La Parthenope di Sorrentino non è napoletana! – Valentina De
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La Parthenope di Sorrentino non è napoletana! – Valentina De Cicco
Qualche sera fa, mi è capitato finalmente di vedere il tanto stimato film di Paolo Sorrentino “Parthenope”, verso cui non nutrivo un’attrazione particolare, forse inconsciamente presagendo quanto la visione avrebbe in me fatto scaturito un profondo sentimento di disturbo e di nausea. Da napoletana, degnamente napoletana, e da studiosa dei simboli e del mito, in particolar modo di quell’essere epico che è rappresentato dalla Sirena, mi sento di esplicitare alcune considerazioni su un tema, che mi è molto caro. Napoli è la mia città, una citta con le sue contraddizioni, la sua complessità, che richiede competenza per essere definita, affrontata e descritta, soprattutto quando ci si riferisce al suo mito fondante, che è appunto quello di Parthenope. Se non si è esperti del campo mitologico, infatti, si rischia di prendere cantonate, se ci si improvvisa intellettuali, come oggi si è soliti fare. si finisce per distorcere e dissacrare, di demistificare una radicata dimensione dello spirito civico. Purtroppo nei giorni nostri si è abituati a trattare la cultura con leggerezza e si finisce per svilirla e banalizzarla.
Nel merito del film, alcune profondità archetipiche che Sorrentino cerca di narrare non risultano funzionale ad un gioco d’effetto, in quanto si tenta diffusamente di descrivere dei simboli che non comprendono, affrontandoli non solo superficialmente, ma anche in maniera esasperata, elementi che hanno provocato un profondo sconcerto nel pubblico. Difatti, non si coglie minimamente lo spirito ancestrale di Neapolis, in cui domina, risaputa e serena, la solarità e la gioia di vivere, imprigionando tutta la trama del film in un canovaccio crepuscolare in cui ricorrono come una costante temi come la depressione e il suicidio: si palesano, pertanto, un non senso, un vuoto, in un retroscena malinconico ed alienante, quale sottofondo inappropriato e fuori luogo, rispetto alla visione sottile e festiva della città. Nella pellicola si vorrebbero traslare i soliti luoghi comuni di una certa sinistra radical chic sulla cultura e il modo di vivere di Napoli, che, ad un’osservazione oggettiva, risultano essere palesemente infondati, giacché il golfo sacro, in cui venne a dimorare una delle sirene protagoniste del mito di Ulisse, risulta essere sicuramente un locus spirituale prima che terreno, in cui vivificano le sue tradizioni più remote e ove le alienazioni moderne spesso non attecchiscono, almeno in una diffusa cittadinanza consapevole.
Questa Parthenope che nasce a mare, per sua natura intrinseca seduttiva e lasciva, da buona sirena quale è – nella sua sfera ontologica di eterno presente -, con il suo essere dionisiaca, ha un senso, una qualificazione insita nel sacro, che sfugge in codesta rappresentazione cinematografica. Mentre Sorrentino la dipinge come una donna sprovveduta, acculturata ma non conscia di sé, un’antropologia inversa della convivialità festosa la caratterizza nel suo cammino, in cui si propinano al pubblico il solito stereotipo sensualista del politicamente corretto, tramite una libertà irrazionale, irrispettosa e controcorrente, per gioco o per noia, concepisce un completo smarrimento della sacralità della donna.
Quindi una donna – chiamiamola così – che alimenta e nutre ogni istinto basso, senza un motivo, come nei peggiori stereotipi, distorce quel mistero dionisiaco, quale animo profondo di Napoli, che, in realtà, riprende gli istinti ctoni e li trasforma magicamente, ritrova in essi una profondità ieratica, li rende appunto sacri! “trasforma il veleno in farmaco” e ne scaturirà la “gioia di vivere”, è un’alchimia prettamente ed esotericamente partenopea, un processo in cui la risultante è l’Oro. Ben si comprende, a discapito di quanto narrato dal film, come da tale disposizione emozionale non possa mai derivarne uno stato depressivo: contrariamente a ciò, si palesa in tali elementi l’antidoto alla melanconia, tramite la forza palingenetica dell’estro napoletano. Parthenope e Napoli rappresentano la Madre, il femminile, il dionisiaco e come tali sono una forza travolgente che anima, a discapito di Sorrentino, e non deprime. Una forza cosciente come Parthenope si manifesta, a differenza di un diffuso intellettualismo in cui la sfera più intima della nostra tradizione civica è ormai smarrita.
La sirena, in conclusione, anche se lasciva, seduttrice e passionale, in quanto simbolo del femminile-lunare, uccide per poi salvare: è morte e rinascita, e con il suo canto di miele utilizza i sensi, ma poi li trasfigura, “iniziando a più cose”, ci racconta il mito. E’ ben diverso il punto, opposto direi, rispetto a quanto rappresentato, perché lo scopo è elevare l’uman…
Valentina De Cicco