’anima: distacco (Inferno), desiderio (Purgatorio) e incontro (Paradiso). Questi stati possono essere correlati al passato, al presente e al futuro, rispettivamente nel seguente modo: il distacco dal passato, il desiderio nel presente e l’incontro con il futuro. Dunque, si potrebbe dire che la correlazione tra Inferno, Purgatorio e Paradiso come passato, presente e futuro offra una prospettiva unica sulla natura del tempo e sulla progressione dell’anima umana attraverso la vita e oltre31 .
Dunque, rinascita è la parola-chiave legata al 9, che a questo punto aggiunge un elemento: 9+1= 10, il quale numero ha la stessa simbologia dell’8 , per cui è un ciclo spezzato che necessita di un ulteriore elemento. Ed ecco che 10+1= 11, che nella numerologia nordica non ha un significato particolare se non il fatto che sia necessario per arrivare al 12 (11+1)32;
Il 12, però, si ottiene dal 3, che è la perfezione, moltiplicato al 4, che è materia, ed è il ciclo che si completa, ma diversamente dal 9 che costituisce il dominio è chiuso e statico, questo è dinamico, in divenire poiché prepara per il successivo. Ricordiamo che il numero dodici ha un significato importante nel contesto delle festività di Yule e Natale. Secondo la tradizione, dodici erano i sacerdoti di Oðin, il re e padre di tutti gli dèi. Questi sacerdoti, noti come berserkir, erano considerati le “guardie del corpo” del re e costituivano una schiera regale e sacra. Oðin sceglieva il destino per i suoi eletti: ottenere la vittoria o morire gloriosamente. I berserkir che ottenevano la vittoria potevano festeggiare con un banchetto assieme al loro re. Durante le feste di Yule, queste figure guerriere si manifestavano in un contesto religioso, poiché tale periodo presenta stretti legami con il culto di Oðin. Alcuni rituali, attestati nell’alto Medioevo, vedevano uomini in armi divisi in due gruppi, mascherati e ricoperti da pellicce, che si abbandonavano ad una danza durante il solstizio d’inverno, forse reminiscenze di rituali compiuti durante i banchetti di Yule. Durante questi banchetti, il padrone (o il re) si avvicinava ad ognuno dei dodici commensali chiedendo «Ti dici mio pari?». Con l’arrivo del Cristianesimo nel X secolo, la figura del berserk e le feste di Yule subirono una revisione, venendo associate al Natale cristiano. Nonostante ciò, la tradizione del banchetto con dodici commensali e il rito sacrificale di un suino in omaggio a Freyr, divinità norrena, sono consuetudini che si sono perpetuate nella cultura scandinava durante il Natale. In conclusione, il numero dodici svolge un ruolo centrale nelle celebrazioni di Yule e Natale, rappresentando sia la sacralità dei dodici sacerdoti di Oðin che la tradizione del banchetto con dodici commensali. Queste tradizioni riflettono l’importanza del numero dodici nelle credenze e nei rituali antichi, che sono stati in seguito integrati nelle celebrazioni del Natale cristiano.
La Divina Commedia
Tutta la Divina Commedia fa perno sulla numerologia che è sacra per i Cristiani:
- L’1 che rappresenta la divinità, l’origine di tutte le cose e quindi è Unicità di Cristo, Unità della Chiesa e consecutivamente del genere umano;
- Il 3 che rappresenta la Trinità Cristiana e la perfezione divina, 3 sono le virtù teologali: Fede, Speranza, Carità. Le virtù hanno tutte un significato caratterizzante e grazie alla Fede si crede in Dio, attraverso la Speranza si spera nella vita eterna in Dio come felicità umana e la Carità consente di amare Dio e il prossimo;
- Il 7 che rappresenta la perfezione umana (come già anticipato);
- Il 9 che è il quadrato di 3, quindi un rafforzativo dei significati del 3, esso rappresenta il superamento nella creazione È dinamico, attivo, ma allo stesso tempo è permanente torna sempre al suo stato precedente divenendo paradossalmente immutabile ;
- Il 10 che richiama il numero dei comandamenti che Dio ha dato a Mosè sul Sinai33.
