Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
La parola data come “entità vivente” ovvero il giuramento sacro presso gli Antichi – Emanuele Franz
Eric R. Dodds nel suo capolavoro “I greci e l’irrazionale” ci informa che era credenza comune presso gli antichi che le Erinni, le profonde forze della giustizia che operavano nella psiche, agissero da intermediarie di un equilibrio cosmico di cui Zeus era il sommo Ministro e le Moire, le signore del Fato, le sue esecutrici. Il fatto singolare, che può passare inosservato qualora non si presti la dovuta attenzione, è che le Erinni venivano invocate anche in presenza di un giuramento poiché un giuramento poneva in essere una Moira, una sorte. Anche Walter Burkert nella sua monumentale opera La religione greca di epoca arcaica e classica ci evidenzia come in generale nei patti e nei giuramenti venissero chiamati a testimoniare l’avvenuto accordo Forze sovra terrene e Divinità quasi appunto (e togliamo pure il quasi) che il tendere un accordo fosse un atto Sacro.
Che un giuramento fosse un generare qualche cosa di così profondo e intimo tale da comportare un disonore qualora venisse violato è ben testimoniato nella Mitologia greca. Si pensi che lo Stige, il fiume degli inferi, era considerato il Dio dei giuramenti sacri: se qualcuno infatti avesse giurato sullo Stige la promessa sarebbe stata mantenuta anche dagli Dei. La potenza di questo fiume e la tua temibilità erano tali che il giuramento sullo Stige era una formula inviolabile; se un Dio era sospettato di mentire, Zeus prendeva una brocca di acqua di questo fiume e gliela faceva bere. Se Stige scopriva che aveva mentito, il Dio passava un anno in uno stato di sonno profondo e nove anni lontano dagli altri.Pertanto, evocare questa Potenza testimone dei giuramenti significava mettere in atto una relazione vivente fra l’essere e i Principi ultimi del cosmo: scindere questa relazione vivente avrebbe attentato ad un ordine cosmico inviolabile:
“Sia ora testimone la terra e in alto il vasto cielo
e l’acqua dello Stige che scorre che è il giuramento
più grande e terribile per gli Dei beati”
(Omero; Odissea V 184-185; Tr. di G.A. Privitera)
Il giuramento, (ὅρκος Hòrkos in greco), e il giurare, omnynai, consistevano nell’invocazione di testimoni extra-umani e prevedeva l’effettuazione di un Rito che ne sanciva l’irrevocabilità. Il Rito prevedeva inoltre un Sacrificio, ovvero una offerta a Zeus, il Dio Hòrkios per eccellenza, il Dio dei Patti Sacri. Colui che non manteneva la parola data davanti al Dio concorreva il rischio della maledizione, ovvero dell’Exoleia (έχολέια) letteralmente -totale annientamento- che poteva consistere anche nella castrazione e nell’estinzione della sua famiglia. Che il recondito legame fra il patto sacro e la giustizia cosmica sia così inverato è attestato anche da Esiodo laddove ne Le opere e i giorni, afferma che le Erinni hanno assistito la Dea Eris alla nascita di suo figlio Horkos, che sarà poi, come si diceva, uno degli epiteti di Zeus. Dal greco al latino si è tramandata questa formula dal momento che la parola Giurare è in latino Jus-Àre, che intendeva il diritto, ovvero ciò che è giusto, di dare a qualcuno, in particolare al Dio. Il patto sacro pertanto è un debito, è una relazione di un qualche cosa che prende vita e fino a che essa non si sviluppa e matura non può cessare, altrimenti si ucciderebbe qualcosa che ha preso vita incorrendo in gravissime conseguenze, perché sarebbe fare un onta agli Dei:
“ma fra numi
venerandi chi serbò fedeltà ai giuramenti illacrimata esistenza
trascorre. Portano gli altri terribile fardello.”
(Pindaro, Olimpica II, 56-80; traduzione di Franco Ferrari. Milano, Rizzoli, 2008)
Non si creda però che una simile visione del giuramento sacro sia unicamente limitata alla mitologia Greca anzi, essa ha rappresentato nel tempo antico un filo conduttore ben visibile nelle più diverse mitologie. Si pensi ad esempio a Vár, la Dea della mitologia Norrena che, come ci dice Snorri Sturluson nell’Edda, era la Dea preposta a sancire il rispetto dei giuramenti tra uomini e donne, vendicandosi di chi li rinnegava. Várar infatti in antico norreno significa “giuramenti”. In questo caso la Dea sanciva una unione vivente fra l’uomo e la donna che decidevano di unirsi in amore, e questo accavalla la tesi che vogliamo sostenere qui: ovvero che il promettere è un atto interiore e sacro che genera una relazione vivente. Sempre nella mitologia Norrena al Dio del Sole Baldr, figlio dello stesso Odino, era stata profetizzata la morte. Ecco che un evento di portata cosmica si compie: la madre Frigg, decisa ad evitare la morte del figlio Baldr, raduna a sé tutto ciò che esiste al mondo, piante, animali, pietre, elementi, imponendo un giuramento universale: mai nulla dovrà recare del male a Baldr. Si tratta quindi di un voto sacro alla vita al quale ogni cosa esistente prende parte.