Il poema, opera sublime che richiama l’anima a scrutare l’infinito, si dispiega in tre cantiche, ognuna composta da 33 canti. L’Inferno, con il suo canto iniziale considerato proemio, ne ha uno in più. Ogni canto, come un prezioso gioiello, custodisce versi endecasillabi, da un minimo di 115 a un massimo di 160, tessendo la trama di un viaggio epico. In questo viaggio, Dante attraversa tre regni: l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Tre guide lo accompagnano: Virgilio, Beatrice e, infine, San Bernardo. L’Inferno, suddiviso in nove cerchi, è un labirinto di tormenti. Qui, Dante incontra tre fiere e attraversa tre fiumi, mentre Lucifero, il caduto, rivela tre volti. Il Purgatorio, raggiunto salendo tre scalini, è composto da sette cornici, ma se consideriamo l’Antipurgatorio e il Paradiso Terrestre, emergono nove zone di purificazione. Infine, il Paradiso, con i suoi nove cieli mobili, è la dimora delle anime beate.
Le anime, nei tre regni, si dispongono in gruppi di tre. Dio stesso, la luce suprema, si manifesta in tre cerchi concentrici. E la struttura poetica? Dante adotta la terzina incatenata, in cui il primo e il terzo verso si abbracciano, mentre il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva. Ogni canto si conclude con un verso aggiuntivo, chiudendo la rima con il secondo verso della terzina precedente. A proposito del 9 come multiplo di 3 Il numero nove, essendo perfetto, agisce come un dissolvente per tutti gli altri numeri, senza unirsi a nessuno né attraverso la somma né la moltiplicazione. Nell’opera Vita Nova, Dante identifica nel nove la massima espressione dell’amore divino. Questo numero ha una radice quadrata proprio nel sacro tre, che rappresenta la Trinità. L’Inferno è composto da nove cerchi in cui sono condannati i peccatori, e allo stesso modo ci sono nove cieli nel Paradiso. Beatrice, simbolo divino, è associata al numero nove perché apparve per la prima volta a Dante all’età di nove anni. Il secondo incontro avviene dopo nove anni dal primo. Curiosamente, quando Dante elenca le sessanta donne più belle di Firenze, Beatrice si trova proprio al nono posto, tanto più che riflettendo sul di lei nome in latino esso è scritto Beatrix; scomponiamolo:
Beatr + IX
dove Beatr è l’anagramma di Berta, nome di origine nordica col significato di “illustre/ brillante”, quindi “la splendente”, affine peraltro a “la beata” ma sembra condividere anche la medesima radice etimologica della runa Berkana34; IX è il numero 9 per i latini; poiché Beatrice significa “colei che porta beatitudine”, ella è il miracolo ed è perfetta come lo è il numero che fa parte del suo nome!35
Situazione che, in verità, compare già al capitolo 16 di Vita Nova Dante spiega che utilizza una sequenza che spiega la necessità di collegare il volgare all’uso della sua poesia, e perciò possiamo dire che questo capitolo sia un corollario del cap. 19; utilizzando l’associazione gemmatica in un alfabeto di 23 lettere, a ciascuna è associato un numero. L’esempio lampate è relativo alla parola AMOR che compare nel suddetto capitolo:
Lettera | Numero |
A | 1 |
B | 2 |
C | 3 |
D | 4 |
E | 5 |
F | 6 |
G | 7 |
H | 8 |
I | 9 |
K | 10 |
L | 11 |
M | 12 |
N | 13 |
O | 14 |
P | 15 |
Q | 16 |
R | 17 |
S | 18 |
T | 19 |
U | 20 |
X | 21 |
Y 22
Z 23
AMOR = 44 BEATR=44
A=1 + M=12 + O=14 +R=17 44
Poiché all’epoca chi scriveva in latino era un poeta e chi scriveva in volgare un rimatore, egli giustificò questa sua mistione nel De vulgari eloquentia, in cui dice che anche i rimatori sono poeti essendo il volgare una lingua degna di nota. Tanto più che, seguendo questo ragionamento dell’associazione gemmatica, avendo osservato che Pitagora aveva notato l’associazione musica- numero-sacro, nella sua Divina Commedia e prima ancora in Vita Nova, applica a perfezione quanto prima asserito.