Questo “giuramento al Sole” è per analogia il giuramento di fedeltà che si prestava all’Imperatore o al Re, in quanto rappresentante in terra delle virtù regali di solarità e chiarità. (Uno dei più famosi giuramenti della storia, quello di Ippocrate, chiama come testimone proprio Apollo, Dio della Luce) Da qui la forte influenza che ha avuto la pratica solenne del giuramento nelle istituzioni cavalleresche e militari. I latini amavano dire pacta sunt servanda, i patti vanno mantenuti.
Pensiamo ai capolavori della letteratura cavalleresca come quelli dei cicli bretoni e all’importanza, pressoché assoluta, che assumeva per un vero cavaliere il mantenimento della parola data finanche al di sopra della sua stessa vita. Nel romanzo del XIV Secolo Sir Galvano e il Cavaliere Verde, ad esempio, si narra di un’avventura di Galvano, un cavaliere della Tavola Rotonda. Galvano accetta la sfida lanciata da un misterioso cavaliere completamente verde nei capelli, vestiti e pelle. Il Cavaliere Verde dichiara che permetterà a chiunque di infliggergli un colpo di ascia senza che esso si difenda se egli stesso potrà restituire il colpo esattamente dopo un anno e un giorno. Gawain (Galvano) accetta la sfida e con un sol colpo decapita il cavaliere, questi però non muore ma raccoglie la sua testa, sale a cavallo e ricorda a Galvano che deve mantenere la sua parola d’onore e presentarsi alla data concordata per farsi colpire a sua volta. La storia di Sir Galvano, impegnato nell’avventuroso viaggio per raggiungere il luogo prescelto dove riceverà il colpo, dimostra il suo spirito di cavalleria e lealtà. Potrebbe infatti dimenticarsi dell’impegno preso e non rispettarlo, poiché sa che mantenendo la sua promessa dovrà farsi tagliare la testa, e quindi morire, ma per lui in questo caso, pur combattuto nella sua coscienza, prevale l’onore di mantenere il giuramento anche al di sopra della sua stessa vita, dimostrandosi così un grande cavaliere. Si scoprirà solo alla fine del racconto, quando Galvano poggerà la testa sotto l’ascia del cavaliere verde, che in verità quest’ultimo non voleva ucciderlo, ma solo mettere alla prova la sua lealtà per vedere se egli era un cavaliere leale e nobile.
Si comprende molto bene quanto nel passato il dare la parola a qualcuno, il prendere un impegno, non fosse meramente un atto convenzionale, un accordo fatuo e così leggero ma un far fiorire una relazione che chiamava in causa entità viventi superiori. Il promettere qualcosa non è un mero atto convenzionale, è generare un vivente. Stipulare un patto significa far nascere qualcosa che è vivo: ogni volta che diamo la parola a qualcuno in verità stiamo generando un essere vivente. Oggi viviamo in un era in cui tale modo di sentire i patti e la parola data come un giuramento sacro fa sorridere e suscita ilarità, tuttalpiù tale modo di sentire è relegato a qualche aspetto cerimoniale, che ne ha conservato qualche caratteristica simbolica, spogliata tuttavia di qualsiasi trascendenza.
Nell’epoca odierna la parola data non vale più nulla per il medio abitante del mondo contemporaneo; ci si prende un impegno e lo si annulla con la stessa facilità con cui si usa, si consuma e si getta un paio di calzini. Mentre noi siamo propensi a credere che il rispetto per la parola data sia l’unica e la sola unità di misura che stabilisce il valore di un uomo. Come avrebbe detto lo scrittore romano del I Sec A.C. Publilio Siro:
“Dove regna l’onore la parola data sarà sempre sacra”.
Ma noi vogliamo andare oltre e, a seguito della analisi dei Miti, osiamo affermare che quando due uomini stipulano un accordo operano un atto analogo a quello che fanno un uomo e una donna quando nell’amore si uniscono generando un nascituro, essi cioè generano un figlio. Un patto è un figlio che si rende indipendente dai genitori, la parola data è come un bimbo che ha preso vita, se noi non mantenessimo la parola data ci macchieremo dell’orribile delitto di uccidere questo bambino. Ogni qualvolta facciamo una promessa a qualcuno dovremmo considerare che le nostre non sono “soltanto” parole, bensì sono una generazione. Una volta promesso qualcosa esiste una creatura che cresce, si sviluppa, e tale creatura va nutrita e amata, accudita e protetta. Se si pensasse così, se si sentisse così, come prenderemmo più seriamente le parole che diamo agli altri! Ci si guarderebbe bene dal trattare con leggerezza i nostri rapporti con gli altri e invece di vedere un mondo di nessi morti e di cose rafferme si inizierebbe a vedere apparire un modo di esseri vivi intessuti con noi, nutriti dalle nostre intenzioni e parole. Promettere è dare la vita e giurare significa ingravidarsi di Eternità.
Emanuele Franz