Ai tempi di Dante, la Matematica stava vivendo una trasformazione: il sistema di numerazione romano cedeva il passo a quello arabo e Papa Silvestro II, aveva già iniziato a diffondere l’uso dei numeri arabi nell’Occidente nel 980. Tuttavia, fu solo con Fibonacci nel 1202 sembra che i numeri arabi divennero veramente noti e accettati. Dante, in tutta la sua grandezza poetica, non si limitava a ragionare secondo il sistema di numerazione araba come facciamo noi oggi. È importante considerare questo aspetto, poiché alcuni significati numerologici potrebbero sfuggirci. Nel suo tempo, il valore di π non era rappresentato come il noto 3,14, ma piuttosto come una frazione. La stessa struttura dei sonetti, composti da 14 versi endecasillabi, scritti su due pagine (equivalenti a 7 righe contenenti 22 sillabe), potrebbe essere una suggestione del π. È affascinante come Dante abbia intrecciato la matematica e la poesia, creando un tessuto di significati profondi. La Divina Commedia, con la sua ricchezza numerica, è un viaggio attraverso l’anima e l’universo, dove ogni numero ha un ruolo simbolico36.
La questione che, però, evidentemente più interessava l’uomo del medioevo era l’irrazionalità dei numeri. Platone scriveva che la creazione del mondo da parte del Demiurgo: Dante, con la sua profonda sensibilità e acume intellettuale, esplorò il mistero dell’infinito e la relazione tra l’uomo e Dio attraverso la sua opera immortale, la Divina Commedia. Nel Paradiso, nel canto XXXIII, Dante si confronta con l’inconcepibile, cercando di misurare l’immenso, come un geometra che cerca di definire il cerchio:
“Qual è il geometra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova”
Dante, dotato di solide capacità matematiche e logiche, sapeva che la difficoltà di un teorema si risolve quando si trova una dimostrazione. Tuttavia, qui siamo di fronte a un enigma che va oltre la matematica: la comprensione di Dio. Concepire l’infinito è come cercare di svuotare l’oceano con una conchiglia. L’infinito sfugge alla mente umana, proprio come il valore di π. La geometra di Dante è sgomenta perché sa che non riuscirà mai a quadrare il cerchio, nonostante i suoi sforzi. Il metodo scelto sembra richiedere l’infinito, che è negato agli esseri umani finiti e limitati. Questo richiama la famosa sfida matematica di quadrare il cerchio, che è impossibile con il solo uso di compasso e riga. L’idea di un problema irrisolvibile riflette la lotta umana per comprendere l’infinito e le limitazioni della conoscenza umana. Successivamente, Dante ha una visione del mistero di Dio come tre cerchi sovrapposti. Questa immagine geometrica rafforza l’interpretazione proposta: il razionale e l’irrazionale sono uniti da procedure “infinite”: Sicuramente questa suggestione che un numero “trascendente” quale π potesse essere definito in una serie infinita di passi entusiasmò Leibniz7 quando nel 1676 scoprì che π su quattro era pari alla serie infinita 1 -1/3 + 1/5 -1/7 + 1/9 etc etc (in realtà questa serie era stata scoperta da Madhava di Sangamagrama in India qualche secolo prima e da James Gregory qualche anno prima in Europa, ma fu Leibniz a renderla famosa e ad enuclearne tutte le conseguenze). Ma nel caso di infinite stanze ed infiniti clienti, è possibile. Infatti come facciamo a sistemare in nuovo cliente nell’albergo con infinite stanze e tutte già occupate? Semplice, mando il cliente che sta nella stanza 1 nella stanza 2, quello della stanza 2 nella stanza 3, etc così metto il nuovo cliente nella stanza numero 1 e non sfratto nessun altro cliente. Abbiamo così dimostrato che infinito è uguale a infinito più uno. Con lo stesso ragionamento si può dimostrare che infinito è uguale a due per infinito. Infatti mandando il cliente che sta nella stanza “n” nella stanza “2n” libero tutte le stanze dispari che sono infinite. Si può infine dimostrare che infinito per infinito è uguale ad infinito. Ma, come già dimostrato in altri luoghi, non tutti gli infiniti sono uguali, essendo i numeri naturali discreti e sono un infinito molto più piccolo di quello dei numeri reali che stanno nell’intervallo (0,1) (infinito del continuo). La geometria diventa un simbolo per la ricerca della verità e della comprensione oltre i confini umani. Inoltre, Dante si interroga sull’infinito e sulla sua natura. In matematica, due insiemi infiniti sono considerati “uguali” se esiste un’applicazione che li fa coincidere. Ad esempio, possiamo pensare a un albergo con infinite stanze e infinite persone. Anche se sembra banale, dimostrare che infinito è uguale a infinito più uno o a due per infinito richiede un ragionamento rigoroso. Inoltre, i numeri naturali (discreti) sono un infinito molto più piccolo rispetto ai numeri reali (infinito del continuo) che stanno nell’intervallo (0,1). Dunque, Dante utilizza la geometria come metafora per esplorare temi filosofici e spirituali, e la figura del “geometra” rimane un enigma affascinante all’interno della sua opera37.
Quindi, quando Dante si confronta con l’impossibilità di misurare il cerchio, sta forse suggerendo che Dio stesso è incommensurabile? L’armonia dei numeri, i cerchi concentrici, le terzine incatenate – tutto ciò riflette la ricerca di un ordine divino, ma anche l’umiltà di fronte all’infinito. In questo dramma intellettuale, Dante ci invita a contemplare l’inconcepibile, a riconoscere i limiti della nostra comprensione e a lasciarci sorprendere dall’ineffabile.
NOTE:
1 Dizionario etimologico online : https://www.etimo.it/?term=numero
2 Dizionario etimologico online: CATEGORIA (https://www.etimo.it/?term=categoria&find=Cerca ) = dal gr. κατηγορία, nel senso generale di “enunciazione, predicazione“, derivato da quello primitivo, e più specifico, di “accusa“; lat. praedicamentum; fr. catégorie; ted. Kategorie; ingl. Category
3 G. Reale, Il pensiero antico, V&P Università, Milano 2001, p.p 181-192
4 Sulla fortuna delle categorie aristoteliche: https://journals.openedition.org/estetica/2024#ftn14
5 G. Spirito, Matematica senza numeri, Newton Compton, Roma 1995 p.p. 10-14
6 Ibidem
7 Ivi, p.p. 18-26
8 G. Berruto, Fondamenti di sociolinguistica, Edizione Laterza, 2005.
9e ciò perché Pitagora afferma che, in un triangolo rettangolo, il quadrato della lunghezza dell’ipotenusa (il lato opposto all’angolo retto) è uguale alla somma dei quadrati delle lunghezze degli altri due lati. Matematicamente, possiamo esprimerlo come:
a2+b2=c2
dove:
(a) e (b) sono le lunghezze dei cateti (i due lati che formano l’angolo retto).
(c) è la lunghezza dell’ipotenusa.
L’incommensurabilità tra il lato del quadrato e la sua diagonale è un concetto affine. Consideriamo un quadrato con lato di lunghezza (a). La sua diagonale, che collega due vertici opposti, ha una lunghezza (d). Queste due lunghezze sono incommensurabili, il che significa che non possono essere espresse come un rapporto di numeri interi. In altre parole, non esiste un numero razionale (r) tale che (d = r \cdot a).
Questo fatto fu dimostrato per la prima volta dai pitagorici, che scoprirono che la diagonale di un quadrato con lato di lunghezza 1 (quindi (a = 1)) non può essere misurata con un segmento di lunghezza razionale.
10 G. Spirito, Matematica senza numeri, Newton Compton, Roma 1995 p.p. 28-33
11 Ivi, p.p. 40-41
12 B. Russell, I principi della matematica, Newton Compton, Roma 1989 p.p. 65-74
13 Ivi, p. 374
14 PLATONE, Parmenide, BUR Rizzoli Classici greci e latini, 2004
15 G. Reale, Il pensiero antico, V&P Università, Milano 2001, p.p 445-474.
16 B. Russell, I principi della matematica, Newton Compton, Roma 1989 p.p. 384-386
17 Ivi, p.p. 494, 497, 501
18 E’ la frase di Pitagora che ritroviamo nell’opera di K Ferguson, La musica di Pitagora, cap. 5 p.p. 76-86, Longanesi, Milano 2009
19 Ibidem
20 Ibidem
21 Gianna Chiesa Isnardi, “I miti nordici parte seconda capitolo V p.p 499 a 508 (dedicato ai numeri nella mitologia norrena), Longanesi, Milano 1991
22 Empedocle fr. 17 DK, riportato da M. Nucci Il grido di Pan p.p. 26-27
23 Ivi, p.125
24 Völuspà, strofe1-19 (https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-1.Voluspa.html)
25 Gianna Chiesa Isnardi, “I miti nordici parte seconda p. 308 , Longanesi, Milano 1991
26 F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 341, Traduzione di Ferruccio Masini, Adelphi, 2015
27G. G. Joseph, C’era una volta un numero, p.p. 139-160, Il Saggiatore, Milano 2000
28 G. Bellini e U. Carmignani, Runemal: il grande libro delle rune, Edizioni L’Età dell’Acquario, p.p. 253- 261, Torino 2017
29 Pagine Filosofali, “I mille volti delle coincidenze. Connessioni alchemiche tra terre lontane- sezione pomeridiana” https://www.youtube.com/live/-ZoAYRYCrh8?si=5VFmPgDbvI1bZc6I
30 https://www.voluspa.org/volundarkvida.htm
31 La mente innamorata. Divina Commedia antologia, Gianluigi Tornotti, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Pioltello (MI) 2005 .
32 G.C.Isnardi “I miti nordici”, Longanesi, Milano 1991, p.p 503-504
33 La numerologia cristiana viene sicuramente dalla Bibbia (Davis, John J. 1968. Biblical Numerology: A Basic Study in the Use of Numbers in the Bible. Grand Rapids, MI: Baker) e dalla tradizione giudaica (Varner, William C. 1997. “The Christian Use of Jewish Numerology.” Master’s Seminary Journal 8/1, 47–59) ma esiste aache una numerologia che deriva dal Nuovo Testamento (vedasi ad esempio Parsons, Mikeal C. “Exegesis ‘By the Numbers’: Numerology and the NewTestament.” PRSt 35 (2008): 25–43)
34 L’etimologia di Berkana è legata a una parola celtica Berchta che significa brillante. La pianta ad essa collegata è la scintillante betulla, albero dalle proprietà benefiche per quanto riguarda l’eliminazione delle tossine, è noto anche per le sue qualità drenanti.
35 Studi su Dante, E. Auerbach, Feltrinelli 2017
36 Vincenzo Vespri, Dante e il fascino esoterico dei numeri: https://www.fondazioneforensefirenze.it/uploads/fff/files/2021/2021_05%20-%20Maggio/21%20-%20Dante/Note%20-%20Prof_%20Vincenzo%20Vespri.pdf
37 Ibidem
Giovanna Bruno,
(Marcianise) docente di Lettere laureata in Filologia classica presso l’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” nel 2018 con una tesi in Storia delle Religioni.
(continua